Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
L’arte sotto le dittature
• Il suicidio della rivoluzione. La rivoluzione bolscevica portò speranze di rinnovamento per molti artisti ma ben presto rivelò il proprio volto totalitario. Vicenda emblematica quella del poeta Vladimir Majakovskij: in un primo tempo sostenitore entusiasta e simbolo della rivolta antizarista e nell’aprile del 1930 suicida con un colpo di pistola.
• Riabilitazione post mortem. Aleksandr Rodcenko, nato nel 1891 a San Pietroburgo, aderì con slancio alla rivoluzione e all’arte costruttivista. Sovrintese al padiglione sovietico dell’Esposizione di Parigi nel ’25. Celebri i suoi manifesti pubblicitari. Disegnò i costumi per l’allestimento teatrale della Cimice di Majakovskij, un anno prima che il poeta si togliesse la vita. Poiché la sua pittura non rispondeva più alle direttive del Cremlino cadde in disgrazia nel ’51. Fu riabilitato dopo la morte di Stalin.
• Colpite i bianchi col cuneo rosso. Lazar Lisitskij, detto El, nato nel 1890 in un paesino vicino a Smolensk, visitò l’Italia e ne riportò una profonda emozione, tanto che intagliò sul bastone da viaggio tutti i nomi dei luoghi che aveva visitato. Conobbe Malevic, Chagall. Architetto, pittore costruttivista, realizzò nel 1919 il famoso manifesto Colpite i bianchi col cuneo rosso.
• Nazismo e cultura. Nel 1927, a Monaco, Alfred Rosemberg fondò la Società nazionalsocialista per la cultura tedesca, embrione di quella che sarebbe stata la Lega per cultura tedesca che ebbe a capo personaggi come Goebbels e Goring. Oltre a un rifiuto di tutto ciò che sapeva di straniero, essa propugnava l’esaltazione delle virtù fisiche e morali del popolo tedesco.
• Arte degenerata. Fu la Lega per cultura tedesca a organizzare nel ’37 la Mostra dell’arte degenerata dove furono esposte, al pubblico ludibrio, opere invise al Fuhrer. Vi figurarono anche Van Gogh, Gauguin, Braque, Picasso, Matisse, Klee.
• Art-pour-l’art. «L’arte in senso assoluto, così come la concepisce il democraticismo liberale, non deve esistere» (Goebbels, ministro per la Propaganda e la Cultura popolare).
• Stomaci pelosi, sessi ripugnanti. George Grosz, nato nel 1893, stigmatizzò la Berlino nazista con disegni caricaturali che mettevano a nudo stomaci pelosi, sessi ripugnanti, aspetti bestiali sotto abiti borghesi e per bene. Si trasferì in America nel 1933, quando Hitler divenne cancelliere. Lì, nel ’44, rappresentò il timore che l’umanità fosse sul punto di estinguersi, con l’opera Il sopravvissuto. Il soggetto è un soldato solo, acquattato in una palude, un coltellaccio fra i denti.
• Radiografia di Hitler. Helmuth Hertzfeld, nato a Berlino nel 1891, iscritto al locale Partito comunista, si diede un nome inglese, John Heartfiled, per protesta provocatoria contro l’anglofobia imperante negli anni Trenta. All’avvento del nazismo si rifugia a Praga. Dopo il patto di Monaco deve andarsene anche da lì e riparare a Londra. Lavora come scenografo per Brecht e si distingue sopra tutto nei fotomontaggi d’impronta dadaista. Celebre quello in cui Hitler compare col busto radiografato: una svastica al posto del cuore e una pila di marchi d’oro nella trachea.
• Uova rosse e polli arrosto volanti. Nato a Vienna nel 1886, oppositore del nazismo, Oskar Kokoschka si ritira a Praga dopo l’Anschluss. Quando nel ’38, col Patto di Monaco, la Cecoslovacchia viene servita su un piatto d’argento a Hitler da Italia, Francia e Inghilterra ripara a Londra. Dipinge un quadro sul tema: la Cecoslovacchia è un pollo arrosto che volando deposita un uovo rosso davanti a un furbo gatto attendista (la Francia) e a un famelico leone (l’Inghilterra, versione guerrafondaia). Hitler e Mussolini compaiono sullo sfondo, caricaturizzati.
• Deformofobia. Dapprima amato dai futuristi e da quanti provavano un’ansia di cambiamento, da tutti i modernisti insomma, una volta salito al potere il fascismo s’irrigidì nei fasti autocelebrativi dell’arte di regime e non approvava tutte le espressioni pittoriche stravaganti. Bisognava evitare il deforme, il pessimismo, il simbolismo incorporeo eccetera eccetera. Tuttavia, a differenza che in Urss, chi non si allineava non era perseguitato, poteva continuare, più o meno nell’ombra.
• Un imbecille. «Novecento, Novecento. Queste orribili figure con questi manoni, questi piedoni, questi occhi fuori posto, sono ridicole, fuori del buon senso, fuori della tradizione, fuori dell’arte italiana. ora di finirla, dico, di finirla» (Mussolini a proposito del pittore Mario Sironi, che pure aveva voluto come critico d’arte al Popolo d’Italia e che definì ”un imbecille”).
• La risposta. «E invece ciò che è da costoro considerato stravaganza, se non ce ne fosse bisognerebbe cercarlo, e invocarlo. Perché esso costituisce la ragione vera e unica dell’arte. L’arte è un’evasione dalle sfere normali» (Mario Sironi, nato a Sassari nel 1885 e morto a Milano nel 1961).
• Pittura balneare. «...questa sconcia e merdosa società borghese (intendendo borghese anche i cosiddetti estremisti che ne sono la quintessenza) vorrebbe una pittura balneare, i cui modelli sono le vignette pubblicitarie» (Mario Sironi).
• La scultura è un gatto. «Ho un paragone, che ripeto spesso. Là c’è un gatto, che è la creta, l’opera d’arte. Gli vai incontro per prenderlo e quello scappa. Allora fai l’indifferente, ti siedi. Dopo un minuto il gatto ti salta sulle ginocchia. Questa è l’opera d’arte: e allora la puoi accarezzare, e anche strangolare, è tua» (Arturo Martini, scultore, morto nel 1947, cinquantasettenne, all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, senza essere riuscito a ritornare, come voleva, nella sua Vado Ligure).
• Confino e creatività. Il torinese Carlo Levi, pittore ma anche scrittore, faceva parte del Gruppo dei Sei, con Menzio, Paulucci, Chessa, Boswell e Galante. Fu mandato al confino a Eboli, luogo della Lucania che gl’ispirerà il romanzo Cristo s’è fermato a Eboli. Anche dopo la guerra la sua pittura resterà legata alla povera gente del Sud, senza ritorni nostalgici alla Torino operaia. Muore a Roma nel 1975, settantatreenne.
• Una catasta di donne nude e morte. Nel 1942 Carlo Levi dipinge un mucchio di donne morte, bianche e nude. Successivamente sottotitolerà il quadro così: Il lager presentito.
• Funerali. Renato Guttuso dipinge nel 1972 I funerali di Togliatti, opera di più di due metri per quattro. Amava le grandi dimensioni e la folla come soggetto.
• Guernica. «Quando la rivolta incominciò, il governo spagnolo repubblicano liberamente eletto, e democratico, mi nominò direttore del Museo del Prado, un incarico che io accettai immediatamente. Nella tela a cui sto lavorando, che chiamerò Guernica, e in tutte le mie opere d’arte recenti, io esprimo chiaramente il mio odio per la casta militare che ha sprofondato la Spagna in un oceano di dolore e di morte» (Pablo Picasso, al congresso degli artisti americani, il 19 dicembre 1937).
• Le vicende della pittura del Novecento si fondono con quelle politiche e Mario De Micheli rievoca le une e le altre nell’intreccio, spesso tragico, tra arte, vita e storia. Così emerge il carattere rivoluzionario e innovativo di Fascismo e Bolscevismo che attrasse una generazione di artisti e la disillusione che questi provarono quando si consolidarono i regimi e si scatenò la repressione (con le dovute differenze tra Italia e Urss in termini di durezza).
Mario De Micheli, scrittore e critico d’arte, ha militato nell’ambito di riviste e movimenti d’avanguardia. Tra i suoi numerosi saggi, ”La matrice ideologico-letteraria dell’eversione fascista” (1976) e ”Scalarini. Vita e disegni del grande caricaturista politico” (1978), ”Idee e storie di artisti” (1981).