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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

A colazione con Ugo La Malfa - 22 settembre 1968 A colazione da Montanelli

• A colazione con Ugo La Malfa - 22 settembre 1968 A colazione da Montanelli. Arrivo in ritardo e davanti all’ascensore incontro Mario Praz, inglesista illustre, esteta raffinato e uomo d’immensa erudizione. Piccolo di statura, i lineamenti piuttosto sgraziati, ha fama di iettatore. Ma uno iettatore che non fa danni irreparabili. La sua specialità sono gli impianti elettrici. E me ne dà subito un assaggio: un sensore si arresta, fra il primo e il secondo piano. Suono l’allarme, arriva il portiere che scende in cantina e, dopo qualche minuto, rimette in moto. A tavola, il professore e il segretario repubblicano La Malfa si contendono il pallino della conversazione. Quello che interessa a Praz non interessa a La Malfa; quello che interessa a La Malfa non interessa a Praz. Montanelli ed io non apriamo bocca, ma ci divertiamo. Alle tre, dopo il caffè, mi alzo per fare una telefonata, ma l’apparecchio è muto. Nello studio di Indro ce n’è un altro. Lo raggiungo, ma anche questo non dà segni di vita. Alle tre, Praz se ne va e io riprovo. E’ tornata la linea. Non aveva torto il ”Puzzone” quando diceva: ”Temo più uno iettatore di un antifascista”. Meglio La Malfa del Professore. Soprattutto se devi telefonare. Roberto Gervaso
• I polli di Vittorio Metz - 16 gennaio 1969 Un amico mi racconta che Vittorio Metz ha guadagnato con il cinema un mucchio di quattrini. Non si contano i film comici e di costume di cui questo straordinario umorista ha firmato il soggetto e la sceneggiatura. Purtroppo, ha fatto investimenti sbagliati. Il più infelice è stato la costruzione di un sontuoso pollaio annesso a una villa e affidato alla suocera in pensione, che non sapeva come passare il tempo e si annoiava a morte. Grazie alla sua esperienza di architetto prestato al cinema, Vittorio ha progettato il pollaio in stile gotico con archi, archetti, pinnacoli, finestre a trifora, spendendo un occhio della testa. Chi scrive dovrebbe solo scrivere. Gli affari li dovrebbero fare quelli che non leggono. Roberto Gervaso
• 8 agosto 1969: Mi racconta un amico fiorentino: fine del 1944, in una bella fattoria del Chianti, ricevimento in onore di Mark Clark, il gigantesco generale americano, comandante della Quinta Armata. C’è il fior fiore dell’aristocrazia terriera toscana. Il generale è oggetto di venerazione. Le nobildonne gli fanno la ruota, decantandogli le loro fattorie. Si avvicina a Clark una stupenda signora romana, spregiudicata e libertina, di cui non posso fare il nome, moglie di un grande avvocato. Clark, un po’ impacciato, si presenta e, per rompere il ghiaccio, le domanda: ”Signora, lei dove ce l’ha la fattoria?” La donna unisce ad angolo le punte delle dita delle mani, le porta maliziosamente all’altezza del pube e risponde: ”Qui”. Non è la sola. Roberto Gervaso
• Il Paolo Villaggio del Corriere - 2 ottobre 1969 Montanelli: il Paolo Villaggio del Corriere. Non male. Roberto Gervaso
• La vecchia e il medico della mutua - 22 maggio 1970 Un medico della mutua, amico delle mie zie, mi racconta quel che gli è successo ieri in ambulatorio. Entra una vecchia contadina analfabeta con forti dolori alla schiena e alle gambe. Il medico le indica il lettino e la invita spogliarsi. Mentre indossa il camice il sanitario si accorge che una stringa della scarpa gli si è slacciata. Si china per rifare il nodo e dice alla vecchia, alle sue spalle, alludendo al lettino: ”Salga su”. La donna fraintende e gli balza sul groppone. Roberto Gervaso
• Alla mensa di Afrodite - 19 agosto 1970 Mi siedo alla mensa di Afrodite con lo stesso appetito con cui mi metto a tavola dopo un eroico digiuno. Roberto Gervaso
• Epitaffio - 27 agosto 1970 A New York, sulla tomba di un Rockefeller, leggo: ”Qui riposa un uomo che seppe circondarsi di uomini migliori di lui”. Un gran bell’epitaffio, bugiardo come tutti i begli epitaffi. Ma ai posteri ci si raccomanda anche così. Roberto Gervaso
• Restif de la Bretonne - 6 dicembre 1971 Restif de la Bretonne ebbe la prima erezione a quattro anni; il primo rapporto, a dieci; il primo figlio, a sedici. Figlio a parte, beato lui. Roberto Gervaso
• Conosco Renato Guttuso – 9 aprile 1973 Piero Chiara mi presenta Renato Guttuso in quel di Velate, dove il pittore di Bagheria ha una bella villa. Ceniamo insieme in un piccolo ristorante. L’artista siciliano pasteggia non con vino, ma con whisky. E non un bicchiere: un’intera bottiglia. Fra una bevuta e l’altra, una sigaretta. Velate è il buen retiro di Guttuso, che vi ha uno studio. Non il solo. A sentire le malelingue, sempre in agguato, ne avrebbe uno, segreto, anche in Svizzera. Ci va - secondo le gole profonde - una volta alla settimana in Rolls-Royce, con l’autista gallonato e mille lire in tasca. Giunto a destinazione, infila lo spolverino e per tutta la giornata dipinge. Quindi, rindossati i panni borghesi, consegna la tela a un mercante e torna a Velate. Vero o falso, non so. Renato smentisce con quel sorriso dolce e disarmante che è uno dei tratti più amabili del suo amabilissimo carattere. Longanesi lo ha definito: ”picassata alla siciliana” e il ”picciotto di Bagheria”. Roberto Gervaso
• ”Tolgo l’asse” - 9 giugno 1973 Mi racconta il vecchio amico Salvatore Puglisi Cosentino, cavaliere del Lavoro di Catania, che un suo amico vescovo si recò a far visita a un parroco di campagna. Gli venne ad aprire una bella e giovane donna. Il vescovo chiese al parroco chi fosse e questi gli rispose: ”La nuova perpetua”. ”E dove dorme?” ”In questa stanza: è l’unica”. ”Nello stesso letto?” ”Sì, ma in mezzo c’è un’asse. ”E se ti viene la tentazione?” ”Tolgo l’asse” risponde candido il parroco. Roberto Gervaso
• Giuseppe Berto – 7 ottobre 1973 Giuseppe Berto a cena da me. Mi porta il suo ultimo libro ”Oh, Serafina” con tanto di dedica. E’ un anarchico. L’unica che sia riuscita, ma fino a un certo punto, non dico a metter ordine nella sua vita, ma a limitarne il disordine, è la moglie Manuela. Lui dice che lo tiranneggia, e da come descrive i soprusi cui lei con raffinata crudeltà lo sottoporrebbe, c’è da chiedersi perché non l’abbia ancora denunciata o, più sommariamente, soppressa per legittima difesa. La vittima, in realtà, è lei, e lui l’aguzzino. Un aguzzino insuperabile nel far la vittima, nel lamentarsi continuamente dei lacci in cui la moglie l’avvilupperebbe, nel rimpiangere la perduta libertà cui, spontaneamente, venticinque anni fa, rinunciò per impalmare Manuela, che ne aveva diciotto. Roberto Gervaso
• ”Parti tranquillo” - 28 febbraio 1975 La mia vecchia amica Mariella mi dice che il brutto e gelosissimo marito, in procinto di partire per un lungo viaggio di lavoro in Estremo Oriente, le ha raccomandato di non tradirlo. ”E tu?” le chiedo. ”Parti tranquillo – l’ho rassicurato – mi viene voglia di tradirti solo quando ti vedo”. Roberto Gervaso
• ”Ti chiamerei Marat” - 30 aprile 1975 Giovanni Mosca mi racconta che Marco Ramperti gli diede del sanculotto per una critica non condivisa. L’umorista gli rispose, alludendo alla sua dubbia igiene personale: ”Ti chiamerei Marat se questi non fosse morto nel bagno”. Roberto Gervaso
• Giulio Andreotti – 30 settembre 1977 Incontro Andreotti a cena, a casa di amici. Parliamo per mezz’ora di cefalea. La sa lunga. Quasi più di me. Mi racconta che, durante la visita a Roma di un Capo di Stato (pupillo del premier, Andreotti era allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), accompagnò a Ciampino il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Durante il tragitto da Roma all’aeroporto, gli si scatenò una feroce emicrania con conati di vomito. Chiese a Einaudi se potesse far fermare la macchina presidenziale. L’autista posteggiò sul ciglio della strada. Andreotti scese, si tolse la tuba, adibita per l’occasione a lavandino o a tazza di water, e si liberò del gran peso. Prima di congedarmi, mi chiede se le supposte contro il mal di testa che mi ha mandato abbiano fatto effetto. Gli dico di no. M’invita a insistere. Glielo prometto. Mi dice che a lui fanno bene i massaggi di una fisioterapista cinese. Mi dà l’indirizzo. Le telefonerò. Roberto Gervaso
• Incontro Jean Francois Revel - 13 aprile 1978 Incontro con Vittoria Jean François Revel, direttore dell’Express, nella sua casa parigina. Mi dice: ”In Francia, i cattolici sono laici. In Italia non lo sono nemmeno gli atei”. Noi siamo cattolici solo a letto, in famiglia, in chiesa perché, in fondo, non crediamo in niente. O solo in San Gennaro. A una condizione: che faccia il miracolo. Ma lo faccia a noi. Se lo fa a un altro, non gli crediamo più. Roberto Gervaso
• Giancarlo Fusco – 8 luglio 1978 Incontro Giancarlo Fusco in piazza di Spagna. Mi prende sottobraccio e insieme percorriamo le stradine che portano a corso Umberto, dove, fino al 1958, quando entrò in vigore la legge della socialista Lisa Merlin contro la prostituzione di Stato, c’erano alcuni bordelli. ”In tutti questi casini – mi confida Fusco – ero di casa. Le ’signorine’ mi volevano bene e mi mettevano a parte dei loro segreti e dei loro problemi. Sapevano di avere in me un amico sincero e un protettore onesto e disinteressato”. ’Hai nostalgia dei casini?” ’E chi non ce l’ha? L’avresti anche tu se li avessi conosciuti e frequentati. Quanti anni avevi nel 1958?” ’Ventuno” ’E nei casini sei mai stato?” ’Sì, ma solo a far flanella, a rifarmi gli occhi, a perdere tempo”. ’Cosa ti sei perduto”. Roberto Gervaso
• Basilio Puoti - 22 marzo 1979 Basilio Puoti (1782 – 1877), letterato e purista napoletano, in punto di morte, sospirò: ”Me ne vado”. Poi, in un estremo rantolo, si corresse: ”Ma si potrebbe anche dire ’Me ne vo’”. Certe frasi si pronunciano solo in punto di morte. Roberto Gervaso
• Visita a Padre Bartolomeo Sorge - 27 aprile 1979 Vado a far visita al gesuita Padre Bartolomeo Sorge direttore di ”Civiltà cattolica”, a Villa Malta, sede della rivista, non lontano da via Veneto, a Roma. Off the record, Sorge è un uomo spiritoso e spregiudicato, come tutti i seguaci di Sant’Ignazio. Gli chiedo se i gesuiti credano in Dio. Mi risponde, come fanno spesso questi chierici regolari, con una domanda: ”Lo sa che cosa Dio non potrà mai sapere?” ”Che cosa?” ”Quanti conventi femminili ci sono a Roma, come fanno tanti soldi i salesiani e a cosa pensano i gesuiti”. Lui compreso. Roberto Gervaso
• Fred Astaire – 10 maggio 1979 Un collega del ”New York Times” m’invita al Plaza a un cocktail in onore di Fred Astaire che ha compiuto ottant’anni e si è appena risposato. Sempre agile, dinoccolato, elegante e sorridente, non è più magro come un chiodo: è magro come uno spillo, come un ago di pino. E’ stato per la danza quello che Sinatra è stato per la canzone, Chaplin per il cinema, Einstein per la scienza, Picasso per la pittura, Freud per l’inconscio, Strawinskij per la musica classica. Mi avvicino, gli stringo la mano e lo rivedo mentre, nel film ”Roberta”, balla con Ginger Rogers ”Smoke gets in your eyes”. Un folletto divino, un genio assoluto, un mito, ma anche un uomo affabile, alla mano. Mi chiede da dove venga. Gli rispondo: ”Da Roma”. ”Mi sarebbe piaciuto esibirmi nell’arena del Colosseo” ”Dove, una volta – gli dico - i gladiatori si scannavano e i leoni sbranavano i cristiani”. Annuisce. ”Se l’avessero vista ballare con Ginger Rogers o Cyd Charisse - commento – i leoni si sarebbero ammansiti”. Sorride e a passo di danza guadagna il buffet e si fa servire una coppa di Cristal, dallo stelo sottile come il suo giro di vita. Un critico ha scritto: ”Fred Astaire è come lo champagne; tutto il resto è birra”. Roberto Gervaso