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 2000  ottobre 14 Sabato calendario

«Il cinema non è che un Teatro delle Ombre altamente sviluppato» (il regista Joseph von Sternberg, nel 1966)

• «Il cinema non è che un Teatro delle Ombre altamente sviluppato» (il regista Joseph von Sternberg, nel 1966).
• Nel teatro delle ombre orientali le marionette sono sagome bidimensionali ritagliate da pelle di pecora, di cammello, di bufalo o di stomaco d’asino, dipinte a colori rilucenti, con testa, gambe e braccia articolate mediante asticelle di bambù da animatori nascosti dietro lo schermo.
• In Occidente le raffinate e coloratissime figure del teatro orientale si trasformarono a poco a poco in opache sagome nere, ritagliate in cartone grossolano, tanto malfatte e approssimative da venir chiamate Silhouette come il ministro di Luigi XVI tienen de Silhouette, famoso per una scombinata riforma fiscale.
• Nel 1770 Wofgang Goethe si fece costruire in casa, per il proprio diletto, un teatro delle Ombre (in tedesco Schattenspiel).
• Alla fine dell’Ottocento l’artista italiano Giacomo Campi portò al successo le ombre fatte con le mani.
• Secondo I Greci antichi, un pellegrino che avesse perso la propria Ombra varcando la soglia del tempio di Zeus sarebbe morto entro l’anno. Anche i primitivi dell’Africa equatoriale, erano convinti di morire se non si fossero portati appresso l’ombra, ragion per cui evitavano di uscire al sole di mezzogiorno. Gli indigeni siberiani avevano il divieto di camminare sull’ombra altrui, perché in questo modo avrebbero calpestato una delle loro tre anime.
• Tra gli Indios dell’America del sud esiste una sola parola per dire Ombra, Anima e Immagine.
• Nell’antica Cina, dalla forma dell’ombra si capiva lo stato di salute di chi la proiettava.
• «Il diavolo mi si inginocchiò ai piedi e lo vidi staccare delicatamente dall’erba, con sbalorditiva abilità, la mia ombra quanto era lunga, arrotolarla, piegarla e infine ficcarsela in tasca» (Peter vende la propria ombra al diavolo in cambio della ricchezza, ”Storia meravigliosa di Peter Schlemihil”, di Adalbert von Chamisso, 1814).
• «Il diavolo mi si inginocchiò ai piedi e lo vidi staccare delicatamente dall’erba, con sbalorditiva abilità, la mia ombra quanto era lunga, arrotolarla, piegarla e infine ficcarsela in tasca» (Peter vende la propria ombra al diavolo in cambio della ricchezza, ”Storia meravigliosa di Peter Schlemihil”, di Adalbert von Chamisso, 1814).
• A Giava Il dalang, cioè il manovratore delle Ombre, inizia lo spettacolo alle nove di sera battendo tre volte sulla cassa che contiene le Ombre, al fine di svegliarle. Singolare il modo di partecipare allo spettacolo: gli uomini stanno dietro lo schermo, in modo da poter guardare le figurine a colori; le donne, dall’altra parte, devono accontentarsi delle Ombre in bianco e nero.
• In Turchia la prima bottega per la degustazione del caffè fu aperta ad Istanbul nel 1555, gli stessi anni in cui si diffonde il Karagöz.
• In Turchia la silhouette dei personaggi-ombra sono soprattutto di pelle di cammello. La pelle viene prima immersa in una soluzione che contiene crusca, in moda da sgrassarla e renderla soffice. Una volta asciugata al sole, viene spianata e allisciata finché non diventa quasi trasparente. Infine viene raschiata per togliere i peli. I pezzi che comporranno al figura sono dipinti con tinture vegetali trasparenti (tra i colori prevale l’azzurro, il porpora, il verde oliva, il rosso cremisi, il terracotta, il giallo, il marrone).
• A Istanbul, sotto il sultano Solimano il Magnifico (XVI secolo), su mezzo milione di abitanti solo sessantamila erano turchi, mentre quarantamila erano crisitiani e quattromila ebrei.
• Nel XVI secolo, come del resto oggi, Istanbul aveva un doppio volto. C’era la città delle cupole splendenti, dei minareti, delle moschee, dei chioschi e dei bazar, dei bagni e delle fontane di marmo, del porto e dei mercati. E c’erano i quartieri fatti di tuguri sbilenchi, con le stradine anguste e fangose attarversate da vagabondi a piedi, contadini a dorso d’asino, gerndarmi a cavallo. E’ in questa Istanbul che si muovono i personaggi del Karagoz di ogni culto e nazionalità: gli ebrei nelel case neer, i gerci in quelel rosso scuro, i turchi in quelle a tinta chiara (gialle o bainche, celesti, versi o rosa).
• Al tempo di Solimano il magnifico gli uomini portavano la camicia fuori dei pantaloni, sopra di essa il doliman, uan specie di sottana lunga fino ai talloni in tela, taffetà o raso. In vita, una cintura guarnita di borchie d’oro o d’argento, cui viene appesa la borsa del tabacco. Sopra a tutto il kaftan, una vestaglia a maniche larghe rivestita, d’inverno, in pelliccia spesso di pregio come lo zibellino. Ai piedi stivaletti o babbucce rialzate in punta, gialle per i musulmani, rosse o nere per gli infedeli. Sulla testa ben rasata, i musulmani portano un turbante, gli infedeli semplici calotte o berrette. Anche le donne portano i pantaloni sotto una camicia che arriva fino ai piedi (in velluto, raso o tela a seconda della stagione). Sopra una zimarra chiusa da una cintura dorata o argentata. Pe ruscire indossano un mantello con le maniche che arrivano a coprire le mani, un velo sul naso, un cerspo nero di crien di cavallo sugli occhi, ai piedi stivaletti. L’acconciatura, molto elaborata, arricchita da fazzoletti ricamati in oro e argento e da pietre preziose.
• Nelle ombre turche le donne, giovani o vecchie, sono sempre frivole, litigiose, capricciose, pettegole, intriganti e poco fedeli. la loro voce è interpretata da burattinai maschi costertti a parlare in falsetto.
• Rituale dei turchi contro il malocchio: si pizzicano il lobo destro con la mano destra, emettendo un fischio e poi battendo tre volte sul tavolo le nocche della sinistra.
• Karagoz è il personaggio che nel teatro delle Ombre turche ha il nome più grande, tanto che lo stesso genere di spettacolo prende il suo nome. Paesano dalla faccia rubiconda, ha grandi occhi neri (Karagoz vuol dire appunto ”Occhio nero”), naso tozzo, folta barba scura, grossa testa calva coperta da un turbante. Sboccato, impulsivo e irriverente, è a modo suo un personaggio dal cervello fino. Il suo opposto è Hacivat: snob e compassato, conformista e opportunista, ha lineamenti fini e sfoggia una superficiale erudizione in musica e poesia ma anche in giardinaggio ed etichetta aristocratica.