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 1999  marzo 29 Lunedì calendario

I Balcani sono un luogo dove la storia sfida la geografia e sfida persino la psicologia

• I Balcani sono un luogo dove la storia sfida la geografia e sfida persino la psicologia. «Vogliamo partire dalla follia? Ebbene, lì forse c’è davvero anche un rapporto particolare tra geopolitca e tare genetiche. Il padre di Milosevic, che era un Pope ortodosso, si è suicidato. La madre si era impiccata. Anche un suo zio si era impiccato. Il padre del presidente croato Tudjman si era suicidato dopo aver ucciso la moglie. Il generale Mladic, il criminale di guerra massacratore dei bosniaci ha avuto una figlia suicida come Ofelia, perché non reggeva alla scelleratezza del padre. L’ideologo consigliere di Karadzic a Pale, Kljevic, si è sparato un colpo in testa, venticinque anni prima si era suicidata sua madre, gettandosi nel fiume. Il padre di Mladic era stato ucciso dagli ustascia. Il padre del ministro croato Sushak era stato ucciso dai partigiani. Credo che se si considera la profondità shakespeariana delle tragedie balcaniche, le cose assumano un rilievo particolare. Anche questo spiega la crudeltà» (Predrag Matvejevic a Siegmund Ginzberg).
• Milosevic è un clone miniaturizzato, in chiave balcanica, di Napoleone, Hitler, Stalin. «Come Napoleone, che non era francese ma còrso, come Hitler, che non era germanico ma austriaco, come Stalin che non era russo ma georgiano, così Milosevic che non è serbo ma montenegrino d’origine, aveva voluto pure lui dilatare la sua patria elettiva ad abnormi dimensioni temporali [...] Paffuto e azzimato, serio, sempre correttamente vestito di scuro, egli esibisce i tratti freddi dell’economista e del banchiere di Stato che incarnò nel periodo iniziale della carriera. Aveva allora le caratteristiche e le ubbìe del comunista riformatore, del titoista che crede nel socialismo di mercato e nella concorrenza tra le fabbriche autogestite. La sua formazione, più che politica, era stata finanziaria. Aveva studiato in Inghilterra e in America, dove frequentò i corsi di storia del professor Henry Kissinger, imparando alla perfezione l’inglese. Aveva perfino diretto una banca d’affari franco-yugoslava a Parigi».
• Titoli e commenti dei tabloid inglesi su Milosevic: «Uno zotico ubriacone», «La bestia serba è un maniaco paranoico che si nasconde al buio e beve due bottiglie di superalcolico al giorno». Il ”Sun” ha chiesto una diagnosi allo psichiatra Dennis Friedman: «Esiste una patologia chiamata ”smodato desiderio di uccidere”, dove il soggetto attraverso il delitto prova un esagerato senso di potenza sessuale. Ecco, Milosevic è affetto da questa forma psicopatica. Sente crescere il suo potere, si sente anche sessualmente più potente, quando causa la morte di altre persone».
• Secondo Elie Wiesel Milosevic è un mostro crudele. Ha mai incontrato Milosevic? «In Bosnia, varie volte. esattamente come l’ha descritto Clinton. Un dittatore, un mostro crudele e senza cuore, cinico, pronto a tutto, privo di coscienza morale. importante che il mondo lo fermi subito, ricordando che questa è una guerra giusta e inevitabile. Se Francia e Inghilterra si fossero mosse nel ’36 non ci sarebbe stato l’Olocausto. Non ripetiamo l’errore».
• Fatta eccezione per i tedeschi, i serbi sono l’unico popolo guerriero d’Europa. «La cosa che più colpisce, nei magnifici monasteri medioevali serbi, sono i numerosi, bellissimi angeli, armati di tutto punto con lance e spade. La società serba, come si costituì a cavallo dell’anno Mille, fu eminentemente guerresca: essa lasciò nella memoria storica dei serbi una fortissima traccia che venne attualizzata all’inizio dell’800 quando i serbi, per primi nei Balcani, insorsero contro il domino ottomano. La lotta continuò per tutto il secolo successivo e culminò nelle guerre balcaniche (1912-13) e nella prima guerra mondiale, tutte e tre vinte dai serbi. Da allora la loro fama si consolidò: la stampa nazista riconobbe nel ’34 che ”oltre ai tedeschi, i serbi erano l’unico popolo guerriero in Europa”».
• I guerrieri della Nato. C.M.L. 40 anni, Manolo per i colleghi d’Aviano, è uno dei piloti spagnoli arrivati dalla base di Torrejon. Veterano di guerra, ha alle spalle una decina di missioni in Bosnia: «Durante il volo non ho visto niente, guardavo solo il mio computer. Lui mi diceva tutto, lui mi ha dato l’Ok relativo ai bersagli; lui mi ha detto che era tempo di rientrare. Non mi considero un robot, ma sono 15 anni che non provo un’emozione vera».
• Jeremian Sullivan, 23 anni, un ragazzone biondo del Nebraska, addetto alla manutenzione: «Io non mi preoccupo dell’equipaggio quando il mio aereo parte in missione, so che fornisco al pilota il miglior jet possibile, e che lui è addestrato per portarlo nel miglior modo possibile [...] Il nostro è un prodotto di qualità. Ogni giorno dedico al mio aereo da mezz’ora a due ore, dipende dalle condizioni generali. Oggi ho lavorato poco. Dalla missione di ieri notte è rientrato perfetto, senza un graffio». Perry McCiver 30 anni di San Diego addetto alle armi: «Il mio aereo può caricare sei missili aria-aria, oppure quattro missili e 12 bombe a caduta verticale». Mc Civer conosce meglio il basket del Kosovo: « da un po’ che ne sento parlare, saranno due mesi. Da quando Milosevic ha iniziato la repressione ...».
• Il Kosovo è una provincia della Serbia. Estensione territoriale: 10.887 chilometri quadrati. Popolazione: un milione e 956 mila abitanti. Densità media: 180 abitanti per Kmq secondo il censimento del marzo 1991 (boicottato dagli albanesi), la più alta delle regioni ex yugoslave.
• Kosovo significa ”terra dei merli”. «Il nome dell’intera regione è Kosovo-Metohija: Kosmet nella tradizione serba. Il secondo nome significa ”terra delle chiese” perché nell’antichità gli ortodossi che andavano e tornavano da Bisanzio, spesso in pellegrinaggio religioso, avevano scelto quell’area per erigere edifici di culto dal particolare valore sacrale. Insomma quella terra è santa per tutti gli ortodossi; russi compresi, ed è lì che il patriarca ha la sua residenza estiva, la sua Castelgandolfo. Oggi non è più tempo di crociate, ma è poi così vero? Possiamo facilmente immaginare cosa accadrebbe se gli israeliani, o i musulmani, o i cristiani cercassero di impossessarsi in toto di Gerusalemme».
• La questione del Kosovo si è posta nella sua forma attuale nel 1913. «Alla fine dell’anno precedente, una coalizione di piccoli stati (Grecia, Bulgaria, Serbia e Montenegro), conquistò con le armi (o liberò, secondo la loro ottica) la quasi totalità dei territori posseduti dall’impero ottomano in Europa. Al termine di questa prima guerra balcanica, in una conferenza internazionale che ebbe luogo a Londra ed è nota come ”conferenza degli Ambasciatori”, dopo lunghe contrattazioni le grandi potenze ritagliarono un tratto di territorio in parte destinato alla creazione di un’Albania indipendente e in parte comprendente l’attuale provincia del Kosovo, che fu divisa tra la Serbia e il Montenegro (quest’ultimo Stato ottenne anche una parte della Metohija con Pec’ e Prizren). I serbi furono solo parzialmente soddisfatti per aver riconquistato la parte essenziale della regione che considerano la culla storica della loro nazione perché avrebbero voluto ottenere anche l’Albania settentrionale per assicurarsi uno sbocco sul mare. Gli albanesi rimasero frustrati perché nell’Albania non era stata inclusa una regione (il Kosovo) in cui il loro movimento nazionale si era particolarmente distinto e dove era in netta maggioranza. Questa divisione dell’area di popolamento albanese, che non esisteva nell’ambito dell’impero ottomano, fu confermata dopo la prima guerra mondiale [...]. La presenza maggioritaria degli albanesi nel Kosovo dal punto di vista del nazionalismo serbo era illegittima: gli albanesi (convertiti all’Islam dai turchi) sono considerati (anche oggi) dei recenti invasori la cui espansione geografica è stata favorita dal potere ottomano che ne ha tollerato le numerose violenze contro i cristiani. Per il nazionalismo albanese, invece, era inaccettabile l’unione del Kosovo alla Serbia e al Montenegro perché impediva il completamento del suo progetto nazionale».
• Il periodo tra le due guerre, quando la Jugoslavia è dominata dal personale politico serbo, vide l’attuazione di una politica destinata ad indebolire la comunità albanese e a slavizzarla attraverso un rigido controllo poliziesco. In mancanza di un insegnamento impartito nella loro lingua gli albanesi continuarono ad essere in larghissima parte analfabeti. La riforma agraria, ufficialmente destinata ad abolire il latifondo, fu l’occasione per insediare 60.000 coloni serbi.
• Nel dopoguerra, il potere di Belgrado, che controllava la società tramite i membri della lega comunista, introdusse l’istruzione obbligatoria in lingua albanese e modernizzò una rete stradale gestita fino a quel momento in modo disastroso. L’applicazione dei principi dell’autogestione sociale in politica ed economia permise un periodo di distensione. In questo nuovo clima il presidente Tito rispose alle manifestazioni di piazza concedendo l’autonomia provinciale.
• Nel 1989, Milosevic eliminò gli elementi essenziali dell’autonomia e celebrò il suo trionfo in occasione del sesto centenario dell’epica battaglia contro i turchi nella piana del ”Campo dei merli” (luogo santo dove si sarebbe manifestata la vocazione eroica della nazione serba al martirio e alla redenzione). Nell’estate del 1990, dinanzi al rifiuto crescente degli albanesi di accettare il nuovo ordine costituzionale, Milosevic passò alla fase successiva di quella che si presenta come la riconquista del Kosovo: in base a legge eccezionali gli albanesi vennero allontanti dai posti di direzione con licenziamenti di massa; i mezzi d’informazione in lingua albanese furono sospesi, l’insegnamento interrotto. Posti di fronte a questo apartheid de facto, gli albanesi si separarono nettamente da uno Stato di cui ormai boicottavano le elezioni, le imposte, il servizio militare, i censimenti. Si organizzarono, ricostituendo un loro sistema scolastico e sanitario e proclamando una loro ”Repubblica del Kosovo” clandestina. Il ”presidente” Ibrahim Rugova, scettico sulle possibilità di riuscita di una rivolta armata, optò per una resistenza non violenta, associata ad intense iniziative diplomatiche presso le varie potenze.
• Tra il 1996 e il 1997 ci furono i primi attentati rivendicati dall’esercito di liberazione del Kosovo, fino ad allora ignoto. Rugova e il suo gruppo finsero in un primo tempo di non conoscerne l’esistenza, suggerendo addirittura che potesse trattarsi dei servizi segreti serbi. Questa posizione diventò insostenibile quando l’Uck intensificò la sua attività: fallita la linea politica ghandiana di Rugova, era giunta l’ora di liberare il Kosovo con le armi. Alla fine del 1997 era chiaro che alcune zone rurali del Kosovo popolate esclusivamente da albanesi erano sotto il controllo dell’Uck. Alla fine del novembre ’97 ci fu il primo scontro aperto che si concluse con il massacro di un’ottantina di persone, metà delle quali appartenenti al clan degli Jashari, sospettati di essere collegati all’Uck. Il 28 febbraio dell’anno scorso forze speciali serbe lanciarono un’offensiva con mezzi pesanti contro numerosi villaggi nella zona di Drenica (centro del Kosovo). Il 9 marzo il gruppo di contatto dette a Milosevic 10 giorni di tempo per ritirare le truppe e intraprendere negoziati.
• L’obiettivo finale dell’Uck è la nascita di un Kosovo indipendente entro i confini più ampi di quelli fissati da Tito. Includerebbe i territori a presenza albanese in Montenegro, tutta la Macedonia occidentale fino a Skopje (a forte maggiornaza albanese) e alcuni territori a sud-ovest della Serbia. Verrebbero invece ceduti alcuni territori dell’estremo nord abitati da serbi. Questo progetto è alla base dei dissidi e dei conflitti tra Uck e il movimento di Rugova.
• Gli albanesi e i kosovari. «Per gli albanesi del dopo Hoxha i kosovari erano relativamenti ricchi. Dei loro fratelli ritrovati li colpiva soprattutto l’ostentazione dei simboli nazionali e il gusto dei canti folkloristici, che a loro davano la nausea per averli dovuti forzatamente ascoltare ai tempi di Hoxha [...] Gli albanesi si resero conto delle tensioni tra Pristina e Belgrado, senza però capirle fino in fondo. Perché battersi contro il governo federale se economicamente stavano bene e avevano ricche proprietà? Ancora oggi gli albanesi di Albania restano piuttosto indifferenti alla causa kosovara: le manifestazioni di piazza organizzate a Tirana in favore della lotta indipendentista del Kosovo vanno quasi deserte. Perché tanta insensibilità nei confronti dei fratelli separati? In buona parte è un’eredità dell’indottrinamento e dell’isolamento comunista. Ai tempi di Hoxha, gli albanesi conoscevano meglio il Congo del Kosovo. La repressione del libero pensiero impedì che fra gli intellettuali si formasse un sentimento nazionale, che si conoscesse la questione kosovara. Nel contesto dell’internazionalismo comunista, i kosovari vennero considerati inizialmente come ”reazionari” e, dopo la rottura del 1948 con Tito, come ”spie dei servizi segreti jugoslavi”».
• I kosovari hanno subito direttamente le conseguenze dell’incompiuta unità nazionale. «Sono perciò sempre stati più sensibili al richiamo della nazione rispetto ai loro fratelli di Albania. A causa della chiusura ermetica dell’Albania comunista se ne costruirono un’immagine mitica, influenzati anche da Radio Tirana. L’Albania era lo Stato dei loro sogni. Non si rendevano conto né dell’arretratezza economica né della repressione di Hoxha. Questa idea romantica e irrealistica non doveva durare molto. Nel 1990, con l’apertura del confine con l’Albania, i kosovari che arrivavano alla frontiera baciavano la terra della patria. Una volta penetrati in Albania, viste le condizioni di vita nei paesini e nelle città, si resero conto del divario enorme fra la realtà albanese e l’idea che se ne erano fatta. Lo Stato in cui gli albanesi erano padroni di se stessi era in totale miseria. Eppure continuarono ad amare l’Albania, a considerarla terra promessa».
• I serbi e i russi. Esiste davvero uno speciale sentimento di fratellanza tra serbi e russi? «Sì, perché entrambi appartengono alla Chiesa ortodossa. Per secoli, durante il dominio ottomano, i serbi inviavano i loro sacerdoti a studiare teologia in Russia. Per non dire di quell’importantissimo centro di civiltà che era il monte Athos, dove gli uni e gli altri avevano i propri monasteri. A partire da Pietro il Grande (1672-1725), quando la Russia diventa una potenza mondiale di dimensioni europee, a questa parentela religiosa e culturale si intrecciano anche interessi politici, legati alla decadenza dell’impero turco, alla volontà di riscossa dei popoli ortodossi soggetti al sultano e alle ambizioni degli zar di espandere la loro influenza nei Balcani e nel Mediterraneo orientale».
• All’annuncio dei bombardamenti sulla Serbia la Russia ha richiamato il suo rappresentante presso la Nato e ha sospeso ogni collaborazione militare con l’Alleanza atlantica. Mercoledì 24 marzo il presidente Eltsin in un discorso televisivo serale ha parlato di «misure adeguate, anche militari, per garantire la propria sicurezza e quella dell’Europa». «La Russia non ha più un sistema di preavviso funzionante in caso di attacco nucleare avversario. Al punto che Boris Eltsin ha firmato con Clinton (ultimo vertice a Mosca) un accordo che prevede che Mosca userebbe quello americano. Nessuna delle stazioni di rilevamento a terra è stata modernizzata negli ultimi 7 anni. Quasi tutte sono oltre i termini di garanzia, scadute come la carne in scatola. La componente aerea del Sistema strategico di dissuasione nucleare (Ssdn) era già tale da suscitare serie preoccupazioni degli esperti militari tre anni fa. Adesso è peggio. [...] Tra cinque o sei anni la componente marittima dell’Ssdn russo avrà da 9 a 12 sommergibili nucleari, con un massimo di 1000 testate atomiche. Cioè la Russia andrà al di sotto dei limiti imposti dal trattato Start-2, che lo abbia ratificato o no poco importa».