Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
di Carlo Levi
• Concerti. "Passammo sopra il burrone dove era precipitata, l’anno prima, la banda di Grassano, che tornava a tarda sera dopo aver suonato nella piazza di Accettura. Da allora i morti suonatori si ritrovano a mezzanotte, in fondo al burrone, e suonano, e suonano le loro trombe; e i pastori evitano quei paraggi, presi da un reverenziale terrore".
• Il tempo, il bianco. "Le porte di quasi tutte le case, che parevano in bilico sull’abisso, pronte a crollare e piene di fenditure, erano curiosamente incorniciate di stendardi neri, alcuni nuovi, altri stinti dal sole e dalla pioggia, sì che tutto il paese sembrava a lutto, o imbandierato per una festa della Morte. Seppi poi che è usanza porre questi stendardi sulle porte delle case dove qualcuno muore, e che non si usa toglierli fino a che il tempo non li abbia sbiancati".
• Consigli di un medico del paese. "Non accetti nulla da una donna. Né vino, né caffè, nulla da bere o da mangiare. Certamente ci metterebbero un filtro. Lei piacerà di sicuro alle donne di qui. Tutte le faranno dei filtri... Vuol sapere di cosa li fanno? ... Sangue, sa, sangue ca-ta-me-niale (mestruale, ndr)".
• Diavoleschi. "Di solito non si fa fuoco, la sera, neppure nelle case dei ricchi, dove bastano gli avanzi del mattino, un po’ di pane e formaggio, qualche oliva, e i soliti fichi secchi. Quanto ai poveri, essi mangiano pan solo, tutto l’anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po’ d’aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco".
Contadini. "I contadini non cantano".
• Scuoiamenti. "Lo zoppo, senza tagliarne altrove la pelle, aveva fatto una piccola incisione in una delle zampe di dietro, vicino al piede, e all’incisione aveva posto la bocca, e a forza di polmoni andava gonfiando la capra, staccandone la pelle dalla carne... Quando la capra fu gonfia come una mongolfiera, lo zoppo, stringendo con una mano la zampa, staccò finalmente la bocca dal piede dell’animale, e se la pulì con la manica; poi, rapidamente, si pose a rovesciare la pelle della capra, come un guanto che si sfili, fino a che la pelle, intera, e la capra, nuda e spelata come un santo, rimase sola sul tavolaccio a guardare il cielo".
• La capra. "Per il contadino essa è realmente quello che era un tempo il Satiro, un Satiro vero e vivo, magro e affamato, con le corna curve sul capo, e il naso arcuato, e le mammelle e il sesso penzolanti, peloso, un povero Satiro fraterno e selvatico in cerca d’erba spinosa sull’orlo dei precipizi".
• Mestieri, inverni. "Il suo antico mestiere, prima che gli anni e le vicende lo avessero fissato qui a Gagliano, era l’incantatore di lupi. Egli poteva, secondo che volesse, far scendere i lupi nei paesi o allontanarli: quelle belve non potevano resistergli, e dovevano seguire la sua volontà. Si raccontava che, quando egli era giovane, girava per i paesi di queste montagne, seguito da mandrie di lupi feroci. Perciò egli era temuto e onorato, e, negli inverni pieni di neve, i paesi lo chiamavano perché tenesse lontani gli abitatori dei boschi".
• Ricordi di un immigrato in America. "La vita è triste, tra quei grattacieli, con tutte quelle straordinarie comodità, e gli ascensori, le porte girevoli, la metropolitana, e sempre case e palazzi e strade e mai un po’ di terra. Viene la malinconia. La domenica mattina si saliva in treno, ma bisognava fare dei chilometri, per trovare la campagna! Quando eravamo arrivati in qualche posto solitario, diventavano tutti allegri come ci si fosse tolti un peso di dosso. E allora, sotto un albero, tutti insieme, ci si calava i pantaloni. Che delizia! Si sentiva l’aria fresca, la natura. Non come in quei gabinetti americani, lucidi e tutti eguali... E, quando avevamo finito, gridavamo tutti insieme: "Viva l’Italia!" Ci veniva proprio dal cuore".
• Ripari. "Se un uomo e una donna si trovano insieme al riparo e senza testimoni, nulla può impedire che essi si abbraccino: né propositi contrari, né castità, né alcun’altra difficoltà può vietarlo; e se per caso effettivamente essi non lo fanno, è tuttavia come se lo avessero fatto: trovarsi insieme è fare all’amore".
• laria. I bambini di Matera che per le strade, tra i sassi, mendicano chinino.
Collegi. "I preti hanno quasi tutti dei figli, e nessuno trova che la cosa porti disdoro al loro sacerdozio. Se Dio non li prende, da piccoli, li fanno allevare nei collegi di Potenza o di Melfi".
Mari. "Sulla mia terrazza il cielo era immenso, pieno di nubi mutevoli: mi pareva di essere sul tetto del mondo, o sulla tolda della nave, ancorata su un mare pietrificato".
• Emigranti. "Il 1929 fu l’anno della sventura, e ne parlano tutti come d’un cataclisma. Era l’anno della crisi americana, il dollaro cadeva, le banche fallivano: ma questo, in generale, non colpiva i nostri emigranti, che avevano l’abitudine di mettere i loro risparmi in banche italiane, e di cambiarli subito in lire".
• Il popolo dei dottori. "l’Italia è il paese dei diplomi, delle lauree, della cultura ridotta soltanto al procacciamento e alla spasmodica difesa dell’impiego".
• Leggende, ritrovamenti. "Il terreno su questi monti d’argilla, è tutto scavato di buche e di grotte naturali. Qui si riparavano i briganti e qui, negli alberi cavi delle foreste, nascondevano i denari delle taglie e quelli rapinati nelle case dei ricchi. Quando le bande furono disperse, e i briganti tutti uccisi o imprigionati, quei tesori nascosti rimasero nella terra e nei boschi. Questo è uno dei punti dove la storia dei briganti diventa leggenda".
• Spiriti e correnti. "I monachicchi sono gli spiriti dei bambini morti senza battesimo: ce ne sono moltissimi qui, dove i contadini tardano spesso molti anni a battezzare i propri figli... I monachicchi sono esseri piccoli, allegri, aerei: corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano la sabbia negli occhi, rovesciano i bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte".
• ori. "La ginestra è il solo fiore di questi deserti, cresce dappertutto in cespugli aridi, pasto delle capre".
Mandorli e grano. "In questa grande tenuta non si coltivava che grano, secondo le direttive del governo. Nelle annate buone, malgrado il concime e il lavoro, non si raggiungeva che un raccolto di nove volte il seme; nelle altre annate la messe era di molto inferiore; a volte dava soltanto tre o quattro volte la semenza. Era dunque una follia economica questo insistere sul grano. Queste terre non consentirebbero che la coltura del mandorlo o dell’olivo; e soprattutto, dovrebbero tornare ad essere foreste e pascoli".
• Autunno. "Dalle finestre entrava una luce fosca e incerta: le colline parevano addormentarsi dolorosamente in quello squallore. Soltanto Barone correva lieto all’aperto, nell’acqua, come un folletto, annusando gli odori della terra bagnata, e rientrava saltellante, scuotendosi la pelliccia inzuppata. La violenza del vento contrario ricacciava il fumo nelle camere: il fumo acre e odoroso dei ceppi di ginepro e brugo".
• Natale. "I contadini e le donne andavano attorno, portando i regali dei signori; qui è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi, e rechino i doni, che vengono accolti come cosa dovuta, con sufficienza, e non ricambiati".
• Primavera. "Il verde non era durato che una decina di giorni, come una assurda apparizione. Poi quella poca erba era seccata sotto il sole e il vento ardente di un maggio improvvisamente estivo. Il paesaggio era tornato quello di sempre, bianco, monotono, calcinoso".
• Svolte, addii. "Infine mi congedai da tutti. Salutai la vedova, il becchino banditore, donna Caterina, la Giulia, don Luigino, la Parrocola, il dottor Milillo, il dottor Gibilisco, l’Arciprete, i signori, i contadini, le capre, i monachicci e gli spiriti, lasciai un quadro in ricordo al comune di Gagliano, feci caricare le mie casse, chiusi con la grossa chiave la porta di casa, diedi un ultimo sguardo ai monti di Calabria, al cimitero, al Pantano e alle argille; e una mattina all’alba, mentre i contadini si avviavano con i loro asini ai campi, salii, con Barone in gabbia, nella macchina dell’americano, e partii. Dopo la svolta, sotto il campo sportivo, Gagliano scomparve, e non l’ho più riveduto".
• Libro noto quanto poco letto, Cristo si è fermato a Eboli è uno straordinario viaggio in una terra, la Lucania, rimasta intatta, fuori dal corso della storia, con le sue streghe contadine, i lupi, i monachelli. Personaggi, tradizioni, fatti e leggende di cui l’autore narra come un cantastorie di quei luoghi, spingendosi talvolta in analisi sociali e politiche sulla questione meridionale.
Carlo Levi nacque a Torino cent’anni fa. Pittore legato all’avanguardia espressionista, nel ’35 il fascismo lo mandò al confino ad Agliano, la Gagliano del libro, dove, insieme al suo cane Barone, dipinse e praticò la professione che aveva ormai dimenticata, quella di medico. Doveva trascorrervi tre anni, ebbe la pena dimezzata. Tra i fondatori di Giustizia e Libertà, nascosto in una casa di Firenze durante la guerra, raccolse le memorie del soggiorno nel libro che sarebbe diventato il suo più celebre (altri riguardano viaggi a Mosca, Sicilia, Germania, Sardegna). Morì a Roma nel ’75, si fece seppellire ad Agliano.
Perché il titolo. "Noi non siamo cristiani - essi dicono, - Cristo si è fermato a Eboli. Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla più che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini ma bestie, bestie da soma".