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 1999  luglio 12 Lunedì calendario

Tredici neonati del Policlinico Umberto I sono stati colpiti da una misteriosa infezione intestinale, l’enterite necrotizzante

• Tredici neonati del Policlinico Umberto I sono stati colpiti da una misteriosa infezione intestinale, l’enterite necrotizzante. Come è possibile che in un luogo così delicato dell’ospedale si sia verificata l’infezione? Pasquale Avito, associato di ginecologia al Policlinico Umberto I: «Per descrivere meglio lo stato delle cose faccio un esempio. Capita spesso che durante il parto la testa del bambino, comprimendo il retto della donna, fuoriesca contemporaneamente alle feci della stessa. cosa normale per un ginecologo o per un’ostetrica trovarsi in una situazione del genere. Diciamo che se poi l’accuratezza delle pulizie e della disinfezione non è all’altezza, per mancanza di personale, allora c’è già un possibile guaio all’orizzonte».
• Dalla ”Repubblica” del 4 luglio 1998: «Sigilli al Policlinico Umberto I perché è sporco, cadente e, in caso di incendio, si rischia la tragedia». Il pm Amendola mise sotto sequestro la sala parto perché priva di tutti i requisiti oggettivi previsti dalla legge 126. Tre mesi prima 8 anziani erano stati operati di cataratta senile nella clinica oculistica di oftalmologia: due giorni dopo quattro di loro erano stati colpiti da un’infezione che provoca la perdita della vista, in due casi era stata necessaria l’asportazione del globo oculare. La direzione sanitaria aveva infine riconosciuto la drammaticità della situazione e chiesto 180 miliardi per cambiare la situazione.
• Il professor Fernando Aiuti intervistato da Maria Novella De Luca sulla ”Repubblica” dell’11 aprile 1998: «Questo Policlinico sta morendo, nessuno è più in grado di gestirlo [...] Anch’io faccio parte dell’Umberto I, anche nella mia clinica ci sono gli stessi disservizi che nel resto dell’ospedale, però che cosa dobbiamo fare, arrenderci? [...]». Professor Aiuti, è vero che ci sono i sacchi dell’immondizia e gli escrementi di animali nei corridoi? «Sì, è vero. Non in tutti i reparti, però ci sono delle zone abbandonate al degrado, dove si trovano mucchi di cicche di sigaretta, guanti buttati per terra [...]». Che cosa sta succedendo professore? «Sta succedendo che i virus sono diventati resistenti agli antibiotici. Ed è un problema grave. noto che, secondo le statistiche, il 30 per cento dei pazienti ricoverati può essere colpito dai germi presenti all’interno dell’ospedale. Quello che oggi accade è che si tratta di ceppi molto più resistenti. chiaro che a questo si sommano cause più banali come la sporcizia nei bagni, o, appunto, i mucchi di immondizia, i gatti che circolano».
• Pasquale Avitto: «Da quando non ci sono più le suore il degrado è evidente. Nei corridoi si ammucchia la polvere; sulle rampe di scale non ne parliamo; stesso discorso per i condizionatori. Manca proprio la sensazione di pulito».
• «Al Policlinico Umberto I di Roma si può realizzare probabilmente qualunque terapia completa ad alto livello e però, per ottenerla, bisogna essere accompagnati da un sorta di ”grande esploratore” il quale conosca, anche fisicamente, tutta la mappa dei meandri. L’unica rete di comunicazione interna fra tanti padiglioni, fra tanti doppioni, (spesso) di servizi, è paradossalmente rappresentata dai sotterranei, in più punti fatiscenti, umidi, in qualche caso infetti».
• Antonio Galdo su ”Panorama”: «Il day hospital oncologico, quello per la cura dei tumori, è una stanzetta umida e se ti scappa la pipì, in attesa della chemioterapia, puoi solo chiedere un pitale e pregare i vicini di panca di girarsi un minuto per non guardare». Le spese farmaceutiche iscritte in bilancio sono pari a 118 miliardi ma l’Aulin, l’antidolorifico più diffuso, bisogna portarselo da casa.
• All’interno del Policlinico Umberto I ci sono 300 centri di responsabilità (cliniche, reparti, dipartimenti, istituti, divisioni, servizi, laboratori). I medici sono 1.700, gli infermieri 2.000 per 2.277 posti letto (14.1 per reparto), i laboratori diagnostici 80 (lavorano quasi tutti solo nei giorni feriali, chiudono alle 14), le sale operatorie: 62 dislocate in 22 edifici diversi (sono utilizzate mediamente 6 ore al giorno, lo sfruttamento ottimale si ha intorno alle 15 ore). I centralini telefonici hanno tutti più di 10 anni: per parlare con un reparto che sta al piano di sopra bisogna fare una chiamata urbana.
• Lionello Cosentino, assessore regionale alla sanità del Lazio: «Il policlinico ha 500 primari, dico 500, per 1.850 letti effettivamente usati e 65 sale operatorie».
• Anche gli infermieri sono, sulla carta, un esercito. «Per anni sono stati assunti con il criterio delle infornate, a colpi di sanatorie, spesso senza la relativa formazione professionale. Per loro, come per il personale tecnico, esiste la regola dell’inamovibilità: a ciascuno il suo reparto, secondo la filosofia dei feudi. Con un velenoso contenzioso interno, dovuto a un paradossale doppio regime: gli infermieri assunti con un contratto universitario hanno uno stipendio in più (la quattordicesima) rispetto a quelli inquadrati con i parametri ospedalieri».
• «Se è un’università a gestire un policlinico è inevitabile che a prevalere siano le logiche autoreferenziali del microcosmo accademico: per ogni primario un’équipe, una sala operatoria, una corsia [...] Oggi è impossibile stabilire chi gestisce il Policlinico. Ci vuole netta separazione tra funzioni didattiche, di ricerca, di gestione» (Lionello Cosentino).
• Chi comanda al Policlinico? «Il direttore Fatarella? Assolutamente no, visto che, tanto per fare un esempio, i dipendenti che ci lavorano non dipendono da lui, ma dall’Università o dall’Asl. Forse il preside della Facoltà di Medicina? Nemmeno lui, pare. E chi, allora? Per i problemi più urgenti e drammatici è ormai abitudine rivolgersi alla magistratura, chiamata anche in questo caso ad un’abnorme funzione di supplenza».
• Pieni poteri o è meglio chiudere. Teresa Petrangolini, segretaria nazionale del Tribunale per i diritti del malato. «Al Policlinico o si danno pieni poteri a una persona e al suo staff per fare tutti gli interventi necessari al funzionamento dell’ospedale, o è meglio chiudere. Così è impraticabile. E impedisce a noi cittadini di prendercela con il direttore sanitario. Poiché lui continua a dire: non posso assumere personale, non posso comprare macchinari, non posso programmare i servizi... dobbiamo identificare qualcuno che possa fare tutto ciò e se ne assuma la responsabilità». [...] Ma chi deve individuare questo responsabile? «Il rettore. L’università deve accettare di mettersi da parte per quel che riguarda l’assistenza. Si deve occupare solo di ricerca e didattica».
• Rosi Bindi. «Se l’Università vuole continuare a collaborare con la Sanità deve accettare l’aziendalizzazione del Policlinico, la valutazione dell’operato dei primari, deve saper rispondere alla domanda di ricerca sperimentale che il sistema sanitario gli chiede e paga, contenuta nella programmazione. La Sapienza non deve imporre la moltiplicazione dei primari e dei professori associati senza che si possano valutare le reali necessità. Questa zona franca deve finire».
• Riccardo Fatarella, grossetano, 49 anni, direttore del Policlinico Umberto I, contratto di cinque anni con stipendio di 300 milioni l’anno: «Il Policlinico è una struttura collassata che rischia di implodere. Adesso lo scontro è diventato inevitabile, è necessario per chiarire chi governa l’ospedale. Non è più possibile che ogni primario decida cosa fare della propria struttura, considerandola come una cosa personale. Se si continuerà a non voler sciogliere questo nodo la gente non verrà più all’Umberto I. Già nei primi mesi di quest’anno abbiamo registrato una diminuzione del 10 per cento dei ricoveri».
• Monica Bettoni, sottosegretario alla Sanità: «Nei Policlinici esiste una forma di mezzadria tra Servizio Sanitario nazionale e Università che invece di mediare le migliori soluzioni gestionali e assistenziali dell’una e dell’altra impostazione culturale, consente di lasciare sempre vive logiche e metodi classici della vecchia nomenclatura universitaria. La quale tradizionalmente non si occupa dell’organizzazione del lavoro, delle nuove pratiche assistenziali, della crescita culturale e professionale di tutto il personale sanitario. Non adotta criteri manageriali, ma tutela logiche di potere che salvaguardano solo il proprio ambito: guai a toccare loro una sala operatoria o un reparto; guai a prevedere la razionalizzazione della struttura, magari riducendo i posti letto; guai a immaginare di sminuire il suo potere prevedendo percorsi diversi di carriera e professionalità che possano mettere in forse qualche leadership».
• «Tra i settemila dipendenti del Policlinico ci sono star di prima grandezza della medicina italiana, professionisti che sono il vanto della nostra scienza, ma ci sono anche veri e propri lavativi, persone che - medici o paramedici che siano- ritengono inutile svuotare i cestini, o troppo faticoso vigilare che in un nido dove ci sono neonati di poche ore, non entrino frotte di parenti, per niente sterili».
• Giorgio Tecce, ex rettore dell’università La Sapienza di Roma: «Si gettano tutte le colpe sui professori perché la libertà di pensiero dà fastidio. Ci si deve invece chiedere che cosa hanno fatto questi governanti per l’università italiana, perché l’hanno trasformata nel fanalino di coda dell’Europa [...] vedo in tutto questo un disegno di esponenti Ds che vogliono esercitare un controllo sull’istituzione universitaria».
• Vincenzo Stipa, ordinario di chirurgia al policlinico Umberto I: «I baroni non esistono più. Così erano chiamati i vecchi professori che gestivano reparti giganteschi, fino a 300 letti, e distribuivano libera docenza e primariati ospedalieri. Loro avevano il potere. Noi non ne abbiamo. Mi dica lei se è potere dover firmare la presenza, parcheggiare la macchina fuori dell’ospedale e non avere la facoltà di spostare un infermiere». E allora cosa siete? «Dei capiservizio di struttura».
• Ermelando Vinicio Cosmi, direttore di ostetricia e ginecologia al Policlinico Umberto I: «Purtroppo i baroni di una volta non esistono più. Qui a ostetricia ora comandano in tanti, troppi: due direttori, cinque cattedratici, un’inflazione di primari, una caterva di associati. Tutti mettono bocca, todos caballeros, i sindacati, i partiti, è finita la gerarchia, e così sfugge il controllo. Siamo baroni senza potere. In ospedale non ci fanno più entrare nemmeno in macchina». L’amministratore straordinario, Fatarella, ha annunciato di voler commissariare il suo regno. «Vogliono commissariare il nostro reparto? Ah beh, facciano pure. Non vorrei, però, che qualcuno poi qui remasse contro il commissario, che si verificassero casi ancora peggiori di boicottaggio. Sapete, no, come sono fatti i latini? Se qualcuno gli impone qualcosa loro fanno il contrario. Gli dicono di non fumare? Lasciano un mucchio di cicche per terra».  una minaccia? «No, non è una minaccia. Però c’è qualcosa che non mi torna. Nel giro di un anno le infezioni a Oculistica, le amniocentesi contaminate e ora l’enterite necrotizzante: e sempre in reparti supersterilizzati».
• «Forse non v’è mai capitato, al ristorante, di imbattervi in un cameriere che ha appena fatto le sue cose e torna in sala senza essersi lavato le mani? Allo stesso modo se qualcuno del nostro personale pazzescamente non ha osservato le più elementari regole d’igiene, è impossibile controllarlo». Sì, d’accordo. Ma voi fate i medici, mica i camerieri. «Questo è vero. Però io credo che il personale al momento è insufficiente e poi vada anche responsabilizzato. Come? Gratificandolo. Non è possibile che un infermiere, che sta in piedi tutta la notte, prenda un milione e trecentomila lire al mese: cioè meno di una filippina. E non è giusto che un cosidetto barone, in servizio giorno e notte, guadagni solo 4-5 milioni al mese» (Vinicio Cosmi, direttore di ostetricia e ginecologia al Policlinico Umberto I).