Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Brevissime teorie
• Porto, puttane e interviste. Il padre del giornalismo culturale è l’inglese James Boswell (1740-1795). Amico del critico Samuel Jhonson, frequenta il suo circolo intellettuale e, alla sua morte, ne trasfonde la vita e le idee in una biografia. Intervista anche Russeau, Voltaire (che sconfigge a scacchi) e Hume. La sua imparzialità nel trattare grandi personaggi e la sua curiosità di conoscerli e catalogarli nei suoi minuziosissimi appunti, ovvero tutto quanto ne fa il primo giornalista culturale, gli valgono presso i contemporanei la reputazione di ”stupido” o quantomeno ”strambo”. Suo stile di vita: beve quantità smodate di Porto, esce in strada per procurarsi la compagnia di prostitute, quando non può far sesso a causa di qualche malattia venerea siede al bar conversando con Jhonson e altri personaggi dell’epoca e ne scrive.
• Montaigne e gli incidenti stradali. «Già a suo tempo ebbe a dire Montaigne: ”Non moriamo perché siamo malati ma perché siamo vivi”. Del resto, si vorrebbe dire a quelle persone previdenti che si ostinano a volere sradicare gli scontri automobilistici che è la vita che causa gli incidenti, non l’imprudenza. Forse la maggior parte delle malattie che affliggono voi e me può essere curata, indubbiamente ogni incidente concreto si sarebbe potuto evitare, ma non si possono evitare né la malattia né l’incidente in sé stessi. Quindi, lottiamo pure per la nostra vita, ma con la consapevolezza che sono proprio la vita e la lotta che ingaggiamo per poterne godere quello che alla fine ci ammazza. Dunque siamo prudenti, ma senza esagerazione».
• Morte uno. L’unica possibile sconfitta della morte non consiste nel credere in qualche aldilà ma nell’aldiquà: io sono vivo, e nascendo sono emerso dal nulla, dal non essere, ho sconfitto già la morte, anche se poi a questo nulla, a questo non essere, tornerò.
• Morte due. Il vero morire è sempre e solo il proprio, mai quello degli altri, anche se sono persone care. Tutt’al più la loro morte è una preparazione alla nostra, una specie d’iniziazione.
• Ateismo. Il vero ateo non è colui che crede che dopo la morte non c’è nulla. Il vero ateo è colui che accetta questa realtà, questo nulla ultraterreno. Perché chi non l’accetta prima o poi cadrà in qualche forma di religione.
• Superstizione e carità. Il nucleo intellettuale del cristianesimo è l’esigenza di ridurre la violenza e aumentare l’amore, la carità (ama il prossimo tuo, porgi l’altra guancia eccetera). Quello che non si spiega è come sia possibile che un proposito tanto ragionevole e logico sia stato ammantato di superstizione, che tanto buonsenso abbia cioè assunto le forme di una religione.
• Dio, l’ostetricia e la fede. Wojtyla non può essere credibile se propaganda un Dio tanto attento a una cosa come l’ostetricia (no ai rapporti sessuali protetti eccetera). Perciò non lo è neanche quando promette vita eterna a chi crede.
• Lady D. Sono stati i paparazzi invadenti a rendere Lady D. famosa agli occhi di quegli stessi buzzurri che oggi accusano i paparazzi di avere causato la sua morte.
• Il primo besteller. Il primo scrittore che in Europa vendette più di un milione di copie fu Emilio Salgari. Il suo più degno erede è Michael Crichton. Ma Crichton si sa amministrare molto bene mentre Salgari si fece turlupinare dagli editori e finì suicida per le disgrazie familiari e il dissesto economico.
• Fantasmi e letteratura. I racconti di fantasmi sono i fantasmi della letteratura: sembrano scomparsi, defunti, invece ritornano sempre.
• Porte. La compagna del filosofo franco-rumeno mile Cioran morì poco dopo di lui, affogata in mare, tre anni fa. Si chiamava Simone Boué. I due abitavano in un minuscolo appartamento di rue de l’Odéon, a Parigi. ”Si abbassi, attenzione alla testa, la porta è molto bassa” diceva Cioran a ogni ospite.
• Schiavitù e menzogna. «Siamo e saremo sempre schiavi della menzogna finché non saremo guariti dalla mania di sperare» (mile Cioran).
• Prendersi sul serio. «Il brutto di chi si prende sul serio è che poi non ha più né voglia né tempo di prendere sul serio anche gli altri».
• Educazione ed epitaffi. «Scusate se non mi alzo» (epitaffio sulla tomba di Groucho Marx).
• Inviti. Il filosofo francese Michel Focault riceveva inviti da tutto il mondo e la sua agenda era fittissima, ragion per cui era costretto, suo malgrado, a dire molte volte di no. Quando però seppe che stava per morire disse di sì a tutti. Avrebbe così accontentato tutti e poi avuto anche la scusa per non esserci.
• Male e micologia. «Il saggio Spinoza argomentò che il Male e il Bene in termini assoluti non esistono, ma che ci sono male e bene secondo ciascuno di noi. Che cos’è il male, allora? Ciò che ci fa male. I funghi velenosi, per esempio, non sono cattivi in se stessi ma li chiamiamo così perché possono provocare disturbi e persino la morte a chi li mangia. Per chi invece non pretende di mangiarseli, sono funghi buoni come tutti gli altri».
• Il Male e l’amore. «Sì, ti ho amato. Ti ho amato come ho amato la guerra, come ho amato il vino, come ho amato tutto ciò che mi ha fatto male» (confessione del moschettiere Athos alla moglie mentre sul collo di lei sta per scendere la lama del boia).
• King Kong 1. Perché King Kong si innamora della bionda esploratrice? Perché è bionda e lui, sulla sua isola, ha tutte le donne che vuole (gli vengono offerte in sacrificio ogni mese), ma tutte brune. La sua pena (seguirla a New York in catene) è quindi una pena d’amore. Ma il viaggio per raggiungere l’amata è l’unico che nella vita vale la pena di fare. Anche la ribellione ai carcerieri e la fuga sull’Empire State Building sono in funzione di questa passione disperata e impossibile.
• King Kong 2. «Anch’io immagino King Kong felice mentre cade dall’Empire State Building, perché gli amori malvagi, quelli che uccidono, sono gli unici che ci fanno veramente vivere».
• Sisifo. Albert Camus immaginava Sisifo felice della sua pena.
• Brevissime teorie è una raccolta di brevi scritti intorno ad argomenti vari. Dalla morte di Lady D., agli incidenti stradali in generale, a Jurassic Park, a Wojtyla, ai funghi. Insomma più Groucho Marx che Karl Marx ma senza mai rinunciare al ragionamento filosofico, alla presa di posizione polemica, al coinvolgimento personale. Ogni testo assomiglia un po’ a quello che per Gramsci erano gli articoli di fondo: brevi cenni sull’universo. E con un certo gusto per l’ironia e la provocazione.
Fernando Savater, filosofo, è nato a San Sebastián nel 1947. La sua carriera inizia con la traduzione e lo studio di mile Cioran che allora, in Spagna, era pressoché sconosciuto tanto che qualcuno pensò che fosse Savater ad averlo inventato come una sorta di alter ego, di escamotage per diffondere le proprie idee. Erano quelli i tempi del franchismo e dell’"islacionismo", anche se il Caudillo e il suo regime volgevano alla fine. Emancipatosi dalla mania cioraniana, Savater prosegue la sua carriera accademica avendo sempre in uggia, come del resto il suo maestro, l’ambiente universitario, le sue spocchie e il suo élitarismo iniziatico. Si propone quindi di non prendersi troppo sul serio e di far uscire le sue idee dai circoli chiusi dei cattedratici. Collabora con vari giornali e ha scritto libri di successo, accessibili al grande pubblico (tra questi Etica per un figlio, Il giardino dei dubbi, Le domande della vita).