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 2002  febbraio 04 Lunedì calendario

Il World economic forum (Wef) di New York, iniziato giovedì, termina oggi: fondato nel 1971 come gruppo di riferimento per le imprese europee, si è allargato al mondo nel 1982, diventando l’istituzione internazionale cui fanno capo più di mille imprese

• Il World economic forum (Wef) di New York, iniziato giovedì, termina oggi: fondato nel 1971 come gruppo di riferimento per le imprese europee, si è allargato al mondo nel 1982, diventando l’istituzione internazionale cui fanno capo più di mille imprese. Dal 1987, quando prese l’attuale denominazione, rappresenta il più importante ritrovo annuale per potenti uomini di affari, capi di Stato, leader politici, giornalisti, esperti accademici in ogni campo, inclusi molti vincitori di premi Nobel. Fino all’anno scorso si è svolto a Davos, in Svizzera, dove potrebbe tornare nel 2003.
• Il World social forum (Wsf) di Porto Alegre, iniziato giovedì, termina domani: prima edizione l’anno scorso, è stato proposto come alternativa al Wef da una coalizione di organizzazioni della società civile brasiliana e dal Partito dei lavoratori che controlla sia Porto Alegre che lo stato del Rio Grande do Sul. Ha raccolto da subito un forte sostegno internazionale.
• Fondatore del Wef: Klaus Schwab, tedesco, professore d’Economia: «Mi batto contro la polarizzazione fra economia e società civile: l’economia deve essere al servizio della società. Vogliamo un mondo migliore e cerchiamo soluzioni concrete».
• Fondatore Wsf: Oded Grajew, brasiliano, imprenditore: «Mi aveva colpito l’immagine che i media avevano dato del Forum di Davos: l’economia veniva vista come la soluzione a tutti i problemi del mondo. La povertà, le epidemie, lo squilibrio nella distribuzione della ricchezza, la fame, l’analfabetismo, i conflitti, le dittature, il degrado ambientale, la mortalità infantile: tutto sembrava poter trovare soluzione in una riduzione delle restrizioni ai commerci e ai flussi finanziari».
• Temi del Wef 2002. ”Riduzione della povertà nel mondo”; ”Come condividere i valori e rispettare le differenze”, ”Lotta alla recessione”; ”L’economia di fronte alla sfida di un mondo reso ’fragile’ dagli attentati”; ”Sicurezza mondiale”; ”Governo globale”.
• Temi del Wsf 2002. ”Produzione di ricchezza e riproduzione sociale”; ”Accesso alla ricchezza e sviluppo sostenibile”; ”Società civile e arena pubblica”; ”Etica e potere politico nella nuova società”.
• Partecipanti al Wef 2002: Colin Powell, Gerard Schröder, Hamid Karzai, Rudolph Giuliani, George Soros, James Wolfensohn, Bill e Hillary Clinton, «il leggendario Mohammad Yunus, il banchiere del Bangladesh che ha inventato il concetto di ”microcredito” per sostenere l’economia degli ultimi della terra. [...] le voci dell’intellighenzia e persino dello spettacolo, come quella dell’attore Warren Beatty». [6] «L’uomo più ricco del mondo, Bill Gates, [...] i presidenti e gli amministratori delegati di colossi come la Coca Cola, la Boeing, la General Motors e la Ibm. [...] 200 accademici, il premio Nobel Joseph Stiglitz, cento rappresentanti di organizzazioni non governative e sindacali, 43 leader religiosi, 300 politici in rappresentanza di 106 paesi e 300 leader del mondo dell’informazione». E poi: «Bono, il cantante del gruppo irlandese degli U2 , che torna a invocare la cancellazione del debito dei Paesi poveri. Il sitarista indiano Ravi Shankar e il jazzista americano Branford Marsalis che offrono la loro musica per celebrare un mondo ”unito nella diversità culturale”». Schwab: «Il 40 per cento dei partecipanti sono businessmen, ma oltre il 30 per cento sono ”idealisti”».
• Partecipanti al Wsf 2002. I leader storici del movimento (Bové, Casarini, Cassen, Agnoletto), Noam Chomsky, Dario Fo, Rigoberta Menchu, Danièle Mitterand, partiti, sindacati, zapatisti, Amici della Terra, Black bloc, Attac, Sierra club, Greenpeace, Legambiente, centri sociali, Rifondazione, Bertinotti, Naomi Klein, Galeano, Saramago, Spike Lee, Martin Scorsese. [8] E poi: «Pescatori dall’India, agricoltori dall’Africa orientale, sindacalisti dalla Thailandia, popoli indigeni dall’America centrale».
• La delegazione italiana in Brasile, seconda o terza per numero. Walter Veltroni: «Questa gente, questi bambini scalzi in mezzo al dolore, sono per me energia pura».
• Mondi. «Quello che al lussuoso hotel Waldorf Astoria è visto come un pianeta che ha raggiunto il massimo livello di libertà economica e politica e di civiltà umana, all’Università Cattolica di Porto Alegre appare un mondo che sta ormai marciando all’indietro e dove i valori dominanti vengono tacciati con espressioni sostanzialmente negative: il neoliberalismo, il liberismo assoluto, la globalizzazione selvaggia» (Rocco Cotroneo).
• Mammon. «I tre grandi valori del credo di Davos-New York sono il dollaro, l’euro e lo yen. [...] Essi non conoscono il Bene e il Male, né il Giusto e l’Ingiusto, bensì conoscono solo delle quantità, dei numeri, delle cifre. Chi ha un miliardo - di dollari, euro o yen - vale di più di chi ne ha solo un milione, e molto di più di chi ne ha mille. [...] Presi insieme, questi tre valori costituiscono una delle divinità della religione economica liberista: la moneta o, come si diceva in aramaico, Mammon. Le altre due divinità sono il mercato e il capitale. [...] Il Forum sociale mondiale [...] incarna [...] l’aspirazione a un altro tipo di civiltà, fondata su valori diversi dal denaro o dal capitale. [...] Quali sono i valori che ispirano questo progetto alternativo? [...] Libertà, uguaglianza e fraternità» (Frei Betto, teologo della liberazione, e Michel Löwi, direttore di ricerca al Cnrs).
• Fatturato del Wef. «Tredici o 19,4 milioni di dollari a seconda di come li conti. Costo per proteggere i citati pezzi grossi dai manifestanti [...]: più di 11 milioni. Valore della copertura televisiva internazionale del forum: senza prezzo» (dal ”New York Times”).
• Costo del Wsf: circa 2,8 milioni di euro. Tarso Genro, sindaco di Porto Alegre: «Circa 8,13 milioni di euro torneranno al comune grazie agli introiti supplementari con le tasse sui consumi e oltre 14 milioni saranno fatturati da commercio e settore alberghiero». Molte televisioni avevano prenotato i diritti per trasmettere lo show. Oded Grajew: «Niente spettacolo, siamo qui per lavorare e dimostrare che un altro mondo è possibile».
• Davos. Gli abitanti della cittadina sulleAlpi svizzere, fino all’anno scorso sede del Wef, incerti se sia un bene o un male, per loro, il trasloco a New York. Rainer Egoff, manager dello Steigenberger Belvedere, albergo a cinque stelle: «Prima era davvero piacevole, si vedevano persone importanti camminare tranquillamente in strada, ma ora tutti la prendono troppo sul serio, e non escono neanche per fare shopping». Offerta del governo svizzero a Schwab perché riporti il Wef a Davos: copertura dell’80 per cento (almeno fino al 2005) delle spese per la protezione dei leader stranieri.
• Gerusalemme. La prossima edizione del Wsf si farà ancora a Porto Alegre. Per il 2004, l’India, che si era dichiarata disponibile, ha dato forfait: troppo grande, troppo difficile, se ne farà prima uno asiatico a Katmandu. Idea della delegazione italiana: organizzare nei prossimi mesi una sessione straordinaria del Forum a Gerusalemme.
• Piccolo ”Libretto rosso” dei no global: Un altro mondo in costruzione: Le idee del movimento globale (Baldini & Castoldi). «C’è tutto e il contrario di tutto [...]: la cultura d’avanguardia (Internet come modello di organizzazione, strumento di controinformazione e arma di lotta: vedi i net-strike, ovvero i picchetti informatici, che bloccano l’accesso ai siti delle multinazionali) e il pacifismo più ambiguo (’sia Bush che Bin Laden fanno parte dell’Impero”, scrive Luca Casarini che in più esalta come forma di ”disobbedienza civile” abbattere i Mc Donald’s) [...] ”Siamo farfalle che non accettano di essere costrette a un solo colore”, scrive il romanziere ecologista Gianfranco Bettin, ”e consapevoli che se si mettono a sbattere le ali sono in grado di provocare tempeste”» (Mario Ajello)
• Grande ”Libretto rosso” dei no global: Impero, scritto da Michael Hardt e dal filosofo padovano Toni Negri (condannato per insurrezione armata, attualmente agli arresti domiciliari), che dice: «Essere antiamericani è totalmente idiota. Bisogna superare la falsa visione che fa del governo americano il solo nemico. Il governo americano è il più importante fra i poteri da contestare, ma non è il solo. Non esisterebbe se le classi dirigenti del capitalismo mondiale non gli accordassero il loro completo sostegno. La battaglia più importante, per il movimento antiliberale, è riuscire a mobilitare i lavoratori americani [...] La globalizzazione non è stata provocata dalla volontà tracotante del potere americano. Inoltre, il vero antiamericanismo è quello dei fautori della sovranità nazionale. L’Impero, la globalizzazione, deriva dal fatto che gli Stati-nazione non possono più controllare all’interno dei loro confini i movimenti del capitale e i contrasti. [...] Ci si ritrova nella paradossale situazione in cui il presidente degli Stati Uniti è eletto con finanziamenti stranieri: i capitali dei petrolieri sauditi».
• Ultimo testo di riferimento dei global: Globalization, Growth and Poverty (Globalizzazione, crescita e povertà), saggio di David Dollar e Aart Kraay pubblicato su ”Foreign Affairs” e presto dalla Oxford University Press (disponibile nel sito della World Bank). Tesi: «L’attuale ondata di globalizzazione, iniziata attorno al 1980, ha decisamente promosso l’eguaglianza economica e ridotto la povertà». Tre le fasi analizzate, l’ultima, cominciata attorno al 1980 e tuttora in corso, «ha coinvolto pesantemente almeno 24 paesi in via di sviluppo, per un totale di circa tre miliardi di persone. Se dividiamo gli attuali abitanti del pianeta in [...] paesi ricchi (un miliardo), paesi in via di sviluppo neo-globalizzati (tre miliardi) e paesi in via di sviluppo rimasti ai margini dell’integrazione globale (un miliardo), emergono alcuni dati interessanti. Negli Anni 90 i ricchi hanno goduto di una crescita del 2 per cento, il secondo gruppo del 5 per cento e l’ultimo dell’uno per cento. I ricchi non hanno aumentato la loro ricchezza relativa, gli emarginati si sono impoveriti e i neo-globalizzati hanno migliorato tantissimo. [...] In questa fascia della popolazione mondiale i poveri sono stati ridotti di 120 milioni in soli dieci anni. [...] Negli ultimi 20 anni circa, la percentuale di poveri nel mondo si è ridotta dal 30 per cento al 20 per cento».
• Un povero ogni cinque abitanti della Terra «costituisce ancora una realtà inaccettabile. Ma è molto meglio di 20 anni fa, considerato anche che, nel frattempo, la popolazione mondiale è aumentata del 50 per cento. [...] L’ineguaglianza nel mondo ha continuato a crescere costantemente per 200 anni fino al 1975 circa, quando ha toccato il suo picco per poi cominciare a ridursi. In questo gigantesco processo [...] anche le ineguaglianze all’interno delle nazioni, contrariamente a quello che molti pensano, si sono ridotte invece che aumentare» (Paolo Passarini).
• Definizione di povero utilizzata per lo studio di Dollar e Kraay: chi vive con un dollaro o meno al giorno.
• Vincenti e perdenti. «I paesi neoglobalizzati, che una volta svendevano al mondo dei ricchi le loro materie prime, oggi esportano manufatti e cioè concorrono con loro sul loro stesso terreno. [...] I più grossi ostacoli a un estendersi della globalizzazione vengono dai paesi ricchi, con le loro politiche protezionistiche su beni la cui esportazione renderebbe più ricchi i paesi in via di sviluppo. E forse è proprio per questo fatto, assieme al vorticoso ciclo di nascita-morte di nuove imprese e nuovi lavori che l’economia globalizzata impone, che i movimenti no global hanno preso piede soprattutto nei paesi ricchi. Il processo di globalizzazione infatti, pur nella crescita generale, produce vincenti ma anche perdenti, nei paesi ricchi e, molto di più, tra quei due miliardi di persone rimaste ai margini del processo di integrazione. Questo, quindi, diventa il vero problema della globalizzazione attuale: come recuperare quei due miliardi di non-globalizzati, che rischiano di arretrare nel buio fino a diventare irraggiungibili» (Paolo Passarini).