Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Il Principe
• L’ordine delle cose. «Tutte le scelte sono sempre insicure perché l’ordine delle cose è fatto in modo tale che non si può mai cercare di evitare un inconveniente senza incontrarne un altro».
• Natura umana. Sarebbe meglio che un principe fosse amato e temuto al tempo stesso. Siccome ciò non è possibile, meglio che sia temuto perché amore, lealtà, eccetera sono virtù poco praticate e mutevoli, data la natura umana.
• Tasse 1. E’ meglio che un principe non sia troppo munifico coi sudditi perché altrimenti le finanze dello stato vanno in rosso e lui, costretto ad aumentare le tasse, sarà odiato da tutti.
• Tasse 2. «Un principe deve anche dimostrarsi amante delle virtù, ospitando e onorando gli uomini virtuosi e gli artisti eccellenti. Deve inoltre fare in modo che i cittadini possano tranquillamente esercitare le loro attività nei commerci, in agricoltura e in ogni altro campo, così che nessuno debba temere di migliorare le sue proprietà per timore gli siano tolte o di iniziare un’attività per paura delle tasse».
• Politica estera. «Un principe, per colpire altri, non deve mai allearsi con qualcuno che sia più potente di lui, a meno che la necessità non ve lo costringa. In caso di vittoria, infatti, rimane prigioniero dell’alleato».
• Consiglieri. Non c’è buon consiglio che valga se il principe non è saggio perché, per esempio, avendo intorno a sé vari consiglieri non saprà a chi dare ascolto.
• Preveggenza. «Il principe che non individua il male fin da subito non è veramente saggio. Ma questa virtù è concessa a pochi.»
• Tisi. «Avviene quel che i medici dicono della tisi, che all’inizio è facile da curare ma difficile da diagnosticare, e che col passare del tempo, non essendo stata all’inizio né diagnosticata né curata, diventa facile da diagnosticare e difficile da curare. Lo stesso accade negli affari di Stato. Se, come solo ai saggi è concesso, conosci in anticipo i mali di uno Stato, li guarisci presto; ma quando, per non averli conosciuti, li hai fatti crescere fino al punto che ognuno li conosca, non c’è più rimedio.ª
• Fortuna. «Ritengo possa essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, e che lasci a noi il governo dell’altra metà o quasi. E paragono la fortuna a uno di quei fiumi impetuosi che, quando s’infuriano, allagano le pianure, abbattono gli alberi e gli edifici, trascinano masse di terra da una parte all’altra. Ogni essere vivente fugge davanti a essi e cede all’impeto loro, senza potere in alcun modo opporsi. Il fatto che i fiumi siano fatti così non impedisce tuttavia agli uomini, nei periodi calmi, di apprestare ripari e argini in modo che, quando i fiumi poi crescono, possano essere incanalati e il loro impeto possa non risultare così sfrenato e dannoso» (da Il principe, nella traduzione in italiano attuale di Piero Melograni).
• Impeto e cautela. «Ritengo bene questo: che sia meglio essere impetuosi piuttosto che cauti, perché la fortuna è donna ed è necessario, volendola sottomettere, percuoterla e contrastarla. Essa si lascia dominare dagli impetuosi, piuttosto che da coloro che si comportano con freddezza. Ecco perché, come donna, essa è amica dei giovani, che sono meno cauti, più impavidi e più audaci nel comandarla».
• Ministri. Per riconoscere il valore di un ministro c’è un modo infallibile. Se pensa più a sé che al principe e in ogni azione cerca la propria utilità non sarà mai un buon ministro.
• Simulare. «Un principe, dunque, non deve realmente possedere tutte le qualità, ma deve far credere di averle. Oserò anzi dire che, se le ha e le usa sempre gli sono dannose. Se fa credere di averle gli sono utili. Nel senso che egli deve mostrarsi degno di fede, umano, onesto, religioso, e anche esserlo realmente; ma se poi gli è necessario non esserlo, il suo animo deve essere sempre pronto a potere e a sapere mutarsi nell’esatto contrario. Bisogna infatti capire che un principe, soprattutto un principe nuovo, non può rispettare tutte quelle norme in base alle quali gli uomini sono considerati buoni, perché egli è spesso obbligato, per mantenere il potere, a operare contro la lealtà, contro la carità, contro l’umanità, contro la religione.ª
• Roba e donne. «Il principe diventa odioso soprattutto se rapina e si appropria della roba e delle donne dei sudditi.»
• Popolo e nobili. «Gli Stati ben organizzati e i principi saggi sono stati molto attenti sia a non inasprire i nobili, sia a tener contento e soddisfatto il popolo.»
• Il fine giustifica i mezzi. «Nel giudicare le azioni degli uomini e soprattutto dei prìncipi – che non possono essere chiamati in giudizio – non si guarda ai mezzi ma al fine. Il principe faccia quel che occorre per vincere e conservare il potere. I mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e lodati da ognuno perché il volgo guarda sempre alle apparenze e al risultato. E nel mondo il volgo è da per tutto. Le minoranze non contano, quando le maggioranze hanno dove appoggiarsi.ª
• Parola data 1. «Un signore prudente non può né deve rispettare la parola data se tale rispetto lo danneggia e se sono venute meno le ragioni che lo indussero a promettere. Se gli uomini fossero tutti buoni, questa regola non sarebbe buona. Ma poiché gli uomini sono cattivi e non manterrebbero nei tuoi confronti la parola data, neppure tu devi mantenerla con loro.ª
• Parola data 2. «Papa Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro, che a ingannare gli uomini, e sempre trovò materia per poterlo fare. Non ci fu mai uomo che promettesse con così grande efficacia, che giurasse con altrettanto fervore e che poi mancasse di parola quanto lui.ª
• Violenze e opere buone. «Le violenze debbono essere compiute tutte insieme, anche perché, essendoci minor tempo per assaporarle, recano minor danno. Le opere buone, viceversa, debbono essere fatte poco alla volta, perché siano meglio assaporate.»
• Crudeltà. «Bene usate si possono chiamare quelle crudeltà (se del male è lecito dire bene) che si fanno in una sola volta, per la necessità di porsi in salvo, e poi non vi si insiste più, poiché si cerca invece di assicurare ai propri sudditi il maggior vantaggio possibile. Male usate sono quelle crudeltà le quali, benché all’inizio sono poche, crescono col passare del tempo anziché cessare.ª
• Realismo. «Essendo mio scopo quello di scrivere qualcosa di utile per chi vuol capire, mi è parso più conveniente inseguire la verità concreta, piuttosto che le fantasie.»
• Il Principe è probabilmente il saggio italiano più tradotto e conosciuto all’estero. Goffredo Parise sosteneva che da noi lo si legge meno perché è scritto in un italiano arcaico e difficilmente comprensibile. Di qui l’idea di tradurlo in italiano moderno (realizzata, dopo la morte di Parise, da Piero Melograni). Il Principe ha sempre fatto discutere per il modo aperto e spregiudicato in cui tratta delle cose pubbliche (il fine giustifica i mezzi eccetera). In realtà è un manuale di tecnica del potere, e non di filosofia politica. Rousseau credeva che, parlando dei prìncipi, della loro condotta e dando loro dei consigli, Machiavelli volesse metterne a nudo di fronte al popolo i vizi e le efferatezze.
Niccolò Machiavelli nasce il 3 maggio 1469 a Firenze da un avvocato e da una poetessa dilettante. Educato in un ambiente colto e agiato, dopo gli studi storici e giuridici viene eletto segretario della Repubblica fiorentina (a 29 anni) e segretario di un organo che ha il compito di sovraintendere ai rapporti con gli altri Stati. Nel 1501 sposa Marietta Corsini, che gli dà sei figli. Poco attaccato alla famiglia, ha una lunga relazione con la cantante Barbara Salutati. Conosce Cesare Borgia, spietato e ambizioso condottiero che, con l’appoggio del padre, Papa Alessandro VI, vuole crearsi un grande Stato. E’ lui il modello per Il Principe. Nel 1512 cade la Repubblica fiorentina e al ritorno dei Medici Machiavelli viene epurato dall’amministrazione statale. Nel 1513 è imprigionato e torturato perché sospettato di avere partecipato a una congiura antimedicea. Riconosciuto innocente e scarcerato, si ritira nella villa detta L’Albergaccio, dove scrive Il Principe. Non riesce a reinserirsi nella vita politica (a parte qualche missione per il Papato) e si dà alle lettere (la sua commedia La Mandragola ottiene uno strepitoso successo). Escluso da tutte le cariche pubbliche, muore a Firenze, in povertà, nel giugno 1527. Viene seppellito in Santa Croce.