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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Piccolo trattato di ciclosofia

• Posteriori. «Il posteriore dell’automobilista, incastrato tra lo schienale e il sedile, non può permettersi l’arroganza del sedere del ciclista, che spinge le sue natiche ai margini senza bordo del sellino».
• Simbiosi. «Il ciclista, ritto come una ”I” sulla sua bicicletta olandese, sfoggia un portamento da aristocratico britannico o da ufficiale dell’esercito delle Indie. La tranquilla maestosità del suo veicolo si trasmette a lui per osmosi. Da questo insieme strettamente correlato uomo-macchina si irradia un incontestabile senso di nobiltà. La correlazione vale anche per l’insieme autovettura-conducente. Con la differenza che l’automobilista non dà l’impressione di fare tutt’uno con la sua macchina, bensì di esserne prigioniero».
• Non-auto. «Parentesi: la bicicletta non è una non-auto. La pratica della bicicletta potrebbe essere concepita in sé, senza essere contrapposta all’automobile».
• Saloni. «I topi non sono mai andati al salone del gatto».
• Inventori. «Il ciclista urbano è per sua natura un inventore».
• Sofferenze. «Nessuna delle nostre piccole sofferenze quotidiane resiste a un buon colpo di pedale».
• Riscaldamento. «Dopo tre colpi di pedale, il ciclista possiede il proprio impianto di riscaldamento integrato».
• Camere d’aria. «Ho vivo il ricordo lontano di bacinelle d’acqua in cui facevo passare la camera d’aria gonfiata, affinché il piccolo buco si rivelasse, formando bollicine. Un espediente ancestrale, che mi stupisco sia ancora praticato nell’epoca delle fibre ottiche e del digitale».
• Segnaletica. «La necessità di rispettare la segnaletica è indiscutibile per chi guida l’automobile. Lo è molto meno in bicicletta».
• Righe. «Il proprietario di una bicicletta parcheggiata che ritrovi il suo bene rigato sul telaio non se ne accorgerà neppure».
• Vastità della visuale. «Quel che colpirà il neociclista, gentilmente strappato al sedie della sua automobile e issato su un sellino di bicicletta, è soprattutto la vastità della visuale».
• Falsopiano. «Credo proprio che per me Parigi fosse completamente piatta, come sulla piantina. Ora so che dirigermi verso la Porte des Lilas mi espone a qualche temibile salita, che pedalare dall’Arc de Triomphe alla place Clichy mi offrirà la dolce euforia di un’amichevole discesa fino a parc Monceau, ma che in seguito le Batignoles mi proporranno il loro falsopiano (piatto forte della tenacia)».
• «Ho pagato un pesante tributo alla causa della bicicletta a Parigi: me ne hanno rubate due (in francese, vélo è anche l’anagramma di volé, rubato)» (Didier Tronchet).
• Obisque e Tourmalet. «San Francisco: ecco una città che non è fatta per la bicicletta. Posso testimoniarlo. Da buon ciclista urbano pensavo che nessuna città sarebbe riuscita a farmi posare il piede a terra. Soprattutto con questa stupenda mountain bike a 148 velocità, prestatami da un amico americano. Invece ecco: a San Francisco hanno installato i valichi dei Pirenei del Tour de France in piena città. Andare a comperare il pane tre isolati più in là equivale a varcare l’Obisque e il Tourmalet».
• «La bicicletta è una linea retta con l’infanzia» (ancora Tronchet)
• Jacuzzi. «Praticare la cyclette, è come fare surf in una Jacuzzi».
• Ciclo e canzoni. «Ma noi insistiamo: tutti i francesi amano, più o meno, Georges Brassens e la bicicletta».
• Galline schiamazzanti. «Nei quartieri popolari sarei molto favorevole a un ritorno delle galline nella strada. Giusto per il piacere di un decollo di volatili schiamazzanti mentre passo in bicicletta».
• Proposte ciclabili. «Per esempio, si può tentare la pista verde della passeggiata alberata (detta ”colata verde”). Si tratta del viadotto dell’antica strada ferrata Bastiglia-Vincennes che è stata riciclata come passeggiata. Pedalare all’altezza del quarto piano dà una piacevole ebbrezza. In basso il flusso delle macchine e, all’altezza degli occhi, giovani donne dietro i vetri smerigliati dei loro bagni».
• Fiumi ed effluvi. «Ultima informazione avvilente: cadendo nella Senna, non è l’annegamento che si rischia, ma l’avvelenamento».
• Didier Tronchet è nato nel 1958 a Béthune, nella Francia del Nord, e dopo si è trasferito a Parigi, dove vive, muovendosi possibilmente in bici, e lavora, collaborando con articoli e vignette a vari giornali, tra cui Libération. Una serie di riflessioni nate sul sellino e dedicate non solo agli automobilisti ma anche a coloro che lasciano la bici in cantina preferendole mezzi pubblici, taxi, eccetera.