Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
L’importanza della partenza
• L’importanza della partenza. «Chi fa il nostro mestiere sa che nelle prime righe si mette tutto in gioco».
• Quando vale la candela. «Michelangelo, quando doveva attardarsi a scolpire di notte per non interrompere lo stato di grazia della creazione, si piantava una candela nel cappuccio».
• «Bisogna temere la retorica, pensando a Verdi o parlando di lui».
• Sul poeta dialettale romano Trilussa. «Aveva – ne ho ritrovata l’immagine in una rivista del gennaio del 1900 – baffi neri e folti, che solo molto più tardi moderò secondo la moda americana: baffi fine Ottocento dei quali si parla tanto nelle novelle di Maupassant, che davano un brivido silenzioso quando sfioravano, in un bacio, il collo di una bella dama. La statura sua era altissima: i giornali del primo Novecento, quando andava in giro per l’Italia a scrivere i suoi versi, parlavano delle sue gambe smisurate».
• Sul romanziere Federigo Tozzi. «Era nato figlio di un oste, in una straduccia pietrosa di Siena. Il padre lo chiamavano Ghigo del Sasso, dal nome dell’osteria. Era un gigante, con mani da stritolatore. Federigo, ragazzo, scappava in biblioteca a leggere le pagine dei mistici senesi e, al ritorno, sciacquava i piatti e serviva vino. Leggeva, dietro il banco, Cecco Angiolieri e Verlaine; pensava di studiare pittura e si imbrancava con gli innocenti anarchici chiacchieroni di un caffeuccio. Da queste voglie e da questi ardori, il padre cercava di distrarlo a bastonate».
• Fiori nel mattino. «Sino a pochi mesi or sono, una donnetta vestita modestamente si avvicinava al banco della fioraia milanese che tiene esposti i suoi mazzi di fiori all’angolo fra via Principe Amedeo e via Moscova. Comprava, a gusto suo, alcuni fiori. Era la cameriera di Tosi, che abitava, da assai più di mezzo secolo nel palazzo contrassegnato con il numero 5 di via Principe Amedeo, nella casa immediatamente vicina a quella che fu abitata da Arrigo Boito. Appena sveglio, il pittore voleva avere, subito dopo il caffelatte, qualcosa da dipingere».
• Poètes maudit. «Anche l’Italia ha avuto i suoi giovani poeti infelici, i suoi poètes maudits o addirittura folli e vagabondi come Campana: ragazzi che aspiravano a diventare attori come Palazzeschi e Moretti, giovani condannati dalla tisi come Gozzano: e anche giovani poeti suicidi».
• Sulla punzonatura (al Giro d’Italia). «Questa è l’introduzione alla fama».
• Ciclisti in croce. «Come si chiama questo colle? l’Izoard, il Golgota della bicicletta».
• Febbre e poesia. «L’era una maestrina... La pareva che la gaves sempre la febbre» (Carlo Praderio, tipografo milanese).
• A proposito di Gabriele D’Annunzio. «Il poeta è morto la sera del primo marzo del 1938, alle 19.55. Da un paio di giorni non si sentiva bene, ma non voleva riconoscerlo. Aveva settantacionque anni. L’uomo aveva goduto di una salute di ferro, piccolo, magro, muscoloso, alieno dal vino e dal fumo. Una sola volta aveva provato a fumare, ad Arcacho, e si era sentito male. Ai lquori dava nomi pittoreschi ma non li beveva».
• Fredde scene. «Io, guarda, ho sotto le calze di seta quattro paia di calze di lana: e in scena, quando canto Gastone, sotto i pantaloni del frac due paia di mutande lunghe, puro del lana. Recito a Milano, ma ho le gambe in Siberia. Quando il freddo salirà più su, buonanotte ai suonatori» (Ettore Petrolini).
• Infanzia islamica. «Cos’è una bambina araba? una creatura di Derna che non sa se deve fuggire o fermarsi, se deve sorridere o nascondersi».
• Inviati a morire. Il primo inviato italiano morto in servizio cadde ucciso mentre seguiva la battaglia di Adua.
• Cent’anni fa. «La stilografica era appena nata ed era una novità addirittura entusiasmante, tanto che certi giornalisti intitolavano Stilografica le loro rubriche».
• Sunset Bulevard. «L’ultimo anno prima della guerra, l’esatate del 1939, al Festival del Cinema di Venezia, Elena Vitiello, da Napoli, in arte Francesca Bertini tentò la sua rentrée. Affittò una camera all’Excelsior, ebbe sulla spieggia una cabina vicina a quella di Brigitte Helme, la statua germanica che aveva interpretato Metropolis. Alla sera saliva alle sale da gioco, si avvicinava ai tavoli della roulette, faceva piccole puntate sul rosso e nero. I registi, i produttori, i finanziatori, i giornalisti, i cineasti, gli attori e le attrici che nella storia del cinema italiano hanno nome in corpo 6, mentre lei, Elena Vitiello, ha per sé tutto un lungo capitolo, passavano senza guardarla, senza, in molti casi, nemmeno riconoscerla. Ma non basta. Ogni tanto Elena Vitiello, contessa Cartier, diceva bonariamente a qualcuno con cui aveva attaccato discorso al tavolo verde: ”Non mi avete riconosciuto? Sono Francesca Bertini”. Lo diceva a certi ragazzi di venti anni che non l’avevano mai sentita nominare».
• Primi in tutto. «Quando, a 18 anni, sono andato a Nizza a fare lo stuccatore, volevo essere un bravo decoratore, possibilmente il migliore. Se non avessi corso in bicicletta, credo ci sarei riuscito» (Alfredo Binda).
• Comprimari della boxe. «Hai nella valigetta il minimo indispensabile. I tuoi viaggi non occupano mai troppo tempo. Arrivi e riparti. Un pezzo di sapone, un pettine, la bottiglietta dell’ammoniaca da fiutare negli intervalli tra un assalto e l’altro. Alla spugna che servirà per spazzarti via la bava dai denti e dalle labbra, nel minuto di riposo, deve pesar l’impresa. Soltanto i grandi boxeurs portano sul ring la loro spugna. Tu ti servi di quella comune a tutti i matches di contorno».
• Appena partito il funerale (di Modigliani). «In vita, i giornali italiani tacquero sempre di lui: e il suo nome apparve nelle cronache solo dopo la sua morte, soprattutto, per la tragedia che l’aveva accompagnata, quando appena partito il funerale, la vedova del pittore si era uccisa gettandosi dalla finestra di un quinto piano».
• Navigli anni ’50. «L’acqua, andandosene via piano, trasportava lontano le macchie madreperlacee di sapone, là dove le lavandaie erano state chine con il loro mastello e la loro tavola».
• Orio Vergani nasce a Milano nel 1898. Debutta al supplemento letterario del Messaggero, poi sarà al Corriere fino alla morte. Il collega Beppe Novello ricorda che da giovane, con i suoi malinconici occhi a mandorla, faceva strage di donne. Montanelli ricorda invece che gli procurò un complesso d’inferiorità, quando era ancora giornalista alle prime armi intimidito dalle stanze nobili e austere di via Solferino e lo vide scrivere: veloce, senza esitazioni o cancellature, a penna, restringendo sempre più il margine fino a concludere, nell’ultima riga dell’articolo, con due o tre parole. Oltre alla leggendaria facilità di scrittura, si spostava non meno agilmente tra argomenti più svariati. Ma suoi temi preferiti furono forse il Giro d’Italia e i pittori. Aveva sempre in mano la sigaretta accesa. Una sera a cena al Bagutta, dove discuteva di libri con amici, tra questi Bacchelli, ebbe l’idea di fondare un premio letterario che prese il nome dal ristorante.
"Alfabeto del XX Secolo" è soprattutto una collezione di coccodrilli. Così, in gergo giornalistico, si chiamano gli articoli dedicati a chi muore. Anche perché grondano spesso lacrime false. Quelli di Vergani sono invece piuttosto asciutti e rappresentano, specie quando il soggetto è un personaggio oggi dimenticato, un vecchio, fantasmagorico album di ricordi in bianco e nero che spazia da Modigliani a Primo Carnera, dalla Dietrich a Galeazzo Ciano... Ritratti rapidi e d’autore.