Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

ìIl Gioco Lotto

• Una signora, rimasta senza soldi per la pigione, replicò al padrone di casa: «Ma ho giocato al Lotto!». «E quei denari no avrebbe potuto risparmiarli?». «Ma erano solo duemila lire!». In quei due «ma» c’è tutto il significato del gioco, reso possibile dal valore infimo della somma investita.
• Dopo la guerra, essendo in funzione la Sisal e costando la schedina 30 lire, si regalava ai giocatori una lametta da barba Bolzano del valore di 30 lire. L’iniziativa aveva l’effetto di incoraggiare fortemente al gioco, perché annullava totalmente il senso di colpa che si provava scommettendo. Calcoli attuali mostrano che il senso di colpa scatta mediamente dalla cinquemila lire in su. Dunque è conveniente mettere un oggetto superfluo, ma che costa poco, vicino alla cassa dei supermercati: l’acquisto potrà essere fatto d’impulso, senza che il senso di colpa intervenga a reprimerlo.
• La parola Sisal fu scelta perché di sole cinque lettere: «Gli studi sulla propaganda di guerra avevano dimostrato che le parole a cinque lettere, come Kodak o Lenin, erano più facili da pronunziare e da ricordare».
• Il Gratta e Vinci, a sole duemila lire, rende del tutto immuni dal senso di colpa. Ma, psicologicamente parlando c’è dell’altro: «Grattare è un gesto primitivo e biologico che soddisfa sublimandole zone antichissime del cervello. Con la monetina si gratta la fortuna come si grattava la terra alla ricerca di radici, insperate e preziose come una vincita; la semplicità primitiva di questo gesto richiama quote di utenze tradizionalmente finora estranee al gioco».
• «A Las Vegas indiscusso regno del gioco [...] non si consentono mai perdite proporzionate ed eccessivamente vistose. In questi casi i croupier intervengono sempre prima e paternamente per dissuadere dall’insistere nel gioco. L’intento è meramente di mercato ma è pieno di saggezza. Las Vegas non deve essere immagine di perdizione ma di divertimento».
• "Mannu Frigato ’o Cappello": giochino di parole venuto di moda subito dopo la guerra dal nome di tre vincitori della schedina, i signori Mannu, Frigato e Cappello. Il primo milionario in assoluto fu però Pietro Amelotti. Amelotti e gli altri che seguirono non avevano da temere il fisco e non si adoperarono per restare anonimi.
• stato calcolato che al ’78, nel suo trentennale, il Totocalcio aveva reso milionari 50 mila italiani nel giro delle sue mille settimane di fortuna e 500 di essi avevano vinto più di 200 milioni di lire».
• In Europa giocano maggiormente i paesi più poveri. La Grecia è in testa: ogni famiglia gioca quasi il 10 per cento del proprio reddito. Seguono Portogallo, Spagna, Italia, Francia dove ogni famiglia destina al gioco meno del tre per cento del reddito. Una famiglia media francese guadagna più del doppio di una famiglia media greca.
• «Nel quinquennio tra il 1910 e il 1914 c’è la guerra di Libia e si approssima la Grande Guerra. I napoletani non hanno motivi di speranza e l’incertezza del futuro accentua la precarietà del presente. La somma investita dalle famiglie in quegli anni è la più alta in assoluto di tutta l’età liberale: oltre 750 mila lire all’anno. Milano invece gioca meno di 140 mila lire all’anno (dati aggiornati al 1995)». [...] «Tra il 1963 e il 1965, anni del miracolo economico, la famiglia napoletana non ha bisogno di ricorrere al gioco come sostituto di speranza e rischia su di esso la somma più bassa mai investita nella sua storia postunitaria» [...] «Alcuni anni dopo, l’eco del colera del 1973 con i suoi 60 morti e l’austerity riproducono antiche paure e precarietà [...] La crisi del 1973 rivela l’inaffidabilità del reale e così riemerge l’antica chimera del bancolotto. In quegli anni il volume del gioco cresce del 50 per cento».
• «Il modello napoletano è simmetricamente speculare a quello di Milano e Roma. Queste due città negli anni del miracolo presentano volumi di gioco relativamente più alti proprio perché l’etica che ne governa i comportamenti può consentire una relativa dissipazione del superfluo. Il consumo di gioco invece si abbassa subito negli anni di crisi».
• «In Lombardia [...] si può osservare una maggiore frequenza delle vincite dovuta proprio a un uso più abile del gioco fondato sul calcolo delle probabilità. La Campania invece, dove è più diffuso il gioco cabalistico, presenta indici di vincite proporzionalmente più bassi».
• Nel 1995 gli italiani hanno giocato a Lotto, Totocalcio, Ippica, Totip e altre lotterie diciassettemila miliardi. Significa che ogni famiglia ha mediamente giocato un milione di lire. Da questa somma sono escluse le giocate effettuate al Casinò e il gioco clandestino.
• Progetto di legge preparato all’inizio del secolo da Luigi Nina. Prevedeva l’obbligo per chiunque giocasse al Lotto di depositare in banca una somma analoga, vincolata per un anno. Mai realizzato.
• Il Lotto è antichissimo. Esso era già un gioco nazionale prima ancora della nascita della nazione Italia. Le sue origini sono veramente lontane. Il matematico Benedetto Gentile nel 1576 ne disegna l’articolata struttura ma sembra che esso trovi la sua origine nel cosiddetto gioco del Seminario che nel XVI secolo era già diffuso presso la Repubblica Genovese. Questo gioco si era andato sviluppando con l’accentuarsi dell’instabilità politica delle oligarchie locali, una specie di totoministro dei nostri giorni.
• Poesia di Totò dedicata alla schedina ed intitolata ’A Speranza: Ogne semmana faccio ’na schedina: mm’ ’a levo ’a vocca chella ciento lire, e corro quanno è ’o sabbato a mmatina ’o Totocalcio pe mm’ ’a ji a ghiucà. Cuccato quanno è ’a notte, dinto ’o lietto, faccio castielle ’e n’aria a centenare; piglio ’a schedina ’a dinto ’a culunnetta, ’a voto, ’a giro, e mm’ ’a torn’ ’a stipà. Io campo bbuono tutta ’na semmana, sultanto ’o llunerì stongo abbacchiato, ma ’o sabbato cu ’a ciento lire mmano io torno n’ata vota a gghi’ a ghiucà. Nun piglio niente,’ossaccio... e che ’mporta? Io campo sulamente cu ’a speranza. Cu chi mm’aggia piglia si chesta è ’a sciorta, chisto è ’o destino mio... che nce aggia fa’? ’A quanno aggiu truvato stu sistema Io songo milionario tutto ll’anno. ’A ggente mme po’ ddi’: - Ma tu si scemo? Ma allora tu non ghiuoche pe’ piglià? - Si avesse già pigliato ’e meliune a st’ora ’e mo starrie già disperato. Invece io sto cu ’a capa dinto ’a luna, tengo sempre ’a speranza d’ ’e ppiglià.
• «Il Lotto è di casa a Napoli [...] Ogni cosa è un numero e un tipografo celeste stampa le vicende dell’uomo. Il sonno poi è confine tra l’essere e la morte e il sogno è linguaggio celeste. Chi fa un sogno in realtà lo riceve proprio come un’antenna in privilegio d’ascolto e non può comunicare ad altri i numeri per non dissiparne la forza [...] La smorfia, che nell’etimo rinvia al dio del sonno, governa l’interpretazione del reale. Essa è una specie di vulgata della cabala e ogni postiere ne possiede una copia. Ad essa si ricorre quando la tradizione orale non è in grado di riconoscere il numero nell’evento [...] La figura del cabalista si inserisce proprio in questo spazio di discussione aperto dalle divergenti interpretazioni numerologiche degli eventi. L’interpretazione allora è opinabile e la voce ricca di dottrina del cabalista dirada le nebbie e dissipa i dubbi».
• «Un’altra figura ben più rara e preziosa del cabalista è l’assistito. Assistito è colui che per candore d’animo, per innocenza propria, come un fanciullo è in contatto con gli arcani che direttamente, senza sua consapevolezza, si rivelano attraverso la sua persona, le sue movenze e financo gli stati d’animo. L’assistito non può sbagliare perché è segno del divino. Il cabalista invece interpreta e la sua interpretazione può essere fallace. L’ultimo grande assistito napoletano, ritenuto tale nel corale assenso del popolo, si chiamava Calligaris. Si narra che venisse finanche spiato nella certezza che potesse rivelare con l’innocenza delle sue movenze un segno numerico, ordinatore e non oscuro. Negli atti di un processo celebrato a Napoli sul finire del secolo vi è testimonianza di questo convincimento tenace e tenebroso. Due povere figure della Napoli miserrima del 1880, un portiere dei quartieri spagnoli e un suo complice senza fissa dimora, rapiscono all’imbrunire di un venerdì di quell’inverno un frate frettoloso che rientrava al convento. Frate Ambrogio viene rapito perché in odore d’essere un assistito e questo convincimento sarà invocato come esimente dalla difesa nel corso del processo. La notizia corre tra i vicoli assordati e scandalizza la città borghese. Al frate si chiedono numeri. Egli non ne dà e viene sottoposto a sevizie. Nel soprassalto dell’agonia o dello sfinimento forse può rivelarne. Dopo diciotto giorni vien fatto rotolare in fin di vita da una carrozza in fuga presso la porta del convento francescano di San Pietro ad Aram. Morrà tra stenti dopo una settimana. Sembra che il frate abbia lasciato tre numeri morendo. In un fatale lapsus della sorte due di questi escono il sabato successivo. Napoli è sbigottita e lo stupore si mescola all’eccitazione. Chi ha giocato trova conferma delle sue persuasioni, chi non ha giocato si affretta a farlo. Attraverso complicati calcoli cabalistici si costruiscono altri numeri che promettono fortuna. Il sacrificio della vittima, come nell’antichissimo rito del capro espiatorio, è propiziatorio e garantisce la benevolenza celeste. Tre numeri scoperti, come sembra, nel cappuccio del frate sopravanzano alla fine tutti gli altri. I giornali li pubblicano accompagnati da pezzi di colore. Nell’eccitazione di tutti il volume del gioco si moltiplica. Giustino Fortunato avanzerà un’interrogazione parlamentare per individuare le responsabilità di tanto sperpero. La città alla fine è economicamente prostrata».
• «Una figura infine più comune ma in taluni casi non priva di prestigio è quella del postiere. Il postiere è l’uomo del bancolotto addetto alla stesura materiale dei biglietti, ma il suo ruolo non sempre si limita a questa operazione meccanica. Con la sua grafia, così tipica e irripetibile, su richiesta suggerisce i numeri con sentenza inappellabile. La smorfia è la sua Bibbia».
• «Se i numeri sono certi il biglietto sarà giocato e in qualche modo si troverà la moneta necessaria [...] la Napoli di fine secolo era come percorsa da inquiete fibrillazioni nell’approssimarsi del sabato. Aumentavano i piccoli furti, l’accattonaggio, il commercio ambulante e l’offerta del lavoro a giornata. Assieme agli infiniti espedienti della sopravvivenza aumentava l’aggressività nella riscossione dei crediti e la pressione usuraia [...] per pochi centesimi il Banco di Napoli concedeva prestiti garantiti da tessuti nuovi o come nuovi, in pratica il corredo della famiglia povera. Questi pegni speciali si chiamavano pannine e la donna napoletana in qualche modo ne era la protagonista [...] Le pannine verranno chiuse nel 1982».
• «Nel 1995 l’Italia ha giocato al Lotto oltre seimila miliardi e ciascuna famiglia italiana ha giocato in media più di trecentomila lire all’anno. Sulla ruota di Napoli invece si è giocato oltre settecento miliardi e ciascuna famiglia napoletana ha giocato oltre settecentomila lire all’anno. Dunque Napoli esprime un volume di gioco più che doppio rispetto a quello nazionale».
• «Si può calcolare che tra il 1880 e il 1914 Napoli ha giocato al Lotto oltre duemilacinquecento miliardi (valori aggiornati al 1995), garantendo da sola ogni anno un cespite di entrata al bilancio dello Stato che oscillava intorno al due per cento. Ogni anno, nella dura cadenza della ri-petizione del gioco, essa raccoglieva lungo i suoi miserabili quartieri circa settanta miliardi [...] Tra il 1880 e il 1884, ad esempio, i napoletani giocarono mediamente circa centoventicinque milioni di biglietti e cioè circa duecentocinquanta biglietti all’anno per ciascun napoletano, quasi un biglietto ogni giorno dell’anno».