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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Le società arrabbiate: il populismo demagogico

 La Russia, l’India e soprattutto la Cina stanno rapidamente ampliando le loro presenze nelle grandi aziende occidentali, con conseguente incremento del loro potere di condizionarne le strategie e i futuri sviluppi, e con inevitabili effetti sugli equilibri geopolitici mondiali. Tutto questo rappresenta uno degli aspetti più tangibili del progressivo declino dell’Occidente e della contemporanea avanzata delle suddette nuove potenze economiche, rette fra l’altro da sistemi politici non esattamente democratici. Noi occidentali dovremmo riflettere sui seri danni che ci sta creando un’interpretazione sempre più distorta, populistica e autolesionistica della nostra democrazia, accompagnata da un rilevante calo qualitativo delle nostre classi dirigenti soprattutto, ma non soltanto, politiche. Risulterebbe molto interessante un suo parere.
Giovanni Cama

Caro Cama,
Il caso della Russia mi sembra alquanto diverso da quello di India e Cina. Duramente colpito dalle sanzioni occidentali e dal calo del prezzo del petrolio, il Paese sta attraversando una fase in cui il governo non può permettersi la politica sociale che ha fatto dopo l’arrivo di Putin alla presidenza della Repubblica nel 2000. Vi sono ancora grandi ricchezze accumulate negli anni in cui gli oligarchi potevano agire spregiudicatamente, ma i mezzi finanziari di cui disponevano sono notevolmente diminuiti. India e Cina invece (ma soprattutto la Repubblica popolare) stanno facendo una politica degli acquisti che comincia a preoccupare alcuni Paesi (fra cui la Germania) e la Commissione di Bruxelles.
Le ricordo tuttavia che per molto tempo l’ingresso del Terzo mondo nella economia internazionale ci era parso un fenomeno positivo. India e Cina sono grandi mercati in cui le industrie europee, negli ultimi anni, hanno trovato straordinarie occasioni di lavoro e sviluppo. La Cina copiava i nostri brevetti e faceva una imbattibile concorrenza a molte piccole e medie aziende europee, ma stava creando una borghesia che avrebbe avuto nuovi desideri e nuove esigenze. Ne abbiamo avuto una prova indiretta quando abbiamo assistito anche in Italia alla nascita di un turismo cinese che sarebbe stato, 20 anni fa, difficilmente immaginabile.
Oggi, tuttavia, il quadro sembra alquanto diverso. Sono cambiati i termini economici della questione? Credo piuttosto che siano cambiati gli stati d’animo e gli umori delle società europee. La globalizzazione, insieme alla grande liberalizzazione delle attività finanziarie dell’ultimo ventennio, ha avuto per effetto una considerevole ridistribuzione della ricchezza. Ne hanno tratto grande vantaggio alcune fasce della società, ma spesso a scapito di una classe media che ha visto diminuire il proprio reddito e il proprio status sociale. Questo fenomeno ha avuto ricadute politiche. Non vi è democrazia occidentale, ormai, che non abbia un partito populista o un movimento antisistema che soffia sul fuoco e predica la distruzione di tutte le organizzazioni sorte per regolare l’economia continentale e mondiale. Il caso dell’accordo fra l’Unione Europea e il Canada è soltanto l’ultimo episodio di lunga sequenza che non risparmia nemmeno l’Unione Europea e le grandi zone di libero scambio.
Un altro effetto di questo processo, caro Cama, è la nascita di una classe politica demagogica e populista che può, anche quando non governa, contagiare i partiti politici tradizionali e indurli a competere con i populismi copiandone lo stile e i programmi. Accade così che gli elettori più riflessivi, quando vanno alle urne, siano costretti a scegliere fra il male e il meno peggio.