Corriere della Sera, 11 novembre 2016
«Io, il farmacista dei record. Ho già subito cento rapine»
ROMA «Stasera chi dobbiamo ammazzare?», urla il criminale irrompendo nella farmacia: ma per il dottor Maurizio Manara quella è la centesima rapina, l’ennesimo affronto a una vita dedicata al lavoro; così, per la prima volta, decide di sparare. In aria, senza ferire nessuno. Ma tanto basta a far «smaterializzare – racconta il farmacista – quel bullo e il suo complice».
L’accento è quello di un siciliano doc. Di uno dei protagonisti dei gialli di Camilleri. La voce è calma, profonda, trasmette serenità. Quello che prova adesso è però differente. «Ma certo che ho paura anche io, sarei un incosciente a non averla. Ma non lo faccio vedere, maschero bene. È una cosa fondamentale, ma quello che non dimenticherò tanto facilmente adesso è lo sguardo di mia moglie. Era terrorizzata, non mi aveva mai visto sparare».
Manara è il farmacista messinese di 58 anni che mercoledì sera, poco prima delle sette, ha messo in fuga due rapinatori che volevano assaltare il suo negozio a Monteverde. Ha sparato un colpo con la sua Smith&Wesson calibro 38. «Ho il porto d’armi da quando ho diciott’anni ma non avevo mai premuto il grilletto – racconta —, eppure lavoriamo qui da quarant’anni e abbiamo subito circa cento rapine, solo nel 2012 sono state 27. L’altra sera eravamo in quattro: io stavo nel mio studio, poi c’erano mia moglie e due dipendenti, ma nessun cliente, altrimenti non avrei mai tirato fuori la pistola. In vita mia l’ho estratta solo altre due volte, ed è bastato per farli scappare».
Il dottor Manara non si considera «un pistolero o un eroe, ammetto che ho la passione per le armi, ma se voglio sparare vado al poligono. La verità è che quasi tutte le volte che i banditi sono venuti a farci visita ho alzato le mani e li ho lasciati fare».
A fare irruzione nella farmacia un’ora prima della chiusura sono stati due uomini con il casco da motociclista. Uno impugnava un cacciavite. «Negli anni siamo stati rapinati da criminali armati di pistole, siringhe infette e mannaie. Una volta uno è arrivato con un fucile a pompa». Invece «l’altra sera mi sono accorto di quello che stava accadendo guardando i monitor della videosorveglianza: erano in due, uno era saltato dall’altra parte del bancone per arraffare i soldi dalla cassa. Ho deciso di uscire per affrontarli, pistola in pugno. Il primo appena l’ha vista è scappato fuori a gambe levate, il secondo invece continuava a fare lo smargiasso. «Vediamo chi dobbiamo ammazzare stasera», aveva detto poco prima a mia moglie. E nonostante impugnassi la pistola, lui con il cacciavite mi continuava a venire incontro. «Allora? Dov’è la cassaforte? La vuoi aprire?», ripeteva. A quel punto ho sparato un colpo in aria e quello si è smaterializzato in un attimo. Bulli, ecco cosa sono. Solo bulli».
Ieri Manara ha trascorso la giornata dalla polizia a sfogliare foto segnaletiche. «Ma non so se sarei in grado di riconoscerli, oltre ai caschi neri indossavano anche le sciarpe. Si vedevano solo gli occhi, di sicuro erano romani, sulla quarantina». La rapina è stata ripresa dalle telecamere: «Ho consegnato alla polizia il cd con le immagini, gli agenti hanno visto che quello che avevo raccontato era vero. E infatti la sera sono tornato a casa con la mia pistola». Soddisfatto? «No, rassegnato. Non posso passare la mia vita a fare il vigilante, il mio lavoro è un altro. E per questo preferisco alzare le mani piuttosto che sparare. Ma l’altra sera, con mia moglie in pericolo, non potevo rimanere fermo».