Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
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• Flaianite. «Il consumismo delle parole di Flaiano ne oscura la verità umana, letteraria, civile e culturale».
• Anno, giorno, ora. Soleva dire che era nato nello stesso giorno e anno di Mario Pannunzio, suo direttore al ”Mondo”, ma poiché Pannunzio era nato un’ora prima gli toccava sempre di fare il direttore e a lui mai.
• Approdi abruzzesi. «Mi ha introdotto nella vecchia fiaschetteria Beltramme in via della Croce, frequentata da letterati e giornalisti, attori e artisti, tenuta da due abruzzesi che sembravano uscite da una poesia di Gozzano: la signora Felicetta, alta e sottile, e la signora Elena, vedova di un diplomatico cecoslovacco, più bassa, sempre vestite di nero e che servivano i piatti con guanti di filo bianco, e dove Flaiano era approdato da giovane e sconosciuto quando era arrivato da Pescara. Erano aiutate da Cesaretto, un abruzzese emigrato come lui a Roma».
• Impegno. «Sotto le sue apparenze disincantate, i suoi paradossi ed epigrammi, c’era in Flaiano una grande aspirazione alla giustizia e un forte senso dei doveri morali. Ma odiava la retorica dell’impegno. Gli intellettuali impegnati lo mettevano in grande sospetto perché diffidava della loro sincerità».
• Frasi. «Una sua frase, quando qualcuno gli proponeva un lavoro stabile, era: ”Mi, spezzo ma non mi impiego”».
• Antinotabile. «Se c’era qualcosa che lo qualificava nell’ambiente letterario, era questo suo istintivo rifiuto di onori ufficiali, questo considerare la vita in modo semplice, normale, autentico. Era un antinotabile».
• Cani. «Giulia Massari mi ha raccontato che, una volta, Flaiano le confidò che spesso a Fregene egli seguiva i cani, perché essi quando camminano non vagano insicuri ma hanno uno scopo, un obiettivo preciso, si muovono secondo l’istinto».
• Insuccesso. L’amico Mino Maccari quando lo vide all’uscita del teatro, dopo il fiasco della sua pièce ”Un marziano a Roma”, vedendolo molto abbattuto gli disse: «Caro Ennio, l’insuccesso ti ha dato alla testa».
• Colori e carta. Batteva a macchina con fogli di colori diversi: l’azzurro per gli articoli, il giallo per i racconti, il bianco per le critiche cinematografiche.
• Marcia su Roma. Arrivò a Roma il 28 ottobre del ’22, sullo stesso treno che portava gli squadristi della Marcia, i quali scesero tutti a Orte per prepararsi al loro ingresso nella capitale. Maccari quando sentì questo racconto dell’amico coniò il motto: "O Roma o Orte".
• Francobolli. Maccari disegnava francobolli così simili a quelli stampati dalle Poste che poteva usarli per spedire lettere senza timore che venissero respinte al mittente.
• Antonomasia. Inventò sia il termine "vitelloni" sia il termine "paparazzi", quest’ultimo mutuandolo dal cognome di un fotografo che aveva conosciuto.
• Verità e bugie. «Fellini lo rimproverava di non essersi mai bene identificato con la sua vera vocazione, quella dello scrittore, ma Flaiano a chi gli riferiva questo giudizio così replicava: ”Fellini ogni tanto diceva la verità, per esempio quando si definiva un bugiardo”».
• Bottiglie. «Mi ha trattato come fossi una bottiglia di Coca cola, lui tira la cannuccia e aspira» (Flaiano, a proposito di Fellini, di cui sceneggiò i primi film).
• La goccia che fece traboccare il vaso. «Fellini e Rizzoli viaggiavano in prima classe (per andare a ritirare l’Oscar per Otto e mezzo, ndr) e Flaiano, Pinelli e Kezich erano in classe turistica. Appena arrivò a New York, Flaiano andò al banco dell’Alitalia, chiese quando partiva l’aereo per Roma e il costo del biglietto e pagò. Fellini poi gli chiese scusa».
• Giornali. «Il Mondo era un giornale semplice, artigianale, fatto con due redattori e una segretaria. Lo snobismo di Pannunzio era di fare un giornale che respingesse l’attualità. Io dicevo che stavamo sempre facendo il numero precedente» (Flaiano).
• Flaubert. «Pannunzio ripeteva spesso che bisognava scrivere gli articoli come Flaubert scriveva i suoi libri».
• Ruoli e soprannomi. Flaiano redattore capo al Mondo, gli amici, per sorridere della sua malinconia, lo chiamavano "il redattore cupo".
• Altri soprannomi. Cardarelli "il più grande poeta morente" (perché indossava il cappotto anche d’estate e aveva l’aria del malato), Moravia "l’amaro Gambarotta" (perché era sempre sul triste e zoppicava per via della tubercolosi ossea che l’aveva colpito da ragazzo), Buzzati "il Kaf-ka hag" (perché era una specie di versione italiana e meno corrosiva di Kafka), Mafai "Mafai schifo" (perché si era dedicato alla pittura astratta con risultati discutibili), Guttuso "il Picazzo delle contesse" (per le liason con donne dell’alta società).
• Alani. Negli anni ’50, elegantissimo e imponente Curzio Malaparte passava per via Veneto con un alano al guinzaglio.
• Errori di stampa a scuola. «Ma, come disse Cesare Zavattini alla inaugurazione a Roma di una scuola intitolata al suo nome nel novembre del 1975: ”Flaiano era un uomo che capiva tutto e non approvava niente. Ci ha fatto genialmente ridere e ci ha abituato a rendere palesi i pensieri nascosti, ha allenato il paese all’esempio della verità e della democrazia. Era lontano da ogni celebrazione e se potesse vedere sul frontone della scuola il suo nome esclamerebbe: ”Ci deve essere un errore di stampa!”».
• Piccolo punto. «Credo che si possa ripetere per Flaiano l’autoesaltazione di Roland Bathes: ”Quale sovranità egli mette nel tagliar corto. Nel piccolo punto il nostro autore è sovrano”».
• Nato nel ’12 in Abruzzo, emigrato ragazzino a Roma con lo stesso treno che portava gli squadristi della Marcia, scoperto da Longanesi che lo spinge a scrivere il suo primo (e ultimo romanzo) e glielo pubblica (Tempo d’uccidere, uscito nel ’47), redattore capo del ”Mondo” di Mario Pannunzio, sceneggiatore per Fellini, autore di pièce teatrali, oggi Flaiano è ricordato e citato soprattutto come battutista folgorante. Giovanni Russo, che lo conobbe nella capitale al suo apogeo, negli anni ’50 e ’60, tra Canova, Rosati e via Veneto, con questo libro, ne dà un quadro meno superficiale e consumistico.
Giovanni Russo, giornalista, salernitano, è stato inviato del ”Corriere”, collaboratore del ”Mondo” di Pannunzio (dove ha conosciuto Flaiano), e ha scritto vari libri, tra cui L’Italia dei poveri, Perché la sinistra ha eletto Berlusconi, Lettera a Carlo Levi.