Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
I segreti della seduzione - Secoli di mutande
• «Se è ver che le donne da tante stagioni / in casa i calzoni son use portare, / davvero una soda ragione non veggio/perché non li portin puranco a passeggi.../ un turbin di polver - vedrem sollevar / non più donne care, quei vostri visetti / tra i pizzi e i merletti - dovremo snidar; / e più castamente vedrem se la sorte / vi diede le gambe ben dritte o ben storte» (Arnaldo Fusinato, 1817-1888).
• «L’uso delle mutande presso le nazioni di civiltà europea è ormai talmente radicato ed è diventato così generale da sembrare ben strano ai giovani lettori e più ancora alle mie giovani lettrici che le eleganti loro nonne e bisnonne si ostinassero a farne senza» (Scarlatti, Et ab hic et ab hoc, 1928).
• Il bacio con le labbra lungamente unite e la testa di lei arrovesciata languidamente all”indietro, detto - le prime volte che fu visto sullo schermo (anni Trenta) ”alla danese”.
• Mutande di Eleanor Roosevelt: seta avorio e merletti con cifre ricamate.
• Un’indagine del 1955 mostrò che nelle donne gli italiani amavano il seno (25%), il sedere (25%), le gambe (15%), la bocca (14%), gli occhi (12%).
• Il pagliaccetto inventato da Janet Roger: aveva abbinate le giarrettiere e tre bottoncini nel cavallo che permettevano la slacciatura facile. Tornato di moda negli anni Settanta.
• Il tanga inventato nel 1974 da uno stilista genovese che risiede in Brasile, Carlo Fiaccardi.
• Il reggiseno inventato nel 1909 dal sarto Paul Poiret.
• Le prime donne in pantaloni (jupe-culottes) accolte così dal ”Corriere della Sera” (13 marzo 1911): «La comparsa in pubblico, a piazza San Babila, dell’arditissima moda ha suscitato ovunque le risa dei passanti, svegliando tanta curiosità da richiamar spesso la folla lungo il percorso delle audaci innovatrici».
• La carne di vipera arrostita, afrodisiaca secondo una credenza dell’altro secolo.
• Corredo-tipo di una sposa fine Ottocento: quattro lenzuola, quattro paia di federe, venti asciugamani, otto camicie da giorno, due da notte, un paio di mutandoni per i giorni difficili.
• «Il bucato, una sorta di rito che durava tre giorni, si faceva ogni mese, al fiume o nei vasconi comuni. I panni lavati si asciugavano con acqua di cenere e venivano messi ad asciugare sui prati».
• luglio del 1809 il ”Corriere delle Dame” pubblicava il figurino di un abito estivo con i mutandoni lunghi fino alla caviglia, invitando le lettrici ad adottarli: ”La moda dei pantaloni è molto comoda e pulita, poichè essa dispensa le donne dal sottanino nella stagione estiva, dal caldo, dalle pulci e dalle mosche”. Lunghe fino al collo del piede, le mutande-calzoni costavano tre zecchini, mentre per acquistare un abito ne bastavano quattro. Tale moda giunta dall’Inghilterra si rivolgeva soprattutto alle bambine, consigliando loro i pantaloni alla turca ”per gli esercizi del salto che si praticano nelle scuole”. E lunghi fino al polpaccio sporgevano dal fondo dei vestiti a crinolina distinguendo le giovanissime dalle fanciulle in età da marito. Ma sul ”Journal des demoiselles” del 1838 si legge: ”La mamma non approverà che una giovinetta porti i pantaloni il giorno in cui ella, compiendo l’atto più augusto della religione, diventa signorina”. Lo stesso giornale, nel 1840, consigliava di portare sotto le larghissime e rigonfie gonne che d’inverno lasciavano passare l’aria raggelando le gambe, non più calzoni ingombra-abiti ma abiti elastici, foderati di ovatta, scesi di 25 centimetri lungo la vita. Contro ”cortine” di tal fatta si scagliò nel 1896 Vacher de Lapouge, medico all’epoca particolarmente noto. All’inizio del secolo, spiegava, le donne avevano ”il collo nudo, le braccia nude, parte del seno nudo. Ignoravano l’uso dei mutandoni, e l’aria circolava sotto le gonne. La decenza di oggi non è più soddisfatta, e l’anemia e la nevrosi trovano in essa un potente ausilio. In questi ultimi trent’anni abbiamo visto generalizzarsi i mutandoni fra le bambine, sotto l’influenza delle suore, pie assassine che preparano le loro allieve per il cielo, l’anemia, la tubercolosi...”».
• «Il 24 ottobre 1884 il Consiglio comunale di Milano invitò le signore ad aggiungere fosfato di ammonio all’amido usato per indurire le gonne e per ovviare agli incidenti causati dalla pessima abitudine di gettare, per le strade, fiammiferi e mozziconi di sigaro accesi. Per impedire il libero accesso alle pulci, invece, era di moda portare, appeso alla cintura con una catenina d’oro, un piccolo animale impagliato - scoiattolo, zibellino, martora o puzzola - allo scopo di ”catturarle” qualora fossero divenute troppo sfacciate».
• Le gonne ampie delle donne di metà ottocento potevano arrivare fino a un diametro di dieci metri.
• «Le regine di Spagna non hanno gambe» (un capitano spagnolo al sindaco di una città italiana che aveva offerto una scatola di calze preziose a una principessa spagnola che andava sposa a un re di Spagna).
• Erasmo (De civilitate morum periculum, 1530): «Non trattener vento serrando le natiche pena di malattia».
• «Quando Isabella di Baviera viaggiava portava con sè, per sfoghi personali, una seggetta chiusa in una scatola di cuoio, mentre Maria Antonietta, divenuta delfina, ordinò ”un table de nuit, un seau pour laver les pieds, un bidet tout garni et un Chaise d’affares».
• Madame Tallien e i bagni di fragole ghiacciate.
• «A Parigi verso la fine del XVIII secolo fecero furore i bagni nuziali. Ai Bains de Tivoli, al n. 38 di rue Saint-Lazare, pagando un luigi si poteva, con indumenti ridotti, fare un bagno aromatico nel vino, mangiare castrato al pomodoro, tartufi allo champagne, brodo di manzo e, per finire, godere di un’energica strofinata sul corpo con oli eccitanti, acqua di colonia e balsamo del Perù. Le signore bene quando ne soprirono la piacevolezza presero a ricevere cicisbei e ”voci bianche” nella vasca da bagno, avendo premura di far versare nell’acqua una miscela di latte di lino, mandorle e anici allo scopo di renderla opaca».
• Le regine egizie: «si lavavano ben quattro volte al giorno, si facevano massaggiare da un folto numero di schiave, conoscevano l’uso della pinzetta per depilarsi, del verde malachite, dell’hennè, per ammaliare con lo sguardo, della biacca profumata per vietare al sole di penetrare la pelle offuscandone il naturale splendore».
• «Giovenale così racconta il modo di passare le giornate delle più ricche: ”Cominciano le donne a impiastarsi la faccia con mollica di pane imbevuta di latte di giumenta, per rendere morbida e liscia la pelle; le schiave acconciatrici, dette ”cosmete”, impiegano lunghe ore a sbiancare ed imbellettare la padrona profumandola e arricciandole i capelli; a tingerle le sopracciglia e le chiome in nero o biondo; le si tondeggiano le unghie, le si lavano le mani nel latte che la signora asciuga nella chioma del liberto”. La schiava che sbagliava veniva punita sul seno con un ”ago crinalis o torsello”».
• «Si lavavano gli antichi romani il viso, le mani e le gambe ogni giorno e ogni nondina - nove giorni - lavavano il resto del corpo in un locale chiamato lavatrina posto accanto alla cucina. L’arredo era composto da sedili a braccioli, e avanti ad essi era situata una vaschetta d’acqua corrente che finiva in un pozzo nero, quando non si faceva uso di recipienti portatili collocati sotto la latrina chiamata sella pertusa che si prestavano, stranamente, a divenire spesso luogo di incontri per ameni conversari».