Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 27 settembre 1999
Al convegno di Cernobbio (4 settembre) il più applaudito dagli imprenditori italiani fu il primo ministro spagnolo Aznar, capace di ridurre tasse e disoccupazione senza provocare squilibri nel bilancio: «Ho ricevuto tanti di quegli elogi che quasi quasi ho pensato di restare in Italia»
• Al convegno di Cernobbio (4 settembre) il più applaudito dagli imprenditori italiani fu il primo ministro spagnolo Aznar, capace di ridurre tasse e disoccupazione senza provocare squilibri nel bilancio: «Ho ricevuto tanti di quegli elogi che quasi quasi ho pensato di restare in Italia». Quest’anno gli spagnoli hanno pagato 800 miliardi di pesetas (9.500 miliardi di lire) di tasse in meno mentre il ministero delle Finanze, grazie all’aumento dei consumi, ne ha incassati 824 in più (quasi 10.000 miliardi di lire).
• Contribuenti spagnoli nel ’97 (prima della ristrutturazione del sistema fiscale): 15 milioni. Cittadini che dopo la riforma non pagano più tasse: 1.8 milioni. Cittadini che non compilano più la dichiarazione dei redditi: 5 milioni. Proprietari di casa esentati dal pagamento: 9 milioni. La pressione fiscale sul Pil è al 35 per cento (in Italia è al 45, la riduzione di un punto verrebbe considerata da Visco una grande vittoria, Aznar promette che entro l’anno arriverà al 30).
• Nel primo trimestre dell’anno la domanda interna di beni e servizi è cresciuta del 5.5 per cento (mezzo milione di nuovi posti di lavoro creati dalla spinta al consumo). Maggiore flessibilità, minori oneri fiscali e previdenziali, una riforma della legislazione sul lavoro (licenziamento per giusta causa) hanno creato in tre anni un milione e trecento mila posti di lavoro. La Spagna continua ad avere il più alto tasso di disoccupazione europeo (circa il 17 per cento), ma nel conteggio statistico vengono inclusi tutti i cittadini in età da lavoro (studenti e casalinghe comprese).
• La Spagna è il paese che beneficia dei maggiori finanziamenti Ue. Lo sviluppo delle grandi reti infrastrutturali, ferrovie, aeroporti, autostrade (tutte senza pedaggio) è stato possibile grazie al finanziamento dell’Ue (negli ultimi cinque anni 40 mila miliardi). Negli ultimi dieci anni gli aiuti di Bruxelles hanno contribuito alla crescita del Pil spagnolo per circa il 4 per cento (rapporto della Commissione europea).
• Secondo la sinistra, l’abilità (e la fortuna) politica di Aznar è quella di aver raccolto i frutti di scelte fatte dai suoi predecessori. In Spagna la liberalizzazione del mercato del lavoro è incominciata (con Gonzalez) dieci anni prima che negli altri Paesi: l’introduzione del contratto di lavoro a termine che oggi riguarda il 30 per cento delle posizioni lavorative è del 1984. I guadagni in occupazione non sono il semplice risultato della maggiore flessibilità sul mercato del lavoro, ma si materializzano alla fine di un processo di aggiustamento lungo e accompagnato da rilevanti afflussi di capitale straniero: tra il ’90 e il ’98 in Spagna sono arrivati investimenti industriali dall’estero per 84 miliardi di dollari (in Germania 60, in Italia 31).
• Schroeder è al governo dal settembre del ’98 (è succeduto a Helmut Kohl, cancelliere per 16 anni). In questo periodo ha varato lo Sparpaket («il piano d’austerità più radicale del dopoguerra tedesco»): tagli alla spesa da 30 mila miliardi per l’anno prossimo e altri 50 mila fino al 2003. Ha aumentato il prezzo della benzina e bloccato per due anni le pensioni mentre il marco continua a essere debole e i quattro milioni di disoccupati non accennano a diminuire.
• Da quando è cancelliere, Schroeder ha perso in tutte le elezioni politiche locali. Tra febbraio e settembre la Spd è stata sconfitta in Assia, nelle città ”rosse” di Düsseldorf, Colonia e Dortmund, nella Saar, in Turingia, nel Brandeburgo. In Sassonia (-6 per cento) ha ottenuto il peggior risultato del dopoguerra ed è stata sorpassata anche dal Pds (gli ex comunisti della Rdt). Prossimo test elettorale: a Berlino il 10 ottobre.
• I tedeschi sono perplessi e intimoriti. «Gli stessi elettori che avevano dato il voto a un candidato che prometteva più flessibilità nel lavoro ora osservano impauriti il ministro delle Finanze Hans Heichel che vorrebe chiudere con i previlegi degli Staatsbeamte (gli impiegati pubblici) e ha già ridotto l’assegno di studio agli studenti».
• L’addio di Lafontaine ha allontanato molti elettori di sinistra. «Lafontaine, fallito il tentativo di rompere l’ortodossia monetarista dei banchieri centrali (il credo ideologico che ha dominato l’ultimo decennio in Germania e in Europa) è stato lasciato andare via senza badare troppo alla parte elettorale che lasciava scoperta. Schroeder, trovandosi a dover ricostruire un’identità politica di governo si è scontrato con il lascito avvelenato di Theo Waigel (ministro delle Finanze di Kohl), artefice di quel ”patto di stabilità” che, andando oltre i precetti di Maastricht, ha messo una corda al collo ai governi».
• I tedeschi detestano i cambiamenti e l’instabilità. Bernardo Valli sulla ”Repubblica” del 13 settembre: «Il candidato Schroeder aveva escluso i primi, perlomeno quelli importanti e aveva dato l’impressione di essere un uomo solido, dinamico rispetto al vecchio Kohl, ma equilibrato. Non ha mantenuto né una promessa né l’altra».
• In sedici anni di opposizione l’Spd non è riuscita a elaborare alcun programma diverso da quello degli anni Settanta. «Il solo Schroeder, deriso come ”compagno dei padroni” si è posto l’interrogativo della socialdemocrazia moderna: la politica è inerme davanti all’economia e questa può davvero rinunciare al consenso? La sua risposta è che l’economia ha bisogno di un consenso ”per il sistema dell’economia” e che questo consenso può essere prodotto solo dalla politica [...] Ridefinire la giustizia sociale in termini di efficienza è il passaggio che altri partiti socialdemocratici, a cominciare dai laburisti inglesi, hanno potuto preparare in tempo di opposizione».
• Schroeder ha perso le elezioni regionali per la situazione economica del suo paese e non per cattiva strategia. Michele Salvati: «La Spd, come la sinistra italiana, la modernizzazione della sua strategia la deve fare in corso d’opera, mentre governa. Da qui nascono i problemi. Problemi che invece non ha Blair che le questioni, anche nel suo partito, le aveva risolte precedentemente [...] D’Alema e Schroeder hanno lo stesso problema, non aver avuto il tempo di elaborare una strategia prima e ora devono fare i conti uno con l’ala sinistra del suo partito e l’altro con i sindacati [...] La strada deve essere quella della concertazione con le forze sociali. Ma semmai, insisto, semmai si verificassero resistenze anche da parte dei settori che noi tradizionalmente tuteliamo, beh... compito del governo è comunque quello di intervenire».
• Copiare la linea e i modi di Blair, ecco l’errore di Schroeder. L’otto giugno di quest’anno, alla vigilia delle elezioni e a 40 anni di distanza da Bad Godesberg (il congresso che aveva cancellato i vecchi pricipi socialisti in Germania), Blair e Schroeder si sono incontrati per dare una nuova identità sociologica alla socialdemocrazia tedesca, un manifesto politico giudicato dagli osservatori economici «una definitiva liquidazione della sinistra tradizionale». Henri Weber, senatore socialista francese: «Nella Germania della concertazione sindacale, nella Germania del Welfare solido e diffuso, nella Germania della cogestione delle imprese non si possono lanciare a gran voce crociate antistataliste e deregolatrici. un’operazione del tutto inadatta. La realtà inglese è specifica, fa storia a sé. Schroeder ha dimenticato che Tony Blair aveva dalla sua, in tasca già prima del voto, tutti coloro che dalla Thatcher erano stati puniti, ed erano tanti. Non gli restava che conquistare la classe media, cosa che ha fatto egregiamente».
• Blair, il campione dei riformatori europei, ha condotto l’operazione con magistrale successo rompendo con il vecchio labour nostalgico e recriminatorio. Antonio Lettieri: «Il partito sotto la sua guida ha rinunciato ad attaccare le riforme neoliberiste dell’era Thatcher ma, rovesciando le carte, ne ha contestato piuttosto l’incompiutezza, l’approssimazione, la mancanza di un inquadramento teorico e strategico. Per Blair la liberalizzazione del sistema economico è una cosa troppo seria per lasciarla alla pura spontaneità del mercato. Non basta che lo Stato si ritiri per lasciare funzionare i mercati, secondo i precetti di Hayek e Friedman, adottati con caparbia semplificazione dalla signora Thatcher».
• Blair usa una pratica di sinistra e una retorica di destra: gli viene persino riconosciuto di mettere «la teoria al servizio della comunicazione e della volontà di leadership politica, ma di non rinunciare a un’azione progressista. Si farebbe insomma passare per un neoliberale, mentre in realtà resta un laburista. Nonostante i propositi esibiti, ha instaurato un salario minimo, che riguarda il 10 per cento della popolazione, ha ratificato la carta sociale europea, applica una direttiva sull’orario di lavoro, ha creato una tassa sui profitti eccessivi delle imprese privatizzate per finanziare posti di lavoro destinati ai giovani, è intervenuto per finanziare la Rover e i cantieri navali Gowan. Tutte iniziative qualificanti per Blair».
• 2??bcinamento di Schroeder alla Gran Bretagna ha accentuato il distacco da Jospin, espressione di un socialismo, almeno nella teoria, allergico ad ogni contaminazione con il neoliberismo. I socialisti francesi giudicano Schroeder un opportunista che avrebbe sottoscritto il manifesto del New Labour per dimostrare la sua determinazione a chiudere il capitolo di Oskar Lafontaine.
• Al ”Manifesto sulla terza via” anglo-tedesco il Ps francese ha risposto con un documento elaborato dalla segreteria politica guidata da Henri Weber. Nel testo si respinge sia il vecchio socialismo assistenziale sia la distinzione britannica fra investimenti sociali legittimi (educazione, sanità...) e gli aiuti sociali giudicati dispendiosi e dannosi. Il modello francese resta fedele alla società mista dove coabitano servizi pubblici, economia sociale e settore privato mercantile. Si concorda nell’impegno a sostenere le forze produttive e ad incoraggiare lo spirito imprenditoriale ma in un quadro di compromesso sociale il cui obiettivo deve restare la lotta contro le disuguaglianze.
• D’Alema ha invitato Clinton, Blair, Schroeder e Jospin a Firenze per un seminario dove si discuterà della ”Nuova via”. Il titolo originale era ”Terza via”, ma è stato cambiato per compiacere a Jospin che lo considerava troppo neoliberale e non gradiva partecipare al trionfo di un social-liberismo contrario ai suoi principi.
• Negli ultimi due anni la Francia è cresciuta più rapidamente di Germania e Italia. Secondo ”Il Sole-24 Ore” ciò dipenderebbe dal fatto che la Francia era meno esposta di Italia e Germania alla crisi asiatica e a quella russa in virtù di un interscambio più basso.
• Le misure statali per combattere la disoccupazione hanno avuto un buon successo: 105 mila posti di lavoro creati solo con la nuova legge sulle 35 ore. Per ora sono costate 24 mila miliardi di franchi dello Stato (circa lo 0.3 per cento del Pil). Tra i progetti migliori ”Emploi Jeunes”, il programma del governo Jospin per stimolare l’occupazione giovanile attraverso esenzioni contributive, salari bassi, part- time.
• Ciò che dovremmo imparare dalle politiche francesi sulla riduzione dell’orario di lavoro è la bravura nel marketing. Il Ministero del lavoro ha creato un sito internet sulle 35 ore dove scorrono le cifre del successo nelle lotta alla disoccupazione.
• Il successo della legge sulle 35 ore si basa sui cospicui incentivi che vengono concessi alle imprese (9 mila franchi, circa due milioni e mezzo per ogni lavoratore che lavora meno) e sul fatto che nelle grandi imprese esistono ampi margini per aumentare la produttività riducendo la presenza in fabbrica dei lavoratori. Ma la legge prevede che dopo una prima fase di incentivazione si passi (dal primo gennaio del 2000) a una seconda dove le aziende che non applicano la direttiva dovrebbero essere punite con pesanti multe.
• Nerio Nesi, responsabile economico dei Comunisti Italiani, sul Corriere della Sera del 24 settembre: «Ci vuole una guida forte, come c’è in Francia. L’altra sera guardavo il premier Jospin alla televisione francese. stato molto netto con gli imprenditori, dicendo ”Volete licenziare? Fate pure, siamo in un paese libero e capitalista. Però sappiate una cosa: dallo stato non vedrete più una lira”».
Anche D’Alema dovrebbe fare così?
«Ma certo ci sono mille modi per mandare segnali chiari. [...] Io conosco uno a uno gli imprenditori italiani: posso assicurare che non aspettano altro. [...] Le banche stanno aumentando i mutui sulle case proprio nel momento in cui il governo sta puntando sul rilancio dell’edilizia. D’Alema chiami il mio amico Maurizio Sella dell’Abi e faccia la voce forte ”Voi questo non lo dovete fare, altrimenti vi mettete contro il governo”».