Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Giovanni (Gianni) Agnelli, nato a Torino il 12 marzo 1921, è morto nella stessa città il 24 gennaio
• Giovanni (Gianni) Agnelli, nato a Torino il 12 marzo 1921, è morto nella stessa città il 24 gennaio. Laureato in Giurisprudenza nel 1943, aveva partecipato alla Seconda Guerra mondiale come ufficiale di Cavalleria prima sul fronte russo, poi con il raggruppamento corazzato Lodi in Tunisia meritandosi la Croce di Guerra al Valor Militare, infine nella Divisione ”Legnano” del Corpo Italiano di Liberazione. Nel 1943, subito dopo la laurea, entrò in Fiat come vicepresidente, carica alla quale affiancò, dal 1963, anche quella di amministratore delegato. Dal 1966 al 1996 è stato presidente del gruppo. Senatore a vita dal giugno 1991, è stato sindaco di Villar Perosa dal 1945 al 1980 e presidente della Confindustria dal 1974 al 1976. Nel maggio 2000 fu insignito della Legion d’onore francese.
• Avvocato. Per la gente Gianni Agnelli era ”l’Avvocato”: «La formula delle segretarie e dei dirigenti della Fiat è stata trasmessa alla nazione, che l’ha accolta con lo stesso rispetto» (Enzo Biagi).
Il titolo «significò in realtà, sin dal momento in cui venne adottato, ”principe di Galles”. Prescelto dal nonno ancor prima della morte del padre, fu iniziato al trono sin dall’adolescenza. Il premio per la licenza liceale fu un viaggio negli Stati Uniti, a bordo del Rex, durante il quale visitò New York, Chicago, il Mississipi, le grandi industrie automobilistiche di Detroit e imparò l’inglese. Tornato, si iscrisse a legge» (Sergio Romano).
• Borsa. « come andare al casinò e puntare sul rosso e il nero. straordinario come, se esce il rosso, tutti quelli che lo hanno giocato si credono furbi, si guardano con aria di complicità» (Gianni Agnelli).
• Cinema. «Il primo spettacolo è già cominciato quando Giovanni Agnelli, in compagnia del senatore Mario D’Urso, entra e si siede trovando a tentoni una poltrona libera nelle ultime file della sala del cinema Reale, a Roma. Sullo schermo scorrono le immagini del film scandalo di David Cronenberg, Crash. Agnelli si agita un po’ sconcertato quando si rende conto di che cosa si tratta: scontri frontali ad alta velocità mentre i protagonisti raggiungono il massimo dell’orgasmo sintetizzando in un unico godimento lo spasmo erotico e il crash automobilistico. Quando si accende la luce per l’intervallo fra il primo e il secondo tempo, una folla di giovani occhi increduli guardano l’Avvocato come se di quei disastri fosse responsabile oppure, in qualche modo, persino complice. ”Ma si rendono conto che si tratta di sesquipedali cretinate?” chiede sottovoce Agnelli a D’Urso. ”Chissà” è la laconica risposta [...]. Secondo tempo. L’insofferenza di Agnelli raggiunge ben presto l’acme. Anzi, alla scena del tatuaggio, si alza e se ne va».
• Donne. «Sono sempre stato un marito devoto. Ma se pretendessi d’esser fedele direi una bugia. Nella vita mi è sempre piaciuto ciò che è bello e una bella donna è la massima espressione della bellezza» (Gianni Agnelli).
• Ferrari. «Quando la prendemmo era un momento difficile. Mi ricordo i nostri ingegneri che cercavano di metterci le mani e mi dicevano: ”Finché c’è quel mostro sacro in Ferrari non possiamo fare niente”. Poi Enzo Ferrari morì e tutto continuò tale e quale a prima: non riuscirono a fare niente per parecchi anni. Alla fine abbiamo ingranato con fatica, molta fatica».
«La Ferrari che lo esaltò di più fu la prima, la 166 Barchetta Touring, blu e verde, con la quale scorazzava in Costa Azzurra negli anni folli, con i capelli al vento. Poi ebbe un paio di 375 Mille Miglia, cui seguì una vettura che si fece fare su misura, riuscendo a convincere due geni testardi e intransigenti come Enzo Ferrari e Pininfarina a realizzargli - in esemplare unico, ovviamente - una 365 a tre posti, tutti davanti, con quello di guida centrale, leggermente avanzato. Diceva: ”Mi sembra di guidare in fronte alla vettura, come faceva Nuvolari con l’Auto Union”. Una follia della quale si stancò presto per acquistare un’altra spider, la Testarossa. Di colore argento» (Pino Allievi).
• Guerra. «Chiamato alle armi, divenne ufficiale di cavalleria e partì per la Russia col corpo di spedizione italiano nell’inverno del ’41. Si racconta che il nonno, preoccupato per la sua vita e per le sorti dell’azienda, abbia chiesto a un generale amico di restituire il nipote alla famiglia. Ma lui, dopo il ritorno in Italia, gli scappò di mano e corse in Africa dove venne ferito in combattimento da due schegge, a una gamba e a un braccio. Era spavaldo, cavalleresco. Forse il modello che maggiormente lo attirava in quegli anni era l’ufficiale francese impersonato da Pierre Fresnay nella Grande illusion di Jean Renoir» (Romano). [3] «Quando il tuo paese è in guerra e tu sei un uomo giovane, sei fra quelli che fanno la guerra e non fra quelli che stanno a guardare [...] Non voglio dire di averlo fatto con enorme piacere, ma con soddisfazione sì... [...] Sono stato anche comandante di un plotone di autoblindo in Africa. [...] Ma è una cosa che mi rattrista ricordare perché il mio secondo pilota, che fu ferito in questi combattimenti, poi morì».
• Inchieste. «Hanno fatto un’inchiesta: novantanove cittadini su cento sanno chi è il Papa, tutti conoscono Gianni» (Biagi).
• Juventus. «Un’emozione quando vedo entrare in campo quelle maglie. Mi emoziono persino quando leggo sul giornale la lettera J in qualche titolo. A volte mi emoziono pure con l’Udinese, per via dei colori bianconeri». [10] «Un giorno, alla vigilia di una delle tante Juventus-Roma di campionato, gli chiesi: Avvocato, vinca la Juve o vinca il migliore? ”Sono fortunato, spesso le due cose coincidono”» (Robero Beccantini).
• Kruscev. «Andai a una fiera che l’Italia fece a Mosca. Allora il ministro che si occupava del Commercio estero era Luigi Preti. Rivolgendosi a me Kruscev disse: ”A me piacciono i capitalisti e i comunisti. I socialisti non li ho mai potuti patire”» (Gianni Agnelli).
• Mutande. «Spiega uno psicologo: ” diventato un simbolo: il maschio oggetto per eccellenza. Dai giornali femminili è richiesto soprattutto in costume da bagno o in mutande. Se è possibile anche senza» (Enzo Biagi).
• Moda. «Prima che lui scoprisse le scarpe con i gommini nella suola, quelle erano calzature di nicchia, poi l’Avvocato le ha infilate sotto il pantalone di grisaglia e sono diventate un oggetto comune. Agnelli si fa 10 minuti di lampada al giorno? Allora via, tutti ad abbronzarsi col sole sintetico. Lui crea le mode per gioco, per divertimento e perché nessuno mai gli direbbe che un orologio sopra un polsino è ridicolo. L’Avvocato comincia e gli altri dietro, come i topolini» (Maurizio Crosetti).
• Modi. «Comprarsi cani Husky. Contare cominciando dal mignolo. Collezionare bottiglie di Chateau Latour del ’45. [...] Leggendaria impazienza all’insegna del kunderiano motto La vita è altrove. [...] Volere essere dove non è [...] Sciare, ma solo con l’elicottero, un’oretta. Andare a vela, ma giusto per fare due bordi: un salto di qualche minuto in Corsica ma poi si torna a casa, o in ufficio. Mai vedere un film fino alla fine (’Molto spesso basta il primo tempo per farsi un’idea”), e neanche una partita di calcio. Quasi mai terminare un libro: un paio di capitoli sono più che sufficienti. Andare nei posti e restarci pochissimo. Mai maneggiare denaro. Mai viaggiare con il bagaglio, mai portare una valigia. In ogni sua dimora - Roma, Torino, Saint Moritz, New York - Gianni Agnelli disponeva non solo di quadri di Bacon e di Matisse ma anche di un guardaroba completo: 100 camicie tutte uguali o quasi, confezionate da un artigiano irlandese. Mai mangiare più di un quarto di porzione e mai - mai! - dormire a lungo: segno di debolezza. Mai sedersi dietro quando guida l’autista. Mai drammatizzare e mai perdere la calma. Mai tradire l’assai britannica massima di Disraeli: Never complain never explain. E ricordarsi di un’altra grande verità cara all’Avvocato: ”Si innamorano soltanto le cameriere”» (Laura Laurenzi).
• Operai. «Non credo di essere considerato un reazionario. Non credo nemmeno di essere considerato un padrone prevaricatore. La mia conoscenza della vita operaia viene soprattutto dall’essere stato qualche decina d’anni sindaco di Villar Perosa, quindi conosco la condizione operaia, conosco le case in cui vivono, conosco gli orari che fanno, e credo che loro sanno quanto possa essere difficile il mestiere che faccio io, questo è tutto» (Gianni Agnelli).
• Poveri. «Ha detto: ”I ricchi non sanno quanto i poveri sono poveri, ma i poveri non sanno quanto i ricchi lavorano”» (Enzo Biagi).
• Quadri. «Ha raccolto opere in quasi tutti i campi, dal Rinascimento ai contemporanei, almeno per la pittura. bravissimo a capire istantaneamente le qualità di un artista, in più è aiutato da una memoria incredibile per cui ricorda opere che gli sono state mostrate trent’anni prima» (Edmondo di Robilant). [15] «Emerge, spesso, una passione per Balthus. Vera, ma accompagnata da tante altre, ed eterogenee, predilezioni [...] Come per Picasso, anche per il gusto dell’Avvocato si potrebbero individuare dei periodi. Ha molto amato il romanticismo francese (David e Delacroix) come la secessione viennese, con alcune spettacolari tele di Klimt. Ma ha anche svariato fra importanti vasi di Sèvres e un insieme di sei splendidi Matisse che tiene vicino ad alcuni Picasso dei tempi migliori. Fondamentali alcune opere delle avanguardie italiane del primo 900: De Chirico, oppure i futuristi Balla e Severini [...] Gli anni 70 hanno coinciso con una grande attenzione all’arte contemporanea americana: [...] i ritratti realizzati per Gianni e Marella da Andy Warhol» (Mannucci).
• Re. ”Newsweek” definì Gianni Agnelli «un re senza corona», per Indro Montanelli era «l’ultimo re della Repubblica italiana». «Nel 1969 il clima sociale italiano divenne infuocato. Gli scioperi dell’’autunno caldo” (20 milioni di ore alla Fiat) colsero l’azienda mentra stava espandendo le sue attività ed ebbero effetti disastrosi. Cominciò un decennio orribile: scioperi, assenteismo, episodi di boicottaggio e terrorismo, due shock petroliferi con drammatiche conseguenze per il mercato mondiale dell’auto. Fu allora che Agnelli cambiò ruolo. Dovette venire a patti coi sindacati, accettare i consigli di Mediobanca, permettere che una parte del capitale finisse nelle mani della finanza libica, delegare la direzione del gruppo a un manager di talento, Romiti. Anziché essere un re governante divenne un re costituzionale» (Romano).
• Scimmie. «Non ho mai avuto con Agnelli rapporti professionali. Un paio di volte se n’era presentata l’occasione, ma i casi della vita avevano disposto altrimenti. Ma sono sicuro che, se mi fosse capitato d’averne, in qualunque modo si fossero sviluppati e conclusi, i miei sentimenti nei suoi confronti sarebbero quelli che sono: dominati dalla paura di diventare la sua scimmia» (Montanelli).
• Segreti. «La mia vita è così pubblica che di me si sa praticamente tutto. Ma se qualcosa non è venuta fuori, vorrei che continuasse a restare riservata» (Gianni Agnelli).
• Terrorismo. «A Roma non avevo mai paura. Solo una volta mi spaventai. Ero a piedi, dalle parti di Montecitorio, e mi vennero incontro due figuri che da lontano mi insospettirono, con gli impermeabili e i cappelli calati sulla testa. Poi si avvicinarono, e li riconobbi: erano Gava e De Mita...».
• Zhivkov. «La Fiat aveva con la Bulgaria un accordo per la produzione di carrelli elevatori. Andai a trovarlo nella sua residenza, fu gentile, parlammo a lungo. Alla fine gli chiesi: ”E qui con i dissidenti come vi comportate?”. ”Sono tutti in manicomio”, rispose Zhivkov, di getto. Poi aggiunse: ”Le pare che uno che si oppone a me possa essere sano di mente?”».
• Re. Montanelli, nel fargli gli auguri per l’ottantesimo compleanno: «Morto un papa, si sa, se ne fa un altro. Ma, morto un re, se ne perde lo stampo».
• Tic. «La cravatta di lana a nodo grosso con l’abito elegante, la parte sottile che spunta sempre da quella più larga. Lo stivaletto alto di camoscio, spesso obbligatorio per i traumi subiti, abbinato al gessato, sempre e solo di grandissimo taglio. Caraceni dunque, quello di Roma. Le camicie button down con le punte slacciate. Il piumino imbottito color tortora o grigio argento senza maniche allo stadio, oppure il giaccone con i ganci sopra i jeans e il pullover norvegese di lana grossa, quando nella tribuna autorità i vip e i potenti affluivano in cappotto di cammello. Lo smoking rigorosamente blu e mai nero, con i revers a lancia e la scarpa Tods. I suoi tic ne fanno forse il più grande dandy italiano del Novecento, con la differenza che - diversamente da quanto accade con i dandy - Gianni Agnelli ha sempre cercato di essere più casuale (non casual) possibile. Ha sempre fatto apparire ogni gesto come del tutto naturale: assolutamente non azzimato» (Laurenzi).
• Stadi. «Il ”Delle Alpi”. Bello, bellissimo finché un giorno Agnelli disse: ”Qui si gela e si vede male”. Ora lo vogliono abbattere» (Crosetti).