Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Piccola posta
• «Il British Journal of Psychiatry ha proposto di annoverare la felicità fra le malattie mentali».
• un giovane, qui al piano terreno, spesso barcollante e intontito dal metadone, sempre in pena per la sua bambina. Da un po’ di tempo ha cominciato a tagliarsi, sempre più profondamente; le braccia, il corpo. Ormai è raro che lo facciano gli italiani: gli arabi lo fanno continuamente. Perché lo faccia questo giovane italano, nessuno riesce a capire, a parte la disperazione. Non chiede niente, non si ferisce per difendersi, o ricattare. L’opinione prevalente è che si riduca così perché, dopo averlo ricucito e fasciato, gli danno una tal dose di sedativo da farlo crollare addormentato. C’è un’evidente sproporzione, ma a lui non deve sembrare così. Ma non è che volessi raccontare questo: che gusto volete che provi a farvi vedere queste pozzanghere di sangue. Al contrario: volevo dirvi che, privo pressoché di ogni comunicazione col resto della selvaggina ingabbiata con lui, questo ragazzo tuttavia non è riuscito a dimenticare di saper giocare bene a scacchi. E’ in corso un torneo, dominato dagli slavi, se non fosse per lui, che all’ora di apertura si trascina fino alla stanza comune, gioca la sua partita, vince, e senza mutare di un battito di ciglia la sua aria inebetita e postuma si rialza e ridiscende, fasciato come Lazzaro, nel suo sepolcro, a cercare sonno. Vedete che, in fondo, non era una storia così triste».
• «Bisogna capire che i regali di cui i prigionieri sentono la mancanza non sono quelli ricevuti, sono quelli che vorrebbero fare loro».
• «Toninho Cerezo, cui un intervistatore chiese: ”Che cosa si prova a sentirsi gridare dai tifosi avversari: negro, negro?”, e rispose: ”Beh, sono negro, no?”».
• «Il commissario di polizia Arrigo Molinari, che era in servizio quella notte a Sanremo, ha raccontato perché fossero nati sospetti attorno al suicidio di Tenco. ”I giornalisti e i fotografi premevano. Volevano il cadavere”. Ma l’appuntato gli comunicò che il cadavere era già all’obitorio. Allora il commissario Molinari - ”Sì, lo so, sbagliai” - fece riportare il cadavere nella stanza d’albergo. Così Lello Bersani poté riprendere il morto. Solo che il cadavere du messo in terra malamente, ”i piedi restarono incastrati sotto un comò, la pistola puntata dietro l’orecchio”. Di qui i sospetti».
• «Caro Nicola, figlio mio, avvilito com’ero di essere destrimane, fu una gran consolazione che tu almeno fossi mancino. Ora un signor Amar Klar, genetista, crede di aver dimostrato che i destri sono l’82 per cento dei nati, e possiedono un particolare gene. Del restante 18 per cento privo di quel gene, la mano preferita dipenderà equamente dalla sorte: metà mancini, metà no. Il ”Lefthander Magazine” si è congratulato. In effetti, la storia del gene in più vuol dire questo: che noi destrimani siamo condannati ad esser tali. Invece quelli che non hanno quel gene di troppo sono liberi di diventare destri, o sinistri, o ambisinistri. Ecco confermata la superiorità dei mancini. Ciao».
• «Su Aldo Capitini, maestro di non violenza, correva la leggenda che rimandasse fuori dalla finestra le zanzare, però con le buone».
• La frase di una signora che fu detenuta ad Auschwitz: «Mi piaceva svenire».
• un film su Giuseppe Verdi, alle nove di mattina. L’ho visto diciotto volte, a partire dal 1953, e siccome è in bianco e nero, e si vede Verdi che barcolla per la fame sotto una tormenta, e una vecchia caldarrostaia gli regala qualche castagna, lo riguardo sempre. C’è la seguente scena: dopo la prima parigina del Rigoletto, Gioacchino Rossini, che incontra Verdi per la prima volta, dà una festa. Entrano insieme Verdi e Victor Hugo, che non si erano mai visti, e litigano sul libretto. Rossini mette pace, ma lo chiamano di là: c’è Giuseppina Strepponi corsa ad avvertirlo che Gaetano Donizetti, lì vicino, sta molto male. Rossini fa appena in tempo a rientrare che si presenta a Verdi un giovane che vorrebbe veder messa in musica la sua Signora delle Camelie, ed è Alexandre Dumas figlio. Sembra d’essere in cortile all’ora d’aria».
• «Notizia di fonte Pietrostefani, la cui fonte è il n. 85, novembre, della ”Dépeche Internationale des Drogues”; l’uso del Viagra da parte di uomini anziani in Zambia ha assunto proporzioni tali da indurre le donne anziane a chiedere che il governo intervenga a proibirlo. Il Viagra non è autorizzato, ma arriva di contrabbando dal Botswana dove la vendita è stata concessa da giugno alla farmaceutica ”Drugs Regularity Unit”. Il prezzo della pillola è relativamente basso - 30 dollari - ma grava lo stesso sui bilanci familiari. Ma soprattutto, ”poiché i vegliardi rinvogoriti non usano preservativo, si è registrato un incremento nella diffusione dell’Aids fra le nonne, finora immuni».
• «Padre, perdona loro perché non fanno quello che sanno». (Adriano Sofri).
• «Ogni tanto, nelle grandi esposizioni europee, si portavano un po’ di indigeni di vari angoli del mondo, li si travestiva da selvaggi, li si propagandava come cannibali, e la gente pagava il biglietto per vederli e rabbridividire. A Parigi, dove la cosa si era ripetuta coi fuegini, gli africani, i pellerossa eccetera, ancora nel 1931 fu la volta dei kanaki della Nuova Caledonia. Ne ha riferito sull’Unità Gianni Marsili, recensendo un libro di Didier Daeninckx (’Cannibale”, ed. Verdier). Un centinaio di kanaki; al loro paese impiegati del dazio o portalettere, reclutati con la promessa di visitare l’Europa e di esserne retribuiti, furono messi a fabbricare piroghe e a ballare danze tribali a seno nudo, in balia dei loro impresari e del pubblico. Da Parigi furono ”noleggiati” allo zoo di Amburgo (anche questi scambi erano tradizionali) in cambio di alcuni coccodrilli, e anche lì dovettero fare i cannibali. Nella guerra mondiale i kanaki erano stati arruolati ed erano morti in massa sotto le bandiere francesi. Riferisco questa storia perché uno di quei kanaki da esposizione offesi e decisi a conquistare la propria indipendenza da una ”madrepatria” che li trattava così era il nonno di Christian Karembeu, che ora gioca nel Real Madrid, e che ha giocato anche da noi nella Sampdoria, ed è stato campione del mondo nella squadra francese, in cui, a differenza che nell’Italia, tutti cantavano la Marsigliese con la mano sul cuore, tranne Karembeu, che sta zitto. Se vi siete chiesti perché, ora lo sapete. Per suo nonno».
• «Ti ricordi di una sera a Cracovia, quando andammo a visitare la bellissima sinagoga e poi il piccolo cimitero antico ebraico. Ci aprì un custode anziano, aspettò che finissimo la visita e ci chiese se fossimo ebrei. Gli dicemmo di no, e allora volle dire con veemenza: ”Nemmeno io, eh. Sono cattolico”. Poi andammo a visitare, lì vicino, l’ospizio di stato per anziani ebrei. Era la loro ora di cena, ci fermammo alla loro tavola. Uno mi chiese, senza tirare su il viso dal piatto: ”Sei ebreo?”. ”No”, risposi. Stettero zitti per un po’. Poi, sempre senza alzare la testa, quello disse: ”Fai bene a dire di no”.».
• «Da un tuo articolo sul Manifesto ho saputo di un sondaggio Gallup secondo cui i maschi turchi che hanno i baffi, che erano il 77 per cento nel 1983, sono ora meno del 63 per cento, e continuano a diminuire. Ho saputo anche che secondo un’inchiesta del Wall Street Journal i baffi distinguono nella Turchia d’oggi la sinistra (cespugliosi), la destra (curvati verso il mento), gli islamici sunniti (tosati) e alevi (arricciati fin dentro la bocca). (Adriano Sofri)
• «Gentile David Dalby, leggo che nel suo rapporto all’Unesco lei sostiene che le lingue vive nel mondo sono almeno diecimila, e che quelle a rischio di estinzione sono poche, molte meno che non si creda. Autorevoli studiosi hanno convinzioni molto più pessimistiche delle sue. Spero che lei non si sbagli. Il suo rapporto spiega che la lingua più parlata è il cinese, e la meno parlata è il Bikya: non so neanche se si possa dire parlata, dato che a conoscerla è solo una signora di 87 anni, che vive a Fukuawa, alla frontiera fra Camerun e Nigeria. Mi dispiace non aver trovato, nei resoconti, il nome di questa signora, la cui morte personale coinciderà con l’estinzione di una lingua. Forse, all’inizio, tutte le lingue erano personali, e avevano una parola diversa per ogni cosa diversa: una mappa verbale del mondo su scala uno a uno. Poi si sono semplificate, e ordinate alla reciproca comunicazione. Ora già mezzo miliardo di persone parla inglese, e fra poco tutti avranno il loro pidgin di scambio. Certe sere, ci sentiremo tutti come una vecchia signora di Fuku-awa, titolari unici e incompresi di una lingua preziosa, e molto stanchi».
• «Nell’ultima puntata di Superquark c’era un servizio travolgente sulle aquile. Ho una passione per loro e anche una certa dimestichezza con le aquile di mare. Conosco bene il modo in cui queste maestose creature, coi loro due metri e mezzo d’apertura d’ali, fanno finta di niente le quattro volte su cinque in cui si tuffano senza acchiappare nulla. Ma non avevo mai visto uno spettacolo simile, culminato nelle riprese strette sul girotondo della coppia di aquile che si afferrano per gli artigli, e poi si gettano a vite. La scena più emozionante riprendeva un’aquila di reale (sui monti Tatra?) che artiglia una testuggine, la solleva in alto, e la lascia cadere sulle rocce, per spaccarne il carapace e mangiarla. Mentre la testuggine precipita, l’aquila l’accompagna in picchiata, come per starle addosso, e poi si avventa a riafferrarla dopo che è rimbalzata sulla pietra. L’etologo Mainardi ha spiegato che si conosce bene il ricorso dei gabbiani e altri uccelli a questo modo di spaccare i gusci di frutti di mare lasciandoli cadere dall’alto sugli scogli, ma che non si conoscono usi analoghi per le aquile. Mi sono ricordato del più bel precedente: la morte di Eschilo. Un’aquila reale scambiò la testa calva per un sasso, e le fece cader sopra la tartaruga che teneva fra gli artigli. I sapienti antichi avevano già visto tutto».
• «Nella regione russa del basso Volga succede qualcosa di fenomenale alla città di Tsaritsin o Carycin. La quale sorse nel XVI secolo attorno a una fortezza cosacca, da cui prese il nome (Sori Chin, ”sale giallo”), piegato poi, se non sbaglio, a significare ”città della zarina”. Nel 1925, in memoria della vittoria bolscevica contro i bianchi, fu ribattezzata Stalingrad e nel 1943 fu teatro dell’assedio e della disfatta nazista. Nel 1961 fu ribattezzata Volgograd. Nel 1992 fu ribattezzata Tsaritsin. Nel 1998, cioè l’altro giorno, i nazionalfascisti del partito di Zhirinovskij hanno proposto di ribattezzarla Stalingrad, incontrando l’entusiastica approvazione della locale deputata comunista. 24 consiglieri su 25 (vorrei sapere qualcosa del venticinquesimo) hanno votato per il ripristino di Stalingrad. L’unica preoccupazione è il costo del cambiamento, segnaletica, mappe eccetera. Ma può diventare un affare: come con le targhe automobilistiche da noi».
• già aria di Natale. I telegiornali intervistano i bottegai, che promettono di essere più buoni coi prezzi. Neonati vengono deposti dappertutto. Ieri mattina ho visto un servizio di SkyNews dalla nursery dello’spedale di Kaliningrad. C’era la fila di culle e ventidue neonati., e la voce della responsabile che spiegava: ”Uno su tre diventerà criminale; due su tre alcolizzato; uno su dieci si suiciderà», eccetera. E’ bella questa precisione preventiva. Dopo tutto Kaliningrad era Königsberg, dove si regolavano gli orologi sulla passeggiata di Immanuel Kant. E poi c’è il signore tedesco che morì a Natale, cinque anni fa, e restò in poltrona davanti alla televisione - il nostro presepio. L’hanno trovato adesso solo perché stava per scadere l’accordo con la banca per le bollette della luce. Quando l’hanno trovato, le lucine del suo albero di Natale continuavano ad accendersi e spegnersi, accendersi e spegnersi».
• «Ieri, quando fuori pioveva, ho guardato un documentario americano sulla meterologia e i fulmini. Era terrificantemente pieno di cifre e statistiche. In ogni momento sono in corso sulla terra 44 mila temporali. Ogni secondo cadono sulla terra cento fulmini. In un anno cadono sugli Usa 40 milioni di fulmini». Adriano Sofri Piccola posta Sellerio
• «Nello Swaziland c’è la pena di morte, ma le esecuzioni sono sospese dal 1983, quando andò in pensione il boia, che lavora in comune col Botswana e il Lesotho. I ministri del re Mswati III non riescono a risolvere il problema, perché non si trovano candidati locali, e difficoltà di bilancio impongono un’assunzione part-time. Sono otto i condannati che aspettano da anni di essere impiccati. Alla fine è stato indetto un concorso internazionale. Sono arrivati curriculum da molti paesi. da Los Angeles, John Knoxville ha accompagnato la propria candidatura con attestazioni firmate sul suo possesso di ”una vasta gamma di tendenze psicopatiche”». Adriano Sofri Piccola posta Sellerio
• «Paternalista fin da piccolo, mi accorgo spesso di dire ai giovani codetenuti: ”Potrei essere tuo padre...”. In realtà potrei essere molto di più. Il mio primogenito ha compiuto trentaquattro anni. Gli ho detto: ”Dunque, fammi ricordare che cosa facevo io quando avevo trantaquattro anni». «Avevate sciolto Lotta continua» mi ha risposto subito. Dove averci già pensato».
• «L’altro giorno sono stato travolto dall’intervista a una signora anziana e trafelata nel corteo milanese della Lega: ”Prima di tutto, prendergli le impronte digitali!”. Siamo tutti in posa, con le nostre facce e le nostre frasi, per un album memorabile su com’era l’Italia prima della scoperta dell’America» (Adriano Sofri).
• «Nel reportage sulla pena di morte negli Usa condotto da Ranieri Polese per il Corriere della Sera questi dati (fonte: il Death Penalty Center di Washington). Con gli stessi capi d’accusa, i neri hanno il 38 per cento di probabilità in più dei bianchi di finire nel braccio della morte. Dei 1842 giudici che trattano processi nei quali è prevista la pena capitale, il 97,5 per cento sono bianchi; afroamericani e ispanici sono in tutto il 44».