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 1999  giugno 28 Lunedì calendario

Sembra di essere tornati al ’92: Amato in nome della sinistra promette lacrime e sangue

• Sembra di essere tornati al ’92: Amato in nome della sinistra promette lacrime e sangue... « vero, si evoca questa immagine da ”Ritorno di Sartana”, nelle vesti del topolino cattivo con i deboli» (Giuliano Amato a Massimo Giannini).
• Padri contro figli. Alessandro Penati: «Il classico circolo vizioso. La spesa previdenziale è eccessiva. Non volendo toccare i diritti di chi è già in pensione, non rimane che tagliare i benefici di chi ci andrà in futuro. Questi ultimi devono risparmiare di più per mantenere un tenore di vita ragionevole da anziani. Ma per loro, soprattutto per i più giovani, non è facile visto che sono già costretti ad accantonare più del 40 per cento dello stipendio in contributi sociali e Tfr (non è un caso che solo il 9 per cento degli aderenti ai nuovi fondi pensione abbia meno di trent’anni, pur rappresentando un quarto dei lavoratori dipendenti). Per favorire i lavoratori giovani bisognerebbe ridurre i contributi. Ma non potendo aumentare le altre imposte, o il disavanzo pubblico, non rimane che tagliare la spesa pubblica, che è prevalentemente previdenziale. E si ricomincia; tutelando i padri contro i figli, per dirla con Giuliano Amato».
• Sui giovani si è scaricata tutta la possibile flessibilità. Giuliano Cazzola: «Ormai il mercato del lavoro è fatto da due parti: una, sempre più piccola, che ha difeso come ha potuto le vecchie garanzie; e un’altra, sempre crescente, che in realtà delle vecchie garanzie non sa nulla. Detto questo, la cosa singolare è che l’occupazione cresce soltanto in questo secondo mercato del lavoro [...] L’ipocrisia dei protagonisti del primo mercato è questa, non considerano che senza il secondo mercato l’economia si ingesserebbe. Quindi chi pensa di estendere i diritti del primo al secondo, è un ipocrita, perché sa benissimo che non è possibile».
• In Italia si spende più per le pensioni di anzianità che per l’istruzione. Non è uno scandalo? Marco Bentivogli, sindacalista della Fim-Cisl: «Sottoscrivo. Per questo dico che il sindacato deve coinvolgere i giovani. Ma non per tagliare le pensioni ai poveri cristi [...] Bisogna dire tutta la verità, i giovani devono sapere che vanno incontro a pensioni più magre: per avere il 58 per cento dell’ultima retribuzione bisognerà lavorare 40 anni, che sono una cifra mostruosa in un mercato del lavoro che tenderà sempre di più ad assumere a termine. [...] Si dovrebbe parlare anche di alcuni regimi pensionistici privati come quello dei dipendenti della Banca d’Italia, dei dirigenti della Rai, dei giornalisti».
• La verità è che si è prodotta una formula moderna di schiavismo, in cui chi è dentro sfrutta la cittadinanza inferiore di chi è fuori. Diceva Nicola Rossi che in fondo le pensioni mantengono sì gli adulti, cioè i padri, ma anche i giovani che restano a casa. « vero, però è una cosa innaturale. Era meglio negli Anni ’50, quando molti padri non erano in condizione di proteggere i figli che si arrangiavano di più. Ho trovato ridicolo che nelle settimane scorse si siano versati fiumi di lacrime a pensare a 80, 90 mila meridionali che sono andati a lavorare al Nord. una cosa normale: se non c’è lavoro da una parte si va a cercare dove c’è» (Giuliano Cazzola).
• «Il sistema pensionistico rappresenta la proiezione nel presente di una società del lavoro che non esiste più. la luce di una stella spenta che non arriva sino a noi. Noi oggi consolidiamo nella pensione i diritti degli anni ’70 e ’60, cioè di un modello lavorativo che è un modello che è cambiato» (Giuliano Cazzola).
• «Dal ’92 ad oggi siamo già intervenuti 4 o 5 volte sulle pensioni. Non lo ha fatto nemmeno il Cile» (Marco Bentivogli).
• Sergio Cofferati. «La spesa sociale italiana è già bassa: in Europa solo la Grecia è a livelli inferiori. L’accordo prevede che la spesa viaggi su un un binario parallelo alla crescita del pil. Qui invece i rapporti non sono più rispettati: l’uno sale, l’altra scende. Così finiamo pure dietro la Grecia».
• Sergio D’Antoni. «Non c’è alcun collegamento tra il sistema previdenziale e lo sviluppo. Non esiste economista che possa dimostrare questo legame. Il problema è quello dell’equililibrio della previdenza che deve essere mantenuto. Soltanto una motivazione politica può giustificare questo cambiamento dell’agenda».
• D’Alema vuole andare a riprendersi i voti della Bonino. L’iniziativa del governo sui conti della previdenza sarebbe dovuta al cattivo andamento delle elezioni per i partiti di governo. «La decisione di rompere i vecchi schemi deriva non solo dallo shock prodotto dalla enorme quantità di voti, soprattutto di giovani, intercettata dai radicali, ma anche dal cattivo risultato elettorale di Bertinotti che attenua il timore di emorragie di voti a sinistra».
• La natura del conflitto è soltanto politica. «Basti pensare che l’effetto finanziario degli interventi proposti dal Governo sulle pensioni dei lavoratori dipendenti non supererebbe in realtà i 1500 miliardi. In termini assoluti, ben poca cosa nel complesso di una manovra economica valutata, tra tagli effettivi e aggiustamenti contabili nelle voci del bilancio pubblico, in 16 mila miliardi più 4-5 mila miliardi di alleggerimenti di imposte».
• La riforma delle pensioni o si fa subito o è un’illusione immaginarla alla vigilia delle elezioni politiche del 2001. «Ma è vero anche che solo pochi mesi fa il governo aveva tranquillizzato i sindacati al riguardo. Adesso il governo in una situazione politica inquieta sembra sentire il bisogno di un ”punto di raccolta”».
• Concertazione. «L’ultima riforma delle pensioni, ad esempio, fu concertata a due, col parere contrario della Confindustria. E anche ora se si andasse, ci si perdoni l’ipotesi un po’ paradossale, ad un accordo con Confindustria e Cisl e Uil, non sarebbe forse, in qualche modo, concertazione? Uno schema del genere fu all’origine, guarda caso, proprio nel 1992, dell’intesa col governo Amato che seppellì la scala mobile. Ma tutto è cambiato da allora».
• Onorato Castellino: «La pensione di anzianità è la principale anomalia sopravvissuta alla lunga stagione delle riforme previdenziali. Permettere il pensionamento poco oltre i cinquant’anni apparve a suo tempo una grande conquista sociale, capace di offrire il meritato riposo ai padri logorati dalla catena di montaggio e insieme di liberare un posto di lavoro per i figli [...] Ma l’istituto venne esteso a tutti i lavoratori, e quindi, in misura via via prevalente, all’impiegato pubblico e privato, al dirigente, al lavoratore autonomo. E poi il pensionato che lascia ancora giovane l’occupazione ufficiale spesso riprende a svolgere un’altra attività. La penalizzazione e i divieti frapposti a questo rientro si sono rivelati illiberali, inefficaci e addirittura controproducenti. Ogni ostacolo al lavoro è contrario al comune sentire; il suo aggiramento è agevole e conveniente ad ambedue le parti interessate, i padri che, usciti dalla porta, rientrano dalla finestra non soltanto non lasciano il posto ai figli, ma per di più muovono loro, sia pure involontariamente, una concorrenza sleale».
• Abbassare gli importi delle pensioni in funzione dell’età. «Le riforme hanno intaccato troppo timidamente l’istituto della pensione di anzianità, limitandosi a spostare alcuni paletti (qualche anno in più di età o di contribuzione, qualche ”finestra” capricciosamente aperta o richiusa). Non si è avuto il coraggio di adottare l’unica misura risolutiva: mantenere le pensioni di anzianità, ma abbassarne tanto più l’importo quanto più giovane fosse il pensionando. Che si doveva poi lasciare libero di riprendere un’attività senza penalizzazioni» (Onorato Castellino).
•  ipotizzabile che il governo proponga una riforma dello Stato Sociale senza il concorso del sindacato? «Solo se D’Alema diventa pazzo. I miei compagni di banco in parlamento strapperebbero la tessera. I Ds non si possono permettere di rompere con il sindacato. Le organizzazioni storiche dei lavoratori sono la base dell’affermazione politica della sinistra e, in caso di rottura, saremmo trascinati a fondo» (Michele Salvati a Rinaldo Gianola).
• Il governo dialoga con i sindacati ma i sindacati non hanno nulla a che spartire coi giovani. «Il risultato è che gli interessi dei giovani non sono filtrati da quel soggetto sociale che è giudicato rappresentativo dal governo» (Giuliano Cazzola).
• La società civile italiana si sta spaccando sulla visione del futuro che l’aspetta. «Chi pensa al destino dei figli, chi sembra voler difendere ostinatamente gli interessi dei padri».
• Massimo Paci, presidente dell’Inps. «L’allarmismo è sbagliato. E lo dimostro con le cifre. Secondo il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, nel ’98 l’intero deficit pensionistico è stato di circa 30 mila miliardi. Ebbene, 20 mila miliardi derivano dai dipendenti pubblici che sono 3 milioni e mezzo circa. Meno di 10 mila miliardi di passivo sono dovuti ai 16 milioni di dipendenti privati e lavoratori autonomi raggruppati nell’Inps [...] Metto in evidenza un metodo di intervento sbagliato: è assurdo parlare ogni anno di riforma epocale delle pensioni perché la riforma vera, quella con la quale l’Italia ha messo al sicuro il proprio futuro, meglio di Francia e Germania, è stata fatta nel ’95 col passaggio al contributivo». Quali aggiustamenti ritiene giustificati? «Vanno eliminati gli ultimi previlegi rimasti. Perché un impiegato pubblico può andare a riposo prima di un impiegato privato? Nell’Inps poi, abbiamo alcuni fondi speciali come quello degli elettrici o del volo, che hanno conti particolarmente brutti o trattamenti da armonizzare».
• Giuliano Amato: «Mi ribello al fatto che una sinistra che voglia radicarsi sempre di più in una società che cambia non si pone il problema di dar voce a coloro che finora sono rimasti esclusi, cioè proprio i giovani. Considero buona la storia della sinistra che ha lavorato per gli esclusi. stata cattiva quando ha lavorato per sé, chiunque fosse quel sé».
• Michele Salvati: «La fase di sviluppo Keynesiano-welfaristico ci ha lasciato un sistema di distribuzione non più sostenibile, certi vantaggi non sono più tollerabili. Tocca alla sinistra dimostrare che ha la capacità di intervenire, ripeto, a favore di chi sta peggio, proprio perché siamo di sinistra, anche su questi temi. Prima che ci pensi, a modo suo, una destra trionfante».
• Nichi Vendola: «La colpevolizzazione del nonno e della nonna, l’uso strumentale della vita precaria dei nipoti, ma anche l’oblio sulla condizione delle età di mezzo (chi si occupa dei disoccupati cinquantenni): qui siamo alla ”summa teologica” di una devastante regressione culturale. La lotta anagrafica soppianta la vecchia cara lotta di classe: e il dibattito vola alto nei cieli della mistificazione ideologica prima di precipitare nella terra amara delle vecchie e nuove povertà».
• Toccare le pensioni, in un paese dove il numero degli ”aventi diritto” ha superato quello dei lavoratori in attività che versano i contributi, è un’operazione politico sociale da far tremare i polsi a chiunque. «Tanto più che le potentissime Confederazioni sindacali (in cui i tesserati pensionati sono ormai maggioritari), vi si oppongono. [...] Il taglio delle pensioni è il prezzo da pagare per restare in Europa. [...] Conclamata l’ineludibilità della manovra (peraltro negata, spergiurando, fino alla vigilia delle elezioni europee; peccato non certo veniale per la credibilità del governo), resta da stabilire dove e in che misura calerà la scure. Con abile mossa si cerca di circoscrivere l’area di iniziale intervento: pensioni di anzianità (da elevare subito a 57 anni o con 40 di contributi), lavoratori autonomi (commercianti e artigiani). Trovando qualche disponibilità poiché, in cambio, l’artigiano e il commerciante potrebbero continuare a lavorare pur incassando la pensione. Cosa che d’altronde già avviene , ”in nero”».
• Michele Salvati: «Una semplice difesa dei diritti sociali, della sicurezza occupazionale, dei diritti al lavoro e nel lavoro, che l’era di Keynes-Beveridge ci ha consegnato è semplicemente impossibile: chi si attarda in questa difesa difende una platea sempre più ristretta della popolazione e lascia fuori una massa di esclusi sempre più grande: disoccupati, malamente occupati e, nei Paesi meno civili, una grande massa di lavoratori sommersi. Ostacola l’occupazione invece di favorirla. Accresce le disuguaglianze invece di ridurle».