Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
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• Yiddish. un ebraico infarcito di vari vocaboli stranieri (tedeschi e russi soprattutto). Lo parlavano gli ebrei dell’Europa orientale (prima della Shoà, la comunità di gran lunga più numerosa). Oggi pochi ebrei vivono in Europa orientale e lo yiddish sopravvive in Israele e negli Stati Uniti, mete privilegiate d’immigrazione.
• Yinglish. Inglese contaminato dal yiddish, usato soprattutto dagli ebrei americani.
• Alrìghtnik. Esempio di yinglish è l’insulto ”alrìghtnik”. Si forma usando ”alright” più ”nik” (suffisso che dà un tono dispregiativo alla parola cui viene aggiunto). Gli alrìghtnik sono i parvenu che mancano di modestia e sensibilità. Parlano ad alta voce, si vestono in modo pacchiano, ostentano la loro ricchezza.
• Alef. Il primo giorno di scuola, il maestro mostrava al bambino l’alfabeto scritto su un grande cartello. Prima che il piccolo scandisse la lettera àlef (a) gli si adagiava sulla lingua una goccia di miele.
’Che gusto ha?” domandava il maestro.
’E’ dolce”, rispondeva il bambino.
’Lo studio della Santa Legge, vedrai, è assai più dolce”.
• Faccia tosta. La parola ”chùtpza” proviene da una radice ebraica che indica insolenza. La definizione canonica è la seguente: ”chùtpza” è per esempio chi, dopo aver ucciso i genitori, fa appello alla clemenza della corte: «Abbiate pietà di me, sono un povero orfano».
• Altro esempio di faccia tosta. Aneddoto vedovile statunitense: in seguito a un fatale attacco di cuore, il vecchio Isadore Litvak lasciò questo mondo. La sua polizza sulla vita fruttò diecimila dollari. L’inconsolabile alomà (vedova) piangeva così: «Proprio adesso che il Signore ha deciso di farci cascare una tale fortuna fra capo e collo, lui mi va a morire».
• Cose serie. Le cose serie si dicono ridendo: è uno dei più consolidati comandamenti laici del popolo d’Israele.
• La balebùste. La perfetta donna di casa è la cosiddetta ”balebùste” (dall’ebraico ”baal ha-bàyit”: padrona di casa).
• Cholèria. Un’inetta, un impiastro, o anche un’arpia, viene invece chiamata ”cholèria”. Il termine non è ebraico, proviene dal latino: probabilmente ha attinenza col colera. Insomma, una peste di donna.
• Bar mitzvà. Cerimonia che celebra il passaggio del ragazzo all’età adulta e lo consegna ai doveri della maturità con dono di soldi da parte dei parenti e altre ritualità attualizzate. Resa celebre in molte commedie americane (vedi Allen, Christal, Lewis) è relativamente recente: non ve ne sono tracce sino al XIV secolo mentre molti la ritengono antichissima.
• I carabinieri yiddish. Chelm è il nome di una leggendaria cittadina popolata di imbecilli, allocchi, mammalucchi. Cioè, i suoi abitanti hanno nelle storielle ebraiche il ruolo che i carabinieri hanno in quelle italiane. Per quanto designi un luogo mitico questo nome è portato anche da una paese in carne e ossa, situato a una sessantina di chilometri da Lublino, in Polonia. Non si sa perché abbia acquisito una tale cattiva fama, peraltro molto consolidata nel folklore ebraico.
• Una tipica storiella in stile Chelm. Un contadino prende a bordo del suo carretto un povero ambulante ebreo che arranca lungo la strada col suo fardello sulle spalle. L’ebreo si siede accanto al contadino, ma tiene addosso a sé il carico.
Passa un po’ di tempo e il contadino gli domanda: ”Scusi, perché non posa il suo fagotto?”.
’Il vostro cavallo è stato così gentile a prendermi su” risponde pronto il mercante... ”che mi dispiacerebbe caricargli sulla groppa anche il mio bagaglio”.
• Complimenti. ”Edel” viene dal tedesco e significa nobile, raffinato, modesto, timido, tenero, ritroso, umile: insomma è un complimento di primissimo ordine in yiddish laddove il cafone, chi ostenta, l’immodesto è invece l’essere peggiore.
• Armonia eufonica. ”Gli ho mollato un frask in pisk”: gli ho mollato un ceffone sul muso.
• Le tribù di Israele. Gli ebrei sono tutti ebrei ma anche, in qualche modo ”razzisti” tra di loro. Per esempio, gli ebrei galiziani e quelli lituani si guardano in cagnesco, convinti ognuno della propria indiscutibile superiorità (un matrimonio misto era sentito come un oltraggio dal quale non poteva venir fuori nulla di buono). Gli ebrei polacchi a loro volta guardano dall’alto in basso sia i primi che i secondi. Gli ebrei tedeschi ostentano disprezzo verso tutti gli altri e così via.
• Nu 1. «Nu» si può considerare senza tema di smentita la parola più usata in lingua yiddish parlata. Riprende il russo ”nu” (in russo significa ”su!” ”via!” ”non può essere!”, ”bene” eccetera) ma è ancora più usata che in russo.
• Nu 2. Al di là del suo significato letterale, ”nu” è il trionfo della versatilità espressiva dello yiddish. A seconda del tono in cui viene pronunciata e espressione della faccia di chi la pronuncia, questa parola esprime divertimento, consapevolezza, dubbio, disapprovazione. Può voler dire tutto e niente. Come in russo.
• La comare. La vicina immancabilmente pettegola è detta dispregiativamente (in yinglish, anglo-yiddish) ”nexdoorkeh”. Da ”next door” (porta accanto).
• Circoncisione. La circoncisione ha ragioni anche igieniche: consiste nell’asportazione, cioè nel taglio netto, del prepuzio, la prima parte di pelle che copre il glande. Consente a quest’ultimo di ”respirare”, scoperto, ed evita il formarsi di sporco.
• Sangue in sinagoga. Oggi la circoncisione è praticata dai chirurghi, ma ciò nulla toglie al ruolo storico del mohèl, lo specialista in questo campo. Il mohèl dispone infatti, oltre che della tradizione, di una competenza fatta di lunghi studi preparatori e di una strumentazione adeguata. Usa di norma un bisturi a doppio taglio. Gli ebrei orientali solevano svolgere la circoncisione in sinagoga.
• Come i cavoli a merenda. ”In mit derìnnen” significa letteralmente ”nel bel mezzo di”, ma il senso diffuso è ”c’entra come i cavoli a merenda”, ovvero ”è fuori luogo”. Esempio: ”Stavamo parlando del più e del meno quando in mit derìnnen si è messo a criticare il presidente”.
• Crucchi 1. ”Yèkke”, termine di origine ignota, non se conosce l’etimologia, è l’epiteto per i tedeschi. Pur essendo di origine e di significato ignoto si sa benissimo che è una specie di insulto. Chiamare yèkke un tedesco è come in italiano chiamarlo ”crucco”.
• Crucchi 2. A loro volta, gli ebrei provenienti da Germania e Austria, in Israele vengono chiamati ”yèkke”, insomma dei mezzi crucchi anche loro.
• Shìksa. Dall’ebraico shèquez: ”cosa riprovevole”. E’ la donna non ebrea.
• Yiddish, lezioni semiserie: ovvero le voci della lingua parlata dagli ebrei dell’Europa orientale raccontate alla loro maniera: con storielle, battute, divagazioni divertenti. Attraverso i vocaboli di questa parlata franca e transnazionale (che ha dato anche alla letteratura mondiale grandi romanzi come ”Ombre sull’Hudson” di Singer) il lettore è invitato a varcare la soglia del ghetto.
Leo Rosten nasce nel 1908 a Lodz in Polonia che lascia bambino per emigrare negli Stati Uniti. Studia all’università di Chicago e anche alla London School of Economics. Oltre a scrivere di cose ebraiche, è stato consulente del governo americano per questioni internazionali. Sua la celebre figura letteraria di Hyman Kaplan, immigrato ebreo alle prese con il Nuovo Mondo, ritratto in un saggio umoristico e in un musical di successo.