Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Dario Fo. Manuale minimo dellíattore

• Agli inizi del Cinquecento le donne non potevano recitare. «Fino ad allora le donne comiche le si poteva incontrare solo in qualche taverna nel doppio ruolo di giullaressa e prostituta. Sul palcoscenico, fino ad allora, i ruoli femminili erano recitati da ragazzi, i famosi ”marioli”. Pochi sanno che il termine ”mariolo” o mariuolo che oggi significa ragazzo scaltro o ladruncolo all’origine aveva il significato di giovane menitore, truffaldino, in quanto si alludeva ai ragazzi che nelle rappresentazioni sacre vestivano i panni delle Marie e quindi si ammantavano di candore e purezza che spesso non possedevano». Ne La Venexiana un prologo avverte che la scena in cui si vede la protagonista abbracciarsi e baciarsi con la sua serva - nell’illusione di un rapporto d’amore col suo innamorato - è recitata da due maschi: dunque, non c’è da scandalizzarsi! Ma le suore di un convento bretone del Quattrocento allestivano commedie morali a metà fra il comico e il tragico scritte dalla loro badessa. «Quando si dovevano interpretare ruoli di giovani e uomini maturi, con grande spasso delle novizie e delle suore spettatrici, si sceglievano suore adatte al ruolo che rivestivano i panni del maschio».
• «Cont-Kuck-Cteé, la mitica lotta coreana che termina immancabilmente con la sodomizzazione obbligatoria del contendente battuto».
• Brecht su Shakespeare: «Peccato che sia bello anche alla lettura. Questo è il suo unico, grande difetto».
• «Nei tempi antichi il numero degli attori professionisti era limitatissimo. Per la maggior parte si trattava di dilettanti, gente non pagata o gente che faceva il mestiere dell’attore di professione saltuariamente. Si sa che La Mandragola di Machiavelli o Il candelaio di Giordano Bruno non furono mai recitate da professionisti ma esclusivamente da dilettanti. Lo stesso Machiavelli si dice recitasse di persona nella Clizia. La compagnia di Shakespeare era composta in gran parte di dilettanti che non ricevevano uno stipendio fisso ma un una tantum più qualche compenso quando capitava di recitare in una festa di signori. «Per di più a differenza di quello che succede oggi per una commedia di successo, non si raggiungevano che raramente i trenta giorni di replica... e non di seguito, magari in due o tre anni. Già uno spettacolo che riuscisse a stare in piedi per una settimana era da ritenersi un trionfo. L’Amleto non ebbe più di venti repliche, Re Lear ancora meno, Misura per misura solo cinque. Anche per i professionisti di successo non c’era tanto da scialacquare. Flaminio Scala teneva un negozietto di profumi a Venezia, altri vendevano stoffe pregiate, c’era chi si esibiva come cantore ai matrimoni e chi allestiva coreografie per i banchetti dei signori accompagnando con danze e canti l’ingresso di ogni portata. Ruzante stesso recitò un sacco di volte durante banchetti di nozze di ricchi borghesi, e con lui il Cherea, il Francatrippa e altri. «Le paghe erano in parte in natura - tagli di stoffa, pezzi d’argenteria - e parte in denaro, ma si trattava sempre di cifre modiche. I più fortunati erano gli attori della compagnia del principe o del duca, che ricevevano uno stipendio dignitoso e quasi fisso» (caso Molière).
• «Le donne per natura non posseggono la cosiddetta voce d’addome. Anzi, sfuggono per istinto dall’impiegarla. proprio la natura che si preoccupa in anticipo di proteggere l’eventuale figlio che si collocherà nel ventre. Premendo sul plesso e tendendo i muscoli addominali, si rischia immancabilmente di procurare disturbo al bambino. Perciò la natura ha già spostato l’apparato vocale più in alto. questa la ragione principale per cui le donne parlano preferibilmente di testa e di maschera rispetto agli uomini che tendenzialmente parlano d’addome».
• In tutto il teatro greco gli attori recitanti non erano mai più di tre. Questi tre interpretavano tutti i ruoli, ma con questo sistema: che l’attore principale faceva la parte principale di ogni scena, lasciando agli altri due il ruolo di spalla. Dunque lo stesso attore poteva fare Fedra nella scena in cui Fedra aveva la tirata più importante e Ippolito in un’altra in cui Ippolito contava di più (e la maschera di Fedra passava a uno dei due attori di spalla o deuteragonisti). «Quindi difficilmente si trova nella tragedia greca un conflitto con valori paritetici di dialogo. Il personaggio in opposizione non sparerà subito i suoi colpi, la sua replica appassionata verrà data solo nella prossima scena, cioè quando il protagonista avrà avuto il tempo e il modo di travestirsi [...] inoltre lungo il palcoscenico venivano tracciate delle righe oltre le quali ad ogni attore che non fosse il protagonista era assolutamente proibito passare». Il deuteragonista doveva stare a tre metri dalla ribalta, il tritagonista a sei metri, gli attori-manichino ancora più indietro. Il protagonista invece poteva anche volare sul pubblico tramite carrelli scorrevoli. Paga del protagonista: un talento, somma con cui quindici persone avrebbero campato per un anno. Domanda: l’attore che faceva la parte di donna, tentava di far la voce di donna? No, perché l’attore era un narratore e identificarsi nei personaggi era considerato volgare. Solone si indignò quando udì Tespi che imitava con straordinaria abilità le voci maschili e femminili: quello non è un attore (Ithopios), ma un truffatore (Ipocrites). Ithopios = colui che è in grado di cambiare la morale degli uomini.
• L’Arlecchino di Tristano Martinelli (1556-1630) nel bel mezzo del dialogo d’amore tra il cavaliere e la sua dama, si calava le braghe e iniziava a defecare tranquillo e beato sul proscenio.
• «Negli spettacoli di clown c’è sempre un clown dalla grande parlantina che assale con una mitragliata di parole il pubblico e gli altri clown, e ce n’è uno quasi muto che ascolta, annuisce appena, dissente con molto garbo, si guarda intorno sperduto, stupefatto per ogni cosa, anche la più normale. Il primo è lo speaker o clown bianco, il Louis, l’altro è l’Auguste. A differenza di quello che può sembrare, l’attore principale è quello che non parla; il Louis è solo la spalla».
• Il Deus ex machina o lieto fine: «Il pubblico ha bisogno che la speranza inondi la miseria dell’uomo, come la piena di primavera che i campi feconda».
• «Pirandello non recitava di persona, ma viveva in simbiosi con gli attori. Pur di allestire le sue commedie, si trasformava in capocomico; la prima attrice della compagnia era spesso la sua donna. Nel teatro impegnava tutto, anche gli ultimi soldi. Non era uno di quelli che passano con il copione sotto il braccio a proporre i propri lavori direttamente all’impresario. Lui se le fabbricava lì le sue commedie, nei camerini, scrivendo e riscrivendo durante le prove, fino all’ultimo minuto prima del debutto. famosa una sua lite con la Borboni, proprio perché ’sto pazzo pretendeva che lei s’imparasse una nuova tirata di tre pagine sottofinale la sera stessa dell’andata in scena. I vecchi attori raccontano che anche dopo la prima Pirandello tornava a ripensarci, a riscrivere e a proporre cambiamenti, fino all’ultimo giorno di repliche».
• Fo, andato a trovare Carmelo Bene in camerino a Parigi nell’intervallo del Macbeth, vide uno stuolo di bottiglie di birra vuote, sistemate in file di tre. Bene: «Questa è la mia reazione quotidiana». Fo: «Aveva recitato tutto il primo tempo con una veemenza incredibile, e nella seconda parte saltò come un capretto, digrignò, andò di falsetto, sbrodolò parole a grande velocità, il tutto mantenendo un tempo e una coordinazione straordinari». Altro che ebe come una spugna e poi non perde colpi: Peter O’ Toole.
• Fo consiglia gli attori di dire prima le battute in dialetto, in modo da dar loro il senso giusto (e da ”buttarle via” nel modo giusto). Mostra poi come la presenza del dialetto sotto la lingua risulti essenziale: Dante, Pirandello, Manzoni che tradotto in lombardo funziona perfettamente («Pochi sanno che l’autore de I Promessi sposi parlava raramente l’italiano. Normalmente si esprimeva in dialetto, come in quel tempo tutta l’aristocrazia milanese del resto. In casa parlava spesso in francese e in francese svolgeva la corrispondenza. Ed è evidente che, quando componeva racconti o romanzi, strutturava il linguaggio partendo dal proprio naturale, cioè il dialetto milanese. [...] Vi assicuro che, se Manzoni avesse scritto direttamente in milanese come pensava, oggi sarebbe un romanziere universale... invece di ritrovarsi com’è, relegato nell’ambito ristretto del nostro paese».
• La camminata sul posto, inventata da Etienne Decroux: «Faccio slittare il piede sinistro mentre appoggio tacco e punta alternate del destro... scivolo col destro: tacco e punta col sinistro a basculla, e così via di seguito. un passo molto complesso...».
• «Il vero applicato all’immaginato è falso. Per ottenere un effetto credibile, bisogna manipolare la realtà. Il teatro è finzione della realtà, non imitazione» (Fo).
• I gradoni dei teatri greci erano in realtà ricoperti di legno. Il legno teneva più caldo, particolare importante se si considera che la stagione durava da dicembre al massimo fino al 24 marzo. Per scaldarsi sotto il sedere un vaso riempito di brace ardente, piedi poggiati su un mattone caldo. Le gradinate erano protette da cipressi che smorzavano il vento. Il palcoscenico era fatto a pezzi e ogni pezzo scorreva su piccole ruote montate su binari. Gli spettacoli si svolgevano il pomeriggio, quando il palcoscenico era in ombra. La scena era illuminata con specchi che riflettevano la luce del sole dal basso verso l’alto (anche due specchi che si rimandavano la luce l’un l’altro) in modo da ingrandire i personaggi.
• Accessori degli attori antichi: il coturno, un calzare con una suola di trenta centimetri (come si vede in una pittura pompeiana). Per mascherare questa specie di trampolo si adoperava una tunica che scendeva fino a terra. Le spalle venivano poi allargate di almeno venti centimetri con un’imbottitura molto spessa ed erano anche rialzate. Si ricorreva a questi ingigantimenti quando si interpretava la parte di un dio o di un eroe tipo Ercole. «In questo caso la testa cominciava dalla fronte dell’attore, cioè la maschera gli veniva posata sul capo come un grande cappello; la bocca dell’attore si ritrovava dentro il collo della maschera, e parlava attraverso dei velati. C’era un altro trucco: sollevando il corpo, le braccia che spuntavano dalla clamide o dalla toga apparivano corte, goffe; e bisognava che raggiungessero una misura credibile. Allora l’attore teneva in pugno i polsi di mani finte con lo snodo, simili a quelle dei manichini da pittore o delle marionette [...] Con questi accorgimenti l’attore riusciva a ingigantirsi fino a due metri e mezzo. E non bisogna dimenticare che la statura di un uomo o di una donna greci a quel tempo era inferiore al metro e cinquanta». Il tema che inizialmente vorrei svolgere in questa giornata si riallaccia ancora al discorso delle maschere, ma arricchito dal rapporto con il costume e dall’uso dei vari accessori per il travestimento e del camuffarsi, compresi il maquillage e le parrucche. Questo discorso coinvolge non solo l’arte della commedia, ma vale anche per il teatro più antico. Il travestimento e il camuffarsi con e senza la maschera è un problema che si è spesso ritenuto secondario in teatro, ma a mio avviso si tratta di un grave errore. All’inizio abbiamo visto come Tristano Martinelli, che fu il primo Arlecchino, non calzasse la maschera ma si tingesse il viso con una pasta nera, lasciando spazi al naturale che poi rinforzava con ghirigori rossi e bianchi. Così altre maschere, compreso Pulcinella, Razzullo e Sarchiapone, all’origine risolvevano il trucco col tingersi il viso in vari colori. Per quanto riguarda le parrucche, difficilmente si univano alla maschera, a cingere il capo era la calza, posta sul cranio e fatta girare sotto-gola. I Greci e i Romani, invece, così come spesso gli Indiani, presentano le maschere e la parrucca unite in sol pezzo. Per quanto riguarda gli accessori, senz’altro il più vistoso, presso i Greci e i Romani, è il "coturno", o i coturni, giacchè erano impiegati quasi sempre a coppia (salvo il caso molto raro di personaggi con un piede solo!) I Greci chiamavano con cattiveria molti uomini politici col soprannome – epiteto di "coturni", cioè scarpe da indossare sia su un piede che sull’altro, a volontà. Esiste a Napoli una pittura pompeiana dove è rappresentato un attore che s’infila un coturno al piede, e l’aggeggio presenta una suola alta circa trenta centimetri. L’espediente eleva notevolmente la statura dell’attore. Per mascherare questa specie di trampolo, si indossava una tunica che scendeva fino a terra. L’attore si preoccupava anche di allargare le spalle fino a venti centimetri per parte. Le spalle venivano qualche volta sollevate con una imbottitura molto spessa, tanto da raggiungere l’altezza dell’orecchio, e quindi il collo si trovava esattamente laddove finisce la testa. Sto parlando del massimo della forzatura. Si ricorreva a questi ingigantimenti quando si voleva far apparire sulla scena una divinità, un eroe, come Eracle, per esempio. In questo caso la testa cominciava dalla fronte dell’attore, cioè la maschera gli veniva posata sul capo come un grande cappello; la bocca dell’attore si ritrovava dentro il collo della maschera, e parlava attraverso dei velati. C’era un altro trucco: sollevando il corpo, le braccia, che spuntavano dalla clamide o dalla toga, apparivano corte, goffe, e bisognava che raggiungessero una misura credibile. Allora l’attore teneva in pugno i polsi di mani finte con lo snodo, simili a quelli dei manichini da pittore o delle marionette:bastava che si muovesse, da dentro la manica, il polso, e l’impressione risultava di discreta somiglianza al vero. Con questi accorgimenti l’attore riusciva a ingigantire fino a due metri, due metri e mezzo. E non bisogna dimenticare che la statura media di una donna o di un uomo greco, in quel tempo, era inferiore al metro e cinquanta. Pare, oltretutto, che costoro riuscissero a muoversi con una certa agilità. D’altronde, ho visto attori dell’Odin su trampoli di due metri, anch’essi con braccia finte e maschere sul viso, eseguire volteggi, salti e perfino capriole.
• Al debutto Zio Vania di Cechov risultava prolisso e durava tre ore e mezza. Cechov lavorò tre giorni al testo e tagliò un’ora di spettacolo. Ma, andati nuovamente in scena, si vide che la durata era sempre di tre ore e mezza. Cechov: «Ma come? Avete inserito dentro dell’altro testo?» Stanislavskij: «No, ci abbiamo inserito solo le pause giuste».
• «Non bisogna lasciar mai sfogare né gli applausi né le risate, soprattutto quando sono applausi e risate che scattano sull’emotività; allora bisogna sopraffare il pubblico pur di tenere il ritmo».
• Sul pubblico a teatro, come catturarlo eccetera, vedi Dario Fo Manuale minimo dell’attore. A cura di Franca Rame. Einaudi 1997 pagine 166-167. «Il teatro è uno scontro a cazzotti e carezze senza ring, dove l’arbitro è stato bendato e dove per vincere è permesso quasi tutto. Qui si applicano trucchi ed espedienti veramente infami, veramente da figli di puttana».
• «Si racconta che De Sica fece nascondere delle cicche di sigaretta nelle tasche del bambino protagonista di Ladri di biciclette. Quel bambino non riusciva a recitare la disperazione, in una scena sotto finale, con sufficiente credibilità. Il bambino, in un momento di pausa, stava facendo la pipì contro il muro e uno, da dietro la macchina da presa, lo aggredisce: «Sei tu! Sei tu che hai rubato i mozziconi e fumi di nascosto!» «No, non è vero», si è voltato e un assistente è andato a frugare nelle tasche, ha trovato le cicche. Il bambino è scoppiato in un pianto ininterrotto. Nel montaggio poi l’immagine è stata sistemata col controcampo del padre aggredito dalla gente che l’ha sorpreso mentre tentava di rubare la bicicletta e l’effetto per chi ha visto il film è davvero sorprendente» (in un capitolo in cui mostra: a) che il montaggio è determinante; b) che il contesto cambia totalmente di significato alla stessa scena, pagine 125-135).
• Ruzante = da una voce padovana che significa accoppiarsi con animali. Giullare da ”ciullare”, fottere. Ciullo d’Alcamo banalizzato in Cielo d’Alcamo. Il vero significato di Rosa fresca aulentissima in Dario Fo Manuale minimo dell’attore. A cura di Franca Rame. Einaudi 1997 pag. 115
• «Troppo colore, niente colore» (Braque).
• Cos’è un buon attore per Molière in DF 101; come si fabbricavano le maschere in DF 94 Dario Fo Manuale minimo dell’attore. A cura di Franca Rame. Einaudi 1997
• Picasso raccontato da Fo: «Un pittore imbecille sta dipingendo, dal pennello gli casca del colore. Una macchia vistosa gli si spande sul foglio. Il pittore imbecille, disperato, straccia il foglio e ricomincia da capo. Al contrario io, che - se mi permettete - sono un pittore di talento, come mi cade la macchia sorrido, la guardo, giro e rigiro il foglio e, commosso, inizio a sfruttare quell’incidente con un grido di gioia. dalla macchia che per me nasce l’ispirazione».
• Rapporti tra metrica e canti del lavoro in Dario Fo Manuale minimo dell’attore. A cura di Franca Rame. Einaudi 1997 pagine 42 e seguenti. Plechanov sostiene che la gestualità dei singoli popoli è in rapporto con i suoi problemi di sopravvivenza.