Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Fiato díartista

• Caffè Rosati. «L’abbordaggio al caffè Rosati avveniva per gradi. Gli artisti alle prime armi si incontravano davanti alla chiesa di S. Maria dei Miracoli, accanto alle colonne; sbirciavano coloro che entravano da Rosati, giornalisti, belle donne, scrittori. Man mano che si acquisiva sicurezza, ci si poteva avvicinare al caffè, magari sedersi fuori se era ancora vuoto, ma con l’occhio vigile, perché il cameriere arrivava quasi subito. Oppure entrare con aria indaffarata, chiedere un gettone alla cassa e precipitarsi a telefonare, magari a casa, ciao mamma stasera tardo un po’. Sperando ovviamente di venire intercettati da qualcuno che offrisse da bere. Ma una volta fatta la mostra da Plinio, alla Tartaruga, o Alla salita, a piazza di Spagna, allora sì l’artista entrava da Rosati, salutava, ordinava un whisky».
• Esordi. «Avevo purtroppo una vaga idea di cosa fosse il teatro avendo mancato la recita parrocchiale a causa del morbillo» (Paola Pitagora).
• Bello stipendio. «Avevo lasciato il Liceo Tasso dopo avere conseguito la licenzia ginnasiale con una magra sufficienza. Allora mi spinsero a iscrivermi a un corso professionale: ”Quattro anni e sarai una segretaria d’azienda col tuo bello stipendio”» (Paola Pitagora).
• Il distributore e il tuo pane. «Renato abitava a Cinecittà, dopo il Quadraro, e lì svolgeva l’attività di benzinaro, con indosso una tuta azzurra, lavorava alcune ore al giorno nel distributore gestito da suo padre: era il prezzo che gli chiedeva la famiglia per fargli fare l’artista, ”il distributore sarà il tuo pane”».
• Occasioni. «Un giorno al distributore di Mambor si fermò a fare il pieno una macchina con due signori, uno di loro era Federico Fellini. Chiesero a Renato il numero di telefono per una comparsata in un film in preparazione La dolce vita. ”Sai ballare?”, gli chiese Fellini, e così ci trovammo tutti e due alle terme di Caracalla, con fantasiosi costumi di Gherardi, io in parrucca e tacchi alti, a girare una scena di festa con Mastroianni e una splendida Anita Ekberg».
• Luoghi pericolosi. «Le scuole di recitazione sono luoghi anche pericolosi: al di là delle illusioni che alimentano, spesso si creano tensioni fatte di invidia, gelosie, strane gerarchie».
• Alla scuola di recitazione. «Una ragazza rivisse davanti a noi l’esperienza del parto».
• Schifano. «L’artista è nelle sue opere, il resto non interessa» (Mario Schifano).
• Piccolo puma. Goffredo Parise chiamava Mario Schifano ”piccolo puma”.
• Madri. «Erano vicini di quartiere e vivevano con le famiglie in modesti appartamenti che ospitavano opere che sarebbero diventate importanti accuditi da madri perplesse, che non ritenevano certo una fortuna avere un figlio pittore».
• Decisioni. «L’assedio dei miei corteggiatori mi aveva fatto capire una cosa: ero stufa di essere vergine, tornata a Roma sarei saltata addosso al mio pittore».
• Fiato. «Le domeniche a Belgrado non sono domeniche, sono palloni sgonfi che aspettano il mio fiato per prendere forma».
• Attori. «Gli attori, si sa, non hanno etica».
• Produttori, registi, eccetera. «Chi sta dietro una scrivania, o una cinepresa, esercita un piccolo potere che spesso, di fronte a una ragazza che cerca di farsi la propria strada, diventa sopraffazione».
• Quadri e targhe. «Schifano trovava borghese la targa col nome Mambor sulla porta, borghesissimo il fatto che Renato tenesse quadri appesi al muro e non appoggiati per terra».
• Cocaina e canne. «La droga non girava nei primi anni Sessanta, tranne la cocaina, roba da ricchi, le ”canne” sarebbero giunte solo dopo la guerra in Viet-Nam».
• Topografia dell’angoscia. «Ho paura di certe strade, premonitrici di tristezza, certe strade mi raccontano ciò che sanno di me, del mio futuro. Non posso guardare certi palazzi, i portici di piazza Esedra; via Palermo, o piazza Vittorio, mi fanno sentire l’angoscia».
• Vita e arte. «Freddi nell’arte, caldi nella vita. Nell’arte siamo riusciti tutti a trovare la giusta distanza; nella vita qualcuno di noi si è bruciato» (Renato Mambor).
• Aspetti. «Era apparso a piazza del Popolo e da qualche tempo stava attirando su di sé l’attenzione di critici e artisti, non era ancora il Pascali dai capelli lunghi e colla motocicletta, aveva i capelli corti e un aspetto un po’ provinciale».
• Belli. «Devo dire che questo gruppetto di pittori che giravano a Roma in quegli anni era composto per la maggior parte da giovani che è corretto definire belli, Tacchi, Schifano, Angeli, Mattiacci, Pino, Renato, erano proprio affascinanti e le ragazze non lesinavano consensi».
• Donne uno. «Schifano aveva accanto sempre donne bellissime. Angeli e Ceroli sono stati amati da donne di forte immagine, come Marina Lante della Rovere e Daria Nicolodi».
• Donne due. «A piazza del Popolo ragazze artiste non se ne vedevano, tranne Giosetta Fioroni, che faceva vita a sé, col suo compagno Goffredo Parise, dunque nel gruppo fidanzate, o ragazze rimorchiate di fresco».
• Il tema ricorrente. «Togliere l’io dal quadro, all’interno di questa volontà di spersonalizzazione ognuno compiva il suo viaggio».
• Fine. «Si può parlare della situazione artistica a Roma negli anni Sessanta, come di un periodo preciso che ha un inizio e una fine: l’inizio è di slancio nel ’59, la fine bruscamente nel 1968, con le ruote della motocicletta di Pascali che girano a vuoto nel sottovia di Corso d’Italia. Ne fummo, credo, tutti consapevoli che non era un incidente ma il segno della fine di un’epoca».
• Vento. Pascali dopo avere comprato la motocicletta non si pettinò più: «Voglio farmi pettinare dal vento».
• Tra pittori maledetti, caffè intellettuali e corse in moto, una generazione di giovani, negli anni Sessanta, si affaccia alla vita e all’arte. Un decennio cruciale, che si conclude con l’incidente mortale di Pino Pascali, personalità di riferimento del gruppo. Memorie legate a nomi ormai storici dell’avanguardia romana, come Mambor, Schifano, Festa, Angeli, Ceroli, Kounellis, Tacchi... Nata a Parma, Paola Pitagora, attrice, si è trasferita a Roma in gioventù. Ha sfondato nel cinema con I pugni in tasca di Marco Bellocchio. autrice di Caro Giacomo, monologo ispirato a Paolina Leopardi, che ha interpretato a teatro.