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 2002  luglio 22 Lunedì calendario

’Guerra dell’acciaio”: per ora niente sanzioni Ue agli Usa

• ’Guerra dell’acciaio”: per ora niente sanzioni Ue agli Usa.
«Venerdì è giunta dagli States l’offerta di escludere dagli extra dazi un ulteriore quantitativo di 90.000 tonnellate di prodotto europeo, per un valore di 60 milioni di euro. Così, la Commissione ha proposto ai governi di posporre la decisione sulle ritorsioni commerciali agli Stati Uniti. Un rinvio molto in là nel tempo: al prossimo Consiglio dei ministri dell’Unione Europea del 30 settembre. Ad annunciarlo è stato il direttore generale al Commercio dell’esecutivo Ue, Peter Carl. ”Abbiamo deciso di non premere il grilletto ora”, ha detto».
• La storia inizia lo scorso marzo. «Bush, in teoria sostenitore del libero commercio, mise un dazio del 30 per cento sulle importazioni d’acciaio, il maggiore atto protezionistico americano negli ultimi venti anni. L’obiettivo era limitare l’import d’acciaio, in base all’assunto che i Paesi europei facciano ”dumping”, cioè vendano negli Usa l’eccesso di produzione a prezzi inferiori a quelli di mercato».
• Perché lo fece? «Bisogna ricordare che, almeno in parte, deve il suo lavoro agli operai degli impianti siderurgici della West Virginia, uno Stato tradizionalmente democratico che nel 2000 votò invece repubblicano. Alla vigilia delle elezioni Cheney andò a far comizi da quelle parti, e promise che Bush, una volta eletto, non si sarebbe dimenticato di loro. A novembre negli Stati Uniti si andrà a votare per le ”elezioni di medio termine”, che cambieranno la composizione di Senato e Congresso. Senza questa mossa, la vittoria in quello Stato sarebbe stata molto più difficile».
• Insomma, Bush si è messo contro l’Ue per propaganda elettorale. «La settimana scorsa Jeffrey Scott, un economista dell’Institute of International Economy molto ascoltato alla Casa Bianca, era a Roma per un convegno organizzato dall’Istituto Affari Internazionali e dall’Arel. Ha spiegato che i repubblicani hanno una limitata maggioranza al Congresso, mentre i democratici prevalgono di un voto al Senato. Se guardiamo a quello che Bush ha fatto negli ultimi mesi, capiremo che è un esercizio politico per vincere le elezioni di novembre. Scott ha consigliato all’Ue di tenere duro fino ad allora anche perché ritorsioni contro le misure prese dagli Usa potrebbero scatenare una nuova serie di contromisure».
• Il Wto permette l’uso di questi dazi? «Rich Mills, portavoce dell’Us Trade Representative, ricorda che l’Organizzazione Mondiale del Commercio concede la possibilità di difendersi da eccessive importazioni. ”Sono misure temporanee, durano tre anni e risparmiano i Paesi in via di sviluppo” spiega. In effetti dal 1997, in conseguenza del crollo economico in Russia ed Asia, le importazioni di acciaio negli Usa sono aumentate del 40 per cento, e trenta fabbriche americane sono sull’orlo del fallimento. è anche vero, però, che dal 1999 il fenomeno si è in parte ridotto, e che le fabbriche in bancarotta sono state messe fuori mercato da concorrenti nazionali più piccoli e moderni».
• Cosa succederà alle acciaierie italiane? «Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai, dice che il danno vero sarà l’invasione dai produttori dei Paesi extra Ue che non troveranno più sbocchi negli Usa. E tutto questo in un momento di transizione che vede il settore uscire da uno dei suoi periodi più difficili».
• Oggi i Paesi Ue importano poco acciaio. «Non solo: hanno formato una specie di cartello con coreani e giapponesi. I nostri produttori non vendono sui loro mercati, i loro stanno alla larga dai nostri. La sovrapproduzione di entrambi finisce, effettivamente, sul mercato americano».
• Economicamente, questi dazi, ce l’hanno un senso? «No: le tariffe sull’acciaio sono state prese nel momento sbagliato, quando la capacità produttiva Usa si era ridotta del 15-20 per cento e cominciava la ripresa: i prezzi sono aumentati e molti produttori esteri possono ancora permettersi di esportare acciaio, pagare le tariffe e fare utili».
• Si dice che il vero problema sono i sussidi agli agricoltori americani. «è vero: aumentano il deficit pubblico e sono anticiclici, incoraggiano gli agricoltori a produrre di più dal momento che il governo si assume i rischi di un calo dei prezzi. E poi mettono in serio pericolo l’agenda di Doha».
• Sarebbe? «Otto mesi fa, le prospettive per un commercio globale più libero sembravano una delle poche cose positive in una situazione mondiale per il resto molto oscura. Due mesi dopo l’11 settembre, 142 Paesi si erano accordati per varare una nuova tornata di negoziati commerciali multilaterali a Doha, in Qatar. Un mese dopo la Cina, il Paese più popolato del mondo, entrava nella World Trade Organization, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Stati Uniti ed Europa parevano aver messo da parte gli screzi degli ultimi tempi per collaborare in modo sempre più stretto. Al centro delle trattative c’era soprattutto la liberalizzazione del commercio agricolo. Dopo, però, Bush ha concesso dei sussidi ai suoi contadini...»
• E l’Unione Europea s’è messa a strillare. «No: ha preso la palla al balzo. Il sistema comunitario protegge molto gli agricoltori, ed è quello che ha il maggiore bisogno di riforme. Adesso a Bruxelles hanno una scusa per prendere tempo. I sussidi previsti dal ”farm bill” hanno un tetto di 19,1 miliardi di dollari, quelli europei raggiungono i 69 miliardi. La tariffa media è del 30 per cento in Europa e del 12 per cento negli Usa».
• E l’Unione Europea s’è messa a strillare. «No: ha preso la palla al balzo. Il sistema comunitario protegge molto gli agricoltori, ed è quello che ha il maggiore bisogno di riforme. Adesso a Bruxelles hanno una scusa per prendere tempo. I sussidi previsti dal ”farm bill” hanno un tetto di 19,1 miliardi di dollari, quelli europei raggiungono i 69 miliardi. La tariffa media è del 30 per cento in Europa e del 12 per cento negli Usa».
• Dicono che Bush fosse sincero, almeno sull’agricoltura. «Il ministro Ann Veneman voleva svincolare i sussidi dalla produzione e legarli a parametri di tipo ambientale. Ma il Congresso non l’ha nemmeno ascoltata. Ancora una volta la vicinanza delle elezioni ha dato forza agli Stati agricoli che hanno ottenuto i soldi richiesti. L’Europa fino a dieci anni fa forniva sussidi basati su prezzi e produzioni, i più distorsivi per il commercio internazionale. Adesso è passata ai pagamenti diretti ai consumatori, che hanno un minore effetto negativo e sono ormai il 90 per cento del totale. E, anche se fa sorridere pensando alla situazione di pochi anni fa, può permettersi di dare lezioni a Washington».
• Altri scontri? «Il più serio è un dossier di Bruxelles contro gli esportatori americani, accusati di ricevere dal governo di Washington aiuti e sussidi illegali. In effetti esiste una legge Usa che esenta le aziende statunitensi dal pagare tasse sui profitti derivanti dalle esportazioni, se provengono da società controllate con sede all’estero. Ciò sospinge le vendite, per esempio, della Boeing, rendendo la vita complicata alla rivale europea Airbus che non gode di simili facilitazioni. Lo stesso vale per alcune delle più redditizie blue chip americane, come General Electric e Microsoft».
• L’Ue ha fatto appello al Wto. «Che le ha dato ragione, autorizzando ”rappresaglie” per un valore compreso tra uno e 4 miliardi di dollari da raccogliere con tariffe e dazi su una serie di merci Usa vendute nel Vecchio Continente. Per evitare le sanzioni, l’America dovrebbe o cambiare l’attuale legislazione fiscale (il che è altamente improbabile), o compensare l’Ue riducendo le tariffe su una varietà di merci esportate in Usa. A Bruxelles pensano di colpire Bush in modo da fargli perdere le elezioni in alcuni Stati dove la lotta è più incerta: ad esempio punendo il tessile del Nord Carolina o i produttori di succo d’arancia della Florida. Si tratta di misure senza precendenti, basti pensare che le tariffe americane contro l’Europa nella cosidetta ”guerra delle banane” arrivarono a 191 milioni di dollari. Pascal Lamy, commissario al Commercio dell’Unione Europea, vuol mantenere questa vertenza separata da quella dell’acciaio a patto che gli Usa mostrino una concreta volontà di riforma fiscale. Bush ha detto che si adopererà affinché il suo Paese si metta in linea con le direttive della Wto».
• E il Congresso come l’ha presa? «Male. Molti deputati sono andati su tutte le furie all’idea che l’Organizzazione Mondiale del Commerico possa imporre un cambiamento nelle leggi fiscali americane. E subito hanno avvertito che secondo loro pure i sistemi fiscali europei non sono in linea con le disposizioni del Wto, minacciando di sollevare la questione. Poi ci sono gli Organismi Geneticamente Modificati».
• Cioè? «L’Ue ha imposto una moratoria su tutti i nuovi Ogm. Questa moratoria quasi certamente viola le regole del Wto. Per il momento gli Stati Uniti non hanno sollevato la questione perché è politicamente rischiosa: in Europa potrebbe scatenare reazioni durissime, e potrebbe far nascere movimenti di protesta pure in America. Nonostante questo è un’arma che resta nell’arsenale di Washington. In sostanza gli americani dicono: noi vi lasciamo fare come volete con gli Ogm, voi non ci rompete le scatole con le tasse».
• Qualche volta la Wto ha dato ragione agli Stati Uniti. «è il caso della cosiddetta guerra degli ormoni. Da oltre quattro anni l’Europa vieta l’import dagli Usa di carne gonfiata con ormoni, che noi europei giudichiamo poco sicuri per la salute. La Wto ha dato torto all’Ue e l’ha accusata di pratiche commerciali scorrette. ”Eliminate il divieto”, ci è stato detto. Invece noi non abbiamo cambiato di una virgola il nostro atteggiamento e così, per rappresaglia, gli Stati Uniti ci hanno imposto sanzioni per 114 milioni di dollari su merci di produzione nostra».
• Quella tra Unione Europea e Stati Uniti è una lotta a tutto campo. «Il pericolo è reso più acuto dall’asprezza dei toni: ”Il mercato Usa è stato costantemente protetto, quasi isolato” si è lamentata in settimana una fonte Ue. è noto che gli Usa proteggono i mercati con strumenti indiretti; e negli ultimi due o tre anni sono state avviate sei dispute alla Wto contro restrizioni all’import. Nell’ultima, sull’acciaio, si sono schierati con noi altri sei Paesi: tra questi la Svizzera che non ha mai presentato altri ricorsi, la Norvegia, che ha avviato solo due o tre procedure negli anni 50, e la Cina che è appena entrata nel Wto. E un’altra prova del protezionismo americano è il fatto che, su questioni importanti, solo gli Stati Uniti hanno presentato ricorsi contro la Ue».
• Gli Stati Uniti restano la nazione più potente del mondo. «Hanno l’economia più forte e sofisticata. Sono in testa alle classifiche per reddito procapite e standard di vita. La forza militare non ha rivali. La lingua è l’idioma più parlato. La cultura popolare americana [...] è diffusa [...] in tutto il mondo. In America hanno sede i più prestigiosi istituti accademici e di ricerca scientifica [...] Eppure, in futuro, gli Stati Uniti dovranno fare i conti con noi europei».
• Cosa farà l’Ue? «Le linee guida di questa futura lotta a due (a volte è guerra, a volte è contrapposizione, a volte è solo un lanciarsi colpi bassi) sono state rinfrescate a un incontro dei leader europei a Barcellona, nel marzo scorso. In quell’occasione la Ue ha adottato un pacchetto di misure economiche, prudenti e realizzabili, con un solo obiettivo: costruire un’economia transcontinentale che possa competere con quella americana».
• Un progetto grandioso. «Con almeno altri dieci Paesi in stand by per l’affiliazione, entro la fine del decennio, l’Ue dovrebbe diventare un mercato unico con una popolazione di mezzo miliardo di persone. Quasi il doppio cioè rispetto agli Stati Uniti e più di America e Giappone messi insieme. ”Costruire entro il 2010 l’economia più dinamica e competitiva del mondo” è l’obiettivo fissato due anni fa in un maxisummit a Lisbona».
• Dobbiamo drammatizzare? «Dalla politica all’economia al commercio quasi ogni occasione è buona per fare scintille, per creare frizioni. Drammatizzare? Non più di tanto. In fondo la storia dei rapporti transatlantici ha sempre vissuto alti e bassi, di crisi anche acute regolarmente superate. E archiviate. In un contesto di rapporti di forza pesantemente sbilanciati, dove al redde rationem l’Europa si è regolarmente rivelata un ”interlocutore di carta”».
• Ma qualcosa si sta muovendo nella psicologia del Vecchio Continente. «è vero, tende a dimostrarsi meno remissivo e più rivendicativo. Assertivo. La raggiunta parità dell’euro rispetto al dollaro, il graduale rientro in patria di parte degli enormi capitali europei migrati negli Stati Uniti, le possibili difficoltà che ne potrebbero derivare per garantire il finanziamento del mega-deficit della bilancia dei pagamenti Usa sono tutti fattori che, se da un lato sottolineano quanto le economie americana ed europea siano legate a doppio filo nel mondo globale, dall’altro sembrano fatti apposta per tonificare la voglia di rivincita e protagonismo degli europei. La forza dell’euro ha una matrice più esogena che endogena che si chiama debolezza del dollaro. Ma che comunque contribuisce a incoraggiare l’Europa a fare la voce un po’ più grossa nelle molte vertenze commerciali».
• Si dice: Bush ha fatto un passo indietro per farne due avanti. «Per far partire il nuovo round di liberalizzazioni commerciali, la Casa Bianca deve riuscire a strappare al Congresso il fast track, cioè l’autorizzazione a negoziare un accordo globale che poi il Parlamento potrà prendere o lasciare in blocco. Per questo Bush avrebbe ceduto su dazi all’acciaio e sussidi all’agricoltura, anche se secondo molti così facendo i passi indietro sono stati più d’uno. Ma senza il fast-track, Doha finirebbe in frigorifero e l’unilateralismo rischierebbe alla fine di avere la meglio dovunque. Per tutto questo i rumori di guerra tra le due sponde dell’Atlantico oggi appaiono più minacciosi e preoccupanti del solito. Per tutti».
• Qual è il pericolo? «Questi ultimi scontri hanno messo in forte dubbio la credibilità delle istituzioni internazionali volte a dirimere le controversie commerciali. In più, Bush ha trasmesso al mondo il messaggio che è pronto a venire meno ai propri principi per ragioni di politica interna. E non si dimentichi che i dazi sull’acciaio sono stati risparmiati a Canada e Messico, a dimostrazione che accordi bilaterali possono mettere al riparo dal protezionismo della più grande potenza commerciale del mondo, senza badare a quel che stabilisce il Wto, che non permette di questi favoritismi. Gli europei non avranno molta voglia di liberalizzare il loro sistema agricolo, se vedranno che gli Stati Uniti fanno il contrario. E i Paesi poveri diffideranno del sistema multilaterale vedendo che i ricchi non sono disposti a sopportare il loro carico. Questo non porterà ad un’immediata crisi economica. Ma, nel tempo, potrebbe mettere in pericolo il processo di globalizzazione».