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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Le tre età Longanesi 1999

• «Le altezze reali? e’ sono come quelle chicchere senza manico, non si sa mai se prenderle per il collo o per il culo» (il marchese Amorigo Gondi).
• Diana d’Inghilterra, a cena da sir Acton, in una tavola di commensali composta prevalentemente da ottantenni dichiarò poi che s’era annoiata e aveva passato la sera in preda a una piccola ansia, che qualcuno morisse lì mentre mangiava.
• Gaston Palewski, il più brillante ambasciatore francese del dopoguerra, invaghito della pur anziana Isabelle Colonna, ma da questa tenuto in qualche modo a distanza, non demordeva e un giorno, infervorato da un suo discorso brillante, esplose: «Chère Isabelle, vous permettez, n’est-ce-pas, que je vous appelle Isabelle?» «Cher ambassadeur» rispose lei «appelez-moi Isabelle si vous le voulez ainsi, mais ne vous attandez pas que je vous appelle Gaston».
• Montanelli abitava a Milano in una cella da monaco dove campeggiava una foto di Stalin: «E’ l’uomo al mondo che ha fatto fuori più comunisti ed è per questo che ho sempre la sua foto con me».
• «Quando si sbaglia una volta, si sa come sbagliare peggio nel futuro» (Pavese).
• Morte di Longhi. La moglie Anna Banti, per la disperazione, si chiuse in un armadio e battè il capo contro il muro con tale forza da provocare il distacco della retina. Longhi si osservò morire (agonia breve e lucida) col solito sarcasmo. Dino Fabbri gli disse che avrebbe voluto far qualcosa per lui. Longhi rispose: «Per esempio?ª
• Poesia ci può essere anche nelle vecchie carte d’archivio, e rammento di aver seguito il percorso umano di uno degli artigiani fiorentini che Carlo di Borbone portò al suo servizio a Napoli, tale Gaspare Donnini, il quale, mese dopo mese, esponeva ai suoi superiori i lavori da lui diretti. Col passar degli anni si infilava in queste notule amministrative la storia della vita di un uomo, le doti delle figlie, la malattia della moglie, persino le spese per la trippa dei gatti, mentre la sua calligrafia si andava affievolendo, fino a che non lo colse la morte e la notula seguente venne redatta dal suo successore.
• «La perfezione può apparire ad un primo sguardo ovvia, in quanto non migliorabile, non discutibile (sensazione provata la prima volta che vidi San Pietro)» (Alvar González-Palacios).
• «Rammento di aver ascoltato moltissimi anni fa, nella Redoutensaal a Vienna, una normale esecuzione pomeridiana de Le nozze di Figaro: non erano cantanti eccelsi, l’orchestra era ridotta all’essenziale, ma l’andamento era perfetto, un dare e un avere che rendeva delizioso ogni accordo. Così dovrebbe essere la conversazione: essa richiede tolleranza, sottotono, buone maniere, capacità di mettersi da parte e lasciar posto a quel pausato che pone in risalto ciò che si dice: sono la mezza voce, il sorriso, persino il silenzio a servire la ragione. Per parlare bene bisogna anche imparare ad ascoltare e spesso a tacere» (Alvar González-Palacios).
• «Fui accolto da Giangiacomo Feltrinelli in persona, un ragazzone alto e baffuto, occhialuto, con le dita macchiate dalla nicotina delle continue sigarette inglesi senza filtro che divorava, e l’aria che a me apparve sempre strafottente: ”E’ sicuro di meritare le duecentomila lire al mese che guadagnerà?” Mi avvia così a vari anni di squallore [...] Avevamo cominciato a pubblicare in italiano la fortunata collezione di Gallimard ”L’Univers des formes”, diretta da Georges Salles, che avevo già incontrato, e da André Malraux. Per questo dovevo recarmi a Parigi un paio di volte all’anno, quasi sempre con Feltrinelli in persona. Niente di più umiliante. Si cominciava dal viaggio in treno, io in seconda classe, il mio capo comunista in prima. All’hôtel d’Angleterre, in rue Jacob, Feltrinelli fissava per sè un appartamento e per me una stanzetta sotto i tetti, bollente d’estate, gelida d’inverno. Ma questo non era il peggio. Le riunioni erano collegiali: Aguilar veniva da Madrid con Xavier de Salas, direttore del Prado e suo consigliere artistico; Beck col direttore della Pinacoteca di Monaco di Baviera; Feltrinelli con me. Io avevo almeno la discrezione di mantenere un dignitoso silenzio, mentre il mio datore di lavoro, tracotante e ingenuo, poneva problemi culturali solo a lui noti, creando un imbarazzo generale che dopo, sottobanco, dovevo sanare io con pazienza: non sempre l’oro riesce a mascherare l’ignoranza». (Alvar González-Palacios).
• La madre di Feltrinelli, «bella donna, alta e dritta come un fuso, elegante ma dura come l’ossidiana», aveva un occhio di vetro, secondo Camilla Cederna «l’unico suo umano». Quest’occhio sarebbe andato perso durante una battuta di caccia, non si sa davvero se per un incidente, fatto sta che, in base al racconto di Colette Rosselli, la signora, con l’occhio in mano, si volse al colpevole e lo ammonì che non credesse d’averla fatta franca.
• «Une femme elegante a toujours l’air désagréable» (Balenciaga).
• «A Cuba, ai tempi del mio bisnonno, l’università si seguiva nella lingua latina, uso poi mutato nel tardo Ottocento, ma fino agli anni ’20 il latino era giustamente d’obbligo al liceo. Purtroppo le riforme dell’insegnamento proposte, in nome di astruse idee positiviste, da uno dei nostri maggiori pensatori, Enrique José Varona, fecero abolire le lingue classiche dal liceo, provocando una catastrofe culturale della quale io stesso sono vittima. Vedo con orrore come ora - con un ritardo di ottant’anni - in Italia si stia per commettere lo stesso crimine» (Alvar Gonzàlez-Palacios).
• Passione di Pedro Solinas per le case vuote, che visitava con meticolosità («era riuscito a ispezionare tutti gli appartamenti liberi fra il Buen Retiro e il Manzanares» di Madrid) e dove poi ambientava le sue storie. «Io, diversamente, sento l’irresistibile bisogno di arredare nella mia testa le stanze disabitate con i mobili che immagino: se sono veri si dimostrano sempre troppo grandi per gli ambienti a disposizione».
• «Longhi ti dava una fotografia e ti costringeva a dire ciò che non sapevi. Cominciava chiedendo quel che la foto non poteva rappresentare. Non raffigurava un Picasso, né un Matisse, né un’opera del XX secolo... non è Courbet, non è Delacroix... Si arrivava dunque, molto lentamente, ad indicare un’epoca plausibile e con lo stesso sistema ti costringeva - con non pochi aiuti, è ovvio - ad ubicare l’opera esaminata in un ambito più preciso. Ai primi tempi ci si fermava lì, e allora il professore spiegava ulteriormente il dipinto esaminato facendoci vedere e illustrandoci altre opere dell’autore e così si era obbligati a guardare con attenzione non solo una foto, bensì una scelta antologica di un certo tipo di produzione. Via via che i mesi passavano e si incominciavano ad avere ulteriori informazioni, il martirio si rinnovava e attraverso errori e tentativi qualche volta ci si avvicinava alla verità. A mio modo di vedere queste pratiche possono essere paragonate ad una sorta di scambio trasfusionale o, se si vuole, ad uno sdoppiamento della personalità. L’esperienza, che non si discostava nemmeno dalla maieutica degli antichi, sortiva comunque effetto. Rammento di aver passato un intero pomeriggio davanti alla foto di un cassone rinascimentale: alla fine riuscii come per miracolo ad indovinare (era telepatia?) il nome dell’autore di quella scena cortese: si trattava del Maestro dei cassoni Jarves, che da allora non ho più confuso né dimenticato (oggi questo pittore anonimo ha trovato dati anagrafici esatti: si tratta di Apollonio di Giovanni)» (Alvar González-Palacios).
• «Un mio collega, il cerimonioso Carlo Del Bravo, venne costretto più volte a lasciare nella mia buca delle lettere inviti a cena a casa Longhi ai quali egli non era atteso. In altre occasioni toccava a me portare messaggi del genere ad amici che potevano, nello stesso tempo, essere additati ad esempio da imitare. Tutto questo non giovava certo» (Alvar González-Palacios).
• «La biblioteca era composta da tre stanze che avevano ingresso indipendente e davano sul giardino. Dalla seconda, più grande scandita da librerie trasversali che creavano dei loculi con tavoli, partivano pochi scalini che portavano all’ambiente destinato al maestro (Longhi), il quale sedeva dietro un lungo e stretto tavolo fratino stipato di libri. Su un angolo metteva in piedi tutte le lettere che riceveva, sistema intelligente che ho cercato inutilmente di imitare, col risultato che la mia corrispondenza è sparpagliata ovunque mentre Longhi in pochi minuti trovava quel che voleva. Dinanzi a sè aveva un piccolo recipiente a metà pieno d’acqua che fungeva da portacenere e nel quale crepitavano i resti delle infinite sigarette ovali (Turmac, credo) che fumava. La tavola era semplice ma di ottima qualità, assicurata da Irma, bravissima cuoca, mentre il servizio era curato dal marito di questa, Ottavio: due personaggi che ricordo con affetto non solo per la paziente devozione dimostrata sempre al professore, ma anche per lo spirito critico e indipendente che, non escludendo l’affetto, analizzava le cose per quello che erano. Longhi amava cibi facili da masticare poiché i denti gli avevano sempre dato problemi, e favoriva un vino bianco frizzante di cui si forniva in Emilia» Alvar González-Palacios).
• Gonzàlez-Palacios, ingaggiato in gioventù dalla Rai per insegnare la pronuncia spagnola ai presentatori, ebbe tra i suoi allievi Rosanna Vaudetti.
• Sulla villa I Tatti vedi Alvar González-Palacios Le tre età Longanesi 1999, pagine 111 e seguenti
• «Zeri mi ha fatto via via pensare a Rabelais, alle fantasie caotiche di John Martin, ai sogni neri di Goya e persino ad un curioso racconto di Borges in cui il protagonista impazzisce perché non è in grado di dimenticare assolutamente niente». (Alvar González-Palacios).
• «Di Harold Acton era tipico l’incedere a piccoli passi, quasi saltellante, con un che di orientale, e soprattutto il modo di parlare, con un accento inglese ma non veramente inglese: era una lingua indimpenticabile, magnifica nel suo continuo scoppio di colori, ma come imparata, costruita. L’intonazione restava ancor più personale: cominciava con una sorta di esclamazione, un ohhhh, un uhhhh, un ahhh seguita daun crescendo che metteva accenti del tutto capricciosi per poi scendere di quota e finire in modo carezzevole: ”Ohhh, how very nice to see you, how is your mother?”. Dall’alto ohhh si saliva al più alto nice e all’altissimo you, pronunciato ”con intenzione”, per scendere al quasi inudibile mother. Tutto ciò era cadenzato da una voce straordinaria con un’estensione vocale inaudita, una sorta di Callas della conversazione che poteva passare dal do di petto al bisbiglio con estrema facilità, in glissati perfetti. Per quanto nato in Italia, dove visse comunque lunghi anni, non parlò mai perfettamente italiano, nel quale conservò sempre uno strano accento. Non a caso il suo amico Evelyn Waugh, in una lettera a Nancy Mitford, scrvieva come poor Harold in realtà non possedesse una lingua vera e propria» (Alvar González-Palacios).
• Evelyn Waugh «rossiccio, tutto foderato in tweed, antipatico, girava con una cornetta da sordi, ma in realtà credo che facesse finta di non sentire per pura affettazione. Era di pessimo umore, disse male di tutto e di tutti, e fece una scena spaventosa nel ristorante dove andammo perché una tranquilla famigliola borghese gesticolava a suo avviso troppo e, credo, il bambino che era con loro si alzò un paio di volte passandogli vicino. I camerieri si profusero in scuse, del resto non dovute; più si scusavano più lo scrittore si infuriava. Harold (Acton) cercò di calmarlo, inutilmente, e alla fine si mise a ridere in un crescendo di my dear. Inutilmente». (Alvar González-Palacios).
• Balzac fece sfilare in camera sua sette commodes prima di trovare quella giusta.
• «Ora un po’ di biografia di cronologia di documenti. Nacque nel 1613, morì nel 1699» (Longhi su Mattia Preti. Longhi non credeva nei documenti, così come Berenson).
• Peyrefitte collezionava membri virili di ogni materiale, di ogni epoca, di ogni grandezza, una teoria che iniziava con calcari dell’antico Egitto per inoltrarsi in un paranoico cimitero di vetri romani, di terrecotte greche e mediorientali, di stampe e disegni del Rinascimento. Il pittore Bruno Caruso ha riservato una piccola stanza della sua casa a Roma a una sterminata raccolta di teschi di tutti i materiali immaginabili, di tutte le epoche, di tutte le qualità. L’ingresso è custodito da uno scheletro vestito da diavolo. «Conosco qualcuno a Londra il cui salotto è popolato di animali impagliati, alcuni di notevoli dimensioni, e così ci si trova seduti accanto ad un vitello d’epoca vittoriana mentre fra due finestre sbuca una gazzella uccisa negli anni ’20; il bagno della stessa casa è decorato con con duecentoquarantatré crocifissi; la cucina è stipata di decine di strumenti agricoli».
• Gentilezza di Vittorio Cini. «Cini, un uomo bellissimo ormai in là con gli anni, aveva un dono da re, faceva sentire importanti i suoi interlocutori: ”Mi scusi, mio caro amico” (mi aveva visto sì e no un paio di volte a I Tatti) ”se non l’ho aspettata alla porta in basso, ma sa, la mia gamba. Che possiamo fare per lei? Champagne, spremuta d’arancia? Vuole la gondola per il pomeriggio? Le piacerebbe andare stasera alla Fenice? Caro Tonello, per favore faccia vedere al nostro ospite tutto quel che desidera. La collezione di tessuti antichi? Conosce il nostro castello di Monselice? » (Alvar González-Palacios).