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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Il Piave

• Piave. Dalla radice indoeuropea plow, ”scorrere”, declinato al femminile in Dante e nel dialetto alto veneto, la versione definitiva ”il Piave” ebbe il consenso di Gabriele D’Annunzio.
• Reduci. Il contadino piemontese, che cinquant’anni dopo la Grande Guerra, in un’intervista per rievocare Caporetto, disse: "Poi ci siamo fermati sul Piave mormorò" (dal celebre verso della Leggenda del Piave: "Il Piave mormorava/ calmo e placido al passaggio/ dei primi fanti...").
• Disfatte. "La disfatta non solo divide gli uomini dagli uomini, ma divide l’uomo da se stesso" (Antoine De Saint-Exupéry).
• Riformati. Nel 1917 l’esercito italiano recuperò 226 mila riformati abbassando la statura minima a un metro e cinquanta. Nello stesso anno furono giudicati disertori 55 mila soldati: da agosto bastava un ritardo di 24 ore anziché cinque giorni per far scattare la denuncia. Ritorsione del governo dopo Caporetto verso i familiari dei disertori: sospensione dell’eventuale sussidio e confisca dei beni.
• Prigionieri. Dei seicentomila soldati italiani caduti prigionieri, uno su sei non sopravvisse. A differenza di Francia e Regno Unito, fino al luglio 1918 l’Italia non integrò il vitto distribuito dai nemici ai prigionieri, lasciandoli morire di fame pur di dissuadere i soldati dall’arrendersi al nemico per sottrarsi alla trincea. Inoltre ostacolò in ogni modo l’approvvigionamento da parte delle famiglie, subordinato a decisione insindacabile da parte dell’autorità militare sulla base dell’accertamento presunto o accertato tenuto dal militare al momento della resa (era possibile inviare 6 kg di pane ogni dieci giorni e 5 kg di altre derrate e indumenti ogni quindici, divenuti dieci da giugno).
• Censura. La censura postale militare, dopo Caporetto estesa alla corrispondenza fra civili, si rivelò comunque insufficiente: nel 1918 gli Italiani spedirono un miliardo e trecentomila lettere e cartoline, per lo più indirizzate dai soldati ai familiari.
• Decimazioni. In Italia il plotone di esecuzione intervenne in misura doppia che in Francia, dove le rivolte e le proteste collettive si verificarono in misura venticinque volte superiore (l’avvocato Luzzati, pubblico ministero militare obbligato a chiedere la sentenza capitale per due disertori e ad assistervi, fu fermato appena in tempo nell’atto di suicidarsi).
• Proclami. Mentre il generale Cadorna aveva spedito i soldati sul Piave con l’obbligo di "morire, non ripiegare", tre giorni dopo Armando Diaz, a cui passò il comando per volontà del nuovo governo Orlando, nel primo proclama alle truppe, il 20 novembre 1917, incitò i soldati a difendere, nell’ordine, la terra, la casa, la famiglia, e per ultimo, l’onore. Il generale Giardino, che coadiuvava Diaz insieme a Badoglio, apostrofò così i soldati nei proclami di giugno: "Ai miei soldatini...! Figli miei!".
• Gentilezza. "In tutti i soldati circolava una gentilezza profonda, una mitezza strana in uomini travolti dalla strage: l’aspirazione a salvare un più umano ideale di vita contro l’istinto nibelungico, belluino della guerra tedesca" (Adolfo Omodeo).
• Giornali. La propaganda organizzata nei primi mesi del 1918 prevedeva un Servizio P[ropaganda] e la pubblicazione di giornali presso le unità (per lo più illustrati, essendo analfabeti più della metà dei soldati). La difficoltà dei redattori: "E se per esempio ti metti a parlare di sacrificio, tu hai il grave difetto, direi quasi un difetto di pronuncia insanabile, di non essere ancora morto" (Emilio Cecchi).
• Superstizioni. Duemilacinquecento i cappellani, pastori e rabbini, che prestavano attività assistenziale e sostegno morale con i gradi di ufficiali, ma secondo i soldati portavano sfortuna.
• Arditi. Soldati celibi specializzati nell’assalto, provenienti da fanteria e cavalleria. Addestramento più duro e rischio maggiore in battaglia erano compensati da una serie di privilegi: vitto migliore, premi in denaro, più licenze, disciplina elastica, niente zaino, esonero dalle marce di avvicinamento e dai turni in trincea. Prima la divisa dal colletto aperto ("che sembra preludere al togliersi la giubba per meglio fare a pugni", secondo lo scrittore Marinetti), poi un fez nero, capelli lunghi, grido di guerra "A noi! ", ogni reggimento di fanteria e battaglione alpino aveva a disposizione un plotone di 40-60 mila Arditi.
• Bidet. Il 21 agosto 1918 ottomila Arditi sfilarono a torso nudo davanti al Re e al generale Diaz. Lo scrittore Marinetti: "Il Piave è l’enorme bidet dei forti testicoli degli Arditi".
• Re. Il Re visto da Hemingway in Addio alle armi: "C’erano piccole automobili grigie che passavano a grande velocità; [...] e se uno degli ufficiali seduti dietro era piccolo, così piccolo che non gli si poteva vedere il viso ma soltanto la cima del berretto e la schiena stretta, e se l’auto andava più veloce del solito, era probabile che fosse il Re".
• Popolo. "Al popolo minuto dell’avvenire dell’Italia gli importa quanto a me della salute dell’imperatore della Cina" (Ferdinando Martini).
• ropaganda. Nel 1918, per assicurarsi l’efficacia della propaganda a sostegno dello sforzo bellico anche presso la parte della popolazione illetterata, il governo la indirizzò ai bambini delle scuole elementari. Per gli adulti continuò la produzione di oggettistica ispirata a forme, motivi e simboli della guerra (tazze, coppe, tagliacarte, posacenere, portasigarette, cornici, soprammobili), e di oggetti ricordo mediante la trasformazione di residuati bellici, soprattutto di rame.
• Diritti. Dopo Caporetto il governo Orlando riconobbe il diritto di voto a tutti gli uomini mobilitati, compresi i minorenni.
• Assicurazione. Assicurazione sulla vita costituita a favore dei soldati: 500 lire (il doppio per gli ufficiali).
• Solstizio. Durante la battaglia del Solstizio (15-24 giugno 1918), la piena del Piave impedì all’esercito austro-ungarico di attraversare le acque favorendo così gli Italiani, e per questo il fiume fu definito "italianissimo". La piena estiva iniziata alle otto del 18 giugno travolse quasi tutti i passaggi che gli austriaci avevano realizzato (sei ponti e quattordici passerelle).
• Riconoscenza. Giunto al fiume il 24 giugno, il generale comandante la brigata Mantova, baciò le acque.
• Cechi. Richiamati dai tredici milioni di manifesti lanciati dall’Italia oltre le linee, nella battaglia del Solstizio seimila soldati cechi disertarono l’esercito imperiale per combattere nelle fila dell’esercito italiano. Inquadrati in un Corpo d’armata d’Assalto con la divisione di Arditi, più di mille furono perduti, la metà morti, il resto dispersi. Quelli caduti prigionieri degli austriaci furono impiccati immediatamente lungo le strade e nelle piazze venete.
• Vittorio Veneto. Sul diario del generale Giardino nei giorni della battaglia di Vittorio Veneto, 24 ottobre-3 novembre 1918: "Dio sia ringraziato... e il Piave".
• Armistizio. Preceduta da squilli di trombe e bandiera bianca, la richiesta d’armistizio da parte dell’Austria fu annunciata la notte del 29 ottobre da un capitano di Stato maggiore di nome e lingua italiana, Camillo Ruggera. Nella lettera di Ugo Ojetti alla moglie: "L’esercito di uno stato ormai diverso da quello solenne, dignitoso, temuto anche per quel buffo sussiego d’altri tempi" è stato vinto da una Italia "buona, dimessa, ciarliera e bersagliera".
• Morale. "Varie sono le formule della morale, ma la morale del Mondo in fondo è una sola. Chi vince ha ragione" (Nitti, a meno di un anno dalla vittoria, allora Presidente del Consiglio).
• Intombamento. Tra il 1919 e il 1920 un’armata di 35 mila lavoratori, più della metà prigionieri austriaci, gli altri alpini e genieri italiani, procedettero a un’opera di restauro lungo gli argini del Piave, chiamata "intombamento": raccoglievano le salme, radunavano le artiglierie ancora in posizione e i proiettili, liberavano il terreno da rottami e residuati, demolivano i rifugi sotterranei in calcestruzzo, seppellivano le cavità sotto tonnellate di terra battuta, che ricoprivano di zolle erbose e seminavano a prato.
• Leggenda. Composta da Giovanni Gaeta, impiegato postale napoletano, pseudonimo E. A. Mario, La Leggenda del Piave partì per il fronte il giorno dopo la fine della battaglia del Solstizio (l’autore consegnò la canzone in più copie manoscritte all’amico bersagliere Raffaele Gottardo, cantante con lo pseudonimo Enrico Demma). Frequentatore non assiduo del posto di lavoro, l’ufficio del personale del ministero delle poste fece fatica a rintracciarlo per comunicargli il desiderio di Vittorio Emanuele di riceverlo in udienza. Nel 1921 fu licenziato per demerito a causa di scarso rendimento
• edaglie. Per il ruolo avuto dalla canzone nell’ultima fase della guerra e dopo come strumento di pedagogia nazionale, E. A. Mario fu insignito della medaglia d’oro di benemerenza dal ministero della Guerra e dell’Istruzione. 29 Inni. Assurto a inno ufficiale, gli esecutori non corrispondevano alcun diritto alla Siae, e E. A. Mario ricorse in tribunale. Solo per il biennio 1928-1929, per decisione del duce, la Siae escluse tutti gli altri iscritti dei cosiddetti piccoli diritti musicali percepiti per le opere eseguite fuori programma, per versare l’intero ammontare a E. A. Mario e a Blanc, autore di Giovinezza, 60 mila lire ciascuno. Il 25 dicembre 1940, ormai rientrato nell’amministrazione postale come avventizio, dopo aver chiesto invano alla Segreteria particolare del duce un impiego come musicista e propagantista, ottenne appena un sussidio di tremila lire "non rinnovabili". E. A. Mario morì il pomeriggio del 24 giugno 1961, proprio lo stesso giorno in cui si era conclusa la seconda battaglia del Piave, e quella sera Pippo Baudo, in diretta dal teatro Mediterraneo di Napoli, fece eseguire La Leggenda del Piave.