Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Un volo e una canzone
• Battesimo del fuoco. Il 1° novembre del 1899 D’Annunzio parte per soldato, diciotto mesi di leva, "il suicidio sicuro", ha appena ottenuto il successo con Il piacere, quasi subito viene ricoverato in ospedale per una crisi di nevrastenia, ottiene poi, in ragione della fama letteraria, licenze, permessi serali, una camera tutta per sé.
• Parentele. Nel 1921 D’Annunzio compra villa Cargnacco, futuro Vittoriale, discreta residenza campagnola abitata da un critico d’arte tedesco, Heinrich Tode, genero di Wagner.
• D’Annunzio. Il risotto al pomidauro. Quando scrive Isaotta Guttadauro il critico Scarfoglio lo stronca in una recensione dal titolo "Il risotto al pomidauro". Segue sfida a duello.
• D’Annunzio.Esortazioni. "Sugli esami per la nomina a sottotenente i biografi sono vaghi e contraddittori; sappiamo che ebbe diciassette ventesimi in composizione italiana, e che il colonnello, bontà sua, lo incoraggiò a continuare per questa strada".
• Diana caucasica. Dicerie su D’Annunzio: beve filtri d’amore nel cranio di una vergine, indossa pantofole di pelle umana, sostiene il suo declinante vigore mangiando carne di neonato, cavalca nudo sulla spiaggia di Bocca d’Arno in compagnia di una Diana caucasica.
• D’Annunzio. Soste. Nel 1910, diretto in Argentina, passa per Parigi per farsi curare i denti, in realtà è afflitto dai debiti e si fermerà cinque anni.
• D’Annunzio. Scarpe incluse. Rientrato dall’esilio parigino, nel 1915 è tra gli interventisti più accesi e indossa, all’inizio del conflitto, la divisa dei lancieri di Novara grazie a una disposizione speciale che sorvola sulla sua statura, 164 cm, scarpe incluse.
• D’Annunzio. Vispa Teresa. Il 7 agosto del 1915, la sua prima azione bellica. Su un biposto pilotato dall’eroico Giuseppe Miraglia, lancia, oltre le linee nemiche, bandierine tricolori e messaggi patriottici, sul diario di bordo annota due versi della Vispa Teresa: "Vivendo, volando, che male ti fo?".
• D’Annunzio. Fame e sapori. Di un’incontro galante in guerra scrive: "Ha ventisette anni, è nel culmine della giovinezza, quando la prima fame è sazia e cominciano gli indugi sul sapore. Ha ventisette anni, e non s’avvede che questa assodata giovinezza è ingiusta e ingiuria a me. Per avere ventisette anni darei il libro di Alcyone".
• D’Annunzio. Notturno. La sua unica ferita di guerra il 16 gennaio 1916, quando l’idrovolante pilotato dal tenente Bologna ammara bruscamente e D’Annunzio sbatte la testa sulla mitragliatrice di prua, perde poco sangue ma gli cade la retina dell’occhio destro, immobilizzato a letto in una camera oscura scrive Notturno.
• D’Annunzio.Taglie. L’Austria si rende presto conto che sta combattendo due guerre, una contro l’Italia, l’altra contro D’Annunzio, sul cui capo mette una taglia.
• Baffi e cipria. I giornali viennesi dipingono l’italiano nel cliché del bassotto, baffuto e nero, D’Annunzio in abiti femminili tra nubi di cipria.
• Motti. D’Annunzio tra i soldati: "Sapete, bisogna smetterla con l’hip, hip, hurrah. Roba da barbari. Siamo o non siamo latini e omerici? Dunque eia, eia, alalà! Attenti: eia, eia, eia!". E tutti in coro: alalà!
• Mausolei. "Se noi oggi vogliamo capire che cosa fu la Grande Guerra leggiamo le pagine di Lussu, Ungaretti, Gadda... loro fecero la guerra da soldati, in mezzo ai soldati. D’Annunzio fece la sua splendida guerra con uno stretto manipolo di giovani che gli somigliavano, o che si sforzarono di somigliargli. La visse e la sentì come il supremo fastigio di una vita eroica. Non ebbe la corona in Campidoglio ma entrò, vivo, in un mausoleo, il Vittoriale".
• D’Annunzio.Scritta all’ingresso del Vittoriale: "Io ho quel che ho donato".
• Compensato e seta. In una sala, l’aereo del volo su Vienna, principale impresa bellica di D’Annunzio, o meglio una riproduzione in compensato e seta rossa.
• D’Annunzio. Mani. A un operaio che non gli vuole dare la mano, sporca di terra, per aiutarlo a superare un monticello, dice: "Ricordati, la mano di un operaio giammai è sporca".
• Toponomastica. "Perché qui tutto ha un nome: viale d’Aligi, Acqua pazza e Acqua saggia, cortiletto degli schiavoni, portico del parente, fontana del delfino, Pilo del dare in brocca, edicola di San Rocco, colonna dei giuramenti, cortile dalmata... una toponomastica che basterebbe per un quartiere cittadino, e invece si riferisce a poche spanne di terra" (D’Annunzio).
• Luci. "Le luci sono tutte smorzate, rosate, rossastre, giallicce, verdine, bluastre".
• D’Annunzio.Bibliothecula stercoraria. Ai servizi assegna il nome latino, bibliothecula stercoraria.
• Capo tavola. "La stanza della Cheli prende il nome da una tartaruga enorme che sta sul tavolo da pranzo. Quest’animale morì per una indigestione di tuberose... Ora si pensi che D’Annunzio fece mangiare a questo tavolo Umberto di Savoia e Mussolini con a capo tavola la tartaruga Cheli".
Spazzole. "Ancora: entri nel bagno, a fatica rintracci la vasca, bidet e lavabo, di maiolica blu, annullati dal carico di anfore, uccelli, piatti, mattonelle, teste, frutti finti, ampolline, teche e fotografie (più di duemila pezzi, avverte serissima la guida). Guardi sul tavolino, e in bella mostra vedi e conti almeno dieci spazzole per capelli. E tutti sanno che D’Annunzio era calvo"
• Officine. "E oltre tutto in queste stanze D’Annunzio non lavorava: e chi ci riuscirebbe? Al piano di sopra c’è l’Officina, cioè lo studio. Se da questa stanza leviamo la copia di una Vittoria, qualche calco, qualche fotografia, potrebbe sembrare lo studio d’uno scrittore qualunque".
• D’Annunzio.Dizionari. L’immaginifico alimentava la sua esuberanza linguistica con un grande uso di dizionari.
Trentamila volumi. Nella biblioteca, trentamila volumi, nessuna edizione preziosa, solo quello che serve a uno studioso serio.
• D’Annunzio. Vene e penne. "Qualcuno dei guardiani ricorda che era capace di starsene a sedere per dodici, quattordici ore di fila. Preoccupati, essi ogni tanto spiavano questo faticatore della penna, e allora vedevano sulla testa calva una vena gonfiarsi e tendersi come una corda per lo sforzo. Lavorava sodo, dimentico di tanta paccottiglia che gli ingombrava le stanze di sotto. Certo non era più lui: passata la sessantina, aveva dato il meglio di sé, e adesso gli restavano i progetti di altre quaranta opere che non scrisse mai, ma che promise al suo editore".
• Doni. "In un certo senso il Vittoriale è davvero degli italiani: esso infatti ospita tutto quel che gli italiani regalarono a D’Annunzio. Una pera di vetro, una pigna secca, un satiro in stile novecento, un palloncino di carta, una pietra consacrata, una camicia sporca di sangue: non sempre fu lui a mettersi in casa questa roba".
• D’Annunzio. Per non dormire. Si ritirava nella semplice camera detta Schifamondo, sul letto dipinto un occhio d’oro con l’insegna "per non dormire".
• Solo a un temerario come Italo Pietra, già comandante partigiano in Oltrepò e poi inviato del Corriere, poteva venire in mente di mandare Luciano Bianciardi, scrittore anarchico e ribelle, al Vittoriale. Accadde nel 1963 quando Pietra dirigeva l’innovativo Giorno. E Bianciardi traccia un ritratto della casa di D’Annunzio e di D’Annunzio stesso tutt’altro che impietoso e antipatizzante definendolo infine "un nonno strambo, ma a suo modo geniale".
Luciano Bianciardi nasce a Grosseto nel 1922 ed emigra a Milano per lavorare alla nascente Feltrinelli. Si fa licenziare e si dà alle traduzioni dall’americano, attività malpagata che continuerà a svolgere per mantenere la famiglia a Grosseto e quella nuova a Milano. Intanto scrive romanzi, tra cui La vita Agra. Muore a Milano nel 1971.