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 2001  settembre 24 Lunedì calendario

Un amore lungo la via Emilia

• Pierangelo, "Un amore lungo la via Emilia ...così nasce la Ferrari", Limina, Arezzo, 2001
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• Il sogno di Enzo Ferrari: «diventare quello che sono».
• Enzo Ferrari fu registrato all’anagrafe di Modena il 20 febbraio 1898. In realtà era nato il 18, ma quel giorno la neve era tanto alta che non era stato possibile andare a denunciare l’atto di nascita.
• Reduce di guerra, Ferrari tentò di farsi assumere alla Fiat con una lettera di raccomandazione del suo colonnello. Non gli riuscì e cominciò con l’Alfa Romeo nel 1920. A Silverstone, il 14 luglio 1950, dopo aver sconfitto l’Alfa guidata da Froiland Gonzales, detto ”il toro della Pampa”, pianse: "Oggi ho battuto l’Alfa, mia madre".
• Fino a metà degli anni Trenta pagò stipendi e fornitori vendendo le macchine un’ora dopo la vittoria: «Un esempio: nel ’36 le sue auto andarono a correre in America, alla Coppa Vanderbilt, dove dominarono. Le macchine erano tre Alfa 12C: ne tornarono in Italia solo due" (Pino Allievi, responsabile dei servizi automobilistici della ”Gazzetta dello Sport»).
• Michael Schumacher è figlio d’un muratore, Eddie Irvine di uno sfasciacarrozze irlandese. Ai tempi di Tazio Nuvolari e Antonio Ascari, invece, «i piloti erano quasi tutti rampolli di buone famiglie, perché ci volevano i soldi per rischiare la vita sulle macchine da corsa».
• Giuseppe Campari, morto per una macchia d’olio all’autodromo di Monza nel settembre 1933, durante un duello con Borzacchini. Pingue, nero di capelli, molto peloso, ottimo cantante oltre che pilota, scherzava sempre: «Quando corro mi dicono di andare a cantare, quando canto mi dicono di andare a correre».
• «Per fare le corse, i freni non servono» (Tazio Nuvolari).
• «Il segreto di un vero corridore è quello di sapere andare al limite. E per limite intendo il punto massimo di velocità al quale si può arrivare senza uscire di strada» (Alberto Ascari).
• Enzo Ferrari perse una prima volta Tazio Nuvolari, per non avere accolto le sue richieste: "Caro Enzo, o accetti di cambiare il nome della tua squadra in Scuderia Nuvolari-Ferrari, o me ne vado". Dopo aver fatto la fortuna della Maserati, il Nivola tornò alla Ferrari e vinse due Gran Premi ingessato come una mummia sotto l’effetto di eccitanti e di antidolorifici. Morì l’11 agosto 1953 di una malattia polmonare provocata dai gas di scarico annusati in tutti gli anni di gara. Non aveva mai annunciato di ritirarsi dalle corse.
• «Alberto Ascari era l’uomo che doveva partire in testa alla gara, altrimenti si creava in lui un senso d’inferiorità, diventava nervoso, rischiava di commettere errori. Quasi un complesso del quale non sapeva liberarsi. Quando era in testa, invece, era inarrivabile, era impossibile superarlo» (Carlo Chiti, tecnico della Formula 1).
• Nel 1955, a 36 anni, Alberto Ascari lasciò la Ferrari, perché suo padre era morto a quell’età e aveva paura di fare la stessa fine. Il 26 maggio dello stesso anno, a Monza, chiese solo di provare la Ferrari dell’amico – allievo Castellotti. Ma una lepre gli tagliò la strada, o forse un muratore attraversò all’improvviso, e uscendo di pista Ascari morì.
• «Preferisco trattare i miei figli con durezza: non voglio che mi amino troppo. Un giorno o l’altro potrei andarmene. Soffriranno di meno, se non me li sarò lasciati venire troppo vicino» (Alberto Ascari, pilota, morto a 36 anni nel maggio ’55, mentre provava la Ferrari dell’amico Castellotti. Poco più di un anno prima aveva lasciato la Ferrari perché suo padre Antonio, anche lui pilota, era morto a 36 anni e lui temeva di fare la stessa fine) (Pierangelo Sapegno).
• Per il pilota Manuel Fangio essere coraggiosi in gara era uno sbaglio: «I coraggiosi non hanno una lunga storia».
• «Se un pilota non ha paura è un idiota» (il pilota John Surtees).
• «Correre è fare della geometria» (John Surtees).
• Ferrari vendette la sua Scuderia alla Fiat il 18 giugno 1969: «A Maranello io ho dato il nome di una fabbrica di automobili conosciuta in tutto il mondo. La Fiat ha realizzato una vera fabbrica di automobili».
• «Le sue macchine nascono proprio dal suo desiderio di perfezione, sono parte della sua vita. Quando presentava un modello la prima domanda che faceva era: ” bello?”» (il pilota John Surtees).
• Aveva giurato al figlio Dino, malato di distrofia muscolare, che lui sarebbe stato l’unico Ferrari. Solo dopo la sua morte, nel 1956, permise all’altro figlio, Piero Lardi, avuto durante la guerra, di aggiungere il suo cognome a quello della madre. Al sacerdote che lo consolava dopo la morte di Dino: «Non so più pregare. L’unica cosa che io so dire è questa: Dio fatemi diventare buono».
• Dopo la morte del pilota Luigi Musso, nel luglio 1958, ”L’Osservatore Romano” accusò Enzo Ferrari di essere un "Saturno ammodernato": "fattosi cioè capitano d’industria contiua a divorare i suoi figli".
• «Io resto perplesso quando sento che un pilota è stato elogiato per aver evitato, a rischio della vita, il corpo esanime di un collega o la macchina capovolta sull’asfalto. Non mi sembra un gesto eroico, per stare all’esempio, perché io sono finito in un fosso nel disperato tentativo di evitare un cane. Ricordo che in quegli attimi pensai: se fosse un gatto mi dispiacerebbe, ma peggio per lui; ma quello è un bel segugio di razza. Sì, vedete, sono sincero a costo di sembrare cinico. Dirò di più. A me è capitato, quando correvo, di essere in terza posizione e di vedere a un tratto, ai margini della pista, una macchina in fiamme. Potei leggerne il numero: era quello che mi precedeva. Ora che cosa mi passò per la testa in quell’attimo? Primo: uno di meno, adesso sonno in seconda posizione. Secondo: chissà se si è fatto male. Terzo: già, potrebbe succedere anche a me. Questi sono i veri sentimenti di un pilota in corsa. Io mi ritengo peggiore degli altri, ma non so quanti siano migliori di me» (Enzo Ferrari).
• Per Niki Lauda la fortuna non conta: "Quando uno è in crisi tutta la vita, è colpa sua". A proposito dell’incidente del Nürburgring: "Se sono sopravvissuto è solo merito mio: ho lottato come un matto per vivere".
• «Datemi una macchina al sessanta per cento delle sue possibilità: il resto lo aggiungerò io» (Gilles Villeneuve).
• Villeneuve quando gli chiesero che cosa pensava della morte: « possibile in ogni corsa, ma se uno ci pensasse sempre non correrebbe. A me importa soprattutto essere tranquillo per il futuro dei miei cari. Ho già previsto il peggio, ma ho guadagnato tanti soldi, e non ne ho sprecati. Per me, non importa. Dopo sei mesi, dopo un anno, mi dimenticheranno».
• «Io quando corro ci metto il 110 per cento, ma posso sbagliare, come può sbagliare la squadra. Perché devo morire per un errore?» «Un giorno mi sono alzato dal letto e mi sono chiesto se la Formula 1 era ancora tutto. Non puoi correre per hobby o per soldi, devi avere delle grandi motivazioni, devi pensare solo a quello. Non è un lavoro come gli altri. O è la tua vita o niente. Allora dissi niente» (il pilota Jody Scheckter).
• Nessuno dei piloti prediletti di Enzo Ferrari aveva vinto un mondiale: «Una coincidenza solo apparente, perché il Grande Vecchio aveva uno strano amore, un affetto quasi disperante per i perdenti della vita, e non importava che fossero come suo figlio Dino che si era ammalato per non venirne più fuori e che gli camminava stanco in un giorno d’estate strappandosi a fatica un po’ di respiro, o come quei piloti che si giocavano tutto in una volata simile a un colpo di pistola, non avendo paura di lasciare tutto quello che avevano vinto e di lasciare persino – cosa assai più difficile – tutto quello che avrebbero potuto vincere».
• Secondo Pierangelo Sapegno, Delia Scala, fidanzata di Castellotti, gli aveva detto addio una settimana prima del suo incidente mortale. Passata a trovarlo all’autodromo durante le prove, prima di partire per uno spettacolo con Walter Chiari, l’aveva lasciato perché lui le aveva chiesto ”per l’ultima volta” di abbandonare il teatro e di sposarlo. "Allora io dovrei dirgli di piantarla con le corse", spiegò la soubrette a Enzo Ferrari che aveva assistito all’ultimo abbraccio.