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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

«Si cambia più facilmente religione che caffè» (Georges Courteline)

• «Si cambia più facilmente religione che caffè» (Georges Courteline).
• La pianta del caffè proviene dallo Yemen. Per lungo tempo si è creduto che provenisse dall’Etiopia, dove fu scoperta (attorno all’anno Mille) da alcuni pastori della regione di Caffa (di qui il nome). "Visto che alcune capre, dopo aver mangiato dei cespugli dai frutti rossi e tondeggianti, che crescevano spontanei a 1000-1300 metri di altitudine, diventavano irrequiete e non riuscivano ad addormentarsi, i pastori, fatte bollire le bacche di quella pianta, ne ricavarono un infuso che, appena bevuto, rivelò notevoli qualità energetiche".
• Secondo una leggenda araba, l’invenzione del caffè sarebbe opera di Allah, il quale, tramite l’arcangelo Gabriele, l’avrebbe fatto pervenire a Maometto per svegliarlo da uno stato di torpore da cui non riusciva a scuotersi. Da quel momento Maometto non avrebbe più affrontato i suoi pellegrinaggi senza essersi rinvigorito con l’infuso nero, che lo rendeva capace di "sbalzare dalla sella quaranta uomini e godere con quaranta donne".
• Gli arabi scoprirono il caffè intorno al 1511, alla Mecca, all’epoca della dominazione turca. Il governatore della città santa (Khair-Beg) vide dalla moschea alcuni asceti che sorbivano in silenzio la bevanda. Dopo averli fatti scacciare convocò i suoi medici e teologi che decretarono la pericolosità del caffè, poiché produceva gli stessi effetti del vino. Dopo vent’anni di divieto, la bevanda, già diffusissima, si impose definitivamente. Venne chiamata ”Kaweh”, l’eccitante.
• Le prime mescite di caffè sorsero nel ’500, a Medina, La Mecca, Damasco, Istanbul. A Costantinopoli, le prime botteghe di caffè, frequentate da poeti e letterati, erano chiamate "scuole di sapienza". Il caffè era soprannominato "latte dei giocatori di scacchi e dei pensatori".
• Il primo caffè europeo sorse nel 1650 a Oxford, quello italiano (la ”Bottega del caffè”) nacque a Venezia, tra il 1647 e il 1676. A Vienna, nel 1683, l’ufficiale polacco Kolschitzky, dopo aver salvato la città dall’assedio dei Turchi di Kara Mustafà, s’impadronì di 300 sacchi di caffè abbandonati dagli assedianti, con i quali aprì la caffetteria ”Zur blauen Flasche” (’Alla bottiglia azzurra”) al n. 6 della Domgasse.
• Tra le caffetterie ambulanti, assai diffuse nella Parigi del ’600, celebre quella di un gobbo (detto "il Candiota") che girava per la città portando appeso al braccio un paniere colmo di tazzine, con una mano reggeva un fornello con una caffettiera sopra e con l’altra mano un recipiente pieno d’acqua fornito di rubinetto.
• A Parigi, nel 1686, in rue des Fossés-Saint-Germaine, fu aperto il ”Procope”, primo caffè letterario. Il nome deriva dal suo fondatore, il siciliano Procopio dei Coltelli, poi francesizzatosi come Procope Cousteau. Frequentatori del caffè: Rousseau, Diderot, D’Alembert, Robespierre, Danton, Marat, Mirabeau. Poi Balzac, Gautier e De Musset. Chiuso nel 1872, dopo la riapertura, nel 1893, vi si sedettero Huysmans, Anatole France, Wilde e Verlaine.
• Per Casanova andare al Caffè era una necessità al pari di un’amante. Stendhal diceva che avrebbe cambiato un’amante piuttosto che un caffè. Riccardo Bacchelli non avrebbe cambiato un Caffè neppure con un seggio da senatore.
• Balzac, quando scriveva, teneva sempre a portata di mano, sulla scrivania, una caffettiera di porcellana che sfornava senza sosta da 20 a 40 tazzine di caffè macinato alla turca. Il consumo eccessivo di caffè gli procurò una grave gastrite, e probabilmente gli accorciò la vita. Flaubert alternava decine di tazze di caffè a bicchieri di acqua gelata. Voltaire, che consumava anche 50 tazzine di caffè al giorno, morì a 84 anni. Lo scrittore Fontenelle, ormai centenario, a chi sosteneva che il caffè fosse un lento veleno rispondeva: "Che sia un veleno molto lento posso testimoniarlo io stesso".
• Marinetti era soprannominato "la caffeina d’Europa". D’Annunzio confessava di bere, nei momenti di maggior lavoro, "da dieci a quindici tazze di tè o altrettante di caffè"; durante i voli si portava sempre dietro un "tubo" pieno di caffè caldo. Giovanni Papini: «S’io divento più acuto dopo due tazze di caffè... allora una sciocca vertigine mi riempie l’anima ed ho il crudele sospetto ch’io non sia altro che una macchina cerebrale, che rende quel che ci si mette».
• «La miglior massima ch’io conosca è questa: bevi il tuo caffè, se puoi farlo, e se non puoi, sii contento lo stesso». «Non sono sempre abbastanza sereno per scrivere: per esserlo bisogna prendere il caffè una volta la settimana» (Jonathan Swift, in una lettera all’amante Vanessa del 13 luglio 1722).
• "Il caffè dà una specie di vivacità nervosa simile a quella della collera: la voce si alza, i gesti esprimono un’impazienza morbosa, si desidera che tutto vada alla velocità del pensiero, si è tesi, irritati per un nonnulla. Si acquisisce quel carattere volubile tipico dei poeti, tanto criticato dai droghieri" (Balzac).
• Il caffè giunse in Europa occidentale nella prima metà del Seicento. Secondo Pietro Verri "la più antica memoria che sen abbia è del 1644, anno in cui ne fu portato a Marsiglia". Cantù, nella sua ”Storia Universale”, "Da principio a Parigi vendeasi a due soldi e mezzo...nelle farmacie e nei conventi".
• Poteri attribuiti al caffè, poco dopo la sua scoperta: favorisce le tendenze omosessuali, l’impotenza, l’apoplessia. "Beverei prima il veleno/che un bicchier che fosse pieno/dell’amaro e reo caffè" (Francesco Redi, ”Bacco in Toscana”).
• Per Hermann Kesten, scrittore, il caffè è "l’anticamera della poesia". Jean-Arthur Rimbaud, poeta, guadagnò molto denaro lavorando nel 1880 per un’azienda che commerciava con il caffè.
• «Il caffè rende saggi gli uomini politici/facendogli veder chiaro ciò che l’oscurità cela» (Alexander Pope).
• Opere dedicate al caffè: Bach compose una ”Cantata del caffè”, (ispirandosi ad un poema di Picandier del 1727, in cui si parla di un padre che cerca di togliere alla figlia il vizio del caffè); Carlo Goldoni scrisse la ”Bottega del caffè”; Voltaire ”Le café ou l’Ecoissaise”, Jean-Baptiste Rousseau ”Le Café”.
• Nel 1764 nasce a Milano la rivista ”Il Caffè”, fondata da alcuni intellettuali (tra di loro Pietro Verri e Cesare Beccaria) e ispirata al primo caffè milanese, il ”Demetrio”. La ragione del titolo della rivista: "Un Greco originario di Citera, mal soffrendo l’avvilimento, e la schiavitù, in cui i Greci tutti vengon tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella Contrada... son già tre anni, che si risolvette d’abbandonare il suo paese: prese il partito di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne a Milano, dove son già tre mesi, che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma. In essa bottega primieramente si beve un caffè, che merita il nome veramente di caffè. Caffè vero verissimo di Levante, e profumato col legno d’Aloe, che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo il più grave, l’uomo più plumbeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz’ora diventi uomo ragionevole". (Pietro Verri, su ”Il Caffè” del 1 giugno 1764).
• "Il ”Caffè Aragno” non era un caffè ma un foro, una basilica, un porto di mare e dove, per entrarvi ci voleva del coraggio e una gran voglia di farsi avanti". "Nella Terza Saletta s’entrava sovversivi e se ne usciva conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti" (Vincenzo Cardarelli). "A noi, nella tazzina di caffè che ci stava davanti, pareva di intingere, come per un battesimo di gloria, un lembo della toga ”praetexta” della nostra adolescenza" (Orio Vergani).
• Al ”Caffè Aragno” di Roma si riuniva "la mecca dell’intellettualità". "Andavo tutti i giorni, e anche più di una volta, al ”Caffè Aragno”, che allora aveva tre sale, due vaste e una angusta. In quelle grandi stavano uomini politici, professori e in generale le persone serie e gravi; nella piccola, chiamata la ”terza saletta”, i letterati e gli artisti, per lo più giovani" (Giovanni Papini).
• «Le persone che si siedono al ”Caffè Greco” sono disgustose. Non ci vado quasi mai perché provo avversione per il loro locale favorito... Bevono il caffè e parlano del Tiziano e del Pordenone come se fossero seduti lì accanto, con le stesse barbe e gli stessi monocoli. Loro, invece, dipingono Madonne malaticce, santi mortificati, eroi imberbi, di cui li si ricompenserebbe con vero piacere a suon di frustate» (Berlioz).
• «La taverna più detestabile che esista: sporca, scura e umida". "Nulla può giustificare la predilezione che le accordano gli artisti di tutte le nazionalità residenti a Roma...Si ammazza il tempo fumando orrendi sigari, bevendo un caffè che certo non è migliore, servito non su tavoli di marmo, come in tutti gli altri posti, ma su piccoli tavolini di legno grandi come un cappello e neri e appiccicosi come i muri di questo spiacevole luogo» (Mendelssohn sul ”Caffè greco”).
• «Alla mattina bevo qualcosa di caldo al ”Caffè Greco” , presso piazza di Spagna. E’ lì che gli artisti tedeschi si riuniscono tre volte al giorno: di mattina, dopo colazione e verso sera. Il caffè è buono e servito in tazza, mentre in altri locali viene versato nei bicchieri. Ma il locale è stretto, fumoso e poco frequentato dai romani» (Wilhelm Muller).
• «Roma odora di d’incenso e olio d’oliva, di mimose e violette e di caffè tostato nelle innumerevoli torrefazioni o preparato dalle macchine espresso, odora di santi macilenti e di antiche rovine, di moda e di misticismo, di musiche notturne e di tutti i vini dei Castelli Romani» (Hermann Kesten).
• Il Caffè è il luogo più adatto per uniformarci a tutto ciò che è nuovo... Esso è veramente una specie di club democratico, accessibile a chiunque per una modesta tazza di caffè, in cui per questa piccola oblazione ognuno può starsene seduto per ore a discutere, scrivere, giuocare alle carte, ricevere la sua corrispondenza e anzitutto smaltire un numero illimitato di giornali e riviste" (Stefan Zweig).
• un privilegio del Caffè poter stare seduto tutto il giorno, e anche di notte, in mezzo a gente d’ogni ceto. E’ l’unico luogo dove il discorso crea la realtà, dove nascono piani giganteschi, sogni utopistici e congiure anarchiche, senza che si debba lasciare la propria sedia» (Montesquieu).