Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 25 agosto 2001
I cosacchi
• Signori e popolo. «Tutto, ormai, è silenzio a Mosca. Di Rado, tratto tratto, risuona quello strido di ruote proprio delle strade invernali. Alle finestre non ci sono più luci, e i lampioni sono spenti. Dalle chiese si spandono ritocchi delle campane e, dondolando sulla città dormente, preannunciano il mattino. Le strade sono deserte. Di rado, qua e là, va solcando coi pattini sottili la sabbia intrisa di neve un fiaccheraio notturno e, trascinatosi fino a un nuovo posteggio, s’addormenta, in attesa di un avventore. Passa una vecchierella diretta alla chiesa, dove già, tremolando sull’oro delle icone, ardono rossicce e rade, in asimmetrica disposizione, le candele di cera vergine. Il popolo lavoratore sta levandosi ormai, dopo la lunga notte d’inverno, e si reca al lavoro. Ma per i signori è ancora sera».
• Troika. «La troika è un tiro a tre cavalli tipico della Russia».
• Strade. «Pareva a Olènin che soltanto i partenti percorrano codeste strade».
• Legami. «Perché mai esso, l’amore, non viene? Non viene a legarmi mani e piedi?».
• Immagini. «La sua immaginazione, ormai, era tutta nel futuro, nel Caucaso. A tutte le fantasticherie sul futuro gli si mischiavano immagini di Amalàt-bek, di ragazze circasse, di montagne, di burroni, di spaventosi torrenti e pericoli».
• Libertà. «Quanto più rude si faceva la popolazione, quanto più diminuivano i segni della civiltà, tanto più libero si sentiva».
• Paesaggi. «Solo una stretta striscia (di non più che seicento metri) di fertile terreno macchioso costituisce il patrimonio dei cosacchi. A nord di loro, hanno inizio i sabbioni della steppa del Nogàj, ovverosia di Mozdòk, che si estende ben lontano verso nord e va a confondersi, Dio sa dove, con le steppe di Trichmèn, di Astrakàn e dei Kirghisi di Kaisàts. A sud del Terèk, c’è la Grande Cecnjà, la catena di Kockalòsov, le Montagne Nere, ancora qualche altra catena e, infine, quelle montagne nevose, che si scorgono sì, ma sulle quali nessuno è ancora stato».
• Cecentsy. «Ancora ai nostri giorni, le famiglie cosacche si considerano imparentate con quelle dei cecentsy, e l’amore per la libertà, per l’ozio, per la rapina e per la guerra costituisce la principale caratteristica della loro indole. L’influsso della Russia non si manifesta che dal lato negativo, con le coazioni elettorali, con la confisca delle campane e con le truppe di stanza o di passaggio».
• Tartara. «Il cosacco giovane e bravaccio si pavoneggia della sua padronanza della lingua tartara, e quand’è brillo, anche coi suoi parla tartaro».
• Casa. «La maggior parte del tempo, il cosacco lo passa ai cordoni, nelle spedizioni, a caccia o a pesca. Non accade quasi mai che lavori in casa. Se sosta al villaggio, è un’eccezione alla regola: e in tal caso egli fa baldoria».
• Cosacche. «Le donne, per la maggior parte, sono più forti e più intelligenti e più progredite e più belle dei cosacchi. Nella bellezza della donna del Grèbegn colpisce soprattutto la fusione del più puro tipo circasso nel viso, con la solida e possente complessione della donna nordica. Vestono le cosacche, secondo il costume circasso: camicia tartara, besmèt e ciuvjakì; ma il fazzoletto da capo se lo legano al modo russo».
• Bestie selvatiche. «Non appena fa sera, gli uomini, paurosi uno dell’altro, si ritirano nei loro abitati, e solo le bestie selvatiche e gli uccelli, senza più timore dell’uomo, vagano liberamente per questo deserto».
• Arme. «Il vero cavaliere indossa sempre abiti larghi, strappati, trascurati: solo l’arme ha di gran lusso».
• Buzà. «Così si chiama una birra tartara ricavata dal miglio».
• Sconfinamenti. «In capo gli ronzava il pensiero delle montagne, lassù, dove abitavano i cecentsy, degli sconfinamenti che quei guerrieri facevano di qua dal fiume, e come costoro non temessero mica i cosacchi».
• Arbreky. «Così venivano chiamati i cecentsy che facevano incursioni oltre sconfine».
• Cichìr. «Tipo di vino cosacco».
• Due secchi. «Raccontava dell’antico modo di vivere dei cosacchi, del suo babbo ch’era un uomo alla grande, e da solo portava sulla schiena il corpo d’un cinghiale da centosessanta chili, e beveva in una sola seduta due secchi di cichìr».
• Ospitalità. «Il vecchio si rizzò, andò a prendere del pesce secco, lo posò sulla soglia, lo batté bene con un bastone, che diventasse più morbido, e, collocatolo con le sue mani grinzose sul piatto turchino, l’unico che avesse lo servì in tavola».
• Fegato. «Se vuoi essere un ragazzo di fegato, ebbene, sii guerriero, non già un contadino!».
• Riscatti. «Dalle montagne erano arrivati, sotto la guida d’un emissario cosacco, dei cecentsy ribelli, parenti dell’abrèk ucciso, a riscattare il cadavere».
• Ufficiali. «La vita d’ufficiale presso i villaggi cosacchi ha ormai da un pezzo una configurazione precisa. Come ogni nobile sottufficiale ed ogni ufficiale, in fortezza, beve regolarmente del porter, giuoca allo stos, e discorre di ricompense per le spedizioni; altrettanto regolarmente al villaggio cosacco beve del cichir coi padroni di casa, offre alle ragazze ghiottumi e miele, fa il vagheggino dietro alle cosacche, delle quali finisce coll’innamorarsi; e a volte addirittura le sposa».
• Capanne.«La capanna in cui abitava Bielètskij era tale e quale a quella di Olènin. Piantata su passsoni a un metro e mezzo da terra, si componeva di due stanze. Nella prima – dove Olènin entrò per una rapida scaletta – eran disposti piumini, tappeti, coperte, cuscini alla maniera cosacca, assestati con bell’effetto e buon gusto l’uno a ridosso dell’altro, pendevano bacini di rame e armi; sotto a una panca, stavano ammucchiate cocomeri e zucche. Nella seconda stanza, una grossa stufa, una tavola, delle panche, e icone della vecchia osservanza».
• Idee. «Spesso, seriamente, gli s’affacciava l’idea di dar addio a tutto, arruolarsi tra i cosacchi, comprarsi un’isba, il bestiame, ammogliarsi a una cosacca».
• Parti. «E quando, allora, ci si dovrebbe divertire, se non nella nostra libertà di ragazze? Quando sarò maritata a un cosacco, incomincerò a partorire, e assaggerò la miseria».
• Ananassi. «In Russia, io penso, altro che albicocche, avrete mangiato ananassi in conserva e in confettura a vostro beneplacito».
• Sogni. «Far di lei una mantenuta sarebbe stato orrendo. Sarebbe stato un assassinio. Ma far di lei una signora, la consorte di Dmitrij Andrejevic Olènin, una delle tante cosacche di queste parti che sono andate in moglie a un nostro ufficiale, sarebbe stata una cosa anche peggiore. Eh, se io fossi potuto diventare un cosacco, un Lukàska, e rubar mandrie di cavalli, e ingozzarmi di cichìr, e sfogarmi a canzoni, e ammazzare uomini, e poi ubriaco arrampicarmi alla sua finestra per una nottata d’amore, senza pensiero di chi io sia e perché agisca così, sarebbe allora stato un altro affare: allora sì che ci saremmo potuti intendere a vicenda, allora sì che sarei potuto essere felice».
• Olènin, giovane e aristocratico moscovita, abbandona la vita viziosa della città e parte, come militare, per il Caucaso. La Frontiera, tra la steppa e le montagne dei ceceni, dove risiede, a guardia del confine, il popolo dei cosacchi. La natura e l’indole selvaggia di quest’ultimi, la bellezza delle loro donne, sono una specie di prova d’iniziazione alla vita.
Lev Nikolaevic Tolstoj nasce il 28 agosto 1828 nella tenuta di Jasnaja Poljana, 200 chilometri a sud di Mosca, da famiglia di antica nobiltà russa. Sia la madre sia il padre muoiono quando è bambino. Cresce sotto la tutela di alcune zie, tra Mosca, Pietroburgo e Kazan’. Tenta senza successo alcuni corsi universitari (filosofia, lingue orientali, giurisprudenza). Intorno ai vent’anni se la spassa. Poi parte, come granatiere, col fratello Nikolaj per il Caucaso. Quindi partecipa a qualche scontro della guerra di Crimea. Nel 1857 ottiene il congedo e viaggia per l’Europa. Nel 1862 sposa Sofija Bers dalla quale avrà tredici figli. Negli anni ’60 e ’70 lavora ai due suoi più celebri romanzi, Guerra e pace, Anna Karenina. Matura una crisi spirituale che lo porta alla scomunica come eretico. Devolve i proventi di Resurrezione ai seguaci di alcune sette perseguitate. Il 28 ottobre 1910, all’età di 82 anni, fugge di casa nello stile dei vecchi pellegrini, muore il sette novembre in una sperduta stazione, Astapovo.