Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 5 agosto 2002
«Ci hanno ordinato di essere pronti, ma non ci hanno spiegato per che cosa» (una fonte della marina britannica al ”Sunday Times”)
• «Ci hanno ordinato di essere pronti, ma non ci hanno spiegato per che cosa» (una fonte della marina britannica al ”Sunday Times”).
• «Duecentocinquanta mila uomini in campo, i marines attraversano il confine dal Kuwait, le truppe speciali si infiltrano da Giordania e Kurdistan, centinaia di aerei decollati da otto diversi Paesi martellano basi militari e radar: è questo lo scenario possibile dell’attacco all’Iraq di Saddam Hussein pianificato dal Comando Centrale delle truppe americane e ora al vaglio del presidente George W. Bush. L’esistenza del documento è stata svelata dal ”New York Times” nello stesso giorno in cui all’Onu sono falliti i colloqui fra il Segretario generale, Kofi Annan, e il ministro degli Esteri iracheno, Naji Sabri, sul ritorno degli ispettori a Baghdad per verificare la presenza di armi di distruzione di massa» (Maurizio Molinari).
• Le domande dell’’avvocato del diavolo” ("Colin Powell?"): «Di quanti uomini avremo bisogno? Riusciremo a ottenere il sostegno degli europei? Esiste un partito dei dissidenti, capace di assumere il potere e di controllare il Paese? Riusciremo a mettere le mani su Saddam? Per quanto tempo dovremo restare in Iraq dopo la fine delle operazioni? Come reagiranno i curdi, i turchi, i sauditi, gli iraniani, gli Emirati del Golfo? Dobbiamo guardarci le spalle da una nuova ondata di attacchi terroristici? E’ possibile che il vento della guerra faccia sprigionare nuove scintille in Palestina, in Kashmir, in Afghanistan, in Pakistan, in Cecenia?» (Sergio Romano).
• «Le pagine di ”Courses of Action” - questo il nome del piano - lasciano intendere che gli Stati Uniti per condurre da soli da guerra hanno solamente bisogno di ottenere il via libera per l’uso delle basi aeree da otto Paesi (fra cui Kuwait, Bahrein, Qatar, Omar, Emirati Arabi, Turchia e l’isola di Diego Garcia). Per gli alleati europei è un messaggio: da un punto di vista militare non sono indispensabili» (Maurizio Molinari).
• «Se Saddam Hussein vietasse agli ispettori dell’Onu l’ingresso agli arsenali, gli Stati Uniti potrebbero attaccare militarmente l’Iraq l’autunno prossimo col pieno sostegno dell’Inghilterra: il primo ministro inglese Tony Blair, infatti, avrebbe assicurato a George W. Bush l’appoggio del proprio Paese. L’ha rivelato ”The Guardian”, sottolineando che l’accordo tra i due capi di Stato coincide con la messa a punto di un piano d’invasione» (Paola Rocco).
• Secondo un sondaggio, il 51 per cento degli inglesi è contro la guerra (quattro mesi fa era solo il 40 per cento). «E anche al Pentagono l’ala delle colombe ha fatto sentire la propria voce. Il ”Washington Post” rivela che sono in molti dentro l’apparato militare a pensare che l’Iraq non costituisca una seria minaccia agli interessi americani » (Riccardo Orizio).
• La stampa britannica è certa del coinvolgimento della Royal Navy perché una delle navi più prestigiose, la HMS Ocean, che doveva essere l’attrazione della manifestazione navale di Plymouth, è stata all’improvviso richiamata nei cantieri di carenaggio per quella che il ministero della Difesa definisce«una manutenzione straordinaria per prepararla al servizio attivo».
• «Quanti soldati italiani servirebbero? ”Un battaglione, cioè 400 uomini, più alcuni reparti delle forze speciali, che dovrebbero lavorare assieme ai commando Usa. Da un punto di vista tecnico-militare, l’Italia è in condizione di far fronte a questa richiesta e, se governo e Parlamento così decideranno, le truppe verranno inviate”. Lei è d’accordo? ”Sono preso fra l’incudine e il martello”» (Antonio Martino, ministro della Difesa).
• «Al di là di Blair o delle profferte del governo italiano, quanti altri sono disposti a seguire Bush? ”In Europa non molti, Germania e Francia non so quanto. Se poi guardiamo altrove, persino nei paesi vicini all’Iraq ci sono molti dubbi. Le missioni Usa nei paesi arabi hanno raccolto solo dei no, anche Turchia e Giordania non sembrano così disponibili... L’Italia dovrà considerare con attenzione la questione, perché l’atteggiamento prevalente dei paesi europei è di non sostenere l’intervento Usa. E’ per questo che sono preoccupato”. Di che cosa? ”Di vedere il nostro presidente del Consiglio schiacciato sulle posizioni di George W. Bush”»(l’ex ministro degli Esteri Lamberto Dini in un’intervista a Marco Ansaldo).
• I tempi per l’attacco non sono imminenti: per trasportare 250 mila uomini nell’area delle operazioni servono almeno due mesi dal momento della decisione formale. Resta poi da chiarire in che modo le truppe di terra saranno protette da possibili attacchi coi gas e cosa seguirebbe alla deposizione di Saddam.
• Anche se ufficialmente Bush non ha ancora deciso l’attacco, l’operazione Iraq è in piena preparazione a Washington: un indizio viene dall’annuncio del Dipartimento di Stato che «tutto il personale americano in Iraq è stato evacuato». Il riferimento è a quei pochi diplomatici che in questi anni hanno rappresentato gli interessi di Washington lavorando all’interno dell’ambasciata della Polonia a Baghdad.
• La doppia guerra. «La doppia guerra del generale Bush è cominciata in un piccolo ufficio accanto allo Studio ovale e finirà nella polvere dell’Iraq. Sarà combattuta dai soldati, ma per vincere la battaglia delle urne. Non le urne degli eroi, ma le cassette di schede elettorali, quelle che i cittadini saranno chiamati a riempire in novembre per il nuovo Congresso [...] Lo stratega vero e invisibile della doppia guerra è il roseo, insignificante, quieto ”direttore degli affari politici”, Karl Rove, il mago elettorale che inventò il candidato Bush e ora, guardando i tabulati dei sondaggi, teme che la sua creatura gli si stia sbriciolando tra le dita».
• «Un trionfo elettorale dell’opposizione in autunno sarebbe la conferma che George Bush vinse senza né maggioranza né mandato. I suoi ultimi due anni, con il Parlamento dominato dai nemici, sarebbero un’agonia verso la fine. Urge aprire un secondo fronte esterno, dunque, per tamponare la ritirata sul fronte interno. Vecchia e premiata strategia, questa, secondo una tecnica della diversione che da decenni si utilizza nella politica americana... La usarono Nixon, per tentare di salvarsi dal Watergate e Reagan, per tenere gli occhi del pubblico fissi sul Nicaragua... E ne fece ampio uso Bill Clinton, lanciando missili Cruise e bombardieri sempre nei momenti più sdrucciolevoli dei suoi scandali privati» (Vittorio Zucconi).
• Il tracollo della fiducia in Bush. «Non ci sono ragioni visibili per sostenere che Saddam Hussein sia più canaglia oggi di ieri o meno di domani. Non ci sono stati fatti nuovi, scoperte credibili di complicità irachena nell’orrore dell’11 settembre o in nuovi progetti terroristici di al-Qaida... Il solo fatto nuovo dell’estate 2002 sono stati il collasso degli investimenti e dei risparmi per 88 milioni di americani esposti in Borsa, l’impotenza del team economico al governo e il tracollo della fiducia in Bush».
• «Fino alla primavera, quando la Borsa ancora galleggiava, l’ipotesi della grande guerra all’Iraq era slittata nel futuro. Si era parlato del 2003... Oggi, occorre dare la sensazione che il pericolo Saddam cresca ora per ora. Per questo, si convocano bruscamente a Washington i membri sparsi e in cagnesco tra loro della cosiddetta ”resistenza a Saddam”, curdi e fondamentalisti islamici, sciiti e colonnelli in esilio, per creare l’impressione che le truppe americane incontreranno folle festanti e fiori sulla via di Baghdad, come alla liberazione di Napoli o Roma, e avranno un governo locale vero, pronto ad assumersi la responsabilità di governare 31 milioni di iracheni» (Vittorio Zucconi).
• Gli Stati Uniti hanno invitato a Washington il prossimo 9 agosto i rappresentanti di sei gruppi di opposizione iracheni per una serie di colloqui. Gli inviti sono arrivati ad Ahmed Chalabi e Sherif Ali Bin Al-Hussein dell’Iraqui National Congress (INC), all’Ayatollah Mohammed Baqer al-Hakim del Supremo consiglio della rivoluzione islamica in Iraq, ad Ayad Alawi dell’Iraqui National Accord e ai leader curdi Jalal Talabani dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) e Massoud Barzani del Partito democratico del Kurdistan (KDP). L’obiettivo è quello di mettere d’accordo le fazioni dell’opposizione, divise da profonde rivalità, in vista della campagna per rovesciare il regime di Saddam.
• Recep Tayyip Erdogan, leader del partito islamico ”Giustizia e Sviluppo”, candidato a vincere le nuove elezioni in Turchia, annunciate da Ankara per il 3 novembre. Con alle spalle studi coranici, vendite di limonate sulle spiagge del Mar Nero e una carriera da calciatore professionista, Erdogan è l’erede di Necemettin Erbakan, il capo storico del movimento politico islamico turco dichiarato fuorilegge nel 1998. "Quando era sindaco di Istanbul Erdogan tolse gli alcolici dai menù dei ristoranti, poi spaventò la Turchia intera con un appello a ”sollevarsi in nome di Allah” e quindi nell’ultimo anno è divenuto il leader indiscusso del partito in cui si sono riuniti i parlamentari del ”Partito della Virtù”, anch’esso dichiarato fuorilegge nel 2001" (Maurizio Molinari).
• Le condizioni poste da Ankara per partecipare alla guerra: non dovrà portare a uno Stato curdo nel nord dell’Iraq; i curdi non dovranno avere il controllo dei pozzi di Mosul e Kirkuk; dovranno essere cancellati debiti con gli Usa per 5 miliardi di dollari. La Casa Bianca è convinta che l’intesa strategica con la Turchia "prescinda dai governi", ma l’incognita della possibile vittoria elettorale di Erdogan resta.
• La proposta turca: mettere alla guida dell’Iraq un re, ossia Hassan di Giordania, zio dell’attuale sovrano di Amman, Abdallah, e fratello di Hussein.
• La Giordania. Bush vorrebbe usare la Giordania come ”base non dichiarata” da cui far partire le operazioni di intervento. L’obiettivo dei raid dovrebbero essere i depositi di armi non convenzionali dell’Iraq e le caserme della Guardia Repubblicana. Con un contingente di militari in Giordania, gli americani potrebbero creare inoltre una zona cuscinetto fra Israele e Iraq e dislocare batterie anti-Scud per difendere Israele da attacchi missilistici. Con lo spazio aereo giordano, infine, gli Stati Uniti avrebbero un terzo corridoio di accesso ai cieli iracheni, oltre a quello turco da nord e kuwaitiano da sud. [...] Le notizie sul probabile coinvolgimento della Giordania hanno messo in difficoltà Amman che ha sempre evitato attriti politici diretti con l’Iraq, da cui dipende totalmente per le importazioni di greggio.
• In un’intervista al quotidiano ”Al-Rai Al-Aam”, lo sceicco Jaber al-Hamad al-Sabah, ministro della Difesa del Kuwait, ha chiarito la posizione del suo Paese: "Noi non appoggiamo le minacce di colpire l’Iraq o di sferrare un attacco nei suoi confronti. La nostra accettazione al riguardo è condizionata a una decisione presa nell’ambito dell’organizzazione globale", cioè l’Onu. Nel piccolo e ricchissimo emirato, gli Usa hanno di stanza circa 10 mila uomini e numerosi caccia-bombardieri, "ma solo con funzioni di deterrente rispetto a Baghdad. Il Kuwait ha da tempo messo in chiaro che non concederà più a Washington il suo territorio per operazioni belliche anti-irachene".
• La centrale nucleare iraniana di Bushehr, sulle coste del Golfo Persico: costruita con l’assistenza tecnica di Mosca ("che ha preferito incassare 800 milioni di dollari da Teheran piuttosto che dar retta a George W. Bush"), sarà completata entro il 2003 o alla fine del 2004 e diverrà operativa un anno e mezzo dopo. Potrà produrre 100 megawatt di elettricità: "Per usi pacifici, assicurano gli ayatollah iraniani, ricordando di essere in regola col trattato di non-proliferazione e di aver invitato a Bushehr gli ispettori della Iaea, l’agenzia atomica di Vienna".
• A Washington, invece, molti pensano che si tratti del primo passo verso l’atomica: di qui l’ipotesi di applicare la dottrina di Bush sulla prevenzione del terrorismo, neutralizzando le batterie anti-aeree e anti-missilistiche a difesa dell’impianto per poi metterlo fuori uso.
• «L’opzione militare ha un famoso precedente: il 7 giugno 1981, una squadra di cacciabombardieri F-15 e F-16 con la stella di Davide rase al suolo il reattore nucleare costruito dai francesi a Osirak, non lontano da Baghdad. In quell’occasione gli Stati Uniti criticarono duramente Israele, ma in seguito si resero conto che il raid aveva di fatto impedito a Saddam Hussein di disporre di armi nucleari» (Arturo Zampaglione).
• Un attacco preventivo verrebbe interpretato da Teheran come un atto di guerra, "con conseguenze per il momento imperscrutabili". Spingerebbe poi gli ayatollah ad accelerare la ricerca in campo nucleare e potrebbe creare tensioni con la Russia di Vladimir Putin, che ha sempre difeso la buona fede del progetto iraniano e che, dopo quella di Bushehr, ha promesso di costruire altre cinque centrali in Iran.
• Infine, l’azione militare sarebbe strumentalizzata dal regime per bloccare i cambiamenti politici. "I mullah al potere in Iran assomigliano sempre di più agli abitanti del Cremlino nel 1988 o a quelli di Versailles nel 1788", ha scritto sul Wall Street Journal James Woolsey, per tre anni alla guida della Cia. Secondo Woolsey, "la teocrazia sciita è giunta al capolinea e il regime non può durare a lungo". L’ex-capo degli 007 ha invitato gli Stati Uniti ad appoggiare la lotta del popolo iraniano: un appello in contraddizione con un eventuale attacco da parte dell’Air Force.
• Come nel 1981, l’azione potrebbe essere condotta da Israele, con o senza l’appoggio americano. Gerusalemme ha già detto che considera la centrale di Bushehr una minaccia alla sicurezza dello Stato ebraico.
• «Esamineremo tutti i mezzi e tutte le opzioni. Sono un uomo paziente. Ma non ho cambiato idea» (George W. Bush).