Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Corone e maschere
• Cafoni. «Un cafone siberiano» (a proposito di Eltsin).
• Bisturi. «Insieme con la prigione, le sigarette, la birra e la macchina da scrivere, il bisturi è stato uno dei suoi compagni più assidui: lo ha perseguitato e salvato da un’infinità di mali, alcuni letali, cancri tracheiti, emorroidi, pneumonie, occlusioni intestinali» (a proposito di Václav Havel).
• Sorrisi. «La gente sorride poco, parla sottovoce, come se il decennio postcomunista non avesse aggiunto granché al mezzo secolo comunista» (a proposito di Praga).
• Aja e dintorni. «Non so a quale religione Carla Del Ponte appartenga. Ma anche se fosse cattolica, come lo sono tanti nel Canton Ticino, direi che la sua maschera giudicante, pur rivelando tratti quasi lombardi, tradisce un’impronta di fondo che scavalca i Cantoni e fa subito pensare all’antropologia e all’etica elvetiche più antiche e più autentiche: la Svizzera di Calvino, la Svizzera che non perdona l’errore e il peccato, che per difendere il proprio credo sa cadere come cadde con le armi in pugno il riformatore e parroco della cattedrale di Zurigo Huldrych Zwingli».
• Popoli e leader. «Il tuo tribunale non è altro che un’istituzione amorale e illegale, inventata come rappresaglia per leader disubbidienti di popoli disubbidienti e superflui» (Milosevic a proposito della Del Ponte).
• Machismo balcanico. «Soprattutto un balcanico siffatto, un balcanico al cubo, poteva prevedere che sarebbe stata una donna di un irrilevante Paese alpino l’avversario terminale della sua carriera machiavellica e spietata?» (a proposito di Milosevic).
• Last famous words. «Qualunque cosa io faccia mi seguiranno. Io sono l’ayatollah Khomeini della Serbia» (Milosevic).
• Arresti. «Avrebbe potuto perire da vittima orgogliosa sparandosi un colpo alla tempia; o cadere martire sotto le rivoltellate vendicative di un orfano del Kosovo; oppure immolarsi come un glorioso Davide balcanico sotto le bombe del perfido Golia atlantico. Invece, si è lasciato passivamente ghermire» (a proposito di Milosevic).
• Madonne partigiane. «La madre mitomane le aveva dato il nome di Marija non per onorare la Madonna. Gliel’aveva dato con l’intenzione di celebrare nella figlia la memoria omonima di una certa Bursac, eroina morta nella seconda guerra» (a proposito di Marija, figlia di Milosevic).
• Polsi. A proposito della moglie di Milosevic: «Mira sembra uscita in uno stesso istante dall’antro di una tragedia di Sofocle e da un film zingaresco di Kusturica. ossessionata dal mito luttuoso di Antigone, veste minacciosamente di nero come Elettra, adorna le dita e i polsi rustici, da massaia più che dottoressa di sociologia, con molti anelli e bracciali pesanti».
• Fiori di plastica. Mira (moglie di Milosevic, ndr) ama mettersi tra i capelli corvini una fiore di plastica.
• Fumetti. Il soprannome del miliziano serbo Zeliko Raznatovic, noto come ”Arkan”, "era stato ricavato da un fumetto che Zeliko, fanciullo eterno e megalomane, sfogliava tra una partita e l’altra ai tempi in cui capeggiava la tifoseria della Crvena Zvezda, la mitica Stella Rossa del mondo calcistico belgradese.
• Orbite. «Le ”Tigri” portano infilato nella cintura, fra la pistola e la bomba a mano, uno strano cucchiaio dagli orli affilati come rasoio: primordiale utensile chirurgico per estrarre gli occhi dalle orbite delle vittime» (a proposito dei miliziani di Arkan).
• Neroni. «Radovan Karadzic, il Nerone ultranazionalista che declamava poesie di amore e di morte contemplando l’incendio di Sarajevo dalla roccaforte di Pale».
• Lancio del coltello. Milo Djukanovic, presidente del Montenegro, detto ”Milo Messer”, ”Milo coltello”, per la sua abilità nel lancio del coltello.
• Motivi. Milo Djukanovic dichiarò in pubblico la sua avversione per il gioco degli scacchi in quanto la bandiera croata è a scacchi.
• Dita. Djukanovic raccomandò in pubblico di tagliare il mignolo e l’anulare ai croati per obbligarli a fare il segno della croce con tre dita, all’ortodossa.
• Matrimoni. Il leader croato Stipe Mesic non si vergognava di avere sposato una serba e lo dichiarava apertamente nei comizi.
• Pedalini. Gli ervegovesi, cioè gli abitanti della regione bosniaca a maggioranza croata, sono detti ”bile bicve”, ”calze bianche”, per il loro vezzo di portare come segno di distinzione pedalini candidi.
• Foulard. «Rugova, un foulard come bandiera».
• Storia. «Com’è noiosa la storia dei comunisti. Bisogna mettere insieme tante carte, molti documenti, infinite risoluzioni di comitati centrali e uffici politici, per estrarre alla fine qualche mezza verità» (Paolo Spriano, storico del Pci).
• Scarponi. «Diceva bene Ronchey quando asseriva che, per impedire ai due battenti del compromesso storico di chiudersi, bisognava aspettare che Craxi infilasse nella commensura il suo ”scarpone chiodato”».
• Balzi. «Un’immagine del 1998, scattata da McNeely all’insaputa dei due nello studio dell’Air Force One, denuncia il divario con evidenza insieme plastica e piscologica. L’uno e l’altra, stremati dalla fatica, dormicchiano a bordo dell’aereo presidenziale appena atterrato a Kigali, in Ruanda. Clinton è in maniche di camicia, la guancia poggiata al dorso di una mano, umanamente sdraiato su un’ampia poltrona di cuoio dietro la scrivania; la moglie invece pisola su un divano semiseduta, irrigidita, già tutta vestita, col cappello in testa, pronta a scattare davanti ai dignitari, ai diplomatici e ai fotografi in attesa sulla pista dell’aeroporto: un manichino abbigliato in procinto di spiccare macchinalmente il balzo dal retrobottega nella vetrina pubblica».
• Cose. «Disprezzo gli utopici progressisti occidentali che dicono una cosa, pensano un’altra e ne fanno una terza. Apprezzo i duri conservatori che dicono prima una cosa e poi fanno la stessa cosa» (Mao, al proprio medico curante, durante la visita di Nixon a Pechino).
• Unicità. «Questi americani ci fanno impazzire ma sono gli unici americani che abbiamo» (Helmut Schmidt, quand’era cancelliere della Germania).
• Parabole. Su Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve: «Era un oriundo tedesco di religione e stirpe ebraiche, mezzo orfano della vita e della società, cresciuto da una madre divorziata nel ghetto di Washington Heights di New York. Un recinto giudaico pieno di colori e dolori, non tanto dissimile da Harlem, in cui le patriarcali comunità israelite si stipavano in abitazioni con sue sole stanze: nella scuola sovraffollata del quartiere i ragazzi più sfavoriti, come Alan, dovevano partecipare a lezioni durante la notte».
• Bohémien. Quella sua remota passione per la musica jazz, quella sua vita da scapolo bohémien fatta in gioventù con fortunose compagnie di ochestrali, appartengono al breve ma intenso capitolo letterario di un’esistenza ebraicamente irrequieta e molteplice" (sempre a proposito di Greenspan).
• Copertine. "Liberty, equality, impunity" (l’’Economist”, in copertina, a proposito di Chirac inquisito).
• Una serie di fotogrammi di personaggi del secolo appena concluso, quasi scattati di frodo, con un’angolatura e un taglio che ce li mostrano sotto un aspetto originale, inedito, illuminante.
Dalmata di nascita, profugo in Italia dopo la seconda guerra mondiale, Bettiza, dopo avere fatto mille mestieri tra cui il contrabbandiere di saccarina in Valtellina, approda al Pci, ma se ne distacca subito e il romanzo in cui descrive il suo percorso politico viene notato da Piovene che lo fa assumere a Epoca. Di lì, passando per la Stampa, approda al Corriere e diviene un inviato tra più apprezzati. Fa parte della ”argenteria di famiglia” che Montanelli si porta via dal quotidiano milanese al tempo della fondazione del Giornale. In seguito alla sua candidatura nelle file del Psi, sia pure come indipendente, lascia il posto di condirettore del Giornale e torna alla Stampa. Riappacificato con Montanelli, vince, tra l’altro il Supercampiello con Esilio, romanzo di memorie sulla sua infanzia in Dalmazia.