Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Memorie di una geisha
• Liza Dalby, l’unica donna americana che sia mai divenuta una geisha.
• L’apprendistato di una geisha: imparare a danzare, a preparare il té, a suonare lo shamizwn (o chitarra a tre corde). La sua arte vera, quella per cui viene pagata: intratttenere gli ospiti. L’eros, praticato o suggerito, come corollario di quest’arte.
• I ricevimenti con geishe, banali: «L’anfitrione era di solito il capo divisione di una piccola azienda e l’ospite d’onore uno dei fornitori, se non addirittura uno degli impiegati che aveva appena ricevuto una promozione, o cose del genere».
• Tra i compiti dell’apprendista geisha: tritare il ghiaccio per preparare i gelati. Altro compito: accompaganare gli uomini alla toilette.
• Mizuage, cioè sverginamento dell’apprendista geisha, operazione per cui si svolge un’asta tra i pretendenti. «Dopo il mizuage un’apprendista geisha porta i capelli acconciati in modo diverso e la fascia di seta alla base dello chignon a forma di puntaspilli è di colore rosso unito, mai a disegni». Dettagli sul mizuage: «...alla fine il dottor Granchio acconsentì a pagare 11.500 yen. Fino a quel momento era la somma più alta mai sborsata a Gion, e probabilmente in qualunque altro quartiere di geishe in Giappone, per un mizuage. Dovete pensare che a quei tempi (1935) un’ora del tempo di una geisha costava all’incirca quattro yen e un kimono appena al di sopra della media venduto attorno ai 1500 yen, perciò la cifrà può non sembrare particolarmente alta, ma era molto di più di quanto un operaio potesse sperare di guadagnare in un intero anno. [...] Per la maggior parte delle geishe è motivo d’orgoglio non avere mai denaro liquido con sè, perché dovunque si trovino sono abituate a comprare a credito [...] [a causa dell’inflazione] il mizuage di Mameha, per cui erano stati versati nel 1929 dai 7.000 agli 8.000 yen, era stato in realtà pagato più del mio, anche se questo era stato valutato nel 1935 11.500 yen. [...] Agli occhi di tutti avevo stabilito un nuovo record, che rimase tale fino al 1951, quando apparve sulla scena Satoka, che a mio parere fu una delle più grandi geishe del secolo ventesimo». La campionessa avrebbe anche potuto essere Mamemitsu nei lontani 1890.
• L’abbigliamento più ufficiale di un’apprendista geisha: «un kimono nero a cinque strati con una sottoveste rossa, che è il colore di tutto ciò che inizia». Consiglio all’apprendista geisha: comportarsi come se non avesse il minimio senso dell’umorismo.
• La sottoveste della geisha deve essere armonizzata col kimono per ottenere un buon effetto quando, camminando per strada, lei fosse costretta a sollevare per qualche ragione l’orlo del kimono divenuto a un tratto d’intralcio.
• L’erotismo delle geishe, basato sull’allusione più che sull’esibizione. Integralmente avvolte nel kimono, lasciano visibile solo un piccolo triangolino di carne all’altezza della gola, là dove i baveri del kimono si riuniscono. Nel versare il tè c’è un modo di far vedere l’avambraccio, soprattutto nella parte di sotto, più morbida e chiara, ritenuta più erotica.
• «Una vera geisha non infangherebbe mai la propria reputazione accettando un rapporto casuale con un uomo». Esistono pure geishe che lo fanno e accettano per questo delle somme di denaro: ma si tratta di geishe di infimo livello: «Ritengo che dovreste vedere come danza, come suona lo shamisen, e che cosa sa della cerimonia de tè prima di decidere se è realmente una geisha oppure no». «Non voglio dire con questo che una geisha non si conceda mai per una sola notte a un uomo che trova attraente. Ma, che lo faccia o no, una simile decisione deve restare nell’ambito privato. Le geishe hanno passioni come ogni altra donna e commettono errori al pari di tutte. Però se corrono un tale rischio, possono soltanto sperare che non lo si venga a sapere. A essere messa in gioco non è soltanto la loro reputazione, ma, cosa ancora più importante, la relazione con il loro danna, ammesso che l’abbiano. Inoltre si attirano la collera della donna che dirige il loro okiya. Se una geisha decide di dare ascolto alla propria passione deve affrontare questi rischi. Ma certamente non lo fa per una manciata di spiccioli che può guadagnare facilmente in una qualche forma legittima. Perciò una geisha di primo o secondo livello non può essere comprata per una sola notte, non da chiunque capiti. Ma se il tipo giusto di uomo è interessato a qualcos’altro (non ad avere un breve rapporto erotico, ma ad allacciare una relazione più duratura) e offre condizioni più favorevoli, allora sì, la geisha sarà ben felice di accettare [...] Una normale geisha [...] passa il suo tempo ad affascinare gli uomini nella speranza che un giorn qualcuno faccia alla padrona della casa da tè una proposta che la riguardi. Molte di queste proposte sfociano in un nulla di fatto: l’uomo, messo alle strette, può risultare troppo poco ricco o dimostrarsi recalcitrante davanti al suggerimento di regalare un costoso kimono come segno di buona volontà. Ma, se le trattative, che possono durare settimane, giungono a buon fine, la geisha e il suo nuovo danna celebrano una cerimonia molto simile a quella che si svolge quando due geishe diventano sorelle. Nella maggior parte dei casi questo legame dura all’incirca sei mesi e, qualche rara volta (non dimentichiamo che gli uomini si stancano facilmente e pretendono di cambiare) anche id più. I termini del contratto obbligheranno probabilmente il danna a pagare una parte dei debiti della sua nuova amante, a coprire molte delle sue spese fisse (per esempio, il costo dei prodotti da trucco e, talvolta, una certa percentuale di quello delle lezioni) e quelle mediche o altre del genere. Nonostante tutte queste spese extra, l’uomo continuerà, come qualsiasi altro cliente, a pagare le ore che trascorre con lei; ha però diritto ad alcuni ”privilegi”. Questo tipo di contratto vale per una geisha normale; una d’alto bordo pretende invece molte altre cose. Per cominciare, siccome non vuole infanagare la propria reputazione con una lunga serie di danna, ne avrà soltanto uno o al massimo due, in tutta la sua vita. E costui non soltanto si farà carico di tutte le spese quotidiane (registrazione, lezioni, pasti) ma le darà anche un piccolo salario, sponsorizzerà per ei qualche recital di danza, le regalerà kimono e gioielli. E se trascorrerà del tempo con lei, non pagherà il normale compenso a ore, ma molto di più ome segno di benevolenza» Shamisen = strumento musicale chiamato anche chitarra giapponese simile a un liuto a tre corde. «Metà della fatica consiste nel ricavare il giusto suono; l’altra metà nel compiere i gesti in modo appropriato». Danna = antico termine giapponese per ”marito”; usato dalle geishe per indicare l’amante o il protettore.
• «Una brava danzatrice, nel mettersi le calze bianche abbottonate, le sceglie spesso di una misura inferiore così da poter sentire ogni minima vena del legno del palcoscenico».
• «Le nuvole passano sopra la luna» espressione per indicare l’arrivo del ciclo mestruale.
• Il vestitore: colui che sa legare intorno alla vita della geisha l’alta cintura detta obi. Impossibile far l’operazione da sole. Una geisha porta sempre l’obi allacciato dietro, mentre una prostituta, che deve scioglierlo di continuo, lo porta davanti.
• Le scarpe dell’apprendista geisha dette okobo «Sono piuttosto alte e fatte di legno, con graziosi lacci di cuoio laccato per tenere fermo il piede. La gente trova di solito molto elegante la loro forma che va assotigliandosi a mo’ di cuneo, cosicché la superficie della base è di circa la metà di quella superiore, ma incontravo molte difficoltà a camminare mantenendo un’andatura aggraziata. Mi pareva di avere due tegole legate alle piante dei piedi».
• Andatura della geisha: «Quando puoi procedi con andatura costante, facendo piccoli passi per far ondeggiare l’orlo del tuo kimono. Nel vedere una donna camminare si deve avere l’impressione di onde che si increspano sulla riva sabbiosa».
• Tra le creme usate dalle geishe una fatta con escrementi di usignolo.
• La ”Danza nei flutti”, cioè lo strip-tease: «La ballerina finge di incamminarsi in acque sempre più profonde, perciò solleva via via il kimono per non bagnare l’orlo, finché gli uomini non scorgono ciò che stavano aspettando e cominciano ad appaludire e a brindare fra loro con il saké».
• Sui maschi giapponesi il collo e la gola di una donna esercitano lo stesso fascino che sull’uomo occidentale hanno le gambe. « per questo motivo che le geishe portano il kimono tanto abbassato sulla schiena da mettere in evidenza i primi dischi della colonna vertebrale, proprio come una parigina indossa una gonna corta». Le geishe si truccano la nuca (un trucco, detto sanbon ashi, consiste nel tracciare sulla nuca tre piccole dita). «Una geisha lascia un sottilissimo margine di pelle nuda tutt’intorno all’attaccatura dei capelli in modo che il suo trucco appaia ancora più artificiale, quasi fosse una maschera del teatro nô. Quando un uomo, seduto alle sue spalle, vede quella specie di maschera, diventa molto più consapevole della pelle nuda celata sotto il trucco».
• Le geishe mettono il rossetto con un sottile pennello. Tecnica di dipingere solo il labbro inferiore, per farlo sembrare più turgido.
• Il ”gei” di geisha significa arti e il termine geisha è sinonimo di artigiano o artista.
• Una giovane apprendista deve imparare, dopo che i suoi capelli sono stati acconciati, a dormire in maniera diversa. Non usa più un comune guanciale ma un takamakura, più che un cuscino è una forcella per sostenere la base del collo.
• «Il primo passo [per diventare apprendista geisha] consistette nell’acconciarmi i capelli alla maniera di un’apprendista geisha, la cosiddetta ”pesca tagliata”. A quei tempi a Gion c’erano molti parrucchieri: quello di Mameha [è la geisha che fa da maestra o sorella maggiore alla protagonista Sayuri] lavorava in una stanza terribilmente affollata sopra un ristorante d’infimo ordine. Fui costretta ad attendere quasi due ore prima che venisse il mio turno, assieme a una mezza dozzina di geishe inginocchiate dove capitava, persino sul pianerottolo delle scale. E mi dispiace dover dire che il puzzo dei capelli sporchi era terribile. Le elaborate acconciature che le geishe portavano a quei tempi richiedevano tanta fatica e tanti soldi che nessuna andava generalmente dal parrucchiere più di una volta a settimana e alla fine neppure i profumi con cui i capelli venivano irrorati servivano più a mitigare il cattivo odore. Quando arrivò finalmente il mio turno, la prima mossa del parrucchiere fu quella di mettermi sopra un largo bacile, in una posizione che mi fece quasi temere che avesse intenzione di tagliarmi la testa. Poi mi versò sui capelli un secchio d’acqua tiepida e cominciò a insaponarli, sfregandoli con forza. In realtà il verbo ”sfregare” non rende compiutamente l’idea, perché ciò che fece con le sue dita al mio cuoio capelluto assomigliava di più al lavoro di un contadino con la zappa. Nel ripensarci, capisco il motivo. Per le geishe la forfora è un serio problema: poche cose sono altrettanto repellenti e suscitano una tale impressione di sporco. Il parrucchiere aveva dunque i suoi bravi motivi, ma dopo un po’ il mio cuoio capelluto cominciò a farmi talmente male che mi vennero le lacrime agli occhi. Allora l’uomo mi disse: ”Piangi pure, se vuoi. Perché credi che ti abbia messa su un catino?” [...] Quando ne ebbe abbastanza di piantarmi le unghie nel cuoio capelluto, mi fece sedere di lato su alcune stuoie e prese a passarmi fra i capelli un pettine di legno fino a indolenzirmi i muscoli del collo a causa dei continui strappi. Finalmente decise di aver tolto ogni nodo e allora mi unse i capelli con olio di camelia, per dare loro una piacevole lucentezza. Cominciavo a pensare che peggio fosse passato quando l’uomo prese una barretta di cera. E posso assicurarvi che anche con l’olio di camelia come lubrificante e un ferro caldo per ammorbidire la cera, fra quest’ultima e i capelli c’è una totale incompatibilità. [...] Quando i miei capelli furono uniformemente incerati, il parrucchiere tirò indietro la frangia e raccolse il resto dei capelli in cima alla testa formando un grosso chignon simile a un puntaspilli. Visto da dietro, questo puntaspilli ha una piega centrale, come se fosse scisso in due, ed è per questo che l’acconciatura viene chiamata ”pesca tagliata”. Anche se ho portato per alcuni anni i capelli acconciati in questo modo, non mi ero mai resa conto di un particolare finché, molto tempo dopo, un uomo non me lo spiegò. Lo chignon (quello che io ho definito ”puntaspilli”) viene ottenuto arrotolando i capelli attorno a un pezzo di stoffa. Sulla nuca, dove lo chignon si apre, la stoffa viene lasciata visibile; può essere di qualsiasi colore, in tinta unita o a disegni, ma nel caso di un’apprendista geisha (se non altro, dopo che nella sua vita si è verificato un certo evento) è sempre di seta rossa. Una notte un uomo mi disse: ”La maggior parte di queste innocenti ragazze non ha la minima idea di quanto sia in realtà provocante l’acconciatura a ’pesca tagliata’! Immagina di essere un uomo che cammina alle spalle di una giovane geisha, assorto in ogni genere di perversi pensieri su ciò che gli piacerebbe farle, ed ecco che a un tratto le vede sulla testa questa specie di pesca aperta, con uno sprazzo di rosso all’interno della fenditura... Che cosa credi che gli venga in mente?”». A causa di tutto questo lavoro intorno ai capelli, «un ornamento per la testa equivale a un articolo di biancheria intima» e una geisha non metterebbe mai tra i capelli il pettine di un’altra.
• Una geisha che indossa il kimono non si siede davvero: quando assume quella che noi chiamiamo posizione seduta è in realtà accovacciata in ginocchio.
• «Le persone generose non diventano geishe. Diventano protettori di geishe».
• «Naturalmente nessuna geisha tiene per sè tutti i guadagni, e anche Mameha non faceva eccezione. La casa da tè prende una percentuale, una parte più piccola va all’associazione delle geishe, un’altra al ”vestitore”, e via di questo passo, inclusa una certa cifra che la geisha deve pagare all’ojiya che si occupa di tenerle in ordine i conti e di prendere nota degli impegni. Alla fine in mano alla geisha resta poco più della metà dei guadagni che, se lei è molto ricercata, è una somma enorme, mentre è una vera miseria in caso contrario (e allora la geisha sprofonda ogni giorno di più in un oscuro pozzo)». Okyia = edificio in cui vivono le geishe.
• «Ogni uomo ha il suo destino. Ma chi ha bisogno di andare da un cartomante per scoprirlo? Mi rivolgo a un cuoco per capire se ho fame?».
• L’apprendista geisha porta il colletto rosso, le geishe bianco. «Se però vi capitasse di vedere un’apprendista e una geisha l’una di fianco all’altra , il colletto sarebbe l’ultima cosa ad attrarre la vostra attenzione, perché l’apprendista, con il suo elaborato kimono dalle lunghe maniche e l’obi penzolante fino a terra, vi farebbe probabilmente pensare a una bambola giapponese, mentre la geisha vi sembrerebbe più semplice, nei limiti del possibile, e anche più femminile».
• «Le speranze sono come gli ornamenti per capelli. Le ragazze vogliono mettersene troppi ma, quando diventano vecchie, anche uno solo le fa sembrare ridicole» (proverbio giapponese).
• «Non si diventa geishe per avere un’esistenza piacevole, ma perché non si ha altra scelta».
• «Nulla è più deprimente del futuro, a parte forse il passato» (si può anche invertire).
• Kyabarei” deformazione giapponese per ”cabaret” .