Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Il prigioniero. Storia breve di Adriano Sofri

• Incipit. "Bisogna varcare quattordici porte per raggiungere la cella di Adriano Sofri, nel carcere Don Bosco di Pisa".
• La stanza. "La stanza sarà cinque metri per tre, è arredata con un tavolo e con sedie da ufficio postale. Le pareti sono bianche e la luce al neon".
• Ore. Le ore trascorse in carcere, al momento dell’incontro, cioè verso la fine del 2001, erano quarantamila e trentadue, mille e 668 giorni.
• Pavesini. "Dice Adriano Sofri che in carcere è tutto orrendamente ciclico. Si gioca soltanto a carte per tre settimane, poi basta. Si mangiano pavesini tre mesi di fila, poi basta pavesini".
• Passatempi. "Uno si ubriaca di metadone, un altro fa duemila flessioni al giorno, un terzo scrive libri".
• Lime. "Poi, la battitura dei ferri; un agente batte un sbarra metallica contro la triplice inferriata della finestra: si sa mai che qualcuno, nottetempo, l’abbia limata per calarsi di sotto e darsi alla macchia. La battitura dei ferri può ripetersi in qualsiasi momento, specie di notte. Ci sono notti in cui il rito viene replicato una decina di volte".
• Fogli in fiamme. "C’è un bel film. Si chiama "Nel nome del padre" e l’hanno visto anche al Don Bosco. E’ la storia vera di irlandesi condannati per un attentato che non commisero. Uno di loro morì in carcere. Tutti i detenuti lo salutarono gettando dalle finestre fogli di carta in fiamme. Al Don Bosco dicono che quando muore qualcuno, non lo si può salutare così. Colpa della tripla inferriata".
• Zanzare. "Pisa è una città di zanzare. Nei ristoranti i fornelletti insetticida sono appesi alle pareti, come abat-jour. In carcere è approvato soltanto il possesso dello zampirone. Dell’Autan, no. Nemmeno di qualsiasi altra pomata allevi il prurito. Lo zampirone viene sequestrato al primo di ottobre. Naturalmente, le zanzare non sono così rispettose della scadenza e incattivite dal freddo si attardano qualche altra settimana nelle celle".
• Amori. "Due detenute presero ad amoreggiare in cella. Colte sul fatto, furono processate per atti osceni in luogo pubblico. Le celle, dunque, sono luoghi pubblici".
• Scarpe. "Praticamente immobile. Però quando gli arriva il pallone è difficile che sbagli il tiro. Un giorno fece quattro o cinque reti. Poi ci siamo accorti che aveva le scarpe nuove. Gliele aveva portate suo figlio Luca, e noi dicevamo che quelle segnavano da sole" (il detenuto Ahmed, su Sofri centravanti).
• Portenti. "Il vero portento è Omar, algerino, dentro per spaccio, sembra; i tecnici lo descriverebbero come un furetto, micidiale negli spazi stretti, dai piedi buonissimi, dribblomane incallito, noncurante dello scopo ultimo del gioco: il gol. Scartati tutti, portiere compreso, Omar torna indietro e li riscarta da capo, e siccome i compagni si incazzano, lui scarta pure loro".
• Premi. "Sofri, dicono in molti, è vittima di una variante particolarissima di sudditanza psicologica: fischia rigori soltanto in favore delle squadre in svantaggio. Malgrado tutto, di recente Sofri è stato insignito col premio di miglior arbitro del torneo. Il riconoscimento è stato suggellato con una targa ricordo. "Sì, ma ero l’unico arbitro del torneo"".
• Antifurti. "Un vicino di cella di Adriano Sofri è felice quando di notte scatta l’antifurto di un’automobile. Dice che gli ricorda la libertà".
• Pacco uno. Sono molte le cose proibite in carcere. Dice Sofri che si fa prima a elencare quelle consentite: pacchi dal peso non superiore ai cinque chilogrammi, che possono contenere esclusivamente: calzini, camicie, maglie (senza cappuccio), mutande, pigiami, pantaloni, scarpe (ma soltanto se ne fa richiesta il recluso, se i familiari portano scarpe di propria iniziativa, le scarpe non entrano), canottiere, accappatoi (sempre senza cappuccio, e senza cintura), asciugamani, ciabatte, fazzoletti di stoffa (attenzione, non di carta), tovaglioli, tute, lenzuola, federe.
• Pacco due. Il pacco alimentari non deve contenere che: carne (solamente cotta), verdure, formaggio (soltanto di tipo duro, no mozzarelle e crescenze), frutta fresca (eccetto quella di grosse dimensioni, come le angurie, le banane e gli agrumi; quindi portare arance ai prigionieri rimane un modo di dire), salumi (purché già affettati). Tutti i generi alimentari, dice una circolare, debbono "essere messi in contenitori di plastica". Niente dolci, niente bevande.
• Libri. Libri sì, ma non con copertina rigida.
• Lima. Un visitatore entrò nel carcere di Pisa per andare da Sofri, gli portò una guida del Perú, ma si concesse una battuta di spirito: "C’è una Lima dentro". Una guardia sentì, la guida venne sequestrata.
• Testimone. Said, detenuto algerino in attesa di giudizio, rinchiuso a Pisa, volle Sofri come testimone di nozze (si sposava in prigione). Sofri accettò. Il giorno dopo gli fu comunicato che non era possibile. condannato definitivo, interdetto dai pubblici uffici, non può fare il testimone.
• Bambini. "Più grave ancora è la privazione di ogni rapporto con i bambini. Essa mutila l’affetto e l’intelligenza" (Sofri).
• Sofri a Sarajevo: "Succede di ricordare i propri anziani genitori nella coppia di coniugi in abiti dignitosamente lisi che escono, sostenendosi l’un l’altra, dall’androne di un palazzo bombardato in cui si distribuisce un chilo di farina e mezza bottiglia di olio, di vedere il proprio professore di liceo nel signore avvilito che offre libri vecchi, una penna stilografica, un cappello, a un angolo di mercatino".
• Inverno. A Sarajevo finirono gli alberi, che la gente abbatté per alimentare le stufe a legna. Un anziano docente universitario mise mano alla libreria. Usò i volumi per scaldare la famiglia. Prima quelli della propaganda serba, poi i manuali, infine i romanzi, con gran dolore.
• Tram. Sarajevo fu la prima città d’Europa a dotarsi di un tram, nel 1895, e i cittadini ne vanno orgogliosi. Per i cecchini era facile mirare ai tram e colpire i passeggeri. Qualche volta colpirono anche i bambini che per gioco si aggrappavano alla parte posteriore della carrozza.
• Cecchini volontari. Un giapponese, intervistato dalla tivù serbobosniaca, raccontò di essere venuto sulle colline di Sarajevo ad ammazzare la gente per dimenticare un amore perduto.
• Qualche giorno dopo la conclusione dell’assedio. Lo speaker della tv di Sarajevo cominciò così il notiziario: "Voi non ci crederete, ma praticamente non ci sono notizie. Questo è un telegiornale del pianeta Marte".
• Etimologie. "Italia, disse un uomo a Sofri, è una parola cecena. Significa terra dei dieci vulcani accesi".
• Detti. "Se cerchi un amico vero, vieni in Cecenia, e anche se cerchi un nemico".
• Storiella: "I russi, preoccupati dalla crescente forza dei cinesi, decisero di sbarazzarsene ricorrendo ai ceceni. Ne chiamarono il capo e gli dissero di pensarci lui. Il capo chiese solamente quanti diavolo fossero questi cinesi, e quando si sentì rispondere che erano un miliardo e duecento milioni, disse: e dove cazzo li seppelliamo?".
• Pecore. "In Iran, Adriano Sofri fu accompagnato da Randi Krokaa, la donna con cui ha vissuto in questi anni. Randi è norvegese, e in Iran scattò le foto per il giornale. Dei contadini iraniani chiesero a Sofri quante pecore volesse per Randi".
• Tabula rasa. "Sofri disse di aver visto in Iran la stessa "predilezione per la tabula rasa" di cui diede uno spettacolare esempio la Rivoluzione culturale cinese. Vide le statue fatte a pezzi, e ridotte a piedistalli che non reggevano più nulla. I rivoluzionari si vendicarono contro i simboli della grandezza criminale dello Scià. E bucherellavano sulle banconote gli occhi dello Scià, fintanto che non ne furono disegnate e stampate di nuove".
• Trucco. "Ricordo una ragazza di Teheran, che ogni mattina, in segno di sfida, usciva col viso truccato, e ogni mattina le prendeva, regolarmente" (Adriano Sofri).
• Mattia Feltri, figlio di Vittorio, direttore di Libero, è inviato del Foglio. Non è certo facile raccontare Sofri, perché lui lo fa già in modo eccellente, con leggerezza ma graffiando a fondo. Mattia Feltri svolge il compito bene e con umiltà, raccogliendo tanti frammenti di cose scritte dal "prigioniero" anche quando non era tale ma libero e "viaggiatore".