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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

La mano mozza

• Amore. «Anche l’amore è un’ossessione e ti rode e ti divora vivo come i pidocchi. Al fronte il soldato non riesce a sbarazzarsene».
• Omaccioni. «Come la maggior parte degli omaccioni, Rossi era un casto».
• Poesia e popolo. «Quanta poesia nella bocca del popolo, sorella nostra del suburbio!».
• Tempo. «Le granate scandivano il tempo».
• Dopoguerra. «Dopo la guerra, tutti sentiremo il desiderio d’una vita tranquilla. Io di avventure non ne voglio più sapere».
• Soldati e malati. «Ora, i soldati, al fronte, sono come malati all’ospedale. Sono posseduti da un’idea fissa. Andarsene».
• Nazioni. «Gli ebrei si dicevano polacchi ma i polacchi non volevano saperne di loro».
• Memoria e morte. «La memoria, che cimitero!».
• Oceano e cannoni. «Il cannoneggiamento ininterrotto che veniva da nord aveva davvero la vastità, il brontolio continuo, il ritmo eterno e sempre rinnovato, l’ansito dell’oceano».
• Pallottole. «Le pallottole sperse ci raggiungevano a sciami. Ronzavano come vespe e si ficcavano a caso nel fango con un piccolo ”plòffete!”. Si stentava a credere che potessero riuscire mortali».
• Battaglie e balle. «Di tutte le scene di battaglia cui ho assistito m’è rimasta soltanto l’immagine d’un gran casino. Mi domando dove certi tizi possano aver scarrucolato le loro balle, quando vengono a raccontarci d’aver vissuto ore storiche e sublimi».
• Armi. «La fortuna delle armi dipende dal caso».
• Fronte. «Una vasta e squallida periferia, ed era per scaraventarla lì che avevano fatto appello alla meglio gioventù di tutto il mondo, costringendola ad abbandonare le più belle capitali».
• Vino e barba. «Durante il primo mese, mi facevo la barba col vino rosso, poiché non avevamo acqua».
• Orrori. «Nulla di meglio di una pancia piena per dimenticare gli orrori della guerra».
• Gatti in salmì. «Non poteva veder scappare un gatto senza spedirgli una pallottola di Lebel nella nuca, e ce lo cucinava in salmì, dopo averlo esposto per una notte al gelo. Ne mangiavamo due o tre alla settimana».
• Arruolamenti anonimi. «Adoro il segreto. Una delle maggiori attrattive della Legione sta nel fatto che ci si può arruolare sotto falso nome».
• Scrittura. «Al fronte ero soldato. Ho sparato delle fucilate. Non ho scritto. Lasciavo questo compito ai miei uomini che non smettevano di ponzare, ponzare e ponzare per scrivere alle loro donne».
• Corpo e spirito di corpo. «Parlo soltanto di quello che ho visto, e l’orizzonte del soldato è angusto e non oltrepassa di molto i confini della squadra, della sezione, della compagnia; già la nozione di reggimento sfiora l’irreale, salvo nelle grandi giornate di sfoggio, rivista, offensiva, sfilata della Vittoria; così come lo spirito di corpo si manifesta nella sua coscienza soltanto la sera fuori servizio, nelle ore di libera uscita, di bisboccia».
• Proverbio canadese. «I generali muoiono nel proprio letto».
• Tedeschi. «Metodici com’erano avevano puntato da qualche parte nelle loro linee un fucile sulla campana del villaggio in rovina, e una sentinella di turno suonava le ore, i quarti, le mezze, sparando sulla campana il cui bronzo, percosso, vibrava un numero corrispondente di rintocchi».
• Soldati e bovine. «Dio è assente dai campi di battaglia, e i morti dei primi giorni di guerra, quei poveri fantaccini in calzoni rosso robbia dimenticati sull’erba, formavano macchie altrettanto numerose ma non più importanti delle bovine lasciate dalle vacche sul prato».
• Armi. «Come mai i tedeschi sono sempre in vantaggio di un’idea e il loro equipaggiamento è studiato e portato a perfezione fin nei minimi particolari? La varietà delle loro armi grandi e piccole è sorprendente quanto ingegnosa».
• Notte. «La guerra la si fa di notte».
• Sei mesi. «Nessuno di noi dimostrava la sua vera età. In meno di sei mesi avevamo perduto intera la nostra giovinezza».
• Ricetta di un cuoco spagnolo. « buono il riccio, al mio paese ne ho mangiati tanti. Lo si avvoltola vivo com’è nella creta, lo si ricopre di brace e si lascia che vi cuocia sotto, affogato. Quando la pallottola è dura come un sasso, è cotto. Si spacca quella specie di guscio e tutti gli aculei vi rimangono attaccati».
• Superiori. «Davanti a un superiore si sempre torto come con una donna. Non bisogna contraddirli, è una cosa che li irrita».
• Merda tedesca. «Angéli cadde a capofitto in una latrina da campo. Dopo il combattimento tornammo in tre sui nostri passi per vedere se era riuscito a cavarsela da solo, non avendo avuto il tempo di soccorrerlo nel bollore dell’azione. Eravamo sbottati in una gran risata quando l’avevamo visto capitombolare nella fossa puzzolente; ora, noi ce ne stavamo lì inorriditi. Angéli era morto asfissiato, con la testa nella merda tedesca».
• Giornali. «Sono ridotto a leggere i giornali, e più ne leggo meno ci credo».
• Malintesi. «Sempre l’eterno malinteso, perché cos’è che si rimprovera all’eroe? Di non essere saggio».
• Fantolini e fantaccini. «Ma il grido più raccapricciante che si possa udire e che non ha bisogno d’una macchina per trapassare il cuore, è la nuda invocazione di un fantolino nella culla: ”Mamma! Mamma!...” che lanciano i soldati feriti a morte, caduti e abbandonati fra le linee dopo un attacco fallito e mentre tutti gli altri rifluiscono indietro in disordine».
• La mano mozza è una rievocazione impetuosa e caotica della prima guerra mondiale. Orrore e ironia, disperazione e slanci convivono in un quadro che restituisce la stupidità ma anche la nobiltà del mestiere delle armi. L’autore, il cui vero nome è Frédéric Sauser, nacque a La Chaux-de-Fonds, Svizzera, nel 1887. Poeta, durante la prima guerra mondiale combatté nella Legione Straniera. Perse la mano destra durante l’assalto a una cascina e quando imparò a scrivere con la sinistra si dedicò solo alla prosa. Fu anche sceneggiatore del cinema. Morì nel 1961 a Parigi.