Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Memorie di un antisemita
• Bandiere. «La gioventù contagia la gioventù da una generazione all’altra: si riconosce come un ribollire di vitalità ma anche come sofferenza, come malattia, e si sfoga cantando questa sua esperienza e suscitando nei cuori sensibili lo stesso impeto: ovunque e sempre il sogno di una bandiera che unisca, che elevi gli animi».
• Meschugge. Insulto yiddish: matto, tocco, fuori di testa.
• Goj. Non ebreo (anche quest’epiteto, detto tra ebrei, può avere l’accezione di insulto).
• Conoscenze. «...sei l’ebrea più goj che abbia mai conosciuto».
• Mensur (combattimento tra goliardi tedeschi). «Se si riusciva a colpirlo di taglio in modo che la lama lo scalfisse, i secondi interrompevano lo scontro ed esaminavano la ferita. Si chiedeva all’arbitro di constatare la presenza di una ferita ”sanguinante” a favore dell’uno o dell’altro duellante. Una volta suturate e cicatrizzate, queste ferite ”sanguinanti” avrebbero lasciato quegli ”sfregi” dei quali un laureato tedesco poteva andare fiero. Lo scontro comprendeva quindici assalti, ciascuno con un numero prestabilito di scambi. L’esito dell’incontro era deciso dal numero di ferite ”sanguinanti”, a meno che una di esse non fosse così grave da indurre il medico, cosiddetto ”cerusico”, a interrompere la Mensur, dichiarando il ferito ”fuori” combattimento”. Essere ”messo fuori combattimento” non era un onta. Ma guai se uno dei duellanti, nel momento in cui veniva ferito, si permetteva il sia pur minimo scarto o addirittura tentava di ”tirarsi indietro”, ossia di spostare a destra la testa per schivare il colpo dell’avversario. In questo caso veniva immediatamente sospeso, e per tutta la durata della sospensione era colpito dal cosiddetto ”bando delle bicchierate”, non gli era permesso di partecipare alle ”riunioni d’osteria”».
• Primo dopoguerra. «A quel tempo circolavano molte monete da cento false, tanto che i commercianti tenevano a portata di mano una pietra piatta sulla quale facevano rimbalzare le monete per verificarne dal suono l’autenticità».
• Sifilide (terzo stadio). «Ma nel cervello permanevano tracce della devastazione, come si sapeva almeno da Nietzsche in poi, e a volte veniva aggredito anche il midollo spinale, era nota la strana andatura a scatti, da marionetta, con improvvise deviazioni laterali, tipica di certi anziani cavalieri che soffrivano della cosiddetta tabe. Era un po’ ridicola, ma non le mancava una certa eleganza».
• Vacaresti. Il quartiere ebraico di Bucarest, fino alla seconda guerra mondiale praticamente un ghetto.
• Coloriti. «Era risaputo che le autorità rumene non erano affatto tenere con gli ebrei che si fossero resi colpevoli di qualcosa e loro di solito diventavano terrei al sentire nominare la polizia».
• Foreigners. «Nei confronti degli ebrei ci si trovava in una situazione simile a quella degli inglesi nei confronti dei foreigners che vivono nel loro paese: si riconosceva loro il diritto, per l’appunto, di non comportarsi come noialtri; se invece lo facevano, allora diventavano sospetti».
• Randellate. «...mi racconti, ancora tutto agitato, del cane che è stato investito da una macchina e del suo padrone che, siccome non poteva vederlo soffrire, lo ha ammazzato a randellate piangendo».
• Proverbio armeno. «Quando si picchia una donna, bisogna che venga dal cuore. Altrimenti si dimostra che se ne ha paura».
• Proverbio ruteno. «Non credere di spaventare la nonna con il tuo grosso uccello, perché lei la sa lunga anche su quello».
• Iter. «A un iter scolastico quanto mai movimentato attraverso i collegi austriaci, sono debitore di un repertorio insolitamente ricco di pornolalie».
• Paragrafi. Il primo paragrafo dello statuto del circolo canottieri sul Danubio Vecchio, il più esclusivo di Vienna, vietava l’accesso ai non ariani.
• Sul comunismo. «Voler abolire la povertà e abolire invece ogni forma di ricchezza dello spirito. A un’idea astratta sacrificare la vita. Livellare tutto verso il basso».
• Dentisti. «Lei sa probabilmente che gli ebrei spagnoli e portoghesi, soprattutto quelli che sono arrivati nell’Europa centrale attraverso l’Olanda, avevano un’antica tradizione nella molatura dei denti».
• Ostilità. «Sapeva bene quanto gli armeni odino gli ebrei. A dire il vero non si tratta tanto dio un odio razziale – che sarebbe certo piuttosto assurdo – quanto di un’ostilità dovuta a motivi di fede, ma non per questo meno fanatica».
• Malinconia. «Io sapevo tutto questo da sempre, fin dai primi vagiti, poiché ero nato nella Bucovina e avevo trascorso un’altra parte della mia vita e dell’adolescenza lì, nelle immediate vicinanze della Galizia, da dove provenivano la maggior parte degli ebrei, i cosiddetti ”ebrei polacchi”, che erano i più malfamati e quindi più degli altri avevano ragione di mimetizzarsi. La Bucovina, come la Galizia, era appartenuta all’ex imperial-regia monarchia e dopo il crollo di quest’ultima nel 1919 era stata ceduta alla Romania, mentre la Galizia era tornata alla Polonia... Gli ebrei brulicavano da noi, contribuivano in misura decisiva a caratterizzare la fisionomia della campagna e della città. Gli anziani e più vecchi tra loro, specialmente quelli più poveri, erano in tutto e per tutto proprio come dovevano essere, vale a dire ebrei da libro illustrato: figure dimesse vestite di lunghi caffetani neri, con lunghi cernecchi e certi occhi liquidi nei quali una malinconia millenaria si era raccolta a formare stagni oscuri».
• Superstizioni bucovine. «Era noto, per esempio, che incontrare un ebreo mentre si va a caccia porta sfortuna».
• Detto tedesco. «Un’ebrea non è un giudeo» (per ammiccare al fatto che si poteva avere una relazione con lei, anche se sposarla avrebbe costituito disonore).
• Perversioni imperdonabili. «Fra l’altro non era neppure esatto affermare che odiavamo gli ebrei... No, gli ebrei erano semplicemente esseri di un’altra stella, la stella di David e di Sion, per l’appunto. Poteva anche essere luminosa quella stella, perché no. Spiacenti, ma la sua luce restava sotto la linea del nostro orizzonte. Innamorarsi di una ragazzina ebrea non poteva essere considerato una perversione perdonabile come, che so, la sodomia o il feticismo».
• Origini. «L’yiddish, mi disse, derivava principalmente da medio altotedesco e si era evoluto nel corso dei secoli, mescolandosi con elementi ebraici e polacchi, in diversi dialetti. Un’esemplificazione era costituita dall’espressione yiddish piuttosto diffusa nebbich che era passata come termine dispregiativo nel gergo della malavita. In origine essa non indicava nient’altro che lo scudiero che portava scudo e lancia di un cavaliere, pronto a porgerglieli quando lui ne avesse bisogno. Nebbich derivava da neben ich, ”io accanto”, e si riferiva al piccolo scudiero che correva a piedi accanto al cavallo del grande cavaliere. Così pure Ahi! era stata un’esclamazione dei cavalieri quando in giostre e tornei mettevano lancia in resta e si avventavano l’uno contro l’altro... Non era certo edificante dover ammettere che proprio gli ebrei avevano conservato così fedelmente la lingua dei nostri mitici antenati, modelli di nobile condotta, mentre da noi essa era sprofondata nell’oblio».
• Letti. «Quando raggiungevo Minka nel suo letto era in effetti più per accoccolarci l’uno contro l’altra e addormentarci l’uno nelle braccia dell’altra che per motivi erotici. Lei aveva bisogno della vicinanza di qualcuno, aveva paura di stare a letto da sola. Mi venne l’idea che fosse una specie di atavismo o una tradizione ebraica, qualcosa che aveva nel sangue, come per noialtri la caccia. Probabilmente in suoi antenati avevano dormito in sei in un letto, come succedeva spesso tra gli ebrei poveri della Galizia e della Bucovina. E a ritrovarsi di colpo da sola doveva mancarle qualcosa».
• Un detto ebraico. «Più che dagli antisemiti, ragazzo mio, guardati dai gojim che vogliono far credere di amare gli ebrei».
• Anschluss. «L’annessione mi andava bene, anche se i Pieffkes non mi piacevano».
• Pieffkes. Espressione con cui gli austriaci chiamavano dispregiativamente i tedeschi, equivalente al nostro crucchi.
• Orinatoi. «Non dimenticherò mai le risate che un giovane omosessuale provocò raccontando come un giorno si fosse trovato accanto, in un orinatoio pubblico, un gigantesco SS tedesco del Reich che squadrandolo gli aveva detto: ”Tu sei ebreo, vero?” Lui non aveva saputo far altro che annuire, spaventato a morte. Anche l’SS aveva annuito: ”Allora vieni qui e dammi un bacio!”».
• Piaceri. «Mi pareva di sapere che cosa provavano quei demoniaci carnefici di ebrei chiusi nelle loro nere uniformi da SS quando si abbandonavano al loro freddo sadismo certamente privo di erotismo: provavano il piacere del distacco da Dio».
• Città. «Ricordi la nostra biblioteca scolastica? C’era un libro dal titolo La città senza ebrei. Io naturalmente non l’ho mai letto... Comunque Vienna in questo momento mi fa pensare a quel libro. diventata così, come posso dire, così scipita».
• Raffigurazioni. «Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisavoli e così via non è vero? Una volta, da bambino, ho calcolato che, risalendo tutto il nostro albero genealogico – qui ho contato trentacinque generazioni – fanno complessivamente trenatré miliardi cinquecentotrentasei milioni cinquecentotrentottomila centosessantotto persone che sono nostri antenati: dunque esattamente il contrario di quello che si vede in questa raffigurazione, nella quale tutti prendiamo origine da uno solo».
• Berlino 1943, sul tram. «...il comportamento stranamente impacciato dell’uomo lo aveva colpito, portava un zaino e aveva continuato a chiedere della fermata del Tietgarten, con un movimento maldestro aveva sollevato il risvolto della giacca scoprendo la stella gialla che cercava di nascondere – e lui aveva capito che si trattava di uno di quei poveri diavoli che dovevano radunarsi alla stazione del Tietgarten per essere spediti ”nell’est”; aveva arrotolato un biglietto da cinquanta marchi e lo aveva passato di nascosto all’uomo e quello aveva trattenuto il suo dito per tutto il tempo fino alla stazione del Tietgarten».
• Von Rezzori ha scritto romanzi raccontando soprattutto il mondo della sua infanzia e della sua giovinezza, quella di un austriaco cresciuto tra il crollo dell’Impero e la nascita del Terzo Reich. Da bambino, in Bucovina, viene a contatto col mondo ebraico eurorientale, chagalliano e povero, oggetto di pregiudizi antisemiti. Ce li tramanda, senza sconti, crudamente.
Gregor von Rezzori appartiene a una nobile famiglia che ha anche origini italiane. Dopo un peregrinare per molti paesi, dove ha fatto anche lo sceneggiatore per il cinema, è approdato in Italia dove è morto nel 1998. Tra i suoi romanzi: Un ermellino a Cernopol, Fiori nella neve, Sulle tracce di me stesso.