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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Aspettativa di vita

• Aspettativa di vita. «Dante fissa ”il mezzo del cammin di nostra vita” a trentacinque anni, il che significa che gli uomini della società preindustriale pensavano, sia pur illudendosi un poco, che l’esistenza normale di un individuo dovesse durare settant’anni».
• Fatti. «L’uomo preindustriale accettava la morte come un fatto naturale ed inevitabile».
• Cimiteri. «In quanto ai cimiteri, soprattutto nel Medioevo, ma ancora nel XVII e XVIII secolo, erano luoghi pubblici, d’incontro, di riunione, di giuochi, di danze, di fiere e di commerci».
• Ruralità. «La popolazione dell’ancien régime era nella stragrande maggioranza (fra l’80 e il 95 per cento) una popolazione rurale».
• Vecchi. «In Germania, in Francia, in Danimarca, in Belgio solo il 2 per cento dei vecchi vive con i propri figli o nipoti e la tendenza ad allontanare l’anziano dal nucleo famigliare è in ulteriore crescendo».
• Il vecchio nell’ancien régime. «Era rispettato. Era importante. Aveva del potere. Tanto che, come nota Laslett, «c’era chi esagerava la propria età»».
• Cibo. «Per concludere: quella del cibo era una preoccupazione costante per gli uomini dell’ancien régime (...) ma non un incubo. Essi non morivano di fame, se non in quelle congiunture eccezionali che erano le carestie».
• Feste. «Il limitato numero delle giornate di lavoro è determinato anche dall’altissimo numero di feste che si celebravano a quei tempi».
• Rivoluzioni. «E’ la tecnologia che ha cambiato il mondo, non le classi o i sistemi sociali».
• Pendolarismo. «Il pendolarismo fra abitazione e luogo di lavoro, che oggi è la condizione di tutti, allora era riservato al lavoratore che sedeva sul gradino più basso della scala sociale: il bracciante, per lo più agricolo, circa il 10 per cento della popolazione».
• Servitù. «Nella Firenze del 1551 solo la metà delle famiglie non aveva servitori. Come si spiega tutto ciò? Erano le famiglie più povere che mandavano i loro ragazzi e le loro ragazze, dopo i dieci anni, a servizio presso altre famiglie solo un po’ meno povere».
• Realtà e immaginazione. «C’era vita dura, povertà e freddo in quei graziosi villaggi e fattorie, ma la semplicità e la bellezza della vita a contatto con la natura era una realtà di fatto, non l’immaginazione di un poeta» (Trevelyan).
• Ferie. «L’operaio americano con il suo reddito da 10.000 dollari può ben passare le ferie a Majorca, ma quando ormai è del tutto privo di senso andare a Majorca».
• Tempi moderni e anonimato. «L’anonimato ha un’altra conseguenza: costringe l’uomo alla spasmodica ricerca del successo pubblico».
• L’urlo e la Ninfa. «Ma lasciando, per finire, le statistiche, basterebbe forse fare un raffronto fra la stupenda Ninfa di Luca Cranach (1472-1553) esposta alla Nationalgalleriet di Oslo e il capolavoro di Munch, L’urlo, che si trova nello stesso museo, per cogliere le differenze decisive, sul piano emotivo e psicologico, fra la società preindustriale e quella del XX secolo».
• Genitori e geni. «Isaac Newton e William Shakespeare erano figli di genitori che firmavano i documenti con una croce, cioè totalmente analfabeti».
• Oralità. «La vera cultura popolare dell’ancien régime è quella orale, che veniva trasmessa nei modi della ballata, della chanson de geste, della poesia, del sermone, della preghiera, del proverbio, dell’indovinello, delle filastrocche, delle fiabe, delle ninne nanne, del racconto accanto al focolare e delle infinite forme della rappresentazione teatrale».
• Teatro e ombra. «Tra il teatro e il cinematografo vi è il passaggio dall’assistere ad uno spettacolo all’assistere all’ombra di uno spettacolo».
• Quartini. «Del resto negli Stati Uniti ci sono già libri fatti con quartini staccabili, in modo che man mano che uno li legge, in metrò, sul filobus, in ascensore, li butta via e si alleggerisce».
• Civiltà dell’immagine. «Oggi assistiamo addirittura alla comparsa di un analfabetismo di ritorno come fenomeno di ampie proporzioni. Se è vero ciò che scrive Cipolla, che all’inizio della rivoluzione industriale «la diffusione dell’alfabetismo significò la vittoria del libro sul proverbio, del testo sull’immagine»».
• Ricchezza e nobiltà. «Molti nobili non erano ricchi, non tutti i ricchi erano nobili».
• Status simbol. «D’altro canto lo status è l’unico modo, per quanto disperato, per cercare di uscire dall’anonimato della società di massa».
• Legittimità. «Ma nessun governo è legittimo» (Flaubert).
• Unto del signore. «Il re era ”l’unto del Signore”, era un essere quasi sovrannaturale e tale era creduto dai suoi sudditi».
• Scrofole. «Nell’ancien régime si credeva che il re avesse il potere di guarire determinate malattie. Questa credenza ebbe come protagonisti soprattutto i re di Francia e d’Inghilterra che guarivano, con il solo tocco delle mani, le scrofole (che in Francia erano perciò chiamate ”mal de roi” ed in Inghilterra ”King’s Evil”)».
• Il politico d’oggi. «Il carisma che non ha è quindi costretto a costruirselo con il make up, con il maquillage, con la più o meno sapiente edificazione della propria immagine attraverso i mass media».
• Stacchi. «Il risultato di tutto ciò è che oggi non avvertiamo nessuno stacco autentico fra noi e coloro che ci governano, non vediamo alcuna ragione della loro leadership. In realtà, nel profondo, disprezziamo i nostri governanti perché li sentiamo del tutto simili a noi».
• Paragoni e potere. «Se il contadino aveva il relativo controllo del territorio su cui viveva, noi oggi non siamo nemmeno in grado di decidere se nella nostra via va messo o no un lampione».
• Centri di potere. «Le decisioni più importanti, che incidono profondamente sulla nostra vita quotidiana, sono oggi extranazionali».
• Doppia frustrazione. «E l’uomo contemporaneo ha la doppia frustrazione di vivere anonimo ma schedato».
• Equilibrio 1. «La civiltà tecnologica ha infatti perso la facoltà di tornare indietro, è costretta anzi, per tenersi in equilibrio, a correre sempre più veloce».
• Equilibrio 2. «E’ in questa pretesa di dominio sulla natura che la specie umana ha perso la sua antica sapienza. Tutte le civiltà preindustriali, da quella greca classica alla romana, alla cristiana, alle civiltà orientali fino all’islamismo, sembrano essere ben consapevoli dell’estrema pericolosità dell’andare a toccare la natura».
• Perdizione. «La rivoluzione industriale non ha aumentato la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, la cultura, la qualità della vita, la felicità della specie umana. Ci siamo persi per una decina d’anni di vita in più, per degli oggetti».
• C’è un dubbio longanesiano che tormenta i sonni degli onesti storici: si stava meglio quando si stava peggio? Così inizia questo saggio teso a smontare i luoghi comuni del progresso: che la gente era ignorante, campava poco, soffriva la fame, era infelice. E che oggi si stia quindi, grazie al progresso, molto meglio che durante l’ancien régime, cioè i secoli precedenti la rivoluzione industriale.

Massimo Fini collabora con Il Giorno, è stato tra le più prestigiose firme dell’Europeo e ha partecipato alla rifondazione del Borghese. Ha scritto libri controcorrente, come Elogio della guerra e Nerone, duemila anni di calunnie. La ragione aveva torto? comparso nell’87 è un diventato un piccolo cult e per questo è stato ora ristampato.

Massimo Fini, ”La ragione aveva torto?”, Settimo Sigillo