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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

ìCome sono arrivata a Downing Streetî

• Cera. «Mia madre faceva lei la gran parte delle faccende domestiche, mi insegnò a stirare a dovere una camicia da uomo, e come stirare un ricamo senza rovinarlo. I grandi ferri da stiro si riscaldavano sopra il fuoco, e imparai il segreto per dare alla biancheria una rifinitura speciale, mettendo sul ferro una goccia di cera» (Margaret Thatcher).
• Imbastiture. «Durante la guerra l’etica della frugalità era quasi un’ossessione. Perfino mia madre e io rimanemmo spiazzate da una nostra amica che ci raccontò che non buttava mai il filo delle imbastiture, ma lo riutilizzava: ”Lo considero un dovere”, disse. Dopo, anche noi facemmo così. Non per niente eravamo metodiste» (Margaret Thatcher).
• Acqua calda. «I controlli sull’uso dell’acqua calda erano rigorosi. Per esempio, l’acqua per il bagno non doveva superare una riga tracciata a un certo livello della vasca, e io ovviamente osservavo scrupolosamente quelle prescrizioni, pur provenendo da una famiglia in cui il rapporto tra pulizia e santità non era faccenda da ridere».
• Sigarette. «Fumai le mie prime sigarette e non mi piacquero molto, ma sapevo che insistendo ci avrei preso gusto. Decisi di non farlo: risparmiando il denaro avrei potuto comprare invece una copia del ”Times”». (Margaret Thatcher)
• Cattolici. «Agli occhi di un bambino, quelli che si divertivano di più sembravano essere i cattolici. Invidiavo le bambine cattoliche che facevano la prima comunione, tutte vestite di bianco con i nastri di colori vivaci, e con i loro cestini di fiori. Lo stile metodista era molto più disadorno, e se tu vestivi un abito con i nastri, un anziano fedele era pronto a scuotere la testa e ad ammonirti contro quel ”primo passo verso Roma”» (Margaret Thatcher).
• Vernici. «Mi fu subito chiaro che Denis (il marito, ndr.) era un uomo fuori del comune. Sapeva di politica quasi quanto me, e di economia molto di più. Il suo interesse professionale per le vernici e il mio per la plastica potrebbero sembrare una base poco romantica per un’amicizia, ma ci permise di stabilire immediatamente un interesse comune in nome della scienza. E con il passare della serata scoprii che le sue vedute erano di un conservatorismo molto concreto» (Margaret Thatcher).
• Comunisti. «Non ho mai pensato che il comunismo, sia pure con un volto umano, potesse generare un cuore umano» (Margaret Thatcher).
• Conservatori. «Il partito conservatore non ha mai avuto troppi indugi, per cambiare musica, a ricorrere al sistema di sparare sul pianista» (Margaret Thatcher)
• Sinistra. «La sinistra è sempre stata molto pronta a sfruttare i problemi creati da lei stessa» (Margaret Thatcher)
• Occidente. «Ricordo un’intervista, su un giornale domenicale, a una donna ungherese rifugiatasi in uno scantinato: ”L’Occidente”, diceva ”non verrà ad aiutarci. La libertà è molto egoista”». (Margaret Thatcher)
• Denaro. «Stavo rispondendo direttamente a Harold Lever (senza di lui il partito laburista sarebbe stato economicamente ancora più inetto) quando all’inizio del discorso mi interruppe per precisare dei punti di vista che gli avevo attribuito. Suscitando una diffusa ilarità, anche nello stesso Harold Lever, avveduto uomo d’affari proveniente da una famiglia benpensante, risposi: ”Ho sempre pensato che non sarei riuscita a rivaleggiare con lui (Lever) al Tesoro perché per acquisire denaro ci sono quattro strade. Farlo. Guadagnarlo. Sposarlo. E farselo prestare. A quanto pare lui ha esperienza in tutti e quattro i campi”» (Margaret Thatcher).
• Camera. «Forti manifestazioni di ilarità di tono maschilista - ”Dacci un bacio, Maggie” - mi accolsero quando entrai alla Camera per sentire il primo ministro, Harold Wilson, che leggeva una dichiarazione». (Margaret Thatcher)
• Oratoria. «Alla Camera bisogna parlare forte per farsi sentire al di sopra del vocìo. La cosa è più difficile quanto più è acuto il tono della propria voce, perché aumentando il volume automaticamente si alza anche il registro. Bisognava imparare la tecnica per far arrivare lontano la voce senza strillare. Anche al di fuori della Camera, quando parlavo a un pubblico, la mia voce era acuta per natura, e diventava facilmente stridula. [...] Gordon (Gordon Reece, preso in prestito dalla Emi per dare una mano nei rapporti con la stampa ecc. ndr) mi trovò un’esperta che la mi spiegò che la prima cosa da fare era respirare in maniera corretta, e poi emettere la voce non dal fondo della gola ma dal davanti della bocca. Era un genio» (Margaret Thatcher).
• Ceausescu. «Fui anche portata a visitare un istituto scientifico specializzato nella ricerca sui polimeri. La mia guida non era altri che Elena Ceausescu, che già allora cominciava ad abbandonarsi a un mondo fantastico tutto suo, all’altezza di quello del marito per assurdità se non pe le conseguenze umane: era decisa a vincere il Nobel per la chimica con il suo lavoro sui polimeri. Venne fuori poi che era a stento capace di distinguere un polimero da un poligono» (Margaret Thatcher).
• Sondaggi. «I politici tendono sempre ad assicurare, quando glielo si domanda, che dànno poco peso ai sondaggi di opinione; ma la vita politica scorre molto più felice quando questi sono decisamente a tuo favore» (Margaret Thatcher).
• Sputacchiera. «Il colloquio più importante che ebbi, naturalmente, fu quello con il presidente Hua-Kuo-Feng. Tra le nostre due poltrone fu posta una sputacchiera di smalto ma nessuno dei due, sono lieta di dirlo, ebbe bisogno di usarla» (Margaret Thatcher).
• «Eric Heffer, un laburista di sinistra con cui incrociavo regolarmente i guantoni, credette di segnare un punto a suo favore vantandosi della propria discendenza proletaria: suo padre, ricordò, aveva fatto il falegname a Oundle. Lo mandai al tappeto replicando che il mio, a Oundle, aveva lavorato nello spaccio di dolciumi» (Margaret Tharcher).
• «Mio padre, nel suo campo, era uno specialista. Cercava sempre di offrire prodotti della migliore qualità, e la stessa disposizione del negozio lo faceva capire. Dietro il bancone c’erano tre file di splendidi cassetti per le spezie, di mogano e con le maniglie di ottone luccicante, e in cima le grandi scatole di tè laccate di nero. Tra gli incarichi che qualche volta mi davano c’era quello di togliere il tè, lo zucchero e i biscotti dai sacchi e dagli scatoloni in cui arrivavano, suddividendoli in sacchetti da una e due libbre. In una fresca stanza sul retro che chiamavamo ”la vecchia casa dell’infornata” c’erano appesi i grossi pezzi di maiale affumicato in attesa di essere disossati e affettati» (Margaret Thatcher).
• «Mia madre era una cuoca eccellente e organizzatissima. Due volte alla settimana faceva le sue grandi infornate: pane, paste, dolci, pizze. Il suo pane casalingo era famoso, come lo erano i pani di zenzero di Grantham. Prima della guerra la domenica c’era l’arrosto, che diventava affettato freddo il lunedi e scompariva definitivamente il martedi nelle polpette. Con la guerra, però, l’arrosto domenicale divenne uno stufato, o maccheroni al formaggio, quasi privi di carne» (Margaret Thatcher)
• «Io sapevo esattamente cosa pensare di Hitler. Vicino a casa nostra c’era una bottega di fish and chips, e un venerdì sera mi ci mandarono a comprare la cena. Le code per i fish and chips erano sempre un’ottima arena di dibattito. In quell’occasione il tema della discussione era Hitler. Qualcuno affermò che se non altro aveva dato alla Germania un certo rispetto per se stessa, e faceva arrivare i treni in orario. Io sostenevo calorosamente il contrario, con notevole stupore e indubbia irritazione di quelle persone più grandi di me. La donna che gestiva il negozio scoppiò a ridere: ”Oh, questa sta sempre a dibattere”» (Margaret Thatcher).
• «Mi sentivo molto lusingata dalle attenzioni di Denis, ma cominciai a sospettare che avesse intenzioni serie solo quando, in occasione del Natale dopo la mia prima campagna elettorale a Dartford, mi regalò un bellissimo portacipria di cristallo con il coperchio d’argento, che conservo ancora tra i miei ricordi più preziosi» (Margaret Thatcher).
• «La definizione dei conservatori data da Aneurin Bevan, ”più in basso dei parassiti”, offrì ai giovani tory come me una grande opportunità di dimostrare la loro adesione all’antica tradizione inglese dell’autodenigrazione ironica. Andavamo in giro con un adesivo che raffigurava un ”parassita”: un piccolo ratto azzurro. Si stabilì tutta una gerarchia, in base alla quale chi reclutava dieci nuovi adepti al partito poteva fregiarsi di un distintivo che lo dichiarava ”vile parassita”; quelli che ne facevano iscrivere venti erano ”vilissimi parassiti”. Esisteva anche un Capo Ratto, che viveva a Twickenham» (Margaret Thatcher).
• «Una volta un quotidiano nazionale riferì che Norman Dodds aveva un’opinione buona della mia bellezza ma non altrettanto buona delle mie probabilità di essere eletta... o del mio cervello. Questo perfetto gentiluomo socialista mi scrisse immediatamente per smentire la veridicità della dichiarazione, o almeno dell’ultima parte» (Margaret Thatcher).
• «Quando dall’America fu importato il rock and roll, assieme a nomi come Bill Haley e Elvis Presley, pensai che fosse una trovata giovanilistica che non sarebbe durata più di una settimana» (Margaret Thatcher).
• «Nell’agosto del 1992 stavo lavorando in Svizzera al primo volume delle mie memorie con i miei collaboratori quando appresi che il vicepresidnete bosniaco Ejup Ganìc voleva vedermi: uscito clandestinamente da Sarajevo, stava cercando disperatamente di raccogliere aiuti all’estero per la Bosnia. Conoscendo le privazioni di Sarajevo, gli avevo preparato per il nostro incontro un tè particolarmente ricco. Con mia sorpresa, mentre mi dava un rapporto dettagliato sulla situazione politica e militare, non prese niente da mangiare. Ma quando andai nel mio studio per telefonare al ministero degli Esteri perché gli fissasse un appuntamento, i miei colleghi insistettero ancora perché mangiasse qualcosa, e a quel punto divorò diversi sandwich uno dopo l’altro. Quindi spiegò che, avendo vissuto per mesi in un bunker sotterraneo con ben poco da mangiare, aveva temuto di non essere capace di farlo in maniera educata in mia presenza» (Margaret Thatcher).
• «La mia immagine pubblica nel complesso non era negativa; ero ”la lady di ferro”, ”Maggie la battagliera”, ”Attila” e simili. Dato che questi appellativi davano agli avversari l’impressione che io fossi un osso duro, ero contenta di essere raffigurata così anche se nessuno al mondo poteva avere una simile monolitica durezza» (Margaret Thatcher).
• «All’inizio il mio volontario ”ritiro” fu dominato da pensieri neri. Mi capitava ancora di leggere sulla stampa una serie di valutazioni, in stile necrologio, degli ”anni Thatcher”» (Margaret Thatcher).
• «Davanti alla fabbrica si era formata una folla, in mezzo alla quale c’era un donnone imponente che lanciava un torrente di insulti nella mia direzione. La polizia mi consigliò di tenermi alla larga. Ma io pensai che se aveva qualcosa da dirmi era meglio che me lo dicesse in faccia, anziché alle spalle, e mi avvicinai a lei per parlarle. La presi per il braccio e le chiesi tranquillamente che cosa c’era che non andava. Il suo atteggiamento cambiò immediatamente. Aveva le solite lamentele e i soliti crucci. Ma la vera causa della sua collera era la convinzione che i politici fossero gente che non ascoltava mai. Cercai di rispondere alle sue domande come meglio seppi e ci separammo amichevolmente. Mentre mi allontanavo sentii la sua voce inconfondibile che diceva a un’amica: ”Te l’avevo detto che non faceva poi così schifo”» (Margaret Thatcher).
• «La giornata elettorale mi parve avesse un buon avvio: la cominciai con una visita alla Kleeneze, una fabbrica di scope, dove sfruttai ogni opportunità fotografica per mostrare la mia intenzione di ”spazzare via le ragnatele”, ”utilizzare una scopa nuova” e così via» (Margaret Thatcher).
• «Avendo servito come sottosegretaria per tre diversi ministri nello stesso dicastero, notai con interesse che i consigli offerti dai funzionari, anche sullo stesso argomento, erano diversi a seconda del ministro a cui venivano rivolti. Per questo protestai vivamente quando vidi che Niall Macpherson e Richard Wood ricevevano suggerimenti su possibili approcci che sapevo non erano stati sottoposti al loro predecessore John Boyd-Carpenter. Ricordo di aver detto esplicitamente: ”Questo non è quello che avete consigliato al ministro precedente”. La loro risposta fu che sapevano che lui non lo avrebbe mai accettato» (Margaret Thatcher).
• «Mi hanno detto che mio padre, poco prima di morire, mi stava ascoltando alla radio mentre partecipavo a una tavola rotonda. Non seppe mai che sarei diventata ministro, e sono sicura che non avrebbe mai immaginato che alla fine sarei stata primo ministro» (Margaret Thatcher).
• «La sera dopo feci la mia prima comparsa da leader alla riunione della commissione 1922 [...] Quando entrai, tutti si alzarono in piedi. Edward du Cann mi offrì un biglietto di San Valentino non firmato (con un giorno di anticipo) che sarebbe andato ad aggiungersi agli altri biglietti e alle rose che si accumularono in Flood Street» (Margaret Thatcher).
• «Mi ero più o meno impadronita dell’uso dei bastoncini, ma alcuni piatti della cucina cinese continuavo a trovarli poco invitanti. In questa occasione lasciai passare senza servirmi le lumache di mare e le pance di pesce. L’uso cinese, che, fui lieta di notarlo, i giornalisti britannici presenti mostravano di apprezzare, di mandar giù innumerevoli brindisi a base di Mao-Tai, un forte distillato di grano, poneva un problema sociale più arduo. Per fortuna però vidi che alle donne era permesso sorseggiare quell’alcolico letale anziché buttarlo giù tutto d’un fiato» (Margaret Thatcher).
• «Le visite turistiche nel corso della mia breve permanenza in Egitto furono una necessità diplomatica oltre che un piacere. Ma anche questo comportava dei rischi. Dopo aver scalato la grande piramide di Cheope, ancora un po’ ansante, scendendo trovai un piccolo gruppo di fotografi, giornalisti e funzioanri vicino a un cammello. Il cammelliere si chiamava Ibrahim e il nome dell’animale era ”Jack Hulbert”: forse gli era stato dato da un soldato inglese, ispirato dal comico britannico dal lungo mento popolare negli anni Trenta e Quaranta. Era, a quanto pareva, una bestia di rango, ed era stata montata in una precedente visita da Alec Douglas-Home qunado era segretario agli Esteri. Sembravano tutti convinti che avrei seguito il suo esempio. Mi balenarono le immagini di quello che doveva succedere, non solo per salirci, ma per rimanerci. Declinai con fermezza. Ibrahim si mostrò offesissimo. Se Jack Hulbert andava bene per sir Alec, perché non anche per la signora Thatcher? Colsi una luce nell’occhio del guidatore e suggerii che forse pagando doppia tariffa per non fare il giro sul cammello saremmo rimasti soddisfatti entrambi. Mostrando grande riluttanza, acconsentì. E così le fotografie sui giornali britannici mi mostrarono mentre venivo ricevuta dal presidente Sadat, e non in atteggiamenti meno dignitosi» (Margaret Thatcher).