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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

I peccati di Capri

• Al tempo in cui il ministro Scelba vietò con una circolare il due pezzi in spiaggia (1948), il pretore di Capri Filippo Alviani commentò così con Roberto Ciuni la difficoltà pratica di applicare il provvedimento: «Il nome slip usato dal ministro indica la forma di un costume, ma non ne dice le misure... Forse si riferisce a quelli piccoli?» (intervista a Vittorio Gorresio, su ”La Stampa” del 1° ottobre 1950). Il pretore calcolava che da gennaio a ottobre s’erano avute in quell’anno 1950 145.264 presenze di turisti a Capri, mentre gli imputati di oltraggio alla pubblica decenza in quel periodo erano stati solo otto, di cui sei erano donne multate di 800 lire per essere state sorprese a prendere il sole a seno scoperto. «L’indice della moralità è dunque a Capri il più alto del mondo».
• La Capri dell’immediato dopoguerra «quattro stravaganti in perenne trasferta, i cocainomani eredi del barone Fersen, gli esibizionisti, i turisti americani miliardari, gli intrallazzatori della ricostruzione, categorie umane già pronte a recitare la dolce vita ovunque» e tuttavia copia sbiadita della Capri tra le due guerre «quella delle regine residenti, della colonia lesbica, dei ragazzini a pagamento e delle ville fornite di fumerie d’oppio».
• «La società caprese, quasi tutta non caprese, è in gran parte un misto di fannulloni, di falsi nobili, di piccoli borghesi che scimmiottano i falsi nobili, di invertiti, di drogati, eccetera. E io la disprezzo, non la frequento e come me la disprezzano tutti i capresi» (Curzio Malaparte sul ”Risorgimento” del 13/8/1950). Malaparte, con questo giudizio, voleva correggere un giudizio precedente, riportato da ”France-Dimanche” che l’aveva intervistato per il suicidio di Jane Zweigart (vedi scheda): «[Capri] è il posto più ignobile del mondo. La natura è splendida ma gli uomini sono cattivi, gretti, deboli, vili. Con chi è solo sono spietati». Queste parole - unite alla descrizione di Napoli contenuta ne La pelle - avevano definitivamente deteriorato i rapporti dello scrittore con l’isola. Una manifestazione popolare, dopo molti incidenti, l’aveva costretto ad allontanarsi per qualche tempo dalla sua villa La Matta (17/8/1950).
• Pietro Capuano, detto ”Chantacler” o («per i nuovi salotti») ”Chany”, in giovinezza, ”Pierrot”, proprietario di una rinomata gioielleria di Capri e amante, dopo la guerra, di Edda Ciano (che era di cinque anni più giovane). «Amedeo Canfora gli fabbricava espadrillas con stoffe di seta. D’estate non portava ai pieedi che quelle: rosso fuoco, azzurre, viola, nere. Sul colore dei pantaloni poteva tirar via - comunque di bianchi ne indossava solo la mattina per il mare - ma le camicie che gli faceva Battistoni dovevano essere di shantung: le disegnava lui stesso, senza colletto, chiuse in cima da un cordoncino ritorto, bordate di nastro. Sceglieva tessuti a tinta unita macchiata di festoncini, di fregi gentilizi, di corone, di ghirlande. Di shantung aveva anche qualche giacca da sera, indossata per sedere a cena e subito tolta: gliele confezionava Michele Fabbozzi, un sarto caprese di cui si fidava. D’inverno vestiva con toni cromatici assai meno violenti ma i quadrettoni sportivi di Caraceni, i foulards, i mocassini di coccodrillo, i cappotti e le pellicce, gli conservavano l’eccentricità dei mesi estivi. Al polso un braccialetto con ogni anello della catena coperto di brillantini. Sul petto i ciondoli che pendevano da una collana d’oro. Entrambi, braccialetto e collana, pezzi unici, ovviamente della gioielleria Chantacler. [...] I baffetti marcavano un’aria canaille accattivante, confermata dal naso vistoso del simpaticone». Ricco, quando gli proponevano di comprare qualche villa di Capri rispondeva: «Per carità, non voglio diventare l’uomo più ricco del cimitero di Capri» e i soldi li spendeva per sè. Non tollerava gli screanzati e in negozio «era capace di mettere alla porta un cliente ben disposto ma scortese: anzi, sulla porta andava lui, lasciandolo solo seduto davanti al banco finché quello non capiva di doversene andare perché il gioielliere non intendeva vendergli niente». Conquistò Edda mandandole una cartoleria quando lei era al confino di Lipari: «Se avete bisogno di un amico fedele ricordatevi che a Capri potete contare su Pietro Capuano». Quando i giornalisti si presentavano a fargli domande su di lei, rispondeva: «Di queste chiacchiere la signora Edda è seccatissima...». Da giovane aveva scandalizzato l’isola mettendo pantaloni rossi, facendo scoppiare petardi sotto il tavolo di Umberto di Savoia e una volta vestendosi da donna (era invece un noto tombeur de femmes). Finì paralizzato su una sedia a rotelle, il servitore Giuseppe Faiella, detto ’o Mutillo, che lo portava a braccia sulla terrazza per vedere i faraglioni.
• «Per i futuristi il vaporetto che portava a Capri era ”un serraglio famelico”. Scrivevano l’elogio della luce artificiale e l’anatema degli spaghetti; avrebbero voluto che le osterie si chiamassero ”quisibeve”, le trattorie ”quisimangia”, gli italiani non si cibassero che di energiche bistecche; erano capaci di dar titolo Motoscafo in corsa ad un quadro di soli schiuma e spruzzi e Palizzata di gambe al forno ad una visione di donne intente ad abbronzarsi».
• Balli futuristi a Capri in cui si indossavano i costumi scovati da Depero bambola meccanica, uomo-funicolare, gobbo plastico. Depero divideva il suo studio col poeta svizzero Gilbert Clavel. Poiché costui era gobbo, anche Depero s’infilava un cuscino sotto la giacca e i due giravano l’isola a quel modo, parallelamente deformi.
• Edda Ciano a Capri in viaggio di nozze, accolta da un tripudio di folla. Cena al Quisisana: «In altre circostanze manifestazioni del genere non mi avrebbero imbarazzata affatto, mpa il pensiero che tutta quella gente fosse lì a fissarmi come un agnello pronto al sacrificio, sapendo benissimo quel che sarebbe accaduto, mi riempiva di vergogna». «In albergo - avevano un appartamento di quattro stanze al terzo piano, vista a Sud - il temperamento di Edda cedette all’imbarazzo dell’età immatura: aveva meno di vent’anni. ”Non riusco a inghiottire neppure un boccone della cena tanto mi sentivo paralizzata... per la prima volta in vita mia mi trovavo sola a un tavolo con un uomo... il bell’entusiasmo aveva lasciato il posto a un terribile panico... alla fine mi barricai nel bagno: ’se ti avvicini, mi butto in mare dalla cima dei Faraglioni’ dissi a mio marito”». Dopo la guerra, mandata al confino a Lipari, dove fu benvoluta. La sera del 25 giugno 1946 «stava cenando al ristorante Nizza con una delle amiche lipariote. La raggiunse il tenente dei carabinieri: in virtò dell’amnistia governativa di tre giorni prima era libera, e ritiravano la sorveglianza. ”La notizia la lascim completamente indifferente. ’E così’ disse ’bisogna ricominciare...’” (Sandro Viola, ”L’Europeo” 11/5/1947)».
• Marino Dusmet de Smours, marchese napoletano, podestà di Capri. Con la moglie, Polly Power, californiana, aderente alla Christian Science Church e la puritana americana Mabel Norman, moglie di Giorgio Cerio (sindaco?), era capace «non solo di verificare di persona la pulizia delle stradine più sperdute del paese, non solo d’ispezioni sull’igiene dei ristoranti o la lavatura delle tazzine nei caffè, ma anche d’allungare l’occhio sui costumi privati».
• Il bandito Lucky Luciano (Salvatore Lucania) a Capri. «Estradato dagli Stati Uniti, il gangster aveva scelto di vivere tra Napoli, passando interi pomeriggi all’ippodromo di Agnano, e Capri dove gli piaceva andare a pesca. Lo seguivano sempre due guardaspalle in short e maglietta seguiti a loro volta da due agenti della celere in divisa armati di mitra, pistola e manganello. Non balla la samba, preferisce il tango, è il meno matto che ci sia a Capri, quanto son diversi i suoi accompagnatori da ”quei tipi in impermeabile chiaro, cappello calato sulle sopracciglia, mani permanenti in tasca”, visti sempre al cinema: i cronisti infioravano di ovveità i loro resoconti. ”L’altro giorno si è seduto vicino a me al caffè di piazza col segretario ed una ragazza bionda, parlava americano col segretario e siciliano con la ragazza, aveva calze a due colori dentro grossi sandali, una catena d’oro ai pantaloni grigi, un anello di brillanti al dito, si succhiò golosamete un gelato” ironizzò Paolo Monelliª
• Il figlio di Edda Ciano, Fabrizio. «Tanto bello come Galeazzo e tanto cupo, tanto amaro, per esempio, riavuto la famiglia ”Il Telegrafo”, rifiutava di occuparsene ricordando cos’era costato al padre iniziare dalla stampa: ”Non amo il giornalismo” confesserà Edda ”conduce alla politica e la politica porta alla fucilazione...” (Mino Caudana, ”Oggi” 26/7/1947). O forse non ritrovava il gusto dei tempi andati, quando a Cortina le giovani signore scapestrate qual era lei partecipavano al concorso del più bel seno togliendosi tutte insieme il reggipetto e perdevano delle fortune al poker ricorrendo l’indomani a papà». Edda giocava a poker e Capuano le preparava tutte le sere il tavolo, senza però prendere parte al gioco (benché in giovinezza fosse quasi stato un professionista) perché «le carte sono un lavoro...».
• Krupp, Axel Munthe e la regina Vittoria di Svezia in Roberto Ciuni I peccati di Capri New Deal, 1998, pagine 121 e seguenti.
• Anna Maria dei principi Pignatelli Cortez, marchesa Sommi Peci-Nardi, detta Manana e Luisa Casati Stampa, col viso sempre truccato di bianco, al punto che si poteva confonderle e Cesare Pascarella, infatti, a Roma, prese una per l’altra.
• Luisa Casati Stampa, giunta a Villa San Michele nel 1920 tenendo al guinzaglio Swift, levriero bianco ed elastico come una piuma. Scendeva a mare col pappagallo Braca-dabra e scarpine con i tacchi di madreperla. Riceveva per il tè stesa nuda su una pelle d’orso nera. «Vestiva di stoffe disegnate appositamente da Mariano Fortuny, abiti concepiti dal pittore scenografo Léon Basket, corpetti d’organza decorati con pietre dure, pantaloni laminati d’argento, scarpe dal tacco di madreperla, pellicce rare che guarnivano collo, polsi e orli. Presente a tutte le mondanità che valevano la pena di un viaggio in ogni parte d’Europa, balli parigini, prime rappresentazioni alla Scala, carnevali nizzardi, stagioni estive a Biarritz o a Capri, feste nei castelli della Loira, era il simbolo del vivere inimitabile. Aveva sedotto D’Annunzio e sedusse Romaine Brooks» che le fece, tormentosissimamente, il ritratto. Un giorno girò mezza Londra per trovare uno scheletro d’orang-outang e poi tornò a casa con un canarino. Un altro giorno, a Roma, si presentò all’ambasciata d’Inghilterra portando al guinzaglio un pavone blu e altre volte si mostrò con una scimmia ammaestrata, col corno a torciglione di un liocorno, con una tigre meccanica, con un serpente boa (arrotolato intorno a un braccio, passò un’intera serata a cena da principessa russa a carezzarlo). Voci su di lei: il suo cameriere servo negro mangia due polli al giorno procurati da Axel Munthe. Lei dorme in una bara, «ha appeso nella sua stanza degli arazzi neri, ha posato tappeti neri sulla pietra del pavimento, ha messo tendine nere alle finestre. Sceglie gli animali da portare con sè in base al colore, in modo che sia sempre in tono con l’abito indossato, cosparge di polvere d’oro il cameriere negro. drogata, è una strega. Gran vita tra Parigi, Venezia, Capri, passeggiate in Rolls Royce sul Bois de Boulogne ecc. Piantata poi dal marito Camillo, finì in miseria: i suoi debiti erano il doppio del patrimonio. «Si ridusse a Londra, proverissima: prima in una camera all’ultimo piano di un palazzone di Piccadilly, che aveva come unico charme quello di aver ospitato lord Byron; poi, durante la seconda guerra mondiale, in un seminterrato umidissimo; infine, in un appartamento di Brompton Road diviso con altra gente. Un armadietto inzeppato di bottigliette, bicchieri, ricordini, siringhe, bijouteries di nessun valore, libri antichi da poter rivendere, rappresentava il suo unico forziere. Le teneva compagnia il cagnolino Spider, un pechinese. Viveva dei regalini che con molto tatto le facevano i vecchi amici invitandola ogni tanto a cena». Cecil Beaton la scovò e lei lo ricevette con un vestito di velluto (la sua uniforme degli ultimi dieci anni), in testa un vecchio cappello a cilindro, sulle spalle una pelliccia di leopardo spelacchiata dall’uso, la veletta. Beaton, fingendo di avere come obiettivo il cane, le scattò un paio di foto.
• Natalie Barney, lesbica e ancora attiva a ottant’anni. Sulla Promenade des Anglais di Nizza incontrò Jannine Lahovary. «Sposata e madre di figli, questa era una donna d’eleganza chiassosa che marciava verso la sessantina ”truccata come una star del cinema italiano di quegli anni e profumata alla gardenia”. Il colpo di fulmine fu reciproco: l’anziana signora d’austero aspetto, qual era ormai Natalie, conservava temperamento giovanile». Esiste una foto delle due con Romanie Brooks, pittrice, amante perennemente tradita da Natalie.
• Lesbiche o semilesbiche di Capri nei primi anni del secolo: Romanie Brooks e la sua amante Natalie Barney, la pianista Renata Borgatti, figlia di un tenore wagneriano (corpo sgraziato, voce da uomo, i vesiti le pendevano addosso, abitava a Punta Tragara con vista sui Faraglioni, sigaretta sempre accesa, seduceva suonando Liszt, ”si buttava sulle donne”) le due anziane signorine Kate e Saidee Wolcott-Perry (nella loro villa le mattonelle mostravano due cuori intrecciati sotto il monogramma WP), Elena Troubridge (detta Una, moglie dell’ammiraglio Ernest) e l’amante sua Margareth Radcliffe Hall (soprannome John, pantaloni, testa quasi rasata, cigarillo, in bocca, panciotto da cui usciva la catena dell’orologio).
• Romanie Goddard, lesbica, sposata a John Ellingham Brooks, piccolo, timido balbuziente e omosessuale. Lei era però stata amante di D’Annunzio. «Da vecchia raccontò che un giorno, molto tempo dopo la loro relazione, chiese a D’Annunzio come mai la sua foto non figurasse tra le conquiste femminili che tappezzavano un’intera parete del Vittoriale. ”Scandendo ogni sillaba, cosa che faceva sempre quando mi parlava in francese, Gabri rispose: ’Ma voi non siete una donna’”». Pittrice: l’anno in cui un gallerista comprò per 200 franchi un quadro di George Braque, a lei ne offrirono 25.000. «Dipinse distaccata, solitaria, tanto concentrata sui volti da ritrarre che spesso preferì vivere in albergo dove, diceva, nn c’è bisogno di distrarsi neanche per mangiare».
• Nel 1897, gli ospiti del Quisisana, riconosciuto a un tavolo Oscar Wilde col suo amante Alfred Douglas, chiesero al proprietario dell’albergo (e sindaco di Capri) Federico Serena: «O va via lui o ce ne andiamo noi». «Imbarazzato, ma con perfetto cerimoniale allora il proprietario dell’albergo li aveva pregati vivamente di volersi recare altrove».
• George Sidney Clark, medico scozzese, fondatore del Quisisana di Capri, sposato con Anna, sei figli. Alla morte di Clark «la vedova Anna concesse l’albergo in affitto a Federico Serena» che era stato cameriere nell’hotel «e dopo qualche anno glielo vendette facendosi garantire una rendita annuale. Sindaco nel periodo di adeguamento di Capri al turismo del XX secolo, Serena aveva ottime doti gestionali. Fu l’uomo che sostituì le lampade ad acetilene con la luce elettrica, che allacciò l’abitato di Tibero a Tragara, che istituì un corpo di spazzini municipali, che iniziò a prolungare il mozzicone di molo in modo da proteggere tutta la Marina grande, che proibì di conservare i cibi sotto la neve sporca portata dal Vesuvio affidando il servizio del ghiaccio alla ditta Giacomo Rossano, ecc.».
• «L’unico evento pressappoco rispettabile della mia vita è la nascita. Il resto non è pubblicabile» (Norman Douglas, scrittore scozzese vissuto a Capri per quasi mezzo secolo).
• A Capri Von Gloeden, famoso per le fotografie degli efebi di Taormina, abitava una villa acquistata di fronte a San Domenico, zeppa di voliere; attorno al letto cinguettavano una cinquantina di uccelli. Cugino di Wilhelm von Pluschow, fotografo anche lui, studio in Roma, via Sardegna 35.
• In Francia la prima condanna per immagini erotiche risale al 1857: «quattro modelle avevano pagato con sei mesi di prigione e cento franchi d’ammenda l’aver posato nude per il fotografo Louis-Antoine Maline. Nel 1860 a Joseph-Antoine Belloc erano state sequestrate quattromila foto oscene: tre mesi di carcere».
• «Qui a Capri sono tutti piuttosto immorali, ma per fortuna non così noiosi come chi gli fa la morale. Ogni straniero ha la sua storia scabrosa: anziché sussurrata a bassa voce, viene sbandierata ai quattro venti» (Somerset Maugham).
• Il tribunale di Napoli, descritto da Rinaldo Schmidt alias Alexander Olinda (in Ferdinando Russo La camorra) nel 1907: «A Castelcapuano ”i giudici portano una specie di camicione nero con un colletto a ruota e una berretta di piume bianca”; al primo piano, nel vastissimo salone settecentesco della corte d’appello, tra statue e mezzibusti di marmo, i tavoli da lavoro degli avvocati, ”vecchi signori ben pasciuti e con occhiali giganti, grossi ragni alla ricerca di prede da attirare nella ragnatela”, sommersi da codici e pandette; accanto a loro, ”scribacchini dall’asptto di affamati”; all’uscio di ogni aula di giustizia, un soldato di guardia con il fucile a pied’arm; nei corridoi, per le scale, ”fole di tutti i ceti sociali a spingersi, a strignersi, ad urtarsi, muovendosi di qua e di là».
• A Napoli Oscar Wilde aveva toccato presto e facilmente il fondo della disperazione: a sentire i pettegolezzi d’un cameriere, una volta era rientrato all’Hotel Royal insieme a cinque soldati con i quali aveva passato a notte (vedi anche Oscar Wilde Verso il sole a cura di Renato Miracco Colonnese 1981).
• «Tra volontari e preterinzionali, s’erano contati nel 1902 a Napoli 523 omicidi, la gran parte dei quali avvenuti, più che per motivi di camorra, per furia d’amore>. Aggiunti alle 7341 lesioni personali ed agli 859 casi di rapina, estorsioni e ricatti denunziati, davano un’idea del quadro criminale cittadino. Nelle statistiche fornite all’inaugurazione dell’anno giudiziario dal procuratore generale del re, cavalier Pappalardo, il reato commesso da Christian Wilhelm Allers, rientrava nell’ambito dei ”delitti contro il buon costume e l’ordine della famiglia”: 1491 denunce in un anno. A parte la prostituzione femminile esercitata nei bordelli autorizzati di Chiaia, oppure - infimo gradino - nei vicoli dell’Imbrecciata a Porta Capuana, esisteva un forido parallelo mercato maschile del sesso organizzato allo stesso modo. Fatta irruzione a vico Quaranta nella casa di don Ferdinando Esposito detto ’O Perticone, mediatore di prostitute, i poliziotti trovarono un quaderno dove, insieme ai nomi delle padrone dei bordelli più famosi (donn’Arcangela alla Speranzella, donna Rosaria al Ponte di Tappia, Carmela ’a Pisciasotto, Luisella ai Panettieri) ed alle loro ordinazioni, appariva la lunga lista delle donne da mettere all’arte. (’due pacchiane, maritate sotto i trent’anni, una cafona di Acerra, giovane ma un poco sciupatella, una forestiera di Roma svelta e pulita che prima faceva la cameriera a Caserta, una vergine di 16 anni che non la cederebbe per meno di cento lire, una moglie di cavalieri dalle dieci antimeridiane alle quattro e trenta pomeridiane nelle quali il marito sta all’ufficio...”) per finire con le candidature maschili: ”cinque fanciulli disponibili per i signori forestieri, specialmente per gli inglesi...”».
• I casi del disegnatore Allers, condannato in contumacia per aver violentato sei bambini di Napoli, in Roberto Ciuni I peccati di Capri New Deal, 1998 pagine 46 e seguenti.
• Odiatori di Capri (oltre Malaparte, vedi scheda). Brecht: «Maledetta limonata azzurra», D.H. Lawrence: «Sono stufo marcio di Capri: è un pentolone di pettegolumi letterari». A Henry James «non gli andava nulla né il vaporetto né i compagni di viaggio né i luoghi visitati. Gide: «La trovo insopportabile o quasi nonstante le sue rocce mirabili: preferisco vederla da Napoli ondeggiare copme una visione sul mare [La Grotta Azzurra] non mi piace per niente. I suoi riflessi sono d’un colore ghiacciato, non azzurro, ma indigo».
• Le terapie balneari «medicina di chi è sano» secondo un motto scherzoso che girava a Capri all’inizio del secolo.
• Sulla presunta peccaminosità di Capri, l’Itinéraires d’Italie dell’editore Hachette, ai primi del secolo: «Le processioni dei fedeli, iniziate devotamente la mattina, finiscono la sera in mezzo a veri e propri baccanali».
• La pizza napoletana secondo Alexandre Dumas (Il corricolo): « una specie di stiacciata come se ne fanno a Saint Denis... all’olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro, ai pesciolini. il termometro gastronomico del mercato: aumenta o diminuisce di prezzo secondo il costo degli ingredienti, secondo l’abbondanza o la carestia dell’annata». Il cocomero: «Con il cocomero si mangia, si beve e ci si lava la faccia, a quanto assicura il mercante: contiene insieme il necessario e il superfluo».
• All’inizio del secolo a Vienna c’era una prostituta ogni sette abitanti (Ettore Lo Gatto, Russi in Italia, Editori Riuniti 1971).
• Flaubert da Napoli: «Sono sempre in eccitazione, fotto come un asino sbardato». Wilhelm von Archenholz a Napoli v’erano più omosessuali che in tutte le altre città italiane e ciò perché a Napoli gli uomini erano costretti a mestieri casalinghi: «al fine di preservare le donne dalle tentazioni, veniva ad esse tolta perfino la cura del ménage familiare, evitando così che potessero frequentare fornitori e garzoni o stessero troppo al balcone. Negli alberghi i camerieri erano di solito maschi femminilizzati» (Gino Doria, Viaggiatori stranieri a Napoli Guida 1984).
• Charles-Marguerite Mercier Dupaty, nelle sue Lettres sur l’Italie, anno 1785, ristampato cinquanta volte: «Il sesso sembra essere a Napoli una sorta di commercio: vi trafficano tutti, padri, madri, mariti, fratelli e monaci [...] Repellenti le donne: la bellezza femminile è un fiore da clima temperato.. Le sciupa il medesimo caldo che esalta quella maschile: gli uomini sono in gran parte molto belli...».
• Turisti a Capri nel 1955: 280 mila.
• Sulla moda a Capri nell’immediato dopoguerra Roberto Ciuni I peccati di Capri New Deal 1998 pagina 16 e seguenti.