Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Varie sul fascismo e sull’archivio di Mussolini
• «Non credo all’avvenire degli uomini grassi» (Curzio Malaparte).
• I magazzini ”Standa” si chiamano così per via della guerra ai nomi esotici dichiarata dal segretario del Partito nazionale fascista Achille Starace. Il nome originale era ”Standard”. Altre italianizzazioni decise da Starace: ”tuttochesivede” per ”panorama”, ”cotiglioni” per ”cotillons”, ”casimiro” per ”cachemire”, ”rinvilio” per ”dumping”. Impossibilità di convincerlo sul fatto che la parola ”Eden” non fosse esotica. Sua convinzione che i cinema e gli alberghi con questo nome avessero voluto rendere omaggio al premier inglese.
• Starace ricevette da Mussolini l’ordine di ”instivalare” l’Italia.
• Arpinati a Mussolini: «Ma lo sai che Starace è un cretino?». Mussolini ad Arpinati: «Lo so, ma un cretino ubbidiente».
• «Quando la pugna diventa pugnetta / ogni gerarca a partire s’affretta. / A ogni minimo stormir di vento / chiedono e ottengono medaglia d’argento. / Solo Starace, di tutti il più stronzo,/ ha ottenuto quella di bronzo» (canzoncina cantata dalle truppe durante la guerra d’Etiopia).
• Telegrammi. «Caro Balbo, ho notizia che intendi monumentare De Bono sulle dune. Non lo fare. Si presterebbe al ridicolo. Mussolini». «Caro Duce. Ormai il bozzetto è pronto, ma prima di collocare il monumento sulle dune verrò a parlarti. Tuttavia, quanto alla serietà della cosa, penso possa passare. D’altra parte, qui a Tripoli abbiamo già la galleria De Bono, il lungomare De Bono, la via De Bono, il castel De Bono, la scuola De Bono, e perfino il nome De Bono, a caratteri cubitali, sulla volta dell’orribile teatro Miramare. Monumentando il camerata si potrebbero sostituire gli altri nomi. Italo Balbo». «Caro Balbo. Il monumentabile De Bono non vuol saperne di essere monumentato. Dice che, fra l’altro, porta iella. Mussolini». «Caro Duce. Proprio ieri ho rescisso il contratto con lo scultore. Ci rimarrà il bozzetto per l’avvenire...Saluti fascisti. Italo Balbo». (scambio di telegrammi tra Mussolini e Balbo appena giunti in Libia).
• Balbo. «Ferrara. La camorra degli appalti diretta da S.E. Balbo raggiunge limiti mai toccati altrove. S.E. Balbo ha fatto ottenere recentemente alla città di Ferrara un mutuo di 150 milioni ed ha preteso un compenso di 5 milioni» (appunto dall’archivio di Mussolini).
• Farinacci, laureato in giurisprudenza a Modena nel 1924, avvocato di grido durante il regime, copiò integralmente la propria tesi di laurea, fatto noto a tutti quelli che lo conoscevano e lo reputavano incapace di scriverne una propria. Mussolini aveva fatto sparire sia la tesi incriminata che quella originale, scritta dall’avvocato Marenghi ed identica alla tesi del ”ras” fin nelle virgole. Quando il duce fece sapere a Farinacci di essere a conoscenza del suo ”segreto”, questi rispose con una lettera dal tono provocatorio conservata nell’archivio personale di Mussolini: «Duce, io non volevo copiare. Avevo già belle e pronta la mia tesi di laurea il cui titolo era: "La somministrazione dell’olio di ricino ai sovversivi da parte dei fascisti non può essre considerata violenza privata, ma semplice ingiuria o, nella peggiore delle ipotesi, minaccia lieve". Questa, Duce, era la tesi che intendevo discutere. Purtroppo il professor Groppali dell’Università di Modena mi sconsigliò di presentarla; temeva che quegli antifascisti dei miei esaminatori ne approfittassero per fregarmi. Per questo, Duce, decisi di copiare dal Marenghi». Mussolini archiviò la questione.
• Canzonette. «Si segnala, per esempio, da Trieste che gli squadristi, in risposta all’invito di ristabilire l’ordine, cantano una canzone i cui versi sono sottolineati da Mussolini: "Ma che ordine / che disciplina: / carneficina / carneficina". E ancora: "Vogliamo una repubblica di stracci, / ma governata da Roberto Farinacci».
• «Il Duce era un uomo preciso fino al limite della pignoleria. Per esempio, usò sempre lo stesso tipo di pennino a punta quadra e lo stesso tipo di matita rossa e blu (marca Faber). Non buttò mai via nulla di quanto passava sul suo tavolo, neppure un invito a pranzo o una partecipazione di nozze. Tutto ciò che lui leggeva e annotava veniva accuratamente riposto in appositi fascicoli dal capo della sua segreteria particolare (alla carica si succedettero nell’ordine: Alessandro Chiavolini, Osvaldo Sebastiani e Nicolò De Cesare); cosicchè allo "scadere" improvviso del suo mandato (25 luglio 1943), l’archivio personale del Duce occupava molti scaffali».
• Nell’archivio di Mussolini sono conservate seicentoquarantadue lettere in cui Maria Teresa Bellardelli, da Bologna, chiede disperatamente al Duce un incontro d’amore (mai accordato).
• Il servizio di spionaggio telefonico, istituito nel 1903 da Giolitti, disponeva nel 1927 di quattrocento stenografi e centri d’ascolto dislocati in Roma, Milano, Torino, Genova, Como e Sanremo. Mussolini pretese che anche le sue telefonate venissero intercettate e stenografate.
• È fatto assoluto divieto di portare il collo della camicia nera inamidato» (disposizione di Starace).
• «"Salve o popolo d’eroi" diceva una nota canzone fascista. (...) Mussolini, da parte sua, non era restio a decorare i suoi prodi: il regime aveva un gran bisogno di eroi. Tuttavia, almeno in privato, voleva vederci chiaro. Lui, che eroe non era mai stato, era piuttosto scettico sull’eroismo dei suoi camerati e forse anche invidioso. Per questo, fin dai primi anni del suo governo, si adoperò per scoprire cosa si celasse di vero dietro la retorica delle motivazioni ufficiali pubblicate sull’albo d’oro. E godeva malignamente nello scoprire gli incredibili sotterfugi escogitati dai falsi eroi che lo circondavano».
• Un appunto del 1930, una segnalazione del capo della polizia al quale il Duce aveva affidato il compito di controllare il ”passato eroico” di Italo Balbo, quadrumviro del regime: «Per prima cosa bisognerebbe rivedere il processo celebrato contro S.E. Balbo al Tribunale Militare di Firenze. Come è noto, egli fu accusato di diserzione per essere fuggito dalla caserma di Moncalieri (dove seguiva un corso per pilota aviatore) subito dopo la ritirata di Caporetto. E’ altresì noto che S.E. Balbo fu assolto con formula piena in quanto dimostrò che non aveva abbandonato la caserma per disertare, bensì per correre al fronte onde contribuire ad arrestare l’avanzata del nemico. Tutto questo è falso: S.E. Balbo, in effetti, fuggì da Moncalieri e raggiunse la sua casa a Ferrara dove rimase nascosto alcuni giorni. Solo per le rampogne del padre si ripresentò alle armi nella zona di Padova. Risulta ancora che la promozione di Italo Balbo a capitano, per meriti di guerra, è ingiustificata. Il suo ’merito’ consistette infatti nell’avere obbligato un ufficiale austriaco prigioniero a togliersi gli stivali».
• La scheda dedicata a Roberto Farinacci è più complessa. Una prima segnalazione, relativa all’attività da lui svolta durante la Grande Guerra, così riferisce: «Fatte le opportune ricerche risulta che la 3a compagnia del 3° reggimento Genio telegrafisti di cui faceva parte S.E. Farinacci, salvo compiti speciali (impianti di linee telegrafiche e telefoniche) non ha mai partecipato a fatti d’arme. Infatti l’unica località considerata zona di guerra in cui detta compagnia ha operato è quella di Caviola che si trovava a oltre sei chilometri dalla prima linea. Risulta ancora che S.E. Farinacci lasciò detta compagnia il 29 marzo 1917 perchè "comandato presso le Ferrovie dello Stato"». Quest’ultima frase è sottolineata in rosso da Mussolini.
• I ”rilievi a carico” testimoniano nell’archivio privato di Mussolini, le malefatte dei gerarchi, rilevate puntualmente dal suo segretario particolare. Eccone un elenco: «Risulta che all’età di 17 anni, S.E. Balbo tentò di ricattare il cavalier Santini di Ferrara. Scoperto, evitò il processo e il carcere per intervento dei genitori che appaianarono le cose col Santini». «Roma. Per ottenere il brevetto di pilota, S.E. Balbo ha fatto spendere alla Regia Aereonautica la somma di 300.000 lire, mentre, in media, ogni allievo non costa più di 5.000 lire». «L’industriale Giannelli di Bologna ha pagato a Farinacci la somma di 1.400.000 lire per ricuperare certi documenti compromettenti. Farinacci ha bruciato le carte davanti a lui. Ora però sono apparse in circolazione delle copie fotografiche...». «S.E. Farinacci ha preteso dall’industriale Borletti la somma di 100.000 lire per una parcella. Borletti non voleva pagare l’enorme cifra, ma quando gli hanno raccontato di Giannelli si è affrettato a sborsare la somma”. ’Malgrado il suo feroce antisemitismo, S.E. Farinacci continua ad avere contatti con ricchi ebrei ai quali, dietro lauti compensi, fa ottenere l’arianizzazione». «S.E. Farinacci in questi ultimi anni ha notevolmente ampliato il proprio patrimonio. Recentemente ha acquistato molti terreni a Zagarolo e si è fatto costruire una lussuosa villa a Gaeta. Risulta che per un solo parere legale pretende 100.000 lire. Guadagna molto anche amministrando i patrimoni degli ebrei che ora vivono in Svizzera».
• Mussolini, a ragion veduta, correggeva e controllava personalmente tutti gli scritti che i vari esponenti del regime gli sottoponevano. Ecco alcuni esempi delle opere letterarie dei ”ras” e delle correzioni del duce trovati fra le carte dell’archivio privato. Dalle bozze del Diario di Balbo: l’autore scrive «Non si può combattere senza averne la certezza assoluta», Mussolini sottolinea con la matita rossa e postilla: «certezza di che cosa»? Ancora Balbo, «La ambizione di sorprenderlo facendo più di quanto si aspetta», annotato dal correttore con «Meglio il congiuntivo: di più di quanto egli si aspetti». Poi «Qualcuno ha rifiutato la tessera: sono i più tiepidi», che Mussolini sottolinea e annota con «E la consecutio temporum»? Un libro di Pietro Badoglio sulla guerra d’Etiopia ha molte pagine ridotte ad un cimitero di croci rosse e blu, mentre un testo del maresciallo Emilio De Bono scritto per la rivista ”Gerarchia” è giudicato dal duce revisore ”impubblicabile”; la ragione è comprensibile, al suo interno si leggono frasi come «Non è facile impresa, ma ci si riesce. E’ più difficile tenere lontani i menagramo che ce ne sono ancora tanti in giro che lo fanno per mestiere».
• Del 5 febbraio 1930 è la lettera in cui un velenoso Farinacci lamenta con il Duce la scalata sociale di Italo Balbo denunciando inoltre che questi si è fatto ricevere in udienza privata dal Papa forse per far dimenticare il suo passato anticlericale, massonico nonchè di persona profondamente coinvolta nell’omicidio di Don Minzoni. Mussolini teme il sottoposto e per questo ne controlla la carriera documentandosi con varie informative riservate. In una di queste leggiamo dell’acquisto da parte di Balbo di un’appezzamento di terreno, 37 ettari nei pressi di Follonica denominato Punta Troia, prontamente ribattezzato dal gerarca con un più dignitoso Punta Ala. Per arrivare alla tenuta è stata costruita a spese della Pubblica Ammministrazione una strada provinciale il cui unico scopo è quello dell’uso privato, il costo è di 600.000 lire. Sempre a spese dell’Amministrazione sono stati realizzati gli impianti di elettricità e telefono, costo 300.000 lire. La zona è stata ripopolata di selvaggina, due antiche torri abitabili sono state rimodernate e rinominate: la prima, Torre Troia è divenuta Torre Ala ed è riservata allo stesso Balbo, l’altra denominata Torre Idalgo, munita di ponte levatoio è assegnata agli ”atlantici”, cioè i compagni di Balbo nelle trasvolate oceaniche, ed alle loro amanti. Ogni coppia ha diritto a soggiornare nella torre per 24 ore, isolandosi dopo aver sollevato il ponte, dopo essersi riforniti di cibo e vivande. La nota riferisce che gli abitanti della zona erano convinti che la zona fosse sede di installazioni militari, visto che i lavori del porticciolo e dell’idroscalo privato sono stati interamente eseguiti da reparti del Genio. Uno degli idrovolanti utilizzati da Balbo, essendo stato ormeggiato malamente è affondato, e durante i lavori di recupero un giovane aviere ha perso la vita.
• Balbo è effettivamente personaggio molto popolare e quando viene nominato Mnistro dell’Aereonautica la sua influenza cresce. A Roma si parla di lui come del ”successore”. Il Duce ingelosito temporaneamente sopporta lo scomodo sottoposto, ma nega al gerarca ferrarese il titolo nobiliare da questi ansiosamente richiesto: «Hai fatto marchese De Pinedo, fammi almeno conte...». Mussolini per tutta risposta lo nomina Maresciallo dell’Aria ma gli toglie il dicastero dell’Aereonautica. Alla fine Balbo sarà inviato a Tripoli come governatore generale della Libia in sostituzione di De Bono. In una telefonata intercettata dai servizi di sicurezza il nuovo governatore generale parlando con sua moglie della decisione del Duce si dichiara «capace di andare subito a rompergli il grugno»! «Stai calmo»! è la risposta della signora.
• Anche dalla Libia l’influenza e la popolarità di Balbo sono troppo forti ed ingombranti per il Duce, che lo mantiene sotto stretto controllo e si fa riferire ogni frase rivelatrice di possibili fronde capitanate dal ”trasvolatore”. Balbo si rivela essere filoinglese ed antitedesco molto prima di Ciano, «Io i tedeschi non li discuto: li odio» dichiara ad amici fidati che riferiranno. «Finirete a fare i lustrascarpe ai tedeschi!» grida in faccia a Ciano che corre a riferire al suocero, il quale annoterà questo commento: «Balbo rimarrà quel porco democratico che fu oratore della Loggia Girolamo Savonarola di Ferrara». Il 10 giugno 1940 scoppia la guerra che Balbo aveva osteggiato o per spirito di fronda o per felice intuizione. L’aviatore del regime morirà diciotto giorni dopo in un incidente aereo mai perfettamente chiarito. Fu colpito dalla contraerea italiana dell’incrociatore San Giorgio nella zona di Tobruk.
• La morte di Balbo fu effettivamente una disgrazia. La prova è contenuta in una relazione scritta per il Duce dal generale di brigata aerea Egisto Perino il primo luglio 1940 conservata fra le carte riservate di Mussolini. L’aereo del Maresciallo dell’aria si trovò a passare in una zona sottoposta a bombardamento da parte di aerei inglesi che volavano ad altissima quota, la contraerea italiana cercava invano di colpire gli avversari, ma purtroppo aggiustò il tiro solo quando sulla verticale dell’aereopporto bombardato apparve il Savoia-Marchetti S79 del Triumviro. L’aereo fu colpito in pieno da una salva d’artiglieria e precipitò. Con la morte di Balbo il regime si libera di un pericoloso ribelle e Mussolini di un ’insidioso ”successore”, che, durante le giornate di Salò ricorderà così: «Balbo? Un bell’alpino, un grande aviatore, un autentico rivoluzionario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi».
• Autunno 1932. Kurt Suckert, alias Curzio Malaparte, vive a Parigi in Quai de l’Horologe. Non è un fuoriuscito e gli esuli autentici lo guardano con sospetto perchè nessuno ha dimenticato i suoi trascorsi fascisti. Ma ”la migliore penna del fascismo” come lo aveva definito Piero Gobetti è in disgrazia presso il regime: un anno prima è stao cacciato dalla direzione della ”Stampa” ed anche da Torino, con foglio di via quale ”indesiderabile”. Motivo è stato il suo costante rifiuto a far ricorso alle ”veline” (termine nato in quegli anni) di Palazzo Venezia. Dalla Francia Malaparte invia lettere infuocate contro il suo ex amico e protettore Italo Balbo, che ritiene responsabile del licenziamento. «La verità è che ormai lo spirito rivoluzionario di Balbo è andato a farsi benedire. Italo è ingrassato, non solo fisicamente. Sarebbe un buon ministro di Luigi Filippo...» scrive in una lettera a Quilici, direttore del ”Corriere Padano” di Ferrara, il giornale di Balbo, e ancora «L’amicizia di Balbo ha sempre fatalmente una ragione di complotto. E io sono contrario in modo assoluto a qualunque successore. (...) Al suo rivoluzionarismo io non credo. Non credo all’avvenire degli uomini grassi. E se fosse magro gli occorrerebbe un’altra testa e un altro cuore...» Le lettere di Malaparte finiscono regolarmente sul tavolo di Balbo che il 7 giugno del 1933 comunica la sua decisione a Mussolini con un telegramma: «Duce, prima di partire per la seconda crociera atlantica ho denunciato al Tribunale Speciale Kurt Erik Suckert». Ad ottobre dello stesso anno Malaparte, ignaro di tutto, viene arrestato a Roma su segnalazione di Balbo a Mussolini; inviato al confino alle isole Lipari, di lì a qualche mese, grazie all’amico Ciano, sconterà il confino nella sua villa di Forte dei Marmi.
• Il 7 dicembre 1931 Starace si insedia a Palazzo Vidoni, sede della segreteria del PNF. Il giorno stesso, in attesa dell’arrivo del Duce, il nuovo segretario farà provare un nuovo rituale di saluto di sua invenzione: all’ingresso di Mussolini, spiega Starace ai camerati, lui griderà: ”Saluto al Duce!” e gli altri risponderanno, in coro e col braccio teso nel saluto romano: ”A noi!”. L’innovazione non è ben accolta, e si mormora sia una pagliacciata. Ma Mussolini accoglierà la fiera deferenza con il petto gonfio d’orgoglio; da allora entrerà a far parte dell’iconografia popolare del fascismo.
• Macchia non di poco conto nella ”fascistissima” figura di Starace è la sua manchevolezza sul fronte della virilità: si mormora infatti che egli sia omosessuale. L’accusa è gravissima e subito viene mobilitata l’OVRA. Una nota anonima riferisce che «A Lecce, dove S.E. Starace ha trascorso la propria giovinezza, è molto diffusa la convinzione che il Segretario del Partito sia un pederasta passivo. Per questa sua debolezza egli sarebbe anche stato espulso dal Collegio Nazionale dove studiava da ragazzo. Inoltre c’è a Lecce un certo Ramundo che si vanta apertamente di essere stao ’il primo profittatore fisico della sua fanciullezza’». Altre informative che giungono sul tavolo di Mussolini sono però di tutt’altro tenore, in esse si definisce Starace come «un gran consumatore di ballerine», e si dice che «l’attività di puttaniere di S.E. Starace non ha un’attimo di sosta», inoltre la lettera di un vescovo riferisce che «in un castello di Santa Severa, presso Roma, Starace, Scorza e altri gerarchi organizzano orge neroniane» . Non può essere escluso che questa campagna diffamatoria sia stata organizzata dallo stesso Starace per rassicurare il Duce della propria virilità.
• Fra il Duce e Starace c’è una certa sintonia, trascorrono insieme intere ore chini sui modelli di nuove divise come una coppia di moderni stilisti, insieme ideano la campagna contro la ”donna-crisi”, la donna robusta e di seno prosperoso fattrice di italiani, come piace a Mussolini. Starace pecca d’eccesso di zelo quando dopo la conquista d’Etiopia del 1936 propone di integrare il ”saluto al duce” nella formula ”Salutate nel Duce il fondatore dell’Impero” alla quale si risponderà con il canonico ”A noi!”. Mussolini commenta: ”Invece di A noi! vien voglia di rispondere Amen ”. Il Duce lusingato accetterà il nuovo saluto anche se riderà di gusto quando gli riferiranno la storiella che circola secondo la quale Starace, incapace di mandare a memoria la formula, se la scriverebbe sul palmo della mano. Verrà invece rifiutata la proposta di far concludere ogni lettera con ”Viva il Duce”, sul modello dell’ ”Heil Hitler!” tedesco: si ritiene che dopo una lettera di condoglianze o di licenziamento non sia conveniente una tal conclusione.
• Starace sarà utilizzato da Mussolini oltre che per compiti ”scenografici” anche per operazioni poco pulite, come il siluramento di Leandro Arpinati, potente sottosegretario dell’Interno, legato al Duce dalla vecchia militanza socialista rivoluzionaria. Spirito libertario, Arpianti si rifiuta di ordinare ai dipendenti del ministero di iscriversi al Partito, iniziativa dello stesso Starace, inoltre protegge il giornalista Mario Missiroli, l’ex direttore del ”Resto del Carlino” messo al bando dal regime che si mantiene svolgendo piccole collaborazioni al ”Messaggero” sotto falso nome. Starace proporrà al capo del Partito un rapporto pieno di accuse nei confronti di Arpinati, che lo affronterà alla Camera e lo schiaffeggerà senza che questi reagisca, come non reagirà ad un biglietto che inequivocabilmente lo sfida a duello e che mostrerà al Duce, il quale deciderà per il licenziamento ed il confino di Arpinati dopo che questi avrà rifiutato di scusarsi con Starace ed anzi avrà commentato: «Duce, se dovessi scrivergli tutti i giorni, ripeterei sempre che Starace è un fesso».
• Dopo la caduta di Arpinati iniziano ad arrivare sulla scrivania di Mussolini diversi rapporti sulle attività di Starace, del quale si denuncia l’appartenenza alla Massoneria e del quale inoltre si narrano imbarazzanti gesta oratorie che comprendono l’aver invitato alcune signore, durante una cerimonia ufficiale a Mantova, a valutare le sue capacità amatorie, o la figuraccia raccolta a Padova quando dopo aver perso il filo del discorso durante un incontro con alcune autorità, perse anche il foglietto sul quale l’aveva appuntato e che teneva nel polsino, e vista l’intenzione di qualcuno di raccorglielo se ne risentì, salvo poi, dopo essersi di nuovo trovato a balbettare, raccoglierlo da sè stesso.
• Il 31 ottobre del 1939 Starace, l’inventore del salto nel cerchio infuocato, fu sostituito alla guida del PNF dal giovane e catico di gloria Ettore Muti. Il fedele e servizievole gerarca viene trasferito al comando della Milizia, perchè fosse meno clamorosa la defenestrazione dal precedente prestigioso incarico. Ma il 16 maggio 1941 Mussolini licenzierà Starace in maniera brutale, dichiarandosi insoddisfatto della sua opera e comunicandogli che lo chiamerà quando avrà bisogno di lui in Africa Orientale, dove si attende una ripresa. La ripresa non ci sarà mai, in Etiopia è tornato il Negus e Starace è disoccupato. Uno dei motivi che hanno suscitato l’ira del Duce, oltre al fatto di essere stato costretto silurare Arpinati, è stato l’aver saputo che Starace manda in giro i suoi quattro cani accompagnati da un milite, ”L’Italia ha ancora le scatole piene dei cani di D’Annunzio per sopportare quelli di Starace!”, così si espresse il Capo del Fascismo.
• Starace invierà a Mussolini infinite lettere piene di dolore e dal tono patetico dell’amante tradito. Questi sfoghi non avranno mai risposta. Durante e dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943 Starace passa inosservato, e invece di approfittarne si reca senza indugio a Salò per ”offrire il suo braccio” al Duce, che nemmeno stavolta vuol riprenderlo con sè. Per i cupi fascisti di Salò l’ex ”coreografo del regime” è una figura anacronistica, sarà arrestato ed internato, nonostante ciò continuerà a scrivere lettere a Mussolini, nelle quali tenta, pur di convincere il suo amato capo, anche la carta della scaramanzia, dicendogli che la sua nomina a segretario del partito coincise con il momento più alto dell’impero e del fascismo e che quindi potrebbe essere di buon auspicio una sua reintegrazione. Starace rivedrà il ”suo” Duce solo il 29 aprile del 1945, appeso a testa in giù al distributore di benzina di Piazzale Loreto. L’ex gerarca è stato arrestato dai partigiani il giorno prima con indosso una vecchia tuta da ginnastica, sarebbe potuto facilmente fuggire ma forse non si rendeva pienamente conto di ciò che stava accadendo. Quando qualcuno gli dice, irridendolo, ”Saluta il tuo Duce”, senza un attimo di esitazione scatta sull’attenti e leva il braccio teso nel saluto romano, poi con la faccia al muro, nell’attesa della scarica di pallottole dirà al plotone d’esecuzione: ”Per favore, fate presto”.
• Conservate fra le carte del Duce trovammo, modificate e corrette negli strafalcioni tutt’altro che infrequenti, diverse ”disposizioni di servizio” redatte da Starace, il meglio della sua produzione in merito di ”stile fascista”. Eccone alcune: «Il saluto romano non impone l’obbligo di togliersi il cappello»; «Nelle cerimonie ufficiali niente ’tubi di stufa’ sulla testa, ma la semplice camicia nera della rivoluzione»; «Spesso in luogo del prescritto pantalone nero lungo, o del pantalone nero corto, con stivali neri, viene indossato un pantalone a righe, ’residuo di tight!!!’. Il commento è superfluo»; «Ricordo il divieto di retrodatare l’anzianità di iscrizione e di consegnare tessere con cerimonie solenni. Una sola è la tessera che si consegna, quella numero uno destinata al Duce!»; «Bisognerà decidersi a fare piazza pulita dei circoli, circoletti culturali e simili, nei quali si annidano spesso residuati dell’afascismo, se non dell’antifascismo»; «Nella corrispondenza fra camerati, anzichè ’all’egregio’, ’all’Ill.mo’, ecc. si scriva ’al Fascista’. Noto in proposito che la parola ’fascista’, pur essendo di natura aggettivale, quando sia adoperata come sostantivo va scritta con la iniziale maiuscola; va scritta minuscola quando invece si adopera come aggettivo»; «’Dedito alla stretta di mano’, ecco la nota caratteristica da segnalare nella cartella personale di chi persista in questa esteriorità caratteristica di scarso spirito fascista. L’annotazione è necessaria. L’esperienza fatta in questo campo ha dato eccellenti risultati per la valutazione di alcuni tesserati»; «Da qualche tempo a questa parte si vanno inventando ’sabati’ di ogni genere: dell’arte, della musica, della primavera, ecc. Ricordiamo che c’è solo il ’sabato fascista’»; «Titoli. ’Il Segretario del Partito è giunto stamane a ...’ Questo è un titolo di stile fascista’. ’S.E. il Segretario del Partito Achille Starace è giunto...” Siamo allo stile fascista fortemente annacquato. ’Starace è giunto stamane a ...’ Titolo di pessimo gusto!»; «L’uso di annunciare la ’posa della prima pietra’ ricorda vecchi tempi. Il Fascismo annuncia l’inizio dei lavori o il primo colpo di piccone: annuncio dinamico e concreto»; «In occasione delle adunate deve essre evitato in modo assoluto che si vedano in giro alfieri con il gagliardetto sotto il braccio o ravvolto nei giornali».
• Nell’archivio privato troviamo un’altra opera letteraria del giovane Mussolini. Si tratta di ”Claudia Particella, l’amante del Cardianal Madruzzo”, pubblicato in appendice al ”Popolo” di Trento, giornale socialista diretto da Cesare Battisti, a partire dal 20 gennaio 1910 per 57 giorni, e che avrà grande successo fra i lettori. Il maestro di Predappio l’ha scritto in poche settimane sul finire del 1909, al suo ritorno in Romagna dopo una turbinosa esperienza come agiatatore politico nel Trentino asburgico. Espulso da Trento torna a vivere con il padre Alessandro. L’ex fabbro, dopo essere rimasto vedovo, ha aperto una trattoria in via Giove Tonante, a Forlì, e convive con una vecchia amica che ha una figlia di nome Rachele. La madre fa la cuoca, Rachele la cameriera, anche Benito, per campare, si adatta a servire a tavola. I due si innamoreranno fra minestroni e piadine. La storia di Claudia Particella ha un successo imprevisto e la tiratura del quotidiano sale alle stelle. Dopo il successo di questa storia d’appendice, il Mussolini feuilletoniste si mette alla ricerca di materiale per scrivere una storia à sensation sulla casa regnante d’Austria, vorrebbe realizzare quattro romanzi d’appendice, ”La tragedia di Mayerling”, ”Il fucilato di Queretatro”, ”L’imperatrice Elisabetta” e ”Franz Joseph intimo”. Scriverà solo la tragedia di Mayerling, che però non pubblica e che troviamo, nella forma di un manoscritto di quaranta pagine pronto per andare in stampa, nella cartella numero 100.
• Altro successo di Mussolini durante la sua permanenza al ”Popolo” di Trento, è la sua intervista esclusiva alla ”santa di Susà”, una povera montanara vittima di un prete disonesto che, oltre a farla sua amante, l’ha costretta a recitare la parte di santa dispensatrice di miracoli. L’articolo apparve sul ”Popolo” il 12 giugno 1909 e suscitò tale interesse che il Partito Socialista Trentino decise di farne un opuscolo da distribuire separatamente al prezzo di centesimi sei. Della pubblicazione è conservata una copia nel fascicolo personale del Duce ed è dotato di una prefazione dello stesso autore.
• ”Duce, la mia vita è per te”. Così scrive la quattordicenne Claretta Petacci a Benito Mussolini nell’aprile del 1926. Diciannove anni più tardi la loro storia d’amore finirà tragicamente. La seconda lettera di Claretta che troviamo nell’archivio riservato è successiva all’attentato subito dal Duce ad opera di Violet Gibson un’attempata signora inglese che gli sparò ferendolo lievemente al naso. La giovanetta scrive una lettera piena di passione e di apprensione per lo scampato pericolo. Ai primi di maggio dello stesso anno la piccola fan si rifà viva con un pacchetto legato con un nastrino tricolore, così conservato nel fascicolo, contenente una decina di poesie scritte su fogli di carta a quadretti con grafia infantile seppur sufficentemente corrette tanto da far pensare alla supervisione di un adulto. In calce ad ogni messaggio la piccola non dimentica di segnare nome, età ed indirizzo. La tradizione popolare vuole che il primo incontro fra Claretta e ”Ben” sia avvenuto casualmente l’otto settembre del 1933 quando si affaincarono, in auto, lungo la strada per Ostia, ma è molto probabile che queste lettere rappresentino un antefatto di questo incontro. Le carte conservate nel fascicolo sono comunque, a parte quelle della quattordicenne entusiasta del Duce, tutte successive alla data del loro incontro.
• Nell’archivio privato del Duce figurano anche le lettere scritte dalla moglie del cancelliere austriaco Dolfuss, Alwine, e dai suoi figli, intimi della famiglia Mussolini, tanto che il giorno dell’assassinio da parte dei nazisti del cancelliere, questi stavano giocando insieme ai figli del duce nella loro casa di Riccione. Si parlò anche di un flirt fra la signora austriaca e Mussolini. Le lettere scritte dai figli di Dolfuss, probabilmente istruiti dalla madre, sono patetiche attestazioni di affetto, il cui fine è quello di solleciatre un intervento del Duce in favore della famiglia Dolfuss privata dei suoi averi e rifugiata in Svizzera. Non avranno risposta e saranno conservate come sarà conservato il telegramma di Hitler spedito da Linz dopo l’annessione tedesca dell’Austria e che dice:«Mussolini, io non dimenticherò mai questo».
• Contenuto della borsa di Mussolini, sequestrata alle 17 e 30 del 27 aprile 1945: quattro cartelle, una delle quali legata con un nastro azzurro, centosessanta sterline d’oro, tre assegi circolari da cinquecentomila lire e sei da venticinquemila lire ciascuno della Banca Nazionale del Lavoro, un assegno da cinquantamila lire emesso dalla sede di Pistoia della Banca d’Italia. Le quattro cartelle della ”Segreteria Particolare del Duce Affari riservati” portano i seguenti titoli, ”Varie”, ”Umberto di Savoia”, ”Processo di Verona”, ”Corrispondenza Hitler-Mussolini”.