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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Il Cane che andava per mare (e altri eccentrici siciliani)

• Nodi. «La mentalità siciliana, secondo la quale la via più corta tra due punti è un nodo sabaudo».
• Puttane. Diego, signorino di timorata famiglia, colletto della camicia alto e giacca avvitata, passava il tempo tra casino e caffè. Media statura, né bello, né brutto, né interessante, tendente alla pinguetudine e alla pigrizia - che lui chiamava spleen -. Al caffè si esercitava nella mirada fuerte, lo sguardo che lascia le donne in mutande. Al casino, "faceva flanella", guardava senza consumare. Fu folgorato da una puttana emiliana dalle pesanti tette, per due motivi: le tette, e la sua capacità di prendere l’iniziativa con leggerezza e senza malignità. Le affittò un appartamento arredato.
• Teresa. Teresa aveva perso una gamba sotto un treno e faceva la puttana lungo i binari della ferrovia. I clienti eiaculavano all’unisono col passaggio del treno, muovendosi al ritmo sincopato dei vagoni. Come stampella, Teresa usava una sedia liberty di finissima fattura. Al momento dell’atto posava il moncherino sulla sedia. Se il casellante protestava veniva rabbonito con una prestazione frettolosa, perché i convogli erano assai frequenti.
• Rughe. A novant’anni la principessa di G. ricevette una proposta di matrimonio da un amico dei nipoti: «Rimasi allibita e offesa nel vedere che non scherzava. Lui vent’anni, io oltre novanta. Non poteva essere per vile interesse, perché io ero povera come un sorcio. Allora cos’era, un gioco perverso? Lo sbattei fuori di casa e lo invitai a raggiungere le mie amiche di mezza età, occupate a straziarsi il viso, povere martiri disperate per il tempo che passa».
• Differenze. «La differenza di sesso è la cosa più profonda e inestinguibile che esista tra gli esseri umani».
• Odissea. Samuel Butler, inglese eccentrico, scrittore, musicista e pittore, bastian contrario di maniera, scendeva ogni anno in Italia per dipingere acquarelli non eccelsi. Per prepararsi alla Sicilia, studiò l’Odissea e decise di azzerare decenni di questione omerica. La sua tesi prevedeva che Omero fosse in realtà una Nausicaa, giovane nobildonna di Erice, di certo nubile, perché altrimenti «avrebbe avuto troppo buon senso e troppo poco coraggio, troppo da guadagnare e troppo da perdere». Spiegava così i molti personaggi femminili, le presunte imprecisioni in materia navale, la minore brutalità dell’Odissea rispetto all’Iliade e la conclusione "brillantamente positiva" dell’opera. L’autrice dell’Odissea uscì nel 1897, cinque anni prima che Butler morisse.
• Colonne. Il Longman Companion to Twentieth Century Literature dedica a Samuel Butler due colonne intere, un quarto di colonna a Thomas Mann e poco più di una colonna a Virginia Woolf.
• Fino al 1979 in via Serradifalco, a Palermo, ogni pomeriggio alle sei in punto Raniero Alliata di Pietratagliata, principe del Sacro romano impero con fama di stregone, si presentava alla finestra del suo finto castello medievale con un pigiama di foggia militare. Facendo oscillare con la mano destra un teschio che portava stretta tra i denti una pergamena nera, pronunciava l’oscuro anatema: «Agapitòn thanos a-ta-tia iaron milosonti adonai». La sera, dopo la maledizione, indirizzata agli speculatori edilizi che si erano comprati il suo parco pezzo a pezzo, si ritirava a infilzare farfalle per la sua collezione, godendo per il crack provocato dallo spillone d’acciaio che trapassava il leggero guscio della testa. Si dilettava a fondere soldatesse di piombo in divisa prussiana, con la casacca aperta a mostrare i seni nudi. Versione per Amica: Fino al 1979 in via Serradifalco, a Palermo, ogni pomeriggio alle sei in punto, Raniero Alliata di Pietratagliata si affacciava alla finestra del suo castello. Un pigiama di foggia militare indosso, un teschio nella mano destra, pronunciava un oscuro anatema contro gli speculatori edilizi che si erano comprati il suo parco pezzo a pezzo: ”Agapitòn thanos a-ta-tia iaron milosonti adonai”. Subito dopo si ritirava a fondere soldatesse di piombo in divisa prussiana, con la casacca aperta a mostrare i seni nudi, oppure a infilzar farfalle per la sua collezione (godeva del rumore provocato dallo spillone d’acciaio che trapassava il leggero guscio della testa).
• Categorie. «Il principe divideva gli uomini in categorie. In fondo vegetava il gregge, diviso a sua volta in tameneri, adiposi, necrofili e convulsi».
• Cugini 1. I fratelli Casimiro e Lucio Piccolo erano i cugini di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. "E’ Tomasi che è mio cugino" rispondeva Lucio ai giornalisti.
• Cugini 2. Tomasi e Lucio erano molto legati. «Si divertivano con giochi di parole, pettegolezzi, si rimandavano citazioni, si sfottevano benevolmente a vicenda, sicuri che l’uno non avrebbe mai superato l’altro nei meriti letterari, perché tutti e due sembravano destinati a non produrre nulla di memorabile».
• Cugini 3. Lucio mandò a Montale una raccolta di nove poesie, con prefazione di Tomasi. Montale, notoriamente avaro, la lesse perché aveva dovuto pagare una tassa al postino per affrancatura insufficiente. Ne fu colpito e invitò Lucio al convegno di San Pellegrino. Tomasi venne allora assalito da un’invidia straziante, la spinta che gli fece finalmente scrivere quel romanzo che gli girava in testa da molto tempo "in forma ectoplasmatica".
• Salina. Il principe di Salina, protagonista del Gattopardo si chiama così perché dalla camera nella villa dei cugini in cui Tomasi scrisse parte del romanzo si vedeva l’isola delle Eolie.

• Chiamate. Antonio Presti cominciò a sentire le voci quando morì suo padre: gli ordinavano di far costruire in sua memoria una croce da piantare nel letto del torrente Tusa. La scultura, collocata su terreno demaniale senza autorizzazione, fu la prima. Seguendo le chiamate, Antonio disseminò la valle della Tusa di opere d’arte colossali, sempre abusive:una finestra in cemento armato di venti metri, dipinta in azzurro con nuvolette bianche e piazzata sulla spiaggia, a pochi metri dal mare; un labirinto lungo un chilometro con porta d’ingresso a forma di vagina (due parentesi color rosso mattone, alte quattro metri) in cima a una collina; un’onda sempre in cemento larga venti metri e alta quattro, interamente dipinta di blu, davanti al cimitero di Motta d’Affermo; una gigantesca frana artificiale incombente su una strada provinciale; una stazione dei carabinieri rivestita di mattonelle colorate. Pagava gli artisti di tasca propria.
• Cere. La stele in cera di Arnaldo Pomodoro fatta bruciare nel 1998 a Catania in onore della festa di Sant’Agata è costata 500 milioni. 420 pagati da Antonio.
• Pere. Nelle campagne catanesi si coltivano settantadue varietà di pere.
• Presepi 1. Giovanni Leone, commercialista di Palazzolo Acreide (Catania), appassionato di presepi, ogni sera si metteva a ricostruire il suo paese in miniatura. La sua passione non nasceva da pietà religiosa o nostalgia dell’infanzia, ma da curiosità urbanistica: solo riproducendoli in scala ridotta poteva vedere gli edifici che dal vero gli passavano inosservati per troppa familiarità.
• Presepi 2. I presepi di Giovanni rendono impossibie modificare il centro storico di Palazzolo Acreide, "perché ogni anno a Natale i paesani esercitano un controllo che nessuna sovrintendenza si sarebbe mai sognato.
• Case. Le vecchie case siciliane sono divise in due parti: la ”casa ri stari”, la casa dove si sta, e la ”casa ri massaria”, la casa dove si lavora.
• Treni 1. Negli anni ’50, per andare da Milano a Catania ci volevano due giorni di treno, con cambio a Roma, San Giovanni e Messina.
• Treni 2. Negli anni ’60 i tedeschi venivano in Italia a Natale, «alla ricerca di zitronen, o qualcosa di simile». Quando il treno si fermava in aperta campagna, scendevano per fare merenda sui prati, «fottendosene delle minacce dei controllori» e risalendo poi di corsa. «Quali affascinanti avventure, impensabili in Germania».
• Marzo. ’U Zu Martino, che abitava a piazza Ballarò, centro storico di Palermo, si chiudeva in casa per l’intero mese di marzo, perché - novello Cesare - lo riteneva particolarmente jettatorio. Subito dopo la mezzanotte del 31 si affacciava dalla finestra, chiedeva silenzio alla folla radunata in piazza, che provvedeva distribuendo ceffoni ai ragazzini e calci ai cani. Poi, con calma, si sbottonava i pantaloni e lanciava ad arco un potente getto di orina, gridando : "T’aiu pisciatu, Marzu". E la folla esplodeva in un urlo che arrivava oltre il quartiere.
• Lezioni. La principessa di S., «donna magrissima, altissima, biondissima, estremamente elegante e volitiva». Fascista simpatizzante, era antifascista solo riguardo alla campagna demografica, perché da ragazza aveva letto un libro malthusiano "e lì era rimasta". Per protesta, una volta a settimana si faceva portare dal suo autista nei quartieri popolari di Palermo, chiamava le donne col megafono e, con l’aiuto di un modello in cera del corpo femminile, spiegava come praticare l’aborto autarchico. Dopo mezz’ora, finita la lezione, rimetteva tutto nel suo baule e se ne andava, nel silenzio generale. Smise quando fu informata che le lezioni non erano gradite dal regime.
• Quartieri. A Palermo, «il termine ”quartiere” è totalmente inadeguato e fuorviante per rendere l’accumulo secolare di elementi eterogenei, l’antico porto del Tirreno, il mercato, la kasbah, il bordello, insieme con le rovine dei palazzi e i ficus diventati mostruosità vegetali pescando l’acqua del sottosuolo come idrovore, le carcasse delle auto abbandonate e i resti di trionfante immondizia simili a opere barocche».
• Vucciria. «Il mercato della Vucciria, dipinto da Guttuso con troppi pomodori, troppe melanzane, troppo peperoni, troppe uova, perché doveva spiegare che quello non era un mercato, ma il sogno di un uomo affamato».
• Teste. Nel suo podere di Sciacca, Filippi Bentivegna, chiamato dai paesani ”Filippu di li Testi”, ha scolpito tremila teste nella pietra arenaria, intagliato alberi in forme antropomorfe, di casa, di fortini con torri, di grattacieli, pesci e uccelli. Quando non scolpiva, faceva il rabdomante, senza farsi pagare. Diceva che i soldi non erano un problema. Bastava stamparli. Molto curato nel vestire, e attento alla propria immagine, costringeva i fotorafi a ritrarlo con le inquadrature che voleva lui. Altrimenti, niente foto. Nel podere, aveva scavato cunicoli e gallerie ovunque, perché voleva sprofondare nella terra: «E’ lì che si pompa il seme dell’uomo».
• Giuseppe Avarna, duca di Gualtieri Sicaminò, ”proprietario di tutti i paìsi”, aveva dilapidato le ricchezze al gioco e con le donne. Bello, estroverso, intratteneva buoni rapporti con tutti perché la differenza di classe era tale da favorire la simpatia. "Aveva la fissa per la fica, ai suoi tempi molto più popolare di oggi". A settant’anni, separato in casa, aveva sposato in seconde nozze una bruna hostess americana con quarant’anni di meno. Nei primi mesi di matrimonio, d’accordo col parroco, faceva suonare le campane della chiesa "ogni volta che scopava", per far "schiattare di rabbia" la prima moglie che viveva nell’altra ala del castello. Morì nel febbraio del 1999, durante un incendio della sua camera da letto.
• Pasticcerie. «Il banco della pasticceria sembrava preparato per una esposizione universale. Cassate, torroni, frutta martorana, pani bianchi fatti con le mandorle, cotognate a forma di pesce, di cavallo, di mascherone, d’infante, di chitarra, quaresimale, gelo di melone, di limone, di mandorle tostate, cannoli, dolci di mandorle e zuccata, biscotti ”scaurati”, biscotti ”affucaparrini”, biscotti ”puppiddu”, pani di spagna, biscotti con la ”liffia”, biscotti chiamati ”ciascuna”, biscotti a forma di porcospino, ossia di morto, dolci di mandorle e marmellata, teste di turco, amaretti, pupi di zucchero, crispelle di riso, ”cudduri”. Mentre mandavo giù i dolci su uno scivolo di granita, guardandomi in giro stupefatto da tanta abbondanza, dissi all’amico di Palazzolo che mi accompagnava: ”E’ una fortuna avere una tradizione simile, che non si è mai interrotta”. Lui rispose che fino a dieci anni fa qui vendevano i cornetti con il cellophane importati dal nord e le merendine confezionate che sapevano di metano. Così i commercianti si sentivano moderni e la gente era felice di mangiare le stesse cose che mangiavano a Milano».
• Reclusi. Il barone Giuseppe Di Stefano viveva da quasi cinquant’anni all’Hotel des Palmes, l’albergo di Palermo, suite 204, tre camere e bagno all’ultimo piano, trasformato in serra. Su di lui, almeno tre leggende. Una ufficiale, secondo cui da giovane aveva ucciso a calci un ragazzetto sorpreso a rubare qualche frutto nella sua proprietà. Condannato a morte dalla mafia per l’omicidio, aveva ottenuto di essere soltanto segregato a vita, in un luogo da lui indicato, l’Hotel des Palmes, da cui non si era più mosso. La seconda leggenda, maliziosa, lo dipingeva come un poveretto senza un soldo, assunto dalla direzione per recitare la parte dell’eccentrico e aumentare il lustro dell’albergo. Terza leggenda: il barone, unico erede di una famiglia ricchissima, era un eccentrico dandy dannunziano. La storia dell’omicidio era messa in giro e alimentata, indirettamente, da lui. Viaggiava spesso, amava l’opera. Non andava a teatro: faceva venire i cantanti in albergo. Il cibo aveva per lui un’importanza fondamentale. Decideva lui stesso il menu, che segnava su un libro rilegato in pelle. Iniziava a pranzare all’una, con patate bollite, olio e prezzemolo. Finiva alle tre, accendendosi un avana con un foglio di carta da zucchero acceso a sua volta con un fiammifero di legno. Gli amori di Di Stefano erano molto passionali. Quando giungevano al loro culmine, lui troncava, perché non avrebbe sopportato la successiva, inevitabile e malinconica fase di stanca. Morì nel 1988. Sconosciuta la verità sul suo conto.
• Interpretazioni. «A Palermo a nessuno verrebbe mai in mente di dire di non sapere. Ci si trova in difficoltà non per mancanza, ma per eccesso di notizie, di cui ognuno dà la sua definitiva, assoluta interpretazione».
• Occultismo. «L’esoterismo e l’occultismo si diffusero a Palermo dopo la prima guerra mondiale, con l’abituale ritardo delle mode rispetto alla Francia o all’Inghilterra».
• Governatori. Quando seppe che da Roma mandavano truppe non richieste, Ferdinando Martini, governatore dell’Eritrea, inviò al presidente del consiglio il telegramma: «Primo caporale imbarcato destinazione colonie, Governatore Eritrea imbarcasi Massaua diretto Italia».
• Prefetti. Nato nel 1887 a la Spezia da un ufficiale di marina siciliano e un’inglese, Alberto Denti di Pirajno, medico, alto funzionario in Libia, Somalia, Etiopia e prefetto di Tripoli. Una faccia da capo tribù e un fisico imponente, personaggio anomalo, conservatore e integerrimo, molto attirato dalle donne, autore de Un medico in Africa, infarcito di istantanee e descrizioni di giovani africane (una ogni venti o trenta pagine) che doveva aver conosciuto molto bene.
• Tuareg. «Le tuareg hanno capelli unti con burro rancido e puzzolente e sono coperte con pidocchi, ma suonano il liuto in modo celestiale, recitano versi, sono alte e flessuose e spregiudicate nell’amore».
• Africane. «Le africane delle regioni meridionali hanno culi e seni della compattezza, oltre che del colore, dell’ebano».
• Arabe. «Le arabe sono vivaci e snelle, anche se appassiscono dopo i trent’anni, e da giovani hanno il sapore del miele».
• Inglesi 1. «Gli anglosassoni dei campi di prigionia erano duri, rozzi, pieni di complessi, spesso incredibilmente bugiardi, a volte comprensivi, più spesso ottusi, e detestavano gli italiani».
• Inglesi 2. Nel campo di prigionia inglese nell’East Africa, un cartello divideva i reclusi in quattro gruppi: europei, asiatici, italiani e africani.
• Teatri. Il teatro multimediale, termine detestabile che nella sua intimidatoria vaghezza fa pensare al peggio, frequentato da gente consapevole che tra non molto sarebbe stata messa in riga e quindi incline alle stronzate sussiegose".
• Mariti. «Il pescatore aveva una moglie – sarebbe più esatto dire che quella donna aveva anche un marito».