Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

"E’ noto che la gente cupa, i melanconici, scrivono sempre cose allegre, mentre la gente gaia con i suoi scritti suscita malinconia" (Anton Cechov a Lidija Avilova, Nizza 6/10/1897)

• "E’ noto che la gente cupa, i melanconici, scrivono sempre cose allegre, mentre la gente gaia con i suoi scritti suscita malinconia" (Anton Cechov a Lidija Avilova, Nizza 6/10/1897)
• "E’ difficile unir la voglia di scrivere con la voglia di vivere" (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Melichovo 15/4/1894)
• "Basta essere più onesti: buttare se stessi a mare sempre e dovunque, non intrufolarsi nei protagonisti del proprio romanzo, rinnegare se stessi, non fosse che per mezz’ora. C’è un tuo racconto in cui, per tutta la durata del pranzo, due sposini non fanno che sbaciucchiarsi, pigolare, pestar l’acqua nel mortaio. Non una sola parola sensata, tutto un "giulebbe". Ora, tu non hai scritto per il lettore...hai scritto perché a te piacciono queste cicalate. Se tu avessi invece descritto il pranzo, come mangiavano, cosa mangiavano, com’era la cuoca, com’era volgare il tuo protagonista, soddisfatto della sua pigra felicità, com’era volgare la tua eroina, com’era ridicola nel suo amore per quel bestione sazio, rimpinzato, col tovagliolo legato al collo...A tutti fa piacere veder gente ben pasciuta, contenta, questo è vero, ma per descriverla non basta riferire quel che loro dicono e quante volte si baciano... Ci vuole qualcos’altro: rinunziare all’impressione personale che la felicità della luna di miele produce su ogni uomo non inasprito... Il soggettivismo è cosa tremenda. E’ un male per il solo fatto che lega mani e piedi al povero autore". (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca 20/2/1883)
• "Dio non permettermi di giudicare o di parlare di quel che non conosco e non capisco". (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Babkino, 16/6/1887)
• "Non forbire, non limare troppo, sii sgraziato e audace. La brevità è la sorella del talento." (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca 11/4/1889)
• "Preparo il materiale per il mio terzo libro e cancello senza misericordia. E’ strano, adesso ho la mania della brevità; qualunque cosa legga, mia o di altri, nulla mi sembra abbastanza breve". (Anton Cechov a Aleksej Suvorin, Mosca 6/2/1889)
• "Non esiste una polizia che possa considerarsi competente in fatto di questioni letterarie. Sì, sono d’accordo, non si può fare a meno del freno e del bastone, giacchè i furfanti s’intrufolano anche nella letteratura; ma, per quanto si faccia, sarà impossibile trovare per la letteratura una polizia più efficace della critica e della coscienza personale dell’autore". (Anton Cechov a Marija Kiselëva, Mosca 14/1/1887)
• "A me pare che non tocchi ai letterati risolvere problemi come quelli di Dio, del pessimismo, ecc. Compito del narratore è soltanto di ritrarre chi, come e in quali circostanze ha parlato oppure meditato su Dio o sul pessimismo. L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi né di ciò che essi dicono, ma solamente un testimone spassionato. Io ho sentito un discorso sconnesso e inconcludente di due russi sul pessimismo e debbo riferire tale discorso nella stessa forma in cui l’ho udito; formulare un apprezzamento sarà cosa dei giurati, cioè dei lettori. Io debbo cercare solamente d’aver talento, cioè di saper distinguere le deposizioni importanti dalle non importanti, di saper lumeggiare le figure e parlare il loro linguaggio. ɿSceglov-Leont’ev m’incolpa d’aver terminato il racconto con la frase:"A questo mondo non si capisce un bel niente!" Secondo lui, l’artista psicologo deve capire, per il fatto d’essere psicologo. Ma io non concordo con lui. Coloro che scrivono, e gli artisti in particolare, dovrebbero ormai riconoscere che a questo mondo non si capisce nulla, come a suo tempo lo riconobbe Socrate e Voltaire. La folla crede di sapere e di comprendere tutto; e più è sciocca, più sembra vasto il suo orizzonte. Ma se l’artista, al quale la folla crede, avesse il coraggio d’affermare che non capisce nulla di quel che vede, ciò costituirebbe da solo una grande conoscenza e un gran passo avanti nel campo del pensiero". (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Sumy, 30/5/ 1888)
• "Non posso dirvi niente di preciso, consiglio solo di chiudere il racconto in un baule e tenercelo tutto un anno, e poi rileggere. Allora vi sarà più chiaro. (Anton Cechov a Elena S<breve>avrova, Melichovo, 28/2/ 1895)
• "Ho nella testa un esercito di gente che vuol venire fuori e aspetta il comando. Tutto quel che ho scritto finora è un’inezia in confronto con quel che vorrei scrivere e scriverei con entusiasmo". (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 27/10/1888)
• "Per scrivere un racconto ci vogliono cinque o sei giorni e dovete pensarci tutto il tempo, altrimenti non vi foggerete mai uno stile. Prima d’esser messa sulla carta, ogni frase deve restarvi in testa un paio di giorni per rimpolparsi". (Anton Cechov ad Aleksandr Lazarev-Gruzinskij, Mosca, 13/3/1890)
• "Scrivete un romanzo. Scrivetelo per un anno intero, poi abbreviatelo per mezz’anno, e poi pubblicate. Voi limate poco, mentre una scrittrice deve non scrivere, ma ricamare sulla carta; che il lavoro sia minuzioso, laborioso." (Anton Cechov a Lidija Avilova, Pietroburgo, 15/2/1895)
• "Io scrivo relativamente poco: non più di due o tre piccoli racconti per settimana. Troverò modo di lavorare per "Tempo Nuovo", ma, tuttavia, sono lieto che non abbiate posto come condizione della mia collaborazione un impegno a date fisse..." (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 21/2/1886)
• "Credere che sia compito della letteratura estrarre ”il buon seme” dal mucchio dei furfanti significa negare la letteratura stessa. La letteratura d’arte è così chiamata appunto perché dipinge la vita quale è in realtà. Il suo corpo è la verità incondizionata e onesta. Ridurre la sua funzione a una specialità come quella di cercare il buon seme, sarebbe per essa essenziale, proprio come se voi voleste costringere Levitan a dipingere un albero, ordinandogli di non riprodurne la scorza fangosa e le foglie ingiallite. Sì, sono d’accordo, il buon seme è una cosa eccellente, ma lo scrittore non è né un pasticciere né un profumiere né un giullare; è un uomo impegnato, vincolato dal sentimento del suo dovere e della sua coscienza; una volta che ha cominciato, deve andare sino in fondo e, per quanto gli ripugni, deve vincere il suo disgusto e insozzare la sua immaginazione nel fango della vita...Egli è, insomma, come un semplice cronista. Che cosa direste di un cronista che per delicatezza o per compiacere i lettori descrivesse soltanto sindaci onesti, donne sublimi e ferrovieri virtuosi? Per un chimico non vi è nulla di sudicio sulla terra. Altrettanto obiettivo dev’essere lo scrittore. Egli deve liberarsi dal soggettivismo della vita e sapere che in un paesaggio un mucchio di letame rappresenta talvolta una parte degna d’ogni rispetto e che le cattive passioni sono inerenti alla vita alla pari delle buone." (Anton Cechov a Marija Kiselëva, Mosca, 14/1/1887)
• "La conoscenza delle scienze naturali, del metodo scientifico, m’ha sempre tenuto all’erta, e dov’è stato possibile io mi sono sforzato di conformarmi ai dati scientifici; dove ciò non è stato possibile, ho preferito non scrivere affatto. Osserverò a tal proposito che in arte le convenzioni non permettono sempre una piena adesione ai dati scientifici; non si può rappresentare sulla scena una morte per veleno così com’essa avviene effettivamente. Ma l’adesione ai dati scientifici deve farsi sentire anche in tali circostanze, cioè bisogna che al lettore o allo spettatore sia chiaro che si tratta solo d’una convenzione e che egli ha a che fare con uno scrittore esperto." (Anton Cechov a Grigorij Rossolimo, Jalta, 11/10/1899)
• "Dove hai mai visto che quei due coniugi che nel tuo racconto discorrono di conferenze durante il pranzo? E dove mai sotto la cappa del cielo esistono conferenze di quel genere? Rispetta te stesso, in nome di Cristo, non lasciar correre la penna quando il cervello è pigro! Scrivi non più di due racconti alla settimana, accorciali, rielaborali, affinchè il lavoro sia lavoro. Non inventare sofferenze che non hai provato, non descrivere paesaggi che non hai veduto- giacchè in un racconto la menzogna infastidisce assai più che in una conversazione." (Anton Cechov ad Aleksandr, Mosca, 6/4/1886)
• "Metodi routiniers nelle descrizioni in genere:"La mensoletta alla parete faceva macchia con i suoi libri" Nel vostro lavoro i volumi di Puskin "sono scompagnati", l’edizione della Biblioteca Economica è "pigiata". A che pro? Voi trattenete e stancate l’attenzione del lettore, costringendolo a soffermarsi a immaginare la variopinta mensoletta o il pigiato Amleto-questo in primo luogo; in secondo luogo tutto ciò non è semplice, è manierato e, come metodo, antiquato. Oggi, soltanto le signore scrivono ”il manifesto suonava”, ”il viso incorniciato dai capelli ”." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 15/2/1900)
• "Voi siete un artista, un uomo intelligente. Voi sentite in modo superlativo. Siete plastico, cioè nel raffigurare una cosa la vedete, la palpate con le mani. Questa è vera arte." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 3/12/1898)
• "Le descrizioni della natura devono essere brevi e à propos. I luoghi comuni, quali "il sole al tramonto, immergendosi nelle onde del mare che s’andava oscurando, inondava d’oro purpureo, ecc, ecc.", "le rondini, volando a pelo d’acqua, garrivano allegramente", simili luoghi comuni debbono essere lasciati da parte. Nella descrizione della natura bisogna attaccarsi ai piccoli particolari e raggrupparli in modo che il lettore, chiudendo gli occhi, veda il quadro davanti a sé. Darai ad esempio l’impressione d’una notte di luna se scriverai che sull’argine del mulino un coccio di bottiglia scintillava come una vivida stella e l’ombra d’un cane o d’un lupo rotolava a mo’ di palla, e via dicendo. La natura appare animata se non sdegni d’usare confronti fra le sue manifestazioni e le azioni umane. (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca, 19/5/1886)
• "Anche nel campo della psiche ci vogliono i particolari. Dio ti guardi dai luoghi comuni. Meglio di tutto, non descrivere lo stato d’animo dei personaggi e fare in modo che scaturisca dalle loro azioni..." (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca, 19/5/1886)
• "Le donne vanno descritte in modo che il lettore senta che siete senza cravatta e col panciotto sbottonato; e lo stesso dicasi per natura. Concedetevi un po’ di libertà." (Anton Cechov ad Aleksandr Lazarev-Gruzinskij, Mosca, 20/10/1888)
• "E’ un errore voler metter in scena un gran numero di personaggi. Centro di gravità debbono esser due soli: lui e lei..." (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca, 19/5/1886)
• "Ho cominciato il racconto il 10 settembre, con l’idea di doverlo terminare il 5 ottobre al più tardi; passata quella data, inganno qualcuno e rimango senza quattrini. Il principio lo scrivo con calma, senza impormi alcuna soggezione, ma arrivato a metà comincio a scoraggiarmi, a temere che il racconto sia troppo lungo: debbo tener presente che il "Messaggero del Nord"non è ricco e che io sono fra i suoi collaboratori più costosi. E’ per questo che l’inizio mi riesce sempre molto promettente, come se cominciassi un romanzo; la parte centrale è timida, abborracciata, e il finale è una specie di fuoco d’artifizio, come in un racconto breve. Involontariamente, quando si scrive un racconto, ci si preoccupa anzitutto della sua mole; nella massa dei protagonisti e semiprotagonisti si prende un solo personaggio-moglie o marito- lo si colloca sullo sfondo e si mette in risalto quello solo; gli altri invece si sparpagliano su questo sfondo, come monetine spicciole, e ciò forma qualcosa che assomiglia alla volta celeste: una grossa luna attorniata da una moltitudine di stelle piccolissime. La luna però non viene bene, perché la si può capire solo se si capiscono anche le altre stelle; ma queste non sono rifinite.[...] Che fare? Non lo so davvero. Confido nel tempo, che guarisce tutti i mali." (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 27/10/1888).
• "A parte la vecchia di Bazarov, cioè la madre di Evgenij, e in generale le madri- specialmente quelle appartenenti alla buona società, che del resto si somigliano tutte fra loro ( la madre di Liza, quella di Elena) nonché la madre di Lavreckij, ex serva della gleba, come pure le semplici campagnole- tutte le donne e le ragazze di Turgenev sono insopportabili per quel che hanno di manierato e, scusate, di falso. Liza, Elena, non sono ragazze russe, ma sibille vaticinanti piene di pretese inadeguate alla loro levatura. Irina in Fumo, la Odincova in Padri e Figli, sono in generale delle ”leonesse”, ardenti, voraci, insaziabili, sempre alla ricerca di qualcosa: tutte nullità. Appena torna alla mente l’Anna Karenina tolstoiana, subito tutte queste signore di Turgenev, con le loro spalle seducenti, se ne volano al diavolo. I tipi femminili che non gli vanno a genio, che Turgenev caricatureggia un poco (la Kuksina) o che prende in giro ( descrizione dei balli), li ha disegnati meravigliosamente, e gli sono riusciti così bene che non c’è da cambiare una virgola, come si dice." (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Melichovo, 24/2/1893)
• "Non descrivete mai funzionari di zemstvo. Nulla è più facile che descrivere autorità antipatiche, al lettore questo piace- ma al più insopportabile, al più mediocre dei lettori." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 3/1/1899)
• "Nessuno è colpevole, e quand’anche ci fossero dei colpevoli, ciò riguarda la polizia sanitaria, non gli artisti." (Anton Cechov a Elena Savrova, Melichovo, 28/2/1895)
• «Dividere gli uomini in fortunati e falliti significa considerare la natura umana da un punto di vista gretto, preconcetto... Voi siete un fortunato o un fallito? E Napoleone? E il vostro Vasilij? Dov’è il criterio di tutto ciò? Bisogna essere Dio per saper distinguere senza sbagliarsi una persona fortunata da una fallita... Be’, vado al ballo» (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 3/11/1888).
• «Ogni notte mi sveglio e leggo Guerra e pace. Lo leggo con curiosità e con ingenua passione, come se non l’avessi mai letto. E’ un’opera straordinaria. Però non mi piacciono i passi dove c’è Napoleone. Appena compare lui, ecco subito la forzatura e ogni trucco possibile e immaginabile per dimostrare che era più stupido di quanto non fosse in realtà. Tutto quel che fanno e dicono Pierre, il principe Andrej o quella perfetta nullità di Nikolaj Rostov- tutto è bello, profondo, naturale e commovente. Tutto quel che fa o dice Napoleone non è naturale né intelligente, ma tronfio e insulso» (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 25/10/1891).
• "Sì, vi dissi una volta che bisogna esser indifferenti quando si scrivono storie patetiche. E voi non m’avete capito. Potete piangere o gemere sopra un racconto, potete soffrire insieme con i vostri personaggi, ma ritengo che bisogna fare in modo che il lettore non se n’accorga. Quanto più sarete obiettiva, tanto più forte sarà l’impressione. E’ questo che intendevo dire." (Anton Cechov a Lidija Avilova, Melichovo, 29/4/1892)
• "Voi fate grandi progressi, ma permettetemi di ripetervi un consiglio: di scrivere più freddamente. Quanto più la situazione è sentimentale, tanto più freddamente occorre scrivere, e tanto più sentimentale riesce. Inzuccherare non conviene." (Anton Cechov a Lidija Avilova, Mosca, 1/3/1893)
• "Io ho bisogno che la mia memoria decanti il soggetto, e che in essa, come in un filtro, rimanga solo quel che è importante e tipico." (Anton Cechov a Fëdor Batjuskov, Nizza, 15/12/1897)
• "Ricorda in proposito che le dichiarazioni d’amore, le infedeltà delle mogli e dei mariti, le lacrime delle vedove e degli orfani nonché ogni altra specie di lacrime sono già state descritte da un pezzo. Il soggetto dev’essere nuovo, l’intreccio può anche non esserci." (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca, 11/4/1889)
• "Non facciamo i ciarlatani e dichiariamo francamente che a questo mondo non si capisce nulla. Soltanto gli imbecilli e i ciarlatani sanno e comprendono tutto." (Anton Cechov a Ivan Leont’ev (Sceglov, Sumy, 9/6/1888)
• "Voi mi rimproverate la mia obiettività, e la chiamate indifferenza al bene e al male, mancanza d’ideali e d’idee, e via dicendo. Vorreste che io, descrivendo i ladri di cavalli, dicessi: ”Rubare i cavalli è male”. Ma questo è già noto da un pezzo, anche senza di me. Li giudichino pure i giurati, a me spetta soltanto di mostrarli come sono. Io scrivo: ”Avete a che fare con ladri di cavalli; sappiate però che non sono mendicanti, ma gente benestante, gente di chiesa e che rubare i cavalli non è un semplice furto, ma una passione”. Certo, sarebbe piacevole conciliare l’arte con la predicazione, ma per me personalmente è assai difficile se non impossibile, per motivi tecnici. Infatti, per descrivere in settecento righe dei ladri di cavalli, debbo tutto il tempo parlare, pensare e sentire a modo loro; se per di più ci metto la soggettività, le immagini perderanno la loro nitidezza e il racconto non riuscirà compatto come dev’essere ogni racconto breve. Scrivendo, faccio pieno assegnamento sul lettore, nella presunzione che aggiungerà da sé gli elementi che mancano nel racconto. (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 1/4/1890)
• "Mi rallegro per Giljarovskij. E’ un brav’uomo, non privo d’ingegno, ma letteralmente incolto. Ha una passione per i luoghi comuni, per le parole e le descrizioni altisonanti, e crede che questi ornamenti siano indispensabili. Sente la bellezza nelle opere altrui, sa che la prima e principale attrattiva d’un racconto è la semplicità e la sincerità, ma nei propri racconti non può essere sincero e semplice: non gli basta l’animo. Assomiglia ai credenti che non osando pregare Dio in russo, lo pregano in vetero-slavo, pur sapendo che il russo è più vicino alla verità e al cuore." (Anton Cechov ad Aleksej Plescev, Sumy, 5/7/1888)
• "’Ciò non di meno” e ”conformemente a ciò” li hanno inventati i funzionari. Io leggo e sputo dallo schifo. Particolarmente ributtante il modo in cui scrive la gioventù. Un modo oscuro, gelido e senza eleganza; scrive, figlia di un cane, come giacesse fredda nella bara." (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Melichovo, 24/8/1893)
• "..è spregiudicato solo colui che non ha paura di scrivere sciocchezze." (Anton Cechov al fratello Aleksandr, Mosca, 11/4/1889)
• "Poco a poco ci si è convinti che in effetti Dreyfus era stato condannato sulla base di un documento segreto che non venne mostrato né all’imputato né al suo difensore [...] Io conosco il processo del resoconto stenografico; non è affatto come sui giornali, e per me Zola è chiaro. L’essenziale è che egli è sincero, egli basa cioè il suo giudizio solo su quello che vede, e non su fantasmi, come gli altri. Anche la gente sincera può sbagliarsi, è indiscutibile, ma quegli errori apportano minor danno della menzogna calcolata, della prevenzione o delle considerazioni politiche. Sia pur consapevole Dreyfus, Zola ha pur sempre ragione, giacchè non è compito degli scrittori accusare, né perseguire, ma prendere le difese di chi, magari colpevole, è stato ormai giudicato e condannato. Si dirà: e la politica? E gli interessi dello stato? Ma i grandi scrittori e artisti debbono occuparsi di politica solo quel tanto che è necessario per difendersi da lei. Di accusatori, procuratori, gendarmi, ce n’è troppi anche senza di loro." (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Nizza, 6/2/1898)
• "Quanto alla collaborazione ai quotidiani e ai periodici illustrati, sono pienamente d’accordo con voi. Non è forse lo stesso se un usignolo canta su un grande albero o in un cespuglio? Esigere che gli uomini d’ingegno lavorino unicamente per le grandi riviste è meschino, sa di burocrazia ed è dannoso come tutti i pregiudizi. Questo pregiudizio, poi, è sciocco e ridicolo. Poteva avere un senso quando alla testa dei periodici v’erano uomini con una fisionomia chiaramente delineata, uomini come Belinskij, Herzen, ecc., che non solo pagavano un compenso, ma attiravano, istruivano, educavano; adesso invece, che a capo dei periodici non stanno delle fisionomie letterarie ma delle grigie nebulosità o dei figli di cane, il prediligere le grosse riviste non regge alla critica e la differenza fra la più voluminosa delle riviste e una gazzetta da un soldo è soltanto quantitativa, ossia dal punto di vista dell’artista non merita alcuna considerazione e attenzione. Un solo aspetto conveniente non si può negare alla collaborazione alle grosse riviste: che uno scritto non viene frazionato e si pubblica per intero. Quando scriverò un lungo racconto lo manderò a una rivista di gran formato, ma i piccoli li pubblicherò dove mi porta il vento e la mia libertà." (Anton Cechov a Jakov Polonskij, Mosca, 18/1/1888)
• "Voi e io amiamo le persone comuni; noi, invece, ci amano perché vedono in noi degli uomini straordinari. Me, per esempio, m’invitano dappertutto, mi danno da mangiare e da bere come se fossi un generale alle nozze; mia sorella s’indigna d’essere invitata a destra e a sinistra perché è la sorella d’uno scrittore. Nessuno vuole amare in noi l’uomo comune. Ne consegue che se domani non fossimo che comuni mortali agli occhi dei buoni conoscenti, tutti cesserebbero d’amarci e ci compatirebbero. E questo è un male. E’ un male anche che amino in noi quello che sovente noi stessi non amiamo e non stimiamo. (Anton Cechov ad Aleksej Suvorin, Mosca, 27/10/1888)
• "Possibile che non vi diano fastidio parole come solidarietà, unione dei giovani scrittori, comunanza d’interessi e via dicendo? La solidarietà e altre belle cose le capisco alla borsa, in politica, nelle faccende religiose (sètte), ecc., ma fra i giovani letterati la solidarietà è impossibile e inutile... Noi non possiamo pensare e sentire tutti allo stesso modo, abbiamo scopi differenti, oppure non ne abbiamo affatto, ci conosciamo poco o niente e di conseguenza non v’è nulla a cui possa saldamente agganciarsi la solidarietà...Ed è poi necessaria? No...per aiutare un collega, per rispettarne la personalità e l’opera, per non spettegolare sul suo conto e non invidiarlo, per non mentire e fingere con lui- per tutto questo non occorre tanto essere un giovane letterato, quanto soprattutto un uomo... Se saremo uomini comuni, se tratteremo tutti allo stesso modo, non vi sarà bisogno d’una solidarietà artificiosamente suscitata. La tendenza pertinace a una solidarietà particolare, professionale, d’ambiente, quale si vuole da voi, darà origine a un involontario spionaggio reciproco, a sospetti, controlli, e noi, pur non volendo, diventeremo uno per l’altro una specie di socius gesuitico... Io, caro Jean, non sono solidale con voi, ma vi prometto fino alla tomba una completa libertà come letterato: potete, cioè, scrivere dove e come volete [...], mutar mille volte opinione e indirizzo, ecc, ecc., senza che per questo i rapporti umani fra me e voi cambino d’uno iota, e io vi annunzierò sempre i vostri libri sulle mie copertine. Lo stesso posso promettere agli altri colleghi, lo stesso vorrei anche per me. Questi sono, a mio avviso, rapporti più che normali. Soltanto se esistono, è possibile la stima, anzi l’amicizia, e la simpatia nei momenti penosi della vita." (Anton Cechov a Ivan Leont’ev ( Sceglov), Mosca, 3/5/1888).
• "Prima di tutto, in genere io sono contrario a far qualsivoglia dedica a persone viventi. Una volta ne facevo, adesso sento che non bisognerebbe farne. Questo in generale. In particolare poi, dedicare a me Foma Gordeev non può procurarmi che piacere e onore. Solo, come l’ho meritato? D’altronde sta a voi giudicare, a me tocca solo inchinarmi e ringraziare. Fate la dedica, per quanto è possibile, senza inutili paroloni, cioè scrivete soltanto:’dedicato al tale” e basta." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 3/9/1899)
• "Ancora un consiglio: leggendo le bozze, cancellate, dov’è possibile, gli attributi e gli avverbi. Voi mettete tanti attributi che il lettore difficilmente si raccapezza, e si stanca. Quando scrivo: ”l’uomo sedette sull’erba”, si capisce, perché è chiaro e non rattiene l’attenzione. Al contrario è poco comprensibile e un po’ pesante per il cervello se scrivo:’un uomo alto, dal petto incavato, di media statura, con la barbetta rossa sedette sull’erba verde, già calpestata dai passanti, sedette senza far rumore, timidamente, guardandosi attorno con timore”. Questo non entra subito nel cervello, mentre la letteratura deve entrarvi di colpo, in un baleno." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 3/9/1899)
• "A quel che vedo, m’avete un po’ frainteso. Io v’ho scritto della grossolanità, ma solo dell’inopportunità delle parole straniere, di quelle non radicalmente russe o di quelle raramente usate. In altri scrittori parole quali, ad esempio, ”fatalisticamente”, passano inosservate, ma le vostre cose sono musicali, armoniose, ogni tratto ruvido fa accapponare la pelle. Certo è questione di gusto e, forse, in me parla solo l’eccessiva irritabilità o il conservatorismo dell’uomo cha ha contratto da tempo determinate abitudini." (Anton Cechov a Maksim Gor’kij, Jalta, 3/1/1899)
• "I cognomi superflui ingombrano soltanto". (Anton Cechov a Elena Savrova, Melichovo, 20/11/1896)