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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Aldo Donegani, 77 anni e la moglie Luisa De Leo, 61, mancano da casa da sabato

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• Aldo Donegani, 77 anni e la moglie Luisa De Leo, 61, mancano da casa da sabato. Giornale di Brescia 05/08/2005. Una scomparsa avvolta dal mistero. Una coppia di coniugi sparita nel nulla, e di cui non si ha più notizia da sabato. Un cellulare muto, e il cui segnale è introvabile. Un vero e proprio giallo quello che da sabato scorso alimenta la preoccupazione di congiunti, amici e vicini di Aldo Donegani, 77 anni e Luisa De Leo, 61, marito e moglie residenti al piano terra di una villetta al civico 15 di via Ugolini, a S. Anna. Già perché proprio da sabato dei due, lui pensionato dopo una vita da operaio metalmeccanico, lei casalinga, non si sa più nulla. Ultimi a vedere i due alcuni vicini, che li hanno notati in giardino sabato mattina attorno alle 9. Poi, qualcuno dice di averli notati a Messa, nella Parrocchia di S. Antonio, domenica mattina, ma non c’è certezza in proposito. L’ALLARME. Eppure l’allarme scatta solo lunedì mattina. Quando a casa dei due coniugi si presenta un nipote 35enne della donna che vive nelle Marche. Un appuntato dei carabinieri che presta servizio alla stazione di Castelfidardo, in provincia di Ancona, al quale i signori Donegani avevano rivolto l’invito perché trascorresse alcuni giorni assieme a loro, a Brescia. L’appuntamento era proprio per lunedì mattina, lunedì scorso. Il giovane si presenta attorno a mezzogiorno, ma quando suona al campanello del civico 15, non gli apre nessuno. Allora chiede ai vicini, all’altro nipote, Guglielmo Gatti, 41 anni, che vive da solo al piano superiore, con ingresso al civico 13. Anche l’uomo non sa nulla: stupito lui stesso cerca di entrare in casa, ma tutto è chiuso. Inutile ogni tentativo di contattarli sul cellulare: il telefonino, un «334...», non dà segni di vita. Il primo pensiero va alla disgrazia. Ad una fuga di gas, ad esempio. Per questo i due nipoti allertano il 115 e chiedono l’intervento dei Vigili del fuoco. Ma quando i Vvf forzano la porta d’accesso ed entrano nell’abitazione, tutto è in ordine e dei due coniugi non c’è traccia. I letti sono rifatti, ogni oggetto è al suo posto, o per dirla con le parole del nipote Guglielmo pare una «casa delle bambole». Impensabile dunque un’aggressione. Di più: nel garage ci sono sia l’auto, una piccola Renault, con le chiavi nel cruscotto, sia le biciclette che i coniugi utilizzano per qualche passeggiata pomeridiana. IL GIALLO. L’apprensione monta con il passare delle ore. Da lunedì, quando il nipote si reca alla stazione dei carabinieri di S. Faustino, in via Fratelli Bandiera, per formalizzare la denuncia di scomparsa, iniziano le ricerche. E come un mosaico, tanti tasselli iniziano a comporsi senza dare un senso a quell’assenza. Non c’è alcun biglietto, alcun messaggio. Il solo mazzo di chiavi trovato nell’abitazione è presumibilmente quello di scorta. Nel forno della cucina, poi, come racconta il nipote Guglielmo, vengono ritrovati due recipienti con dei resti di sugo e della pasta avanzata. Nel frigo, molte confezioni di yogurt: un rifornimento che induce a credere che marito e moglie non avessero alcuna intenzione di allontanarsi per un lungo periodo da casa. Del resto, i signori Donegani erano tornati proprio da pochi giorni dalle vacanze: un soggiorno a San Benedetto del Tronto, meta turistica dell’Adriatico in cui si recavano ogni anno, sempre con l’automobile. A nessuno, del resto, come avvenuto in occasione della recente vacanza, avevano lasciato le chiavi della cassetta della posta, né alcun vicino ha avuto disposizioni per l’innaffiatura di quel giardinetto che risulta estremamente curato. Difficile dunque credere ad una partenza improvvisa, e ad un silenzio prolungato per sei giorni. Tanti. Troppi. Di lei non hanno notizia neppure all’oratorio della Parrocchia di S. Antonio, in via degli Antegnati, dove la donna si adopera come volontaria e dove abitualmente si reca il pomeriggio per tenere aperto il bar. Un turno dal quale manca, senza aver dato alcuna indicazione in proposito. SCATTANO LE RICERCHE. Gli inquirenti escludono un atto sconsiderato. Non avrebbe avuto motivo quella coppia che tutti dicono serena, anzi, molto dinamica, piena di interessi e di amicizie. Le ricerche dei carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore Claudia Moregola, si concentrano da subito su quel cellulare: il «334...» non solo non risponde ai tentativi di chiamata, ma risulta irrintracciabile anche ai sofisticati apparecchi cui gli inquirenti hanno fatto ricorso nel tentativo di tracciare il segnale del telefonino. In termini tecnici, quell’utenza risulta assente da qualsiasi «cella», non ce n’è traccia in tutta Italia. Così come le richieste avanzate dai carabinieri della Compagnia di Brescia, coordinati dal tenente Andrea Poletto, agli aeroporti del Nord Italia, non hanno finora dato esito: agli imbarchi, dei coniugi, nessuna traccia. NUOVI RILIEVI. Forse già stamattina nell’abitazione di via Ugolini saranno disposti nuovi rilievi tecnici: si cercheranno insomma più approfonditamente segni lasciati dai due coniugi che possano fare chiarezza su di un’assenza che pare decisamente sospetta. Rilievi da Scientifica, o magari un’analisi dettagliata dei conti correnti e dei documenti presenti in casa, che possa accertare l’acquisto di un viaggio o un qualsiasi dettaglio utile alle indagini. La speranza dei parenti è che la pubblicazione della foto dei due aiuti a dare risposte rapidamente. Nel frattempo, tutti gli interrogativi restano aggrappati tra le mura di quella casa, quella villetta costruita 40 anni fa dallo stesso Aldo Donegani e da Giuliano Gatti, il padre di Guglielmo, deceduto solo due mesi fa, circostanza in cui i due zii sono stati molto vicini al 41enne, come lui stesso racconta. Gianluca Gallinari
• Il racconto del nipote Guglielmo e dei vicini. Giornale di Brescia 05/08/2005. Non si dà pace Guglielmo Gatti, 41 anni, il nipote che vive al primo piano di quella stessa villetta di via Ugolini da cui da sei giorni mancano i coniugi Donegani. «Non è mai successo nulla di simile» spiega infatti l’uomo, che degli zii traccia un ritratto senza ombre: «Una coppia serena, estremamente dinamica, piena di amicizie e di interessi». Lo confermano anche i vicini, due case più in là: «Siamo appena tornati dalle ferie - racconta una vicina - ma li abbiamo visti a casa sabato mattina, attorno alle 9. Lo ricordo perché a quell’ora stavo uscendo». In molti passano per la via. Qualcuno si ferma, chiede notizie al nipote che non può che ripetere le parole che offrono un appiglio nei giorni di questa attesa che pare senza fine: «L’unica speranza è che si siano confusi, che fossero convinti di aver dato appuntamento al nipote delle Marche per lunedì prossimo, e non per quello passato. Se così fosse, mi auguro che domenica sera si rifacciano vivi». Ma intanto c’è apprensione anche tra i conoscenti, e la voce dell’assenza crea perplessità in tutta la zona. «Sappiamo che mancano da casa, che li stanno cercando - dicono al bar dell’oratorio della Parrocchia di S. Antonio, dove la donna è volontaria - ma non abbiamo idea di dove possano essere». Poi, l’ennesima notte cala sul quartiere popolare di S. Anna, senza che dei coniugi Donegani si abbia avuto notizia. Gianluca Gallinari
• Coppia scomparsa, la ricerca parte dalla casa. Giornale di Brescia 06/08/2005. Il giallo si infittisce. Un altro giorno è trascorso senza che dei coniugi scomparsi in via Ugolini, a S. Anna, si avesse alcuna notizia. E sulle loro tracce, massicciamente - dopo sette giorni, commenta qualcuno - si sono messi ieri i carabinieri, coordinati dal pm Claudia Moregola. Un lavoro lungo, aperto su più fronti, che ha impegnato i militari dal primo pomeriggio fino a tarda notte. Al momento di andare in stampa, infatti, gli uomini dell’Arma stavano ancora lavorando all’interno della villetta, di quella casa da cui da ormai sette giorni mancano all’appello Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, lui bresciano, operaio modellista per una vita, lei, originaria di Terlizi e casalinga. Interrogatori, sopralluoghi, perquisizioni, hanno permesso di raccogliere dettagli. Ma per il momento non c’è ancora la soluzione del mistero. INTERROGATORI. Ma andiamo con ordine. La giornata di ieri, lunghissima, inizia quando il sole è ancora pallido nella via. Sono le nove quando Guglielmo Gatti, 41 anni, il nipote che vive al piano superiore della villetta, risponde alle prime domande della giornata. Quelle dei cronisti. Anche se non saranno le sole cui dovrà far fronte nel corso di una giornata tesissima: nel pomeriggio, infatti, attorno alle 17.30, dopo circa un’ora da quando gli uomini della Sezione investigativa scientifica dell’Arma hanno varcato la soglia di quella casa in cui aleggia il mistero, viene accompagnato in caserma dai carabinieri. Viene sentito a lungo, per ore, fino a sera: quando torna sono le 21.30, e viene accompagnato nel suo garage, accanto a quello degli zii, già ispezionato dalla Scientifica nel pomeriggio. Alle domande dei carabinieri vengono sottoposti anche gli altri parenti. Tutti come testimoni di una vicenda che alimenta sospetti sempre più cupi. LA RICOSTRUZIONE. Tra i primi ad arrivare nella via, accompagnato dal parroco don Faustino Pari e dallo zio, Giuseppe De Leo, è l’altro nipote, Luciano De Leo, appuntato dei carabinieri a Castelfidardo: è lui che, suonando lunedì attorno a mezzogiorno al campanello di via Ugolini 15, senza avere risposta, ha fatto scattare l’allarme: «I miei zii - che non hanno figli, ndr - sono precisissimi, non si sarebbero mai dimenticati che dovevo venire a trascorrere alcuni giorni da loro», si dispera il giovane. «Del resto ci eravamo sentiti sabato mattina attorno alle dieci e ci eravamo dati appuntamento per il lunedì». E della visita del nipote, della moglie e del figlio di quest’ultimo, i due coniugi avevano effettivamente parlato con parenti e amici. Non solo. In fondo alla via, abita Ferruccio Franceschini, l’amico presso il quale, domenica sera avrebbero dovuto recarsi i coniugi per ritirare un materassino, quello per il lettino del bimbo ospite: ma i coniugi non si presentano. il primo appuntamento che mancano. LE RICERCHE. I dettagli che vengono a poco a poco a comporsi in un mosaico non permettono di dare un senso al protrarsi di un’assenza che non ha precedenti. Spunta anche la casa che l’uomo possiede all’Aprica. Forse, spera qualcuno, sono lassù - dove dovevano recarsi martedì col nipote delle Marche, per andare a funghi. Ma son troppi i vuoti. Così, dalla Procura, arriva la disposizione di avviare ricerche serrate. Gli uomini del Reparto operativo e del Radiomobile perlustrano palmo a palmo, facendo ricorso anche alle motociclette, i sentieri che si intrecciano tra la campagna della Fantasina e le colline circostanti: quegli stessi percorsi che i coniugi erano soliti affrontare nelle loro passeggiate pomeridiane. Ma niente. IL CELLULARE. Sono le 15.30, quando gli uomini della Scientifica, assieme ad altri investigatori dell’Arma, giungono in via Ugolini, con il compito di rovistare da cima a fondo la casa. I primi accertamenti portano ad un rinvenimento importante: il cellulare della coppia, quel «334...» di cui si sono cercate tracce ovunque e che non rispondeva, giace in un cassetto dell’appartamento al piano inferiore della villetta, quello dei coniugi Donegani. spento e probabilmente senza carica, perciò come inesistente per gli impianti di ricezione. un altro dettaglio utile per gli inquirenti: il segnale che i due certo non contavano di assentarsi a lungo da casa. I vicini non nascondono però che a quel cellulare la donna ricorresse di rado. LA SCIENTIFICA. Poi, il lavoro degli uomini della Sis entra nel vivo: le stanze vengono chiuse ermeticamente, saturate di luminol (sostanza che permette l’individuazione di eventuali tracce di sangue). Poi si ricorre al Crimescope (un apparecchio che evidenzia residui di materiale biologico): le analisi vengono svolte sia nell’appartamento della coppia che in quello del nipote, Guglielmo Gatti, (che studia al Politecnico di Milano), nella mansarda, come nei due garage. A NOTTE FONDA. Un po’ alla volta la luce cala. Non la folla di residenti, che tra apprensione e sgomento per una vicenda che sembra sia impossibile capiti nella via in cui si vive, resta fino a notte fonda in strada. Le torce dei militari setacciano l’orto dietro alla casa, non si sa in cerca di cosa. Auto e uomini dei carabinieri fanno la spola tra la via e i vari comandi. Il lavoro d’indagine, insomma, è frenetico fino a molto, molto tardi. Quando l’attenzione sembra concentrata sui due garage che si trovano sotto la villetta, con accesso sul lato destro. Il nipote Guglielmo a tarda sera scende in giardino, visibilmente provato, dopo una estenuante giornata. E il giallo è sempre più fitto. Gianluca Gallinari
• Vicini e conoscenti attendono increduli. Giornale di Brescia 06/08/2005. L’ultimo avvistamento certo risale alle 10 del mattino di sabato: li vede il panettiere, li ricorda perfettamente il macellaio, da cui i due - sposatisi dopo che l’uomo aveva perso 20 anni fa la prima moglie - si sono recati sabato mattina per fare i soliti acquisti: «Del prosciutto, nulla di eccezionale. E mi dissero che la settimana entrante avrebbero ricevuto dei parenti». Ma c’è anche la telefonata che il nipote Luciano fa agli zii per gli ultimi accordi prima della visita: il sabato i due coniugi lo salutano al telefono con assoluta tranquillità e gli danno appuntamento a Brescia, 48 ore dopo. Che la coppia non avesse alcun progetto circa eventuali viaggi, è confermato invece da altri testimoni. L’amico Agostino, che abita poche vie più in là e con cui i due sono stati a ballare venerdì sera ricorda: «Ci siamo lasciati qui a mezzanotte - dice indicando l’angolo della strada - come sempre, hanno fatto ritorno a casa allegri». Ma a sentire forse più di tutti gli amici l’assenza della coppia è il signor Ferruccio, che nelle ore in cui vive un grave lutto familiare, sente la mancanza del conforto che la coppia di amici gli era solita garantire: «Ci vedevamo tutti i giorni, loro passavano di qui, siamo sempre andati in ferie insieme, tranne quest’anno perchè la mia gamba, operata da poco, mi ha imposto di andare in montagna. Ma loro avevano anche la premura di farmi la spesa e darmi una mano quando avevo qualche necessità. Pensi che quel cellulare - quel 334... della coppia, a lungo cercato e poi trovato riposto in un cassetto dell’abitazione - glielo ho regalato io per Natale. E ora vede, sono qui che attendo una telefonata, eppure niente. Non è mai successo nulla di simile: mi avrebbero di certo avvisato prima o chiamato dopo una improvvisa partenza. Sa, lui ha lavorato a lungo in Francia. Magari potevano essere andati là. O, più vicino in Franciacorta, dove hanno altri amici. Però adesso è passato troppo tempo». I vicini sono tutti in apprensione. Ripercorrono incontrandosi nella via le ultime volte che hanno notato i signori in giardino. Il segretario dell’oratorio passa, e mostra la tabella dei turni al bar: la signora Luisa avrebbe dovuto essere presente giovedì, e invece niente. «Una coppia come non ce n’erano altre» dice una vicina. «Lei una donna molto esuberante, vivacissima, che teneva viva la via, qui manca molto». Lui è descritto un po’ più taciturno. «Magari protestava se qualche macchina era parcheggiata male» dicono altri. Soldi? «Non da giustificare un rapimento o rapina». Saranno poi gli accertamenti - forse disposti oggi - a stabilire se sul conto corrente dei due vi siano ammanchi. Gianluca Gallinari
• Quel reticolo di sentieri in cui passeggiavano. Giornale di Brescia 06/08/2005. Quella della tragica fatalità è la prima pista battuta dai carabinieri nella ricerca dei coniugi Donegani, scomparsi sabato dalla loro abitazione in via Ugolini a Brescia. La villetta dei Donegani si trova infatti sul limitare della zona collinare che segna il confine di Nord-Ovest dell’abitato di Brescia e sono diversi i sentieri e le piste ciclabili che partono proprio dai dintorni. Prima della scomparsa i due pensionati erano soliti passeggiare per quei sentieri, e una di queste camminate era programmata anche nei giorni in cui il nipote Luciano avrebbe fatto visita alla coppia. Sono state le prime segnalazioni dei vicini a fare pensare ad un incidente, dato che in più d’uno avrebbero visto sabato o forse addirittura domenica Aldo e Luisa risalire via Ugolini in direzione della zona della Torricella. Ma è propio dal fondo di via Ugolini che si perdono definitivamente le tracce dei due coniugi. Impossibile stabilire con certezza il percoso che la coppia avrebbe eventualmente seguito, ma è possibile ricostruire gli itinerari più probabili. Il primo è senza dubbio quello che disegnerebbe una sorta di anello attorno all’abitazione, passando per le località Carretto e Santellone. Se così fosse i Donegani dalla via in cui risiedono avrebbero svoltato a destra su via Zoccolo, e poi a sinistra in via Torricella di sotto, risalendola fino al Dosso della Fantasina. Qui avrebbero dovuto scendere per via del Carretto, superando poi la località Laghetto (di fatto uno stagno profondo poche spanne e largo meno di una decina di metri), percorrere la pista ciclabile che attraversa il parco del colle di Sant’anna, sbucando infine nella zona del Santellone e quindi in via Badia, concludendo il giro risalendo via del Franzone e raggiungendo poi nuovamente l’ abitazione. Questo sembra essere l’itinerario più probabile per diverse ragioni, come il fatto che se si esclude il dosso della Fantasina non ci sono altre salite e anzi il percorso è per la maggior parte in discesa e quasi costantemente all’ombra. Non solo, anche camminando con calma non occorre più di un’ora per compiere tutto il giro e sarebbe questa la verosimile ragione per cui i Donegani avrebbero deciso di non usare le biciclette che sono infatti al loro posto nel garage. Il secondo probabile percorso è però quello su cui si sono concentrate maggiormente le attenzioni dei carabinieri. Nel primo pomeriggio di ieri infatti i militari hanno perlustrato con due moto da enduro la "strada bianca", uno sterrato lastricato prevalentemente di grosse pietre bianche, che dal Dosso della Fantasina sale ripido al colle Pi Castel, per unirsi poi agli altri sentieri del crinale dei Campiani. Dai primi sopralluoghi però sembrano non essere emersi nuovi elementi e le ricerche si sono interrotte già nel corso del pomeriggio. La pista della fatalità rimane comunque aperta anche se sembra improbabile che in quasi una settimana nessuno dei tanti appassionati che percorrono ogni giorno questi sentieri abbia notato tracce dei due coniugi. Paolo Bertoli
• Scientifica sul campo. Giornale di Brescia 06/08/2005. Si chiamano «Luminol» e «Crimescope» e sono due ritrovati tecnologici d’avanguardia utilizzati ieri dai carabinieri nella casa di via Ugolini durante le indagini. Il «Luminol» è un reagente utilizzato per individuare tracce di sangue che possono essere state lavate o rimosse. Quando entra in contatto con il gruppo «eme» presente nell’emoglobina del sangue, la sostanza emette energia sotto forma di luminescenza bianco blu, osservabile al buio. La forma e la posizione delle tracce ematiche risultano fondamentali sia per lo studio della dinamica del delitto sia per le successive indagini di laboratorio tese all’analisi del Dna. Il «Crimescope», o «macchina scopri sangue», è invece una lampada di lunghezza d’onda variabile (e da oltre 1.000 watt) che permette di evidenziare, su superfici trattate chimicamente con appositi composti fluorescenti, tracce anche minime di materiale organico, utilizzando fasci di luce ultravioletti, visibili e infrarossi.
• Coniugi scomparsi, cresce l’ansia in attesa di una svolta. Giornale di Brescia 07/08/2005. Interrogatori a raffica per Guglielmo Gatti, il nipote dei due coniugi scomparsi. L’ultimo, di oltre cinque ore, fino a notte fonda. Nuovi sopralluoghi. Un frenetico via vai tra Procura e Comando provinciale dei Carabinieri. Poi i magistrati e gli inquirenti dell’Arma che piombano in via Ugolini, e varcano la soglia di quella villetta da cui hanno preso avvio l’altroieri le ricerche. Sono gli ingredienti di una giornata, quella di ieri, contrassegnata ancora dal colore giallo. Quello del mistero, quello fitto che aleggia attorno alla scomparsa dei due anziani coniugi, Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, che mancano dalla loro casa, a S. Anna, da ormai otto giorni. Troppi, senza una giustificazione o una telefonata: e nessuno pare ora più disposto a credere che i due si siano assentati spontaneamente. Il dramma insomma, in qualsiasi sua declinazione, pare davvero impossibile da escludere. Gli investigatori, guidati dal maggiore Marco Riscaldati e coordinati dai pm Claudia Moregola e Paola Reggiani, per l’intera giornata hanno lavorato sodo: la sensazione è che stiano premendo l’acceleratore per imprimere alle indagini una svolta rapida. Al centro dell’attenzione degli inquirenti è ora Guglielmo Gatti, 41 anni, il nipote della coppia, che ha formalmente firmato la denuncia relativa alla loro scomparsa. Secondo gli inquirenti, è un «testimone prezioso»: è il parente più vicino ai due coniugi, vive nell’abitazione sopra di loro e perciò dalla sua bocca si attendono parole utili a dare risposte ai molti interrogativi. ZERO TRACCE. La notte tra venerdì e sabato è trascorsa tutt’altro che serena in via Ugolini. Già, perchè i Cc sono stati fino all’una all’interno della villetta, passandola al setaccio con l’ausilio di tutti i ritrovati tecnologici in dotazione alla Scientifica dell’Arma. Eppure, almeno per il momento, pare che neppure il Luminol (un reagente chimico che evidenzia alla luce di speciali lampade azzurrate la presenza di tracce di sangue anche lavato) e il Crimescope (un apparecchio che rivela eventuali residui di tessuto organico) abbiano fornito agli investigatori alcun elemento utile. Il riserbo però è massimo. Oltre al rinvenimento del cellulare della coppia, c’è solo il ritrovamento della macchina fotografica che Aldo Donegani e Luisa De Leo avevano portato con loro al mare il luglio scorso a rafforzare la tesi che esclude una vacanza imprevista. Del resto, piuttosto fragile, per molti aspetti. DALL’ALBA. La giornata di ieri è stata lunga e movimentata. iniziata presto per gli abitanti della popolosa via del quartiere S. Anna. Sono, infatti, le otto quando Guglielmo Gatti, 41 anni, dopo aver trascorso la notte nella villetta, esce di casa. Si siede sulla panchina all’angolo della via Ugolini e cortesemente allontana i cronisti che già affollano la strada: «Gli inquirenti mi hanno vietato di rilasciare interviste e di parlare con la stampa». Dopo qualche minuto risale nella sua abitazione, dove poco dopo lo raggiungono i carabinieri per fargli firmare alcune carte. Gatti esce poi nuovamente dall’abitazione attorno alle 11, per fare delle spese, con la sua Punto di colore blu che preleva dal garage. Torna attorno alle 14. Poco dopo arrivano i carabinieri. L’uomo sale in auto con loro e viene nuovamente accompagnato al comando di Piazza Tebaldo Brusato e sentito dagli uomini dell’Arma. Per la terza volta in due giorni. I Cc sono in cerca di risposte e la pressione sale. IN PROCURA. Uomini e mezzi dei carabinieri fanno la spola tra via Ugolini, il Comando provinciale e piazza S. Alessandro, sede del Tribunale e della Procura. I magistrati sono al lavoro, coordinano l’attività che si fa più intensa di ora in ora. Poi, dalla Procura esce un’auto che fila dritta fino alla villetta di via Ugolini. Sono le 16.15. I due sostituti procuratori che hanno in carico il fascicolo relativo alla scomparsa dei due anziani coniugi effettuano un sopralluogo: salgono assieme agli ufficiali dell’Arma. La via nel frattempo si affolla: auto dei carabinieri, telecamere e mezzi della stampa, che sono poi fatte allontanare con la chiusura di un tratto di strada. Il perchè si chiarisce pochi istanti dopo. IN CASERMA. Gli inquirenti ridiscendono infatti in strada. I militari del Reparto operativo montano in auto, con loro ci sono anche i due magistrati. Dal garage della villetta risale l’auto di Guglielmo Gatti. Al volante c’è proprio il nipote dei due scomparsi. Accanto a lui monta un ufficiale dell’Arma e il convoglio fila via in una manciata di istanti, diretto nuovamente al Comando provinciale dell’Arma, in centro città. Lì restano tutti asserragliati, fino a notte fonda. E il nipote viene sentito ancora per ore dagli inquirenti.  la quarta volta in due giorni. Passata la mezzanotte non ha ancora fatto ritorno a casa. Gianluca Gallinari
• Si svuota il laghetto della Fantasina: senza esito. Giornale di Brescia 07/08/2005. Una lunga strada bianca e sterrata, che dal dosso della Fantasina porta dritto dritto al Santellone della Badia. Una serpentina che si sviluppa attraverso il bosco, fiancheggiata da qualche abitazione, da diversi vigneti e da una fitta vegetazione, con rovi che si aggrappano gli uni agli altri lasciando solo lo spazio a due lunghi fossati in cui scorre l’acqua. E in fondo il laghetto, detto della Fantasina, un pantano di circa 25 metri di lunghezza per otto di larghezza, un acquitrino verde e melmoso che galleggia ad un’altezza di 50-60 centimetri dal fondo, che al centro raggiunge una profondità massima di un metro. quella la zona in cui spesso i coniugi si addentravano per le loro passeggiate nel verde. Ed è da lì che riprendono i lavori degli inquirenti nel corso della prima mattinata di ieri, dopo la notte di attività frenetiche che non ha per ora dato esiti. Proprio su quel grosso stagno, seminascosto dagli alberi, si concentrano infatti le ricerche degli uomini dell’Arma, cui si uniscono uomini e mezzi dei Vigili del fuoco. Già, perchè nell’arco di diverse ore di lavoro, quel laghetto viene completamente svuotato e rovistato da cima a fondo. Un approfondimento d’indagine che gli inquirenti dispongono scrupolosamente, anche se dubitano di rinvenire alcun elemento utile per dare una soluzione al giallo: la scomparsa dei coniugi Donegani. Certo, in queste circostanze, nulla può essere lasciato al caso, nulla può sfuggire ad una verifica. Cosa si cerca? Tutto e niente. Indizi, un oggetto buttato perchè se ne perdano le tracce o caduto accidentalmente che possa testimoniare un passaggio, e da ultimo i corpi dei due anziani secondo un’ipotesi che è certo la più tragica, quella del decesso. Così, sono le 10 quando le squadre dei Vigili del fuoco arrivano coi Defender con un grosso camion che trascina una pompa idrovora. Accanto a loro si affianca il trattore di un agricoltore della zona che dispone di un’altra apparecchiatura in grado di contribuire all’opera di svuotamento della sacca melmosa. Sul terreno del campo che circonda da un lato il pantano - avvolto dall’altro dalle piante e perimetrato dalla stradicciola bianca - vengono montate le tubature e srotolate le manichette lunghe 70 metri che servono a liberare l’acqua del laghetto rilasciandola nei canali irrigui che più a monte sfilano accanto a un campo di granoturco. L’acqua esce a getti, il livello del pantano si abbassa a poco a poco, la melma verdastra si fa più densa e l’odore più pesante: eppure niente. Alla fine, quando ormai è pomeriggio inoltrato, i motori dei generatori si fermano, senza che nulla di importante sia tornato alla luce. Ma contemporaneamente, su quel groviglio di strade e stradicciole, percorse da ciclisti, amanti del jogging e delle passeggiate in mezzo al verde che portano al laghetto, si apre un altro fronte di indagine: i carabinieri, guidati dal tenente Andrea Poletto, le battono nuovamente con i fuoristrada. Ma non sono soli. Perchè con loro ci sono anche le unità cinofile della Protezione Civile. Uomini e cani del Gruppo Leonessa si avventurano sui pendii e negli anfratti, in tutte le aree agibili. Fanny, Cindy e Brigitte, tre splendidi labrador color miele, hanno annusato gli indumenti della coppia scomparsa e guidati dai loro padroni si spingono nella boscaglia setacciando con il loro fiuto tutta l’area. Allo stesso modo hanno operato l’altra sera, sui Campiani, sempre alla ricerca dei due anziani scomparsi. Ma tutti gli sforzi sono purtroppo inutili. Sul posto, a metà pomeriggio, arrivano anche Giuseppe De Leo, il fratello di Luisa, e la figlia. Un sopralluogo veloce: i due si allontanano subito, seguiti dai cronisti. La tensione è alle stelle, i due sono comprensibilmente scossi e si allontanano rapidamente in auto. A sera, anche alla Fantasina, tutto torna silente. Senza che il buio fitto si sia squarciato. Gianluca Gallinari
• Nessuna ombra su una coppia di inseparabili. Giornale di Brescia 07/08/2005. Voci raccolte in via Ugolini, nei dintorni, ovunque sui due pensionati. La signora Luisa? Brava a cucinare, all’uncino, a sorridere. Luisa? Solare. Luisa, allegra, più giovane di 10 anni dell’età anagrafica, 61 anni. Luisa, generosa. Facile vederla con diverse fogge di cappelli. Vestiti con colori vivaci, abiti eleganti. Originaria di Terlitti, nel Barese, capace di trattare ormai il dialetto bresciano con disinvoltura. 6 fratelli, famiglia compatta. Suo fratello Gino, ieri mattina, era con Ferruccio, l’amico di casa Donegani: «L’ultima volta sono stati visti insieme da mia figlia Maria dal panettiere, alle 11 di sabato l’altro». Ferruccio ricorda il piacere di Luisa e Aldo di recarsi sul lago d’Iseo per sfamare le anatre con bocconi di pane. Agostino è l’altro amico intimo. Sempre insieme, 20 giorni al mare, a San Benedetto del Tronto. «Luisa sarebbe stata giù ancora qualche giorno. Aldo voleva tornare. Si chiamavano spesso con Guglielmo, il nipote che abita sopra di loro. Una volta chiamavano loro, una volta chiamava lui. Aldo e Luisa erano contenti perchè il nipote, in una delle ultime telefonate al mare, aveva riferito di aver trovato un posto di lavoro. Giovedì aspettavano Luisa all’oratorio per il turno di volontariato. Domenica mattina aveva prenotato, con alcuni amici di via Ugolini, un paio di banchi alla messa di don Mario, a Castrezzato. Don Mario Stoppani era stato parroco qui e adesso mancava. Non s’è vista all’oratorio, non s’è vista in via Ugolini, non s’è vista a Castrezzato. Luisa era stata sposata con un signore di una zona vicina. Poi la separazione, il divorzio, l’incontro con Aldo Donegani, vedovo della signora Anita e 20 anni fa il matrimonio civile. Con l’ex marito, rapporti normali. Luisa e Aldo? Una bella coppia. Lui con un carattere opposto a quello di lei. Impaziente e passionale. Fumantino, ma brava persona. Un classico. Lei casalinga, lui in pensione, ex disegnatore alla Franchi, quindi in Francia. Un uomo preparato con tre lingue in tasca, francese, inglese e tedesco. Con il gusto di parlarle, alla prima occasione. Una vita senza pretese, da pensionati sereni. «Guardi - spiega una gentile docente in pensione -, la loro passione era camminare, pedalare e danzare a qualche festa d’estate. Salutava tutti e tutti la salutavano volentieri, portando in giro la gioia di vivere». Senza figli, Luisa e Aldo e due nipoti. Guglielmo è il nipote sulla loro testa, al piano sopra di una casa costruita trent’anni fa. Una casa con il portamento di una villa, indipendente e con 8 stanze abbondanti, 4 al primo piano, 4 al secondo, intorno un breve giardinetto e dietro un orto. «Una casa che oggi vale non meno di un vecchio miliardino di lire», spiega chi ha acquistato, allora, direttamente dal Comune e poi ha costruito. Via Ugolini è una delle ultime strade da Sabato del Villaggio. Si conoscono tutti, tutti sanno di tutti. In fondo alla via, la campagna aperta da un grande campo di 10 ettari e oltre i boschi dei Campiani. Oltre, nasce Cellatica. Basta saltare una strada, ritrovi la stessa quiete e lo stesso mondo di replicate simpatie umane. Due strade parallele sotto, incrociamo Giuseppe Colosio, il Provveditore: «Li vedevo ogni tanto, sempre insieme». L’anonimato, da queste parti, non è attecchito. La sicurezza è buona. Qualche piccolo furto di zingari o tossici. Le micro migrazioni dal centro alla periferia, dall’esterno non hanno rotto l’idea di paese. Anche per questo, la storiaccia pesa una tonnellata, sfregia l’antica umanità resistita in questi villaggi. Qualcuno ha paura. «Fin quando non si trovano, non sono tranquilla». Del resto, soltanto due giorni fa, la notte, si sono visti carabinieri salire sui tetti e penetrare 10 volte nel garage in una ricerca forsennata di tracce degli scomparsi. E si è andati e venuti altrettante volte dalla Procura alle caserne del centro cittadino, al laghetto denominato Fontanù, che è poco più di uno stagno, vuoto di tutto, una volta prosciugato da una turbina operosa per 10 ore di fila. Ieri l’abbiamo chiamato, lugubramente, il lago della Duchessa, evocando il lago in cui si disse fosse stato gettato il corpo di Moro a tre quarti del suo sequestro. Un clamoroso depistaggio. Non c’era nulla. Come non c’era nulla, lo leggerete chiaramente nella pagina a fianco, dietro i Campiani, al laghetto Fontanù. Dove possono essere, insomma? Ogni amico fa il suo conto e non fa il conto minimo di puntare il dito dove magari vorrebbe puntarlo. Nessun vuol credere che qualcuno abbia potuto far del male a Luisa e ad Aldo Donegani, pensionati inoffensivi e benvoluti. I vicini preferiscono usare ogni parola pur di spingere lontana l’idea di una morte cruenta: disgrazia, tragedia, fatalità, destino. Tradotte in dialetto: ’na disgrassia. Non basta ad alleggerire l’angoscia che è calata come una cappa su via Ugolini. E non basta, a sera, che molti siano tornati dal laghetto-stagno con la notizia che lì non ci sono, che lì non c’è neppure un pesce morto. Il giallo, per un po’ di ore, punta sull’Aprica. Magari, dicono alcuni, sono finiti lassù, in una baita di proprietà del Guglielmo. Un vicino dice: «L’aveva comprata un po’ di tempo fa, dopo aver venduto una casa sul Garda. Lui ci andava. Loro, mai». Tonino Zana
• Giallo nel giallo: la casa all’Aprica. Giornale di Brescia 07/08/2005. Una cascina, una casetta, una baita tra i verdi pendii delle montagne che si levano proprio al confine della provincia di Brescia, laddove inizia quella limitrofa di Sondrio. quella che Guglielmo Gatti, il 41enne nipote dei coniugi scomparsi, possiede all’Aprica. Ieri, per l’intera giornata, negli ambienti investigativi è circolata voce dei controlli che gli uomini dell’Arma avrebbero effettuato nella zona per appurare l’eventuale presenza di elementi utili alle indagini. Tra le ipotesi, è circolata anche quella di una possibilità, che i controlli sviluppati nel corso della giornata sembrano aver definitivamente fugato: ossia che i due coniugi potessero essere saliti anticipatamente in quella cascina in cui avrebbero dovuto comunque recarsi martedì scorso, assieme a Luciano De Leo, il nipote appuntato dei carabinieri giunto appositamente dalle Marche, dove vive, assieme alla moglie e al figlioletto. Una breve vacanza - la licenza del giovane appuntato starebbe peraltro per terminare - per rilassarsi in mezzo alla natura della Valcamonica e della Valtellina, ovviamente saltata. Che i due coniugi avessero deciso di salire per preparare la cascina ad accogliere i parenti nel primo pomeriggio di sabato? Forse. E poi magari una stufetta che funziona male nella notte e l’intossicazione. No, niente di tutto ciò. Agli inquirenti non va di scartare neppure un’ipotesi molto più rosea: i due saliti per una vacanza, immemori dell’appuntamento con il nipote, non comprano giornali e non guardano la tv, restando così all’oscuro del mistero che aleggia attorno alla loro scomparsa. No. Da escludere, perchè uomini del Comando provinciale di Brescia avrebbero ieri preso contatti con i colleghi di Sondrio per effettuare accertamenti alla casetta, che il nipote avrebbe prestato più volte agli zii, non sarebbe stato trovato nulla e nessuno. Le indagini dei carabinieri, insomma, non si esauriscono nel Bresciano. Anzi, si allargano a macchia d’olio.
• «Guglielmo? Era il primo della classe». Giornale di Brescia 07/08/2005. Nella stessa villa, una vita autonoma. Aldo e Luisa Donegani e il nipote Guglielmo Gatti, sopra di loro, una vita normale. Nè abbracci nè grida. il più osservato, inevitabilmente, proprio per questa vicinanza. Guglielmo Gatti colpisce per quei due occhioni scuri, non tenebrosi per via di una tonda evidenza e i capelli corvini su un incarnato smorto, quasi bianco. Giornate ritirate, introverse, le sue. Spesso, i libri in mano, dice chi lo ha intravisto dalla finestra e dal grosso davanzale. Ieri mattina, quando ha affiancato verso le 10 l’auto del signor Ferruccio amico dei Donegani, gli ha spiegato che adesso i carabinieri erano sui Campiani, puntavano sul laghetto Fontanù. Non scopriva una ruga, viso piatto: «Speriamo bene», ha sospirato. Pensando al peggio, poichè avrebbe dichiarato in giornata, ad alcuni vicini, a domanda espressa e un po’ disinvolta, che pensava a 2 probabilità su 10 di trovarli vivi. Guglielmo Gatti viene da due anni duri. A giugno ha perso il padre, 2 anni fa la madre. Segni penetranti per un figlio unico che rimane solo e padrone di un tempo e di uno spazio che non ha conosciuto prima. La povera maestra Togni ricordava spesso che Guglielmo era il primo della classe alle Elementari. Bravo anche dopo. Qualcuno dice che si stesse iscrivendo alla Normale di Pisa poi c’era stata la naia che aveva grippato la vocazione allo studio. Qualcun altro dice di un pallino per l’ingegneristica, lui ha dichiarato ai giornalisti di essere un ricercatore al Politecnico. Telefonando agli zii al mare, avrebbe confidato, appena qualche settimana fa, di aver trovato un lavoro giusto. difficile leggere la vita di Guglielmo Gatti. Del resto è difficile leggere la vita di ognuno di noi quando finisce sotto i riflettori. Perchè leggerla, dunque? Per il fatto che pubblici ministeri, carabinieri hanno oggettivamente messo radici sulla personalità e sugli atti di Guglielmo Gatti. A 41 anni, sarebbe stato proprietario di una casa sul Garda, l’avrebbe venduta e con una parte di denaro avrebbe acquistato una casa-baita all’Aprica. «Non l’ho mai visto tante volte fuori casa come in questi due giorni», ha osservato un vicino di casa. L’ho visto grattare la ringhiera per pitturarla. Ieri mattina è uscito alle 9 ed è rientrato alle 14. Sono arrivati due agenti in borghese e l’hanno portato via. Poi l’hanno riportato a casa. Poi l’hanno riportato via...». Così per quasi tutto il pomeriggio. Tonino Zana
• I Donegani: all’Aprica perquisita senza esito la casa del nipote. Giornale di Brescia 08/08/2005. Si allargano a macchia d’olio le indagini sulla misteriosa scomparsa dei due coniugi di via Ugolini. I carabinieri del Reparto operativo, assieme ai colleghi della Sezione investigativa scientifica, hanno infatti risalito ieri - nel primo pomeriggio - la Valcamonica, fino all’Aprica. Lì, infatti, gli investigatori dell’Arma hanno perquisito da cima a fondo la casa di montagna di Guglielmo Gatti, il nipote di Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 66. L’uomo, 41 anni, ormai considerato il teste chiave della vicenda, era lì con loro. Con gli uomini dell’Arma si è allontanato dalla villetta del mistero, in via Ugolini, a Brescia, attorno alle 14.30. Un blitz, quello dei carabinieri, che hanno scortato il nipote fuori dall’abitazione a bordo della sua auto, e poi su, lungo le strisce d’asfalto tra le due valli, la Valcamonica e la Valtellina, fino a quella casa di via Italia, all’Aprica. Nella palazzina bianca a quattro piani con i balconcini e le ante in legno, stretta tra una strada e altri due edifici, c’è quell’ appartamentino al pianterreno in cui gli investigatori si aspettano di trovare dettagli preziosi per fare chiarezza su quello che è ormai un giallo inquietante. Eppure nulla: all’interno della casa, tutto appare in ordine quando i militari della Scientifica varcano la soglia con gli stessi strumenti già impiegati per rivoltare da cima a fondo la villetta di via Ugolini. Crimescope e Luminol tornano in azione. «Quello effettuato all’ Aprica è solo un complemento d’indagine, un’estensione della prima perquisizione» affermano gli inquirenti, che non avrebbero pertanto richiesto ai magistrati un ulteriore mandato. La casa appare disabitata da mesi. I vicini confermano: «L’ultima volta che Guglielmo Gatti è stato qui? Un anno fa, il 10 agosto 2004 per una assemblea di condominio. Poi più visto». Ma emerge un altro dettaglio interessante: secondo le testimonianze raccolte all’Aprica, infatti, in quell’ appartamento - che i genitori di Gatti, Giuliano ed Annamaria, possedevano da una ventina d’anni - non si sono mai visti i coniugi Donegani. « No, il nipote saliva con i suoi genitori, gli ultimi tempi con il padre, che era molto malato. Erano schivi, salutavano, gente tranquilla. Ma quella coppia scomparsa non l’abbiamo mai notata» assicurano i vicini. Eppure, proprio lì pare dovessero recarsi i due assieme al nipote Luciano De Leo, l’appuntato dei carabinieri giunto dalle Marche per una settimana di ferie tra i sentieri valtellinesi. Così, quel sopralluogo effettuato l’altro ieri sul posto appare solo come l’anticipazione di questa ispezione. I militari entrano assieme al Gatti, che apre la porta e li guida nelle stanze, 60 metri quadri in tutto. Sono le 16.35. Gli uomini dell’Arma escono attorno alle 18.35. Con sé portano uno scatolone, colmo di materiale da analizzare. Poi il furgone della Scientifica raggiunge la stazione dei carabinieri, da cui gli investigatori bresciani escono poco dopo assieme al «teste chiave», per fare ritorno a Brescia. Nessuna svolta nelle indagini, insomma, almeno per ora, neppure dopo questa trasferta all’Aprica. Né dopo la nottata convulsa di sabato. Una nottata fatta di interrogatori serrati. Per Guglielmo Gatti, anzitutto: il quarto cui viene sottoposto in due giorni dura 11 ore, dalle 17 di sabato alle 4 di ieri. Un interrogatorio fiume. Ma faccia a faccia con i carabinieri e i magistrati, i pm Claudia Moregola e Paola Reggiani, si trovano anche alcuni vicini e amici della coppia. Dopo una lunga attesa viene sentito anche Ferruccio Franceschini, 80 anni, amico intimo dei due, che subito dopo i funerali della sorella è trattenuto nella caserma di piazzale Tebaldo Brusato dalle 19.30 all’ una di notte, senza neppure poter cenare. Insomma, la pressione è fortissima, la tensione alle stelle, eppure nessun elemento utile alle indagini sembra essere nelle mani degli inquirenti. Al centro del giallo resta Guglielmo Gatti, quel nipote solitario, camicia bianca e pantaloni scuri, volto impassibile, attorno a cui si concentra l’ attenzione degli investigatori: da lui, giorno dopo giorno, appare sempre più chiaro che si attendono le risposte che imprimano una svolta alle ricerche. Nella prima mattina è proprio lui, affacciandosi alla finestra della villetta di via Ugolini, a salutare i cronisti: «Mi spiace, non ci sono novità e gli inquirenti mi hanno vietato di parlare con voi». Non sembra dare segni di stanchezza, nonostante la forte pressione cui è sottoposto, in quel continuo dentro e fuori dalle caserme e dalle stanze degli interrogatori. Una cosa è certa: al momento non ci sono iscritti nel registro degli indagati né ipotesi di reato. Né tantomeno vie che offrano uno spunto per dare un senso ad un’assenza che dura ormai da 9 giorni, da quel sabato 30 luglio in cui Aldo Donegani e Luisa De Leo vengono visti per l’ ultima volta, prima di sparire. Inghiottiti nel nulla. Gianluca Gallinari  
• Tutte le tappe del giallo. Giornale di Brescia 08/08/2005. Le ultime persone ad aver visto Luisa De Leo, di 61 anni, e il marito Aldo Donegani, di 77, sono stati alcuni vicini di casa: erano le 9 del mattino di sabato 30 luglio. Poi qualcuno dice di averli notati a Messa, nella parrocchia di S. Antonio, domenica mattina, ma non c’è alcuna certezza al proposito. • L’allarme - Scatta solo lunedì primo agosto. A casa dei due coniugi - lui pensionato, dopo una vita da metalmeccanico, lei casalinga - arriva un nipote dalle Marche. L’uomo, 35enne, si presenta a casa degli zii verso mezzogiorno, ma quando suona il campanello, nessuno gli apre. Chiede ai vicini, all’altro nipote - Guglielmo Gatti, che vive al piano di sopra - ma nessuno sa nulla. A quel punto Guglielmo cerca di aprire la porta di casa, ma è tutto chiuso ed anche il cellulare di Luisa ed Aldo suona a vuoto. I due nipoti chiedono l’intervento dei Vigili del Fuoco per entrare nell’abitazione di via Ugolini: in casa, tutto è in ordine, nel frigo c’è cibo a sufficienza da far pensare che la coppia non avesse in programma una partenza imminente, in garage ci sono l’automobile e le biciclette. • La denuncia - Il nipote Guglielmo Gatti lunedì 1 agosto si reca alla stazione dei Carabinieri di S. Faustino, in via Fratelli Bandiera, per formalizzare la denuncia di scomparsa. • I primi dubbi - Gli inquirenti escludono un atto sconsiderato: tutti conoscevano Aldo e Luisa, una coppia serena e piena di interessi. Proprio nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa i coniugi avevano fissato alcuni appuntamenti, tanto da far ritenere improbabile un loro allontanamento volontario. • Le ricerche in casa... - Venerdì 5 agosto, a quasi una settimana dalla scomparsa dei coniugi, gli uomini della Scientifica, assieme ad altri investigatori dell’Arma, giungono nella villetta di via Ugolini intorno alle 15.30, con il compito di rovistare da cima a fondo la casa. I primi accertamenti portano ad un importante rinvenimento: il cellulare della coppia, spento, che giaceva in un cassetto. Dopo un paio d’ore, verso le 17.30, il nipote Guglielmo Gatti viene interrogato dai carabinieri della caserma di via S. Faustino. Alle 21.30 viene riaccompagnato a casa e di nuovo interrogato, mentre vengono perquisiti il garage e la mansarda. I Cc restano fino all’una di notte all’interno della casa di via Ugolini, passandola al setaccio con l’ausilio di tutti i ritrovati tecnologici in dotazione alla Scientifica dell’Arma. Poco dopo le 14 di sabato i carabinieri tornano in via Ugolini e da lì ripartono con Guglielmo Gatti a bordo della loro auto. Guglielmo resterà in caserma per undici ore. • ... e fuori - Gli uomini del Reparto operativo e del Radiomobile perlustrano palmo a palmo, facendo ricorso anche alle motociclette, i sentieri che si intrecciano tra la campagna della Fantasina e le colline circostanti, seguendo gli stessi itinerari che i coniugi erano soliti percorrere nelle loro passeggiate pomeridiane. A metà mattinata di sabato, su ordine degli inquirenti, i Vigili del fuoco prosciugano, senza esito, il laghetto della Fantasina, sulla strada che porta al Santellone della Badia. Nel frattempo, i carabinieri, con l’ausilio di alcune unità cinofile della Protezione civile, battono di nuovo palmo a palmo sentieri e anfratti della zona. Ieri la perquisizione all’Aprica.
• Il parroco di S. Antonio. Giornale di Brescia 08/08/2005. «Luisa e Aldo? Li abbiamo ricordati recitando un’Ave Maria durante le funzioni di sabato e in quelle celebrate ieri. Una preghiera per continuare a sperare, a credere che sia possibile rivederli, che ci sia una spiegazione dietro quanto sta succedendo». Parla con voce serena don Faustino Pari, parroco di S. Antonio, la chiesa di via Chiusure che Aldo e Luisa Donegani frequentano abitualmente. Racconta e si domanda, quasi con ostinazione, cosa ci sia dietro il mistero di una coppia che, a questo punto, sembra volatilizzata. «La signora Luisa - spiega - la conosco bene, dal momento che collabora con l’oratorio coprendo il turno del giovedì pomeriggio al bar. Una donna gioviale, che non ha mai dato l’impressione di attraversare una situazione di disagio o di avere qualche particolare problema». Anche per questo diventa difficile ipotizzare «che si siano allontanati spontaneamente, senza avvisare nessuno». Aldo e Luisa sono scomparsi nonostante un’agenda fitta di impegni. Don Faustino, ad esempio, ricorda benissimo come venerdì scorso, il 29 luglio, «la signora Donegani telefonò assicurandomi che il primo giovedì di agosto sarebbe stata regolarmente al suo posto, in oratorio». Da quel giorno invece, nessuna notizia, ma il silenzio, la scomparsa, i giorni di angoscia. «C’è da dire che in questi momenti così terribili - conclude - mi sono almeno avvicinato di più ai parenti dei Donegani. Ai nipoti che conoscevo poco, compreso quello che vive nelle Marche». Anche con Guglielmo? «Lui l’ho rivisto dopo un oltre un anno, ma, sapete, lo conosco poco perché non frequenta la parrocchia». Le ore passano lente, interminabili, in attesa che giunga qualcosa, un evento che schiarisca un enigma diventato sempre più fitto. «Non possiamo far altro che pregare e sperare - conclude don Faustino -, ma i giorni di assenza cominciano a diventare troppi e la paura che sia successo qualcosa di brutto aumenta».
• «Pensa se invece di tornare a casa sparissimo: chissà che titoli sui giornali». Giornale di Brescia 09/08/2005. Una frase detta a poche ore dal rientro dalle ferie, nell’estate di quattro anni fa. Una battuta quasi dimenticata, che però riecheggia, nel momento in cui i due coniugi Donegani mancano all’appello. quella che Aldo Donegani pronunciò a San Benedetto del Tronto, nelle Marche, rivolgendosi all’amico Franco Tomasini, che oggi ha 74 anni, in vacanza con lui. L’anziano, nella sua bella casa, una cascina avvolta dall’edera ad una manciata di metri da via Ugolini, ricorda bene quell’episodio: «Eravamo al mare insieme e, il giorno prima di tornare a Brescia, Aldo mi disse: "Adesso al posto di andare a casa, sarebbe bello andare il più lontano possibile". "Per fare che?" gli chiesi io. "Per vedere i giornalisti, le telecamere, i giudici tutti insieme alla nostra ricerca". Io ero perplesso, pensavo al fatto che in molti si sarebbero preoccupati. Lui invece aggiunse: "Godrei un mondo a vedere tutto quel caos. Chissà che titoli i giornali"». La frase cade nel dimenticatoio. Resta seppellita sotto strati di ricordi, quasi archiviata, rimossa come una qualunque trovata per farsi quattro risate. Poi, la tranquilla vita di via Ugolini viene sconvolta dal giallo. I due coniugi sono spariti: proprio come il Donegani prefigurava nella sua boutade, e quelle parole diventano cupi presagi. Che pensare? L’inquietante assenza altro non è che la messa in atto di un progetto antico e stravagante, o quella che si verifica è solo una sinistra, terribile coincidenza? Franco Tomasini non sa che dire. «Ho sempre ritenuto che si trattasse di una burla, di uno scherzo, l’ha detto tanto per dire. Ma da quando lui e Luisa non si trovano più... Che vuole che le dica, ho pensato proprio "l’ha messa in pratica"». Già, difficile non considerare che dietro quelle parole pronunciate anni fa ci fosse un fondo di verità. Se così fosse, il signor Aldo avrebbe fatto centro: i media, gli inquirenti, le telecamere. Tutto come nella sua ipotesi. Neppure gli investigatori, del resto, sembrano escludere al mille per mille che dietro la misteriosa scomparsa possa celarsi un allontanamento volontario. Anche se ai più appare come la spiegazione meno convincente di tutte. Compresa la tragedia. «Ma non hanno controllato i conti correnti?» si chiede il signor Franco. «Se hanno tolto tutto dalla banca, certo vorrebbe dire che se ne sono andati spontaneamente». Una domanda che si pongono in molti, lì in via Ugolini, ma che per ora non trova risposta. Sembra anzi che verifiche al riguardo siano state solo avviate. Gianluca Gallinari
• Coniugi scomparsi. Giornale di Brescia 09/08/2005. Dove sono i coniugi Donegani? Cinque giorni di indagini, nove dalla loro scomparsa, e nessuna risposta ad una domanda che fa del giallo un rompicapo senza soluzione. Per ora. questa la sintesi di un groviglio che gli inquirenti cercano di dipanare. E in fretta. Tanto che giorno dopo giorno sembra farsi più fitta l’agenda di attività previste. VERTICE. Così è stato ieri, il giorno in cui un prudente ottimismo è parso confortare il lavoro di uomini e militari, in azione senza sosta da giorni. Proprio per fare il punto dell’attività svolta e programmare quella ancora da sviluppare, gli inquirenti si sono dati appuntamento ieri mattina alle 11 in Procura, a Brescia, per un vertice presieduto dal procuratore capo Giancarlo Tarquini, al cui tavolo sedevano il sostituto procuratore Paola Reggiani (la collega Claudia Moregola è in ferie), il maggiore Marco Riscaldati, che guida i carabinieri assieme al ten. Andrea Poletto, il neocomandante dei Vigili del fuoco, Claudio Manzella, e pure il comandante della Guardia di finanza, il col. Attilio Iodice. Un breefing per verificare l’attività d’indagine vera e propria e quella tecnica, confrontare l’esito. E forse - lo si presume dalla presenza del capo delle Fiamme Gialle - per avviare ricerche anche sulla situazione patrimoniale della coppia scomparsa. AL LAGHETTO. Poi, alle 12, scatta un doppio sopralluogo: dalla Procura partono le auto delle scorte e puntano sul laghetto della Fantasina. Lì magistrati e investigatori giungono che i Vigili del fuoco sono già all’opera da ore. Quel pantano semiprosciugato sabato è ormai ridotto ad uno strato di melma densissima, che le idrovore non riescono a risucchiare. Così gli uomini del Saf (il pool «Speleologico alpino fluviale») tirano corde da un lato all’altro dello stagno, lo dividono in 24 riquadri che sondano, come archeologi, con l’ausilio dei ramponi e di un gommone, riportando poi in un modulo preparato ad hoc tutto quello che viene pescato in ogni settore: copertoni, cartoni, e qualcosa di più: uno zainetto contenente una cassaforte a muro, probabilmente gettata dopo un furto. Ma nulla di rilevante per le indagini sulla scomparsa di Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61. SIGILLI IN VIA UGOLINI. Alle 13, il procuratore Tarquini, il pm Reggiani e i militari oltrepassano il cancello del civico 13 di via Ugolini. Entrano nella villetta del mistero in cui si trattengono per diversi minuti. Poi, quando i magistrati si allontanano, vengono posti i sigilli sulle porte e sulle finestre chiuse. L’appartamento dei coniugi scomparsi è sotto sequestro: «Un provvedimento - si limitano a dire gli investigatori - che ci permette di operare in totale autonomia». E così è: rientrano in azione gli uomini della Scientifica dell’Arma, rovistano la casa - per la seconda volta - e sembrano soffermarsi sulla cantina: entrano con torce, battono l’orto, portano via un oggetto lungo un paio di metri e sottile, avvolto in un cartone da reperti. Un badile? Una scopa? Un rastrello? Non si sa. Alcune cassette di frutta compaiono in giardino, vengono scattate delle foto. Poi basta. I militari si allontanano che sono le 16.40: la perquisizione, l’ennesima, è conclusa. E con essa si spengono nella via i riflettori. Il mistero, almeno per ora, resta tale. E fitto. Una novità c’è. Per il primo giorno, da quando le indagini sono state avviate, non è stato interrogato il nipote degli scomparsi, Guglielmo Gatti. Forse gli inquirenti ritengono di aver acquisito sufficienti elementi da lui, che appare comunque accanto agli investigatori sull’uscio di casa. Esce per qualche ora, forse, comprensibilmente alla ricerca di un po’ di tranquillità dal duplice assedio, quello di inquirenti e mass media. Interrogatori, comunque ce ne sono ancora: quelli di altri amici e vicini. I parenti, invece, sono ormai stati tutti contattati: quelli di Brescia - ieri si è visto Giuseppe De Leo - quelli di Milano e della Puglia: con tutti i Cc hanno parlato. UNA SVOLTA? Mentre i cani del Gruppo cinofilo Leonessa continuano ad ispezionare colline e boschi - ieri è toccato ai Campiani - gli inquirenti, per voce del procuratore Giancarlo Tarquini, lasciano aperta ogni ipotesi. «Stiamo lavorando bene, ci attendiamo risultati». Si vedrà. Al civico 13 di via Ugolini, intanto, si va riempiendo la cassetta della posta, segno palese di un’assenza prolungata. Gianluca Gallinari
• Un quartiere sotto l’assedio mediatico. Giornale di Brescia 09/08/2005. In assenza del corpo, esiste la morte? Ci si mette a filosofare un po’ per stare dalla parte del sogno, per cancellare l’incubo, un po’ per dare corda alla narrazione del signor Franco, il quale sosteneva, ieri mattina, che Aldo e Luisa gli avevano confidato di aver voglia di sparire a Parigi, per una settimana, senza dire niente a nessuno. Lo diciamo tutti, una volta nella vita, come quando immaginiamo chi verrà al nostro funerale. E poi, a Parigi, Aldo Donegani ci aveva lavorato come disegnatore di macchine utensili e desiderava tornarci. Ogni tanto, guardi in fondo a via Ugolini, verso il terreno piatto prima dei Campiani, dove adesso - alle 2 del pomeriggio - i cani fiutano la zona alla ricerca della coppia e t’immagini che lei, la Luisa corre verso tutti, alza la mano e incomincia a salutare Ferruccio, in cima alla via, la maestra, a metà, girando in fondo e suonando, infine, nella via parallela, al campanello del super amico Agostino, con loro a San Benedetto del Tronto per tre quarti di luglio, con loro il venerdì, a mezzanotte, di ritorno da una festa all’aperto, prima che venisse il sabato della sparizione. Via Ugolini, popolare e bonaria, è sconvolta dalla nevrosi mediatica. La tensione è talmente elevata che basterebbe inventarsi una scarpa trovata al laghetto Fontanù, prosciugato sabato e visitato, ancora, ieri mattina, dal procuratore Tarquini; e noi giornalisti, tutti, piomberemmo al Fontanù come topi impazziti. Se qualcuno s’inventasse all’una e mezza, prima di andare in onda, che loro sono stati trovati al lago d’Idro, la nazione verrebbe a conoscere la fandonia che loro sono stati trovati al lago d’Idro, in diretta televisiva. Via Ugolini è diventata la metafora, la miniatura di una comunità nazionale saltata, credulona o sospettosa, buona o cattiva, innocentista o colpevolista ad ore alterne. Come le targhe. Nelle ore pari il tale è colpevole, nelle ore dispari è innocente. Ma di chi, di che cosa? Sia chiaro, parliamo di via Ugolini dopo che noi l’abbiamo invasa ed è accaduto ciò che non sappiamo esattamente sia accaduto. Addio Kafka. Questa parte di Brescia, oggi, potrebbe essere il rione de «Il Fu Mattia Pascal», il romanzo di Pirandello in cui il protagonista accetta di essere morto per dichiarazione degli altri. Intanto giriamo come impazziti intorno ad un’autoalimentazione di notizie usate e spesso finte, dimenticando il senso tragico dell’attesa, sopraffatti più dal giallo dell’estate che dalla pietà per le persone. Lui, il signor Guglielmo, il nipote del piano di sopra, è inguaiato da una curiosità morbosa e da un portamento e un comportamento letterario. Mai comparso tanto frequentemente come ora, rompendo nel momento meno opportuno il suo modo di stare al mondo, privatissimo, quasi isolato. E poi, dicono, così taciturno, cosi misterioso, nel senso di non vivere una vita di evidenti relazioni. Così impassibile alla pressione degli inquirenti e dei mass media. Proprio ieri mattina, alle 10,30, allo zelante fotografo che gli ingrandiva il terzo palpito di palpebra, mentre usciva, guidando la sua auto, gli chiedeva un aiutino: «Non potrebbe, per favore, chiudermi il cancelletto?». E lo zelante, interdetto, "pio pip pio", gli chiudeva il cancelletto. Andava a far la spesa e al ritorno, ancora con una camicia bianca identica per giorni, una camicia bianca di impassibilità, pregava i giornalisti: «Lasciatemi fare almeno la spesa in pace». Ma così sommessamente, così intonato da schiantare ogni inquirente. Replay subito dopo, all’apparire di una flotta umana di autorità e telecamere al seguito del procuratore della Repubblica, al suo campanello. Il signor Guglielmo, 41 anni, fuori corso, riappariva alla finestra, imperturbabilmente: «Vengo subito», più labiale che tonale. La domanda, invece, da cui non si alza una risposta soddisfacente è su quel mucchio di ore da sabato a mezzogiorno a lunedi alle 11, in cui nessuno risponde al silenzio torrido di Luisa e Aldo. Mentre registriamo ancora una testimonianza, in cui si sostiene di un invito a pranzo, a voce alta (proprio quel sabato) dal piano sotto al piano sopra: «Guglielmo, vieni giù a mangiare con noi?». Ne sarebbe sortito un «no feroce». La stessa testimonianza assicura su una luce accesa nella notte fonda tra sabato e domenica al piano sotto e un’altra assicura che Luisa e Aldo coltivavano un amore speciale per il lago d’Iseo, del tipo: «Un giorno vendiamo tutto e andiamo ad abitare sul lago d’Iseo». Che assomiglia tanto a quella storia di Parigi. Ma c’è una bella personcina che Luisa non avrebbe mai lasciato senza la notizia del ritorno, la ragazza vicinissima di casa, a cui voleva un bene più grande di ogni tentazione di addio. Tonino Zana
• Scomparsi, il giallo delle pistole. Giornale di Brescia 10/08/2005. giallo nel giallo: dalla villetta di via Ugolini mancherebbero tre pistole. Sparite. Come Aldo Donegani, 77 anni, che risultava possedere cinque revolver, e la moglie, Luisa De Leo, 61. In quell’appartamento al pian terreno, i carabinieri della Scientifica le hanno cercate e ricercate, frugando a lungo, rovistando casa e cantina, garage, orto e giardino. L’ennesima volta ieri. Eppure della piccola collezione privata di rivoltelle ce n’è solo parte: due armi su cinque. Delle altre tre, nulla. Non si trovano. PASSIONE SCONOSCIUTA. La faccenda insomma si complica. Si aggiunge un capitolo oscuro ad una storia che è già avvolta dal buio più fitto. Ma andiamo con ordine. La passione per le armi di Aldo Donegani è sconosciuta ai più. Fatto di per sé strano. Nulla ne sanno i vicini e gli amici che assicurano: «Il ballo era la sua vera passione. Per il resto, non raccontava nulla delle sue cose. Mai parlato di caccia o pistole». Ma l’inclinazione per la meccanica è un fatto inconfutabile. Forse proprio assecondandola Donegani, ex modellista, colleziona «gingilli» della produzione armiera che tiene a casa. Ci sarebbero pistole e fucili. In particolare i revolver sarebbero cinque. Tanti ne risultano denunciati. Ma solo due sarebbero quelli rinvenuti dalla la Sezione investigazioni scientifiche nel corso delle varie perquisizioni all’interno della casa degli scomparsi. Fonti investigative negano decisamente la cosa: le armi ci sarebbero tutte, e tutte sarebbero state regolarmente denunciate, così come del resto il proprietario, il signor Aldo Donegani, risulta in possesso di regolare porto d’armi. QUELLE PERQUISIZIONI. Ma già, l’esistenza di armi in quella casa, costituisce di per sé un fatto nuovo. E di certo, la scomparsa dei tre revolver spiegherebbe i successivi sopralluoghi, le perquisizioni ripetute - ieri l’ennesima in via Ugolini - della Sis, compresa quella all’Aprica. Gli inquirenti, insomma, sarebbero all’affannosa ricerca delle tre pistole mancanti. Troverebbe così spiegazione il lavoro serrato degli uomini della Scientifica svolto ancora una volta ieri, nell’appartamento sotto sequestro, dalle 15: setacciato l’orto alla luce delle torce, quindi il garage, poi persino i tombini antistanti i due posti auto e quindi il giardino della villetta accanto, quella del civico 19, in cui sono in corso massicci lavori di ristrutturazione. I militari cercano lungo la rete che divide le due proprietà, tra le piante, sotto alcune assi, fra il legname accatastato a ridosso del balcone. Poi se ne vanno. Non prima di aver caricato sul furgone blu un lungo scatolone in cartone bianco, avvolto nello scotch. Simile a quello asportato l’altroieri sempre da casa, su cui campeggiava la scritta «Rifle». Cioè «fucile»... CHIAVE DI VOLTA? Forse, la presunta sparizione delle tre armi potrebbe dare una nuova chiave di lettura anche al dragamento del laghetto: i Vigili del fuoco, insomma, non avrebbero cercato tanto - o soltanto - i corpi o tracce del passaggio dei coniugi Donegani, ma anche le pistole. La melma fitta dello stagno certo avrebbe potuto costituire un nascondiglio ideale per le armi. Da capire è invece il perché di un eventuale occultamento. Né si può escludere che la faccenda delle armi sia del tutto inconferente con il «giallo di via Ugolini»: magari una cessione non dichiarata, una vendita non ancora registrata. Una banale magagna burocratica potrebbe giustificare l’assenza delle armi. O forse no. Forse quella sparizione si prefigura come la chiave di volta per la soluzione del mistero. Riecheggiano infatti nella mente le parole pronunciate dal Procuratore capo, Giancarlo Tarquini, proprio l’altroieri al pantano della Fantasina: «Il cerchio si stringe». SI SCAVA IN VALBRESCIANA E per stringere quel cerchio lavorano intensamente i militari, che ieri hanno sentito il collega di Castelfidardo, l’appuntato Luciano De Leo, il nipote giunto dalle Marche. Ma all’opera sono anche i volontari della Protezione civile. Proprio i cinofili del Gruppo Leonessa l’altra sera hanno consegnato agli inquirenti quel brandello di pantaloni neri e quel calzino rinvenuti in Val Bresciana. I carabinieri non hanno perso tempo e all’alba con pale e picconi hanno scavato nel punto del rinvenimento: eppure niente, sotto la terra smossa non c’è niente. Si affiancano altre unità cinofile: quelle dell’Associazione nazionale carabinieri di Brescia e quelle del Corpo forestale dello Stato - cui da ieri la Procura ha affidato il coordinamento delle ricerche nella vasta area verde compresa tutt’attorno l’abitazione dei Donegani. Uomini e cani si sono spinti fino a Ome, ripercorrendo anche sentieri e viottoli di Badia, Fantasina e Cellatica, Collebeato. Si sale fino ai «trincerù», sopra la Val Bresciana, le vecchie trincee dismesse dopo la guerra che si snodano in casematte e cunicoli larghi un metro e mezzo. Da oggi la battuta si fa ancora più massiccia: in campo 40 volontari della Protezione civile, sette uomini del Corpo Forestale, e una trentina di unità cinofile, oltre agli elicotteristi dei Cc. Per ottimizzare gli sforzi e delimitare l’area ieri alle 20 a San Polo, dalla Forestale, si è tenuto un vertice. La zona di operazioni sarà quella del colle S. Anna e del «Pi’ Castel». CONTI CONGELATI. Nessun esito avrebbero invece dato gli accertamenti sul conto corrente dei Donegani: non vi sarebbe alcun movimento o prelievio né nelle ore precendenti né in quelle successive agli ultimi avvistamenti. Gianluca Gallinari
• Parla il colonnello Luciano Garofano. Giornale di Brescia 10/08/2005. Tute di carta bianca indosso, strani «calzini» che evitano impronte. Una serie di valigie metalliche, buste, contenitori per reperti, pettorine blu. E ritrovati dai nomi suggestivi, come Luminol e Crimescope. Quando gli uomini delle Investigazioni scientifiche dell’Arma vanno dentro e fuori dalla villetta di S. Anna o dalla casa dell’Aprica, è difficile non notarli. All’opera sul «giallo di via Ugolini» ci sono i militari della «Sezione» bresciana, che fa capo, come quelle di tutto il Nord Italia, al Reparto omonimo. Il celebre Ris di Parma. Proprio nei sofisticati laboratori di Parma sono giunti nelle scorse ore, per essere analizzati, alcuni dei reperti raccolti dagli inquirenti che indagano sulla misteriosa scomparsa dei coniugi Donegani. A confermarlo è il comandante del Ris, col. Luciano Garofano, che sull’attività in atto mantiene tuttavia il più stretto riserbo. «Stiamo lavorando, qualsiasi considerazione sarebbe prematura. Di concerto con i colleghi bresciani stiamo valutando una serie di elementi. Materiale è giunto a noi: come risulta evidente, a Brescia è in atto un’intensa attività e parte del materiale raccolto è giunto a Parma». Filo diretto insomma tra gli inquirenti in azione in città e i colleghi del capoluogo emiliano. Ma è possibile che si prospetti un blitz del Ris, a Brescia? «Per ora lo escludo» afferma il col. Garofano. «Vedremo all’esito di tutte le analisi al momento in corso». Quanto alla natura degli accertamenti che si vanno compiendo, sotto il profilo tecnico-investigativo, il comandante spiega: «Gli strumenti impiegati mettono in evidenza tracce di vario genere anche se latenti, dattiloscopiche, biologiche, ecc. chiaro che gli esiti vanno poi calati nel contesto investigativo del caso. Possono esserci frammenti di vetro, fibre, elementi che magari ad occhio nudo si fatica a mettere in evidenza, che se hanno un valore tout court vanno certo lette in funzione dell’evento e dei personaggi che ruotano attorno al luogo esaminato». Come a dire, che non necessariamente si cercano le tracce di un reato. Gianluca Gallinari
• Sfiancati da una lunga attesa. Giornale di Brescia 10/08/2005. La luce dell’estate vince l’odore del dramma. Per alcune ore, via Ugolini riprende la stagione, abbassa le tende, chiude le porte. In campo rimangono le telecamere fisse delle tivù nazionali. Hanno un puntamento obliquo sulla finestra del secondo piano. Appena Guglielmo Gatti tira la tenda finisce nei tinelli di Catania, nelle camere di Milano, nel video del barettino di Rimini. Ognuno calcola la propria energia, la resistenza all’attesa. C’è chi non è più tornato e c’è chi è stato trovato dopo settimane. L’amicizia con Luisa De Leo e Aldo Donegani si misura pure in questi calcoli estremi, in questa sofferenza che alimentano e che appare come un piccolo sacrificio offerto al loro ritorno inverosimile, alla restituzione, almeno, dei loro corpi. Spaventa la mancanza ideale delle sembianze. Fatica a tornare il profilo quando la carne è sparita. Ed è maledettamente ingiusto, quasi quanto la morte, non restituire il corpo. «Basterebbe una lettera anonima. Basterebbe indicare il posto - dice un amico - Così, presto, li potremmo salutare, li potremmo pregare...». Verso sera, quando il sole è calato e qualcuno è tornato dal lavoro, nel giardinetto di un vicino, ci si ritrova in gruppo. Si ragiona sulla scomparsa e spuntano le prime ipotesi ragionate ad alta voce. prevalente la convinzione che siano stati uccisi. «Ma non è mica facile, eliminare due persone. E poi Aldo e Luisa sono fisicamente a posto, allenati». C’è chi usa il verbo al passato, chi al presente. Il tentativo maggiore è esorcizzare l’assassinio. «Qualcuno, non si è mai compreso chi, sostiene di averli visti allontanarsi verso i Campiani, sabato pomeriggio. Allora, si può credere siano stati sorpresi nel bosco da qualcuno a conoscenza dei loro percorsi. Di sicuro c’è soltanto il loro rientro a casa verso mezzogiorno di sabato. Da lì non sarebbero più usciti». Uno solo degli amici punta sulla disgrazia: «Caduti dentro un cantiere. Finiti nel lago...». La loro automobile, però, è sempre nel garage di casa. Prima di lasciare via Ugolini, ripercorriamo gli ultimi passi di quel sabato mattina. Aldo e Luisa vanno a piedi dal macellaio e dal fornaio accanto. Le due botteghe si trovano a 500 metri da casa, 10 minuti all’andata e 10 al ritorno, andatura da passeggio, più le piccole conversazioni e i saluti. Prima di mezzogiorno aprono il cancelletto. Gli inquirenti, il lunedì dopo, troveranno il pacco della spesa non consumata. La base di questa presumbile morte violenta deve fondarsi su una sorpresa, su un agguato vasto come la premeditazione. La sparizione senza tracce si costruisce con una preparazione mentale, con un disegno covato, simulato, provato in una situazione stretta, silenziosa, che fa pensare ad un soffocamento, ad un avvelenamento. In una serie di gesti e di luoghi preparati, cronometrati. Sono i brutti pensieri a cui ci si costringe prima che il buio sopravvenga. Al buio, questi pensieri fanno paura. Al buio si spera e si prega e si attende il chiaro, la luce. Che vengano presto. Tonino Zana
• Ricerche a tappeto, ma ancora niente. Giornale di Brescia 11/08/2005. Dodici giorni dopo. E ancora niente. L’assenza di Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, si protrae senza che lo sforzo di investigatori e volontari riesca a dare una svolta alle indagini. E, soprattutto, una soluzione ad un giallo che tiene ormai tutti con il fiato sospeso non solo a S. Anna. SUI SENTIERI. Ieri è stata la giornata della più massiccia battuta di ricerca avviata da quando, quel misterioso sabato 30 luglio, si sono perse le tracce dei due coniugi. Più di trenta i volontari che hanno calcato insieme ai cani delle unità cinofile i sentieri di una vasta area tutt’attorno al quartiere, risalendo ancora una volta i tracciati che dal colle di S. Anna si dipartono attraverso i boschi circostanti. Volontari e unità cinofile, coordinati dal vicequestore del Corpo forestale dello Stato, Gualtiero Stolfini, hanno battuto anche il Parco delle Colline e l’altro lato dei Campiani, la Val Bresciana e il Pi’ Castel. Ore e ore di camminate lungo i sentieri: i cani all’opera con il loro fiuto, a setacciare anche il sottobosco più fitto. I volontari - giunti da tutta la provincia - e il personale della Forestale al lavoro passando alla lente ogni angolo di verde, alla ricerca di qualche dettaglio utile alle indagini. L’attenzione del personale di Protezione civile si è concentrata in particolare su una grotta che taglia da parte a parte il colle di Sant’Anna e alla cui sommità si trova un pozzo che, se non visto, può rivelarsi pericoloso per camminatori ed escursionisti non pratici della zona. Ma nulla. Il piano definito nel corso del vertice che l’altra sera si è svolto nella sede dei Forestali a S. Polo, sarà nuovamente adottato oggi, quando dalle 6, uomini e cani - labrador, pastori tedeschi e dogo argentini - si rimetteranno per 5 o 6 ore all’opera nelle stesse aree battute oggi. I REVOLVER MANCANTI. Quanto alle tre pistole che mancano all’appello, la loro assenza è confermata. Ma il peso che i tre revolver, denunciati nel 1975 assieme ad altre due pistole e ad un paio di doppiette calibro dodici, nell’ambito delle indagini sembra poca cosa. Gli inquirenti sembrano poco inclini a ritenere che la sparizione delle armi sia fatto da collegare a quella dei Donegani. Anzi, è probabile che quelle tre pistole mancanti siano state da tempo cedute a terzi, senza che il passaggio sia stato regolarmente segnalato alle autorità competenti. Fatto che, secondo gli addetti ai lavori, non è raro: in molti, insomma, si privano di un’arma lasciando che sia solo l’acquirente a denunciare il possesso dell’arma. Se poi le pistole fossero state cedute a persone che non risiedono nel Bresciano, tracce del passaggio delle armi sarebbero rinvenibili presso altre Questure. E non è escludere che i carabinieri stiano approfondendo anche questo ambito d’indagine. Così come, per escludere qualsiasi evenienza, gli uomini della Scientifica potrebbero effetture accertamenti sullo stato di ossidazione delle canne, prova necessaria a verificare se da fucili e rivoltelle siano partiti colpi di recente. Una cosa è certa: di quelle pistole, così come delle altre armi, Donegani non ha mai fatto uso. Almeno così ha raccontato ai pochi che hanno avuto occasione di ammirarle. CALMA APPARENTE. Giornata tranquilla ieri in via Ugolini. Per la prima volta da venerdì, nella piccola strada di S. Anna, compressa tra due file di graziose villette, si è allentato l’assedio dei cronisti, né si sono visti i carabinieri. I militari ieri tuttavia hanno proseguito l’attività investigativa ascoltando altri vicini e conoscenti dei Donegani, buon ultimo Franco Tomasini, l’amico della coppia che aveva raccolto la sibillina frase di Aldo «Pensa se noi non tornassimo a casa...». Chiarito infine un altro aspetto della vicenda: la gita che i Donegani si accingevano a fare in montagna assieme al nipote giunto dalle Marche e all’amico Agostino Ghidetti non avrebbe dovuto essere necessariamente all’Aprica: la meta insomma era ancora da stabilire, il che sgonfia anche l’ipotesi secondo la quale proprio nella casa di montagna di Guglielmo Gatti si sarebbe potuto trovare qualche elemento utile alle indagini. ACCERTAMENTI SENZA ESITO. Aeroporti e ospedali sono stati allertati fin dalla prima ora: ma gli esiti d’imbarco e gli accertamenti nelle strutture sanitarie non hanno dato riscontro. Niente. Anche il conto corrente della coppia risulterebbe «congelato», senza movimenti che possano far pensare ad acquisti o sottrazioni da parte di ignoti entrati in possesso di carte di credito o blocchetti d’assegni. ZERO SEGNALAZIONI. Agli inquirenti non giungono neppure segnalazioni di avvistamenti. Solo un paio sarebbero i casi, che però i Cc non ritengono di rilievo. E intanto a S. Anna, vicini e conoscenti si interrogano su dove possano essere i Donegani. Una domanda che si rinnova, strada per strada, e che alimenta le conversazioni di animati capannelli nei bar e nei negozi. Ma che per ora non sembra destinata ad avere risposta. Gianluca Gallinari
• Pistole da collezionista geloso. Giornale di Brescia 11/08/2005. Le pistole di Aldo Donegani non sono pistole fumanti, per dirla all’americana, sono spente, non portano sul sentiero di qualche collusione. Le pistole di Aldo Donegani sono figlie di un’abilità, di una passione. Della sua abilità a disegnare armi, lavorando in fabbriche di armi e in altre fabbriche in cui si «scrive» il metallo e quindi lo si ricava dall’intelligenza e dalla bellezza del disegno. Nelle fabbriche e in un’officina in via Chiusure, tutta sua, prima di venderla ed entrare nelle aziende degli altri. La passione per le armi è l’effetto dell’identità di disegnatore. Come il quadro per un pittore. Gli amici sapevano delle armi, però non le avevano mai viste, si trovavano di fronte al muro del silenzio, alla gelosia di un certo tipo di collezionista. C’è il collezionista che ti mostra l’ultimo acquisto e quello alla Donegani che se lo gode da solo. Aldo Donegani non andava al poligono, non sparava, osservava le sue pistole, solitariamente, ne coglieva la bellezza. Messe a posto le pistole nelle loro custodie, dunque, vanno riprese alcune ore del sabato della scomparsa. Rientrati dalle spese dal macellaio, dal panettiere, Aldo e Luisa pranzano e dormono un’oretta. Lo dice chi conosce bene le abitudini della coppia: «Sì, un’oretta di riposo...», pennichella nordica. Nel pomeriggio, fuori per una passeggiata. La domanda che ci siamo posti in questi giorni, dunque, va spostata di qualche ora: quando sono tornati a casa, i Donegani, se mai sono tornati? I Campiani, dove li cercano dalla mattina alla sera, diventano terribilmente attraenti. All’albergo 3 stelle di San Benedetto, da 18 anni il posto delle ferie della coppia bresciana scomparsa, confermano la serenità degli ospiti. La vigilia della scomparsa, la vita della coppia era un cielo senza nubi. Della telefonata ricevuta dal nipote Guglielmo, in cui annuciava di aver trovato lavoro, aprendo a una gioia evidente Luisa e Aldo, abbiamo scritto. Di Guglielmo, il vicinato conferma la discrezione. Tale e quale al padre, dicono. Ai funerali del padre, annunciati a morte avvenuta su un necrologio del 4 giugno, non compaiono gli zii, ma il rapporto normale con gli zii è nelle telefonate dal mare e da Brescia per il mare. Via Ugolini partecipò al dolore di Guglielmo per la morte di suo padre, come accadeva nelle strade dei paesi di una volta. Ma quando, tre anni fa, morì la madre di Guglielmo, la signora Maria Rosa, il solidarismo di via Ugolini fu ancora maggiore. La maestra Tassi entrò in ogni casa e raccolse la sensibilità generale, traducendola in un necrologio di altri tempi sul giornale: era la via a scrivere il necrologio, una via che prendeva la forma e lo spirito di tante persone, firmandosi Ugolini. La madre di Guglielmo era una donna ritirata quanto il padre era un uomo preminente, di silenzi autorevoli. Ma ci è parso di notare, incrociando il figlio, una qualche discrezione inglese, più attenuata della severità paterna. Sono parole in cui incartiamo l’ansia della notizia primaria. L’annuncio del ritrovamento. Tonino Zana
• Coppia scomparsa, piove sul mistero. Giornale di Brescia 12/08/2005. caduta la pioggia ieri sulla città immersa nel giallo. In via Ugolini è scesa battente per una manciata di minuti. Ma anche sui sentieri di Sant’Anna, del Pi Castel, e delle colline circostanti, che hanno visto nuovamente in azione uomini e cani delle unità cinofile, coordinati dalla Forestale. una pioggia che non lava, nè rinfresca quella di ieri, caduta pure sul mistero: e il cielo cupo di un pomeriggio di mezza estate ha aggiunto nuova inquietudine nell’aria afosa che si respira fuori dalla villetta dei coniugi Donegani. LAVORO SERRATO. Il lavoro serrato degli inquirenti sembra non rallentare. Eppure appare meno imminente quella svolta che nei giorni scorsi sembrava essere ad un passo. Ma Procura, Carabinieri, volontari e Forestale non sembrano intenzionati a sospendere le ricerche. Anzi. Il lavoro lungo le vie di terra battuta che solcano i boschi e i crinali dei colli della zona è ripreso ieri mattina. «I sentieri percorsi - spiega il vicequestore Gualtiero Stolfini, a capo degli uomini del Corpo forestale dello Stato - sono i medesimi dell’altroieri. Ormai siamo certi che tra Pi Castel e Sant’Anna non c’è traccia del passaggio recente di Aldo e Luisa Donegani. Le ricerche tuttavia oggi si sono estese ad un’area più ampia. E gli uomini si sono addentrati anche nei campi di granoturco che si stendono tra S. Anna e Cellatica». Insomma, non si lascia nulla al caso: si cercano riscontri all’ipotesi di una passeggiata in campagna finita male, con le piante di grano ormai alte che impediscono la visuale. E poco distante dalla casa di via Ugolini i volontari si sono persino calati in alcuni tombini presenti attorno ai campi. Battute infine anche le stradine sterrate che salgono verso La Stella di Concesio e il Carretto che fila fino al Santellone. Ma niente. Sullo sfondo, la conca vuota del «Fontanù», quella pozza prosciugata nei giorni scorsi dai Vigili del fuoco ma senza esito. Oggi si tornerà al lavoro, sempre che la pioggia non costringa a sospendere anticipatamente - come ieri, sia pur di pochi minuti - l’attività: le unità cinofile - una trentina - entrate in azione ieri perlustreranno oggi i Campiani da un lato e il corso del fiume Mella dall’altro, dalla Stocchetta fino all’Ortomercato, nel raggio di strada che i Donegani avrebbero potuto percorrere a piedi in una mezz’ora. ANCORA LA SCIENTIFICA. Dopo un giorno di tregua, è nuovamente tornata in azione, nella villetta di via Ugolini, la Scientifica dell’Arma: assieme al magg. Marco Riscaldati, comandante del Nucleo operativo del Reparto operativo e al ten. Andrea Poletto, che regge la Compagnia di Brescia, i militari sono entrati per la terza volta nella casa a effettuare rilievi. Dietro porte e finestre sigillate un frenetico lavoro per raccogliere qualche elemento utile alle indagini, poi giù nel garage, che viene perlustrato alla luce delle torce. Si passa alla lente anche il baule della Clio nera dei coniugi scomparsi. Alla ricerca di cosa? Impossibile saperlo, il riserbo è massimo. Si può solo tentare, immaginando le forme degli involucri asportati: forse le ciotole con avanzi di pasto (sugo e pennette) rinvenute nel forno. E intanto è atteso l’esito delle analisi condotte nei laboratori dei Ris di Parma. Il sopralluogo dura un paio d’ore. Poi gli ufficiali, che si soffermano a parlare con il nipote della coppia, Guglielmo Gatti, se ne vanno. POI IL SILENZIO. L’appartamento al piano terra della villetta resta poi di nuovo silente, così come da ormai tredici giorni.Un raggio di sole squarcia verso sera il cielo bigio. Eppure la luce non sembra scalfire la coltre di oscurità che avvolge il giallo di via Ugolini. Gianluca Gallinari
• Erano state vendute. Giornale di Brescia 12/08/2005. Non mancavano realmente all’appello le tre pistole, già parte della collezione di Aldo Donegani, su cui si era aperto nei giorni scorsi un giallo nel giallo. Gli accertamenti sviluppati dai carabinieri hanno infatti appurato che le armi erano state vendute, con regolare denuncia; i dati tuttavia non erano ancora stati acquisiti nel «cervellone centrale» ed è questo che ha spinto gli inquirenti ad avviare ricerche. Ma adesso i documenti di due delle tre pistole mancanti sono emersi, portando un margine di chiarezza nella vicenda. Ed è estremamente probabile che anche il terzo revolver sia già da tempo nella disponibilità di un altro collezionista. Le armi, che hanno alimentato nei giorni scorsi una serie di supposizioni, finiscono così con lo sfumare dietro il mistero più fitto, quello della scomparsa di marito e moglie. Fatto con il quale appare sempre più chiaro che le rivoltelle non c’entrano. Mentre la «pista delle pistole» - se mai è esistita - si perde nel nulla, resta l’interrogativo di fondo da colmare, attraverso altre vie investigative.
• Spunta un’altra ipotesi: «Andati a Iseo in treno». Giornale di Brescia 12/08/2005. Una grande passione per il lago d’Iseo. Una frequentazione assidua delle sue rive e delle sue spiagge, soprattutto nel periodo estivo. E anche un’amicizia, stretta quindici anni fa durante un pic nic, con una famiglia di Provaglio, i signori Aldo e Angela Venturini. «Li abbiamo conosciuti per caso» racconta la signora, che non credeva ai suoi occhi quando tv e giornali annunciavano la scomparsa dei Donegani. «Avevo ancora i bimbi piccoli, loro erano qui per una gita» racconta la donna dalla bella casa immersa nella pineta della «S’ciana», a due passi dalla stazione ferroviaria. La stessa pineta che dal 1991 dà nome alla via Sciana. Una stradina che si spinge nel verde, un posto ideale per i pic nic. E proprio una passeggiata dei Donegani fu l’occasione dell’incontro. «Scambiammo due parole, quasi per caso: loro ripetevano frequentamente simili scampagnate e così, da allora, quando venivano alla pineta passavano a salutarci». Un po’ alla volta si crea un rapporto di amicizia. «Poteva capitare che passassero mesi senza vedersi, ma poi si restava anche quattro o cinque ore a chiacchierare. E c’era sempre qualche amico con loro, amavano molto la compagnia». L’ultima visita risale al febbraio scorso. Poi l’estate e le ferie dei Donegani a San Benedetto del Tronto, dal 3 al 24 luglio. Lo stesso periodo ogni anno. «Di solito passavano qui proprio la settimana dopo. Invece non li abbiamo visti». Le visite potevano essere senza preavviso: «Quante volte è capitato...» ricorda la signora Venturini. La settimana per l’«eventuale visita» è proprio quella della scomparsa. E l’ultimo avvistamento risale a sabato nel primo pomeriggio. E allora spunta una «pista sebina». Le visite alla S’ciana, è certo, sono tutte pomeridiane. «Arrivavano verso le 16, 16.30, sa, magari prima riposavano». I due coniugi sabato 30 luglio (o chissà, domenica) dopo pranzo decidono di far visita agli amici. Non li avvisano, alla peggio, non trovandoli in casa, possono fare quattro passi nel verde o in riva al lago (i vicini li ricordano spesso a Sassabanek). Unico tassello che non combacia è l’auto: «Venivano sempre con la loro Clio» dice la signora Angela. Eppure, a S. Anna c’è chi riporta il racconto di una ragazza che avrebbe incontrato, il venerdì precedente la sparizione, i Donegani sul treno Edolo-Brescia, di ritorno da Iseo. E li avrebbe poi riconosciuti sui giornali. Che per qualche ragione la signora Luisa preferisca non guidare? (Aldo, a causa di un disturbo alla vista, non ha più la patente). Forse. Allora meglio l’autobus, il «2» fino in Stazione e quindi il treno. E poi? Qui il giallo resta giallo. E la fantasia corre: forse vanno al lago, magari c’è un incidente, uno dei due scivola, l’altro tenta invano di aiutarlo... Del resto, in molti, a S. Anna, ripetono: «Sono tutti e due in fondo al lago». Ma le supposizioni, specie quelle più nere, sono da prendere con le pinze. Gianluca Gallinari
• In tanti li vedono, nessuno sa dove sono. Giornale di Brescia 13/08/2005. Quattordici giorni. Due scomparsi. Centinaia di segnalazioni. Nessuna certezza. E una novità. Un dettaglio che potrebbe stravolgere la lettura dell’intera vicenda: dalla casa mancherebbero valigie e indumenti, oltre alle carte di identità di entrambi i coniugi. VALIGIE MANCANTI. Gli inquirenti avrebbero riscontrato la presenza di un numero contenuto di abiti e forse una valigia mancherebbe all’appello. Chi era stato ancora in vacanza con i due coniugi ricorda: «Avevano solo due valigie, di media misura e di colore verdino, a righe». Forse proprio su una di esse, assente, si concentra ora l’attenzione degli inquirenti. Quanto ai vestiti «Luisa ne aveva molti e belli» riferisce un amico ben informato. «Lei li stava lavando. Figurarsi se andavano via di nuovo a soli sette giorni dal rientro dalle ferie». Il resto è tutto sospeso nell’incertezza che pare, ora più che mai, sovrana. AVVISTAMENTI A PIOGGIA. A due settimane ormai dalla misteriosa sparizione di Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, gli interrogativi circa la sorte dei due coniugi spariti il 30 luglio da via Ugolini restano tutti. Anzi. All’attività investigativa fino ad ora condotta dagli inquirenti si aggiunge un nuovo capitolo: quello relativo al vaglio delle innumerevoli segnalazioni di avvistamento che giungono dai cittadini alle stazioni dei carabinieri di tutta Italia. Dal Trentino alla Sicilia, dal Piemonte alle Marche, una vera pioggia di telefonate che finisce poi col confluire nel fascicolo della Procura bresciana. Sono moltissimi in tutto il Paese coloro che, ben inteso, nella più totale buona fede, ritengono di aver incontrato casualmente la coppia scomparsa dal quartiere di S. Anna. Ma si tratta di indicazioni prive di alcun valore a giudizio degli inquirenti, che hanno verificato l’incompatibilità delle une con le altre e persino la frequente coincidenza di presunti avvistamenti contemporanei a centinaia e centinaia di chilometri di distanza. Insomma, zero segnalazioni attendibili. NIENTE UNGHERIA. Tra le innumerevoli comunicazioni giunte ai militari - anche attraverso la stampa - c’è pure quella della «pista ungherese»: due coniugi di Scandicci (Firenze) infatti hanno segnalato di aver incrociato i due bresciani in un hotel distante un centinaio di chilometri da Budapest. Troppi gli elementi non coincidenti: l’uomo della coppia sarebbe stato visto fumare, mentre Aldo Donegani non fumava. I due avevano una lunga Mercedes nera, ma il signor Donegani non poteva più guidare e la moglie, patentata solo da pochi anni, preferiva i veicoli piccoli, tanto che i coniugi avevano venduto l’auto precedente per acquistare l’utilitaria Renault che da quattordici giorni è ferma in garage. Del resto, gli accertamenti effettuati dall’Interpol hanno fugato i dubbi: in quell’hotel segnalato dai due fiorentini non risulta alcun cliente a nome Donegani. Pista morta. NUOVO VERTICE. Ma gli investigatori non mollano. Ieri, in Procura, si è svolto un nuovo vertice, per fare il punto della situazione e definire meglio il piano di lavoro dei prossimi giorni. Attorno al tavolo del Procuratore capo, Giancarlo Tarquini, si sono riuniti i pm Paola Reggiani e Alberto Rossi; i vertici bresciani dell’Arma, il funzionario del Corpo forestale, Gualtiero Stolfini, ufficiali della Gdf. Al termine dell’incontro, il procuratore Tarquini ha dichiarato ai cronisti: «Le indagini proseguono in tutte le direzioni. Stiamo facendo ogni tentativo in nostro potere per fare chiarezza sulla vicenda. Le nostre ipotesi poggiano ovviamente sul criterio della concretezza, e passano necessariamente anche per l’esclusione delle notizie - allo stato tutte infondate - che giungono in queste ore e che in simili casi non mancano mai. Ci muoviamo sulla base della concretezza di ricerche obiettive e fatti di analisi importanti. Il ventaglio di ipotesi è tutto aperto. Ma abbiamo delle idee sulla credibilità di ciascuna». RICERCHE CONCLUSE. Se quella di queste ore viene definita da Tarquini come «la fase investigativa di massima intensità», si è conclusa ieri la battuta di ricerca nei boschi e lungo gli argini del fiume Mella. «Riteniamo concluso il nostro compito - afferma infatti il vice questore Gualtiero Stolfini - dopo aver appurato che in tutta la zona a noi affidata non c’è traccia del passaggio dei coniugi scomparsi». I 40 volontari - tra cui 30 conduttori di unità cinofile - e la decina di forestali dopo aver battuto ieri il lungo Mella e i Campiani hanno concluso la loro opera. DI NUOVO IN CASERMA. Chi non ha concluso lo sfibrante va e vieni dalla caserma di piazza Tebaldo Brusato è Guglielmo Gatti, il nipote dei coniugi scomparsi che ha dato l’allarme ed è considerato teste chiave della vicenda. Uscito di casa attorno alle 18 e scortato dai carabinieri fino in centro, è stato chiamato a quanto pare per essere nuovamente sentito: da lui gli inquirenti si aspettavano precisazioni e nuovi dettagli a seguito del vertice mattutino. IL SEBINO. Compatibile con gli elementi acquisiti pare essere la pista sebina. Forse i coniugi Donegani sono andati al lago d’Iseo, in bus e in treno, per poi sparire, chissà come. Ma per ora è solo una delle innumerevoli ipotesi al vaglio. Tante. Forse persino troppe attorno ad un giallo, quello di via Ugolini, che pare senza fine. Gianluca Gallinari
• L’alfabero del giallo. Giornale di Brescia 13/08/2005. Aldo: il signor Donegani ha 77 anni, un passato da disegnatore meccanico modellista. Esperienze di lavoro all’estero, in Germania, alla Bmw, a quanto riferiscono conoscenti, e in Francia, alla Citroen. Un’officina in proprio in città, tanti anni di lavoro alla Bassi di via Triumplina, qualche consulenza da pensionato. Parla perfettamente tedesco e francese. In molti lo descrivono come un tipo «sanguigno», che si infervora, specie quando si parla di politica. Per il resto è riservato, parla volentieri con tutti, poco delle proprie cose. Ama il ballo, colleziona pistole (ma non spara), trascorre le sue giornate con la moglie, dalla quale è considerato inseparabile. Banca: gli accertamenti bancari sono di quelli da cui ci si aspetta qualche margine di certezza. Se, come pare, non ci sono stati movimenti dal conto corrente dei coniugi, è difficile credere ad una vacanza o ad una rapina. Ma se i Donegani fossero soliti pagare, ad esempio, il soggiorno in hotel con carta di credito, chissà che l’addebito non scatti solo alla fine dell’eventuale - improbabile - vacanza o comunque a fine mese. Case: sono due quelle al centro della vicenda, entrambe perquisite e riperquisite. La villetta di via Ugolini, al piano terra della quale abitano gli scomparsi, e l’appartamento all’Aprica, di proprietà di Guglielmo Gatti, il nipote che a Brescia vive un piano sopra i Donegani. E nell’appartamento di Aldo e Luisa tutto è in ordine. Donegani/De Leo: due cognomi, due provenienze geografiche diverse, due matrimoni alle spalle. Il Donegani perde la prima moglie, Anita, circa vent’anni fa. Poi qualche tempo dopo conosce Luisa, una De Leo, nome che rivela l’origine da Terlizzi (Bari), divorziata dal primo marito. Escursioni: sono quelle che marito e moglie sono soliti fare nella zona circostante l’abitazione, tra S. Anna e Cellatica. Non solo. Amano i pic-nic anche sul lago d’Iseo, sulle sue rive come nella pineta della S’ciana a Provaglio, dove hanno amici. Il martedì successivo alla loro scomparsa avevano in programma un’escursione in montagna con il nipote giunto dalle Marche. Fantasina: è la prima zona in cui si concentrano le ricerche. Ma «F» sta anche per «Funtanù», quel pantano che viene svuotato e dragato durante le ricerche; o «ferrovia», quella che collega il lago d’Iseo alla città, su cui forse potrebbero essere saliti i coniugi prima di sparire. Guglielmo Gatti: è il nipote che per primo annuncia la scomparsa, ai carabinieri e alle telecamere. dopo la sua segnalazione che si intensificano le ricerche, è lui che giorno dopo giorno viene condotto al Comando dei carabinieri e sentito, anche per undici ore consecutive. ritenuto il teste chiave: lui, 41 anni, vive sopra la coppia scomparsa, è forse il parente che conosce meglio i due coniugi. Figlio di una sorella, Maria Rosa, di Aldo Donegani, pare non abbia una professione, ma si dedichi allo studio. riservato, colto, i vicini quasi non lo conoscono. I media lo assediano, eppure è sempre garbato, quasi impassibile. Hotel: il Beaurivage Residence Hotel di San Benedetto del Tronto è la meta abituale delle ferie estive dei due coniugi. Ci vanno sempre, con amici, si fermano quest’anno dal 3 al 24 luglio. Quando spariscono, perciò, sono appena tornati dal mare, una settimana esatta. Cosa che rende improbabile, a detta di chi li conosce bene, una vacanza a sorpresa. Inchiesta: se la segnalazione dell’assenza ingiustificata risale al 1° agosto, e la denuncia formale di scomparsa alle prime ore del martedì 2, l’inchiesta entra nel vivo il giorno 4. A coordinarla, sotto l’egida del Procuratore capo Giancarlo Tarquini, si succedono tre magistrati. Dapprima Claudia Moregola, poi Paola Reggiani e Alberto Rossi. Sul campo operano i Carabinieri coordinati dal magg. Marco Riscaldati. Ma in azione entrano anche Vigili del fuoco, Guardia di finanza, Corpo forestale e volontari di protezione civile. Luisa: la signora De Leo ha 61 anni. Tutti la descrivono come un tipo gioviale, esuberante, sempre allegra ed espansiva, amante della compagnia e del ballo. un’ottima donna di casa: i vicini ne parlano come di una cuoca eccellente, abile con ago e filo, con un appartamento sempre in perfetto ordine. Macchina fotografica: mancherebbe all’appello. Il condizionale è d’obbligo, perchè sulla questione ci sono voci discordanti. Il rullino delle foto appena scattate al mare non viene consegnato come sempre al fotografo di fiducia. In casa sarebbe stata rinvenuta al posto della piccola automatica compatta una Polaroid della cui esistenza nessuno degli amici sembra essere a conscenza. Esisterà davvero? Nipoti: sono due quelli che ruotano attorno alla vicenda. Oltre al Gatti, c’è Luciano De Leo, nipote della signora Luisa, che dalle Marche giunge a Brescia il 1° agosto. Suona il campanello, ma nessuno apre: eppure erano d’accordo, sarebbe giunto quel lunedì per una settimana di ferie a Brescia, assieme a moglie e figlio. un appuntato dei carabinieri e davanti all’assenza ingiustificata sembra subito agitarsi, perchè capisce che qualcosa non va. Oratorio: parte del suo tempo la signora Luisa lo dedica all’oratorio di S. Antonio: tiene aperto il bar. Manca un turno, l’ultimo, quello del 4 agosto, senza motivo . Mai accaduto. l’ennesimo campanello d’allarme, proprio nel giorno in cui scattano le prime ricerche a largo raggio. Pistole: è un giallo nel giallo. Tre armi di una collezione di cinque, mancano da casa. Risultano denunciate, eppure non si trovano. Poi i documenti saltano fuori: due di esse sono state vendute, e probabilmente anche la terza è stata ceduta ad altri collezionisti. Donegani le ammira sotto il profilo tecnico, ma agli amici assicura di non aver mai sparato un colpo, pur essendo in possesso di regolare porto d’armi. Quartiere: quello di S. Anna, sotto pressione. Da un lato per la naturale preoccupazione, per lo stupore di assistere ad un evento che lascia con il fiato sospeso proprio sull’uscio di casa. Dall’altro perchè catapultato in un vortice mediatico di livello nazionale, e coinvolto in un fatto di cronaca di quelli che restano negli annali. Ricerche: frenetiche, massicce, ma senza esito. Unità cinofile, Vigili del fuoco, personale della Forestale, Carabinieri, volontari. Uomini e mezzi rivoltano mezza periferia, i campi, il verde, i colli, i sentieri, un pantano, le rive del Mella. Ma dei Donegani, non c’è traccia. «R» è anche Renault, quella piccola utilitaria che resta in garage e la cui presenza alimenta molti degli interrogativi. Se non ci fosse stata la Clio nera, l’ipotesi del viaggio, della vacanza, dell’allontanamento - per poco o per tanto - ma presumibilmente volontario risulterebbe più lineare. Invece le chiavi sono lì, nel cruscotto, come se su quell’auto si contasse di risalire dopo una manciata di minuti. Scientifica: gli investigatori dell’Arma entrano negli ambienti della villetta e poi della casa dell’Aprica armati di strumenti sofisticati. Luminol e Crimescope non sembrano evidenziare tracce ematiche o resti organici tali da far pensare ad un evento traumatico o, peggio, delittuoso. La Sezione investigazioni scientifiche va e torna da via Ugolini, tre volte. Poi risale la Valcamonica e giunge all’Aprica. Alcuni reperti vanno a Parma, al Ris. Gli esiti delle analisi sono attesi a breve. Ma «S» val pure Sebino, il lago d’Iseo, dove forse i coniugi si recano nel pomeriggio dopo l’ultimo avvistamento. O dentro il quale i più scoraggiati dei conoscenti dicono possano giacere immobili i cadaveri di marito e moglie. Telefono: è il cellulare della coppia. Lo si cerca affannosamente, sembra sparito, poi è ritrovato con la batteria scarica in un cassetto. Marito e moglie lo hanno ricevuto in dono dall’amico Ferruccio a Natale, ma lo usano pochissimo, non sono pratici, escono sempre senza. Quale sia l’ultima telefonata effettuata o ricevuta non si sa. Proprio la lettera «T» evoca anche i «tabulati», quelli del numero fisso dei Donegani: che qualche chiamata sia arrivata loro poco prima della scomparsa? Un appuntamento? Non si sa. Gli inquirenti non parlano. Ugolini: è la via del giallo. Deve il nome al botanico Ugolino Ugolini, professore di scienze naturali, nato a Macerata nel 1856, e già insegnante a Padova. Si trasferì a Brescia ai primi del Novecento. Qui ebbe otto figli, alcuni dei cui discendenti ancora vivono in città. Morì nel 1942 in una casa ai piedi del Cidneo. Due file ordinate di villette, un paio di palazzine, tanto verde e i campi che si aprono sul fondo. E un mistero che forse proprio, lì, nella via, ha la sua risposta invisibile. Valigie: è l’ultimo mistero nel mistero. Le valigie che ci sono, no anzi, mancano, o meglio, forse ne manca una. Le informazioni trapelano a fatica, le verifiche sono spesso impossibili o solo parziali. Ma l’assenza delle valigie, ammesso che sia tale, potrebbe aprire nuovi scenari. Come quelli di un viaggio imprevisto. O di un allontanamento programmato. «V», inoltre, come vicini, testimoni inconsapevoli, preziosi per accertare quando siano spariti i coniugi e per saperne di più di loro. Gli inquirenti li sentono più volte, per cercare di far quadrare i tasselli di un mosaico che pare proprio privo di forma. Zero: zero telefonate, zero notizie, zero certezze, zero novità, zero risposte. Insomma, zero tracce dei coniugi scomparsi. Gianluca Gallinari
• Due settimane e non una certezza. Giornale di Brescia 14/08/2005. Due settimane e non una sola certezza. Tante ipotesi al vaglio, e un rompicapo che non pare offrire alcun appiglio agli inquirenti. Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, sembrano volatilizzati. Spariti nel nulla. Non passa giorno senza che, nel quadro già oscuro della vicenda, si innestino nuovi misteri: il giallo delle pistole prima, poi sfumato, quindi quello delle valigie che mancherebbero, assieme a parte degli indumenti. E frattanto gli inquirenti tornano a far domande al nipote della coppia sparita, Guglielmo Gatti. Per ore. FUGA O VACANZA. Se l’assenza delle valigie - o di una di esse - fosse vera, potrebbe prendere corpo l’ipotesi della vacanza. O di una «fuga», sull’onda magari di quella battuta: «Pensa se andassimo lontano senza dire nulla, chissà i giornali...». Difficile, però. Gli inquirenti non sembrano sapere con esattezza cosa ci fosse negli armadi prima della scomparsa. Quante valigie, quanti abiti. Chi conosce con esattezza il guardaroba di un parente, o peggio ancora, di un amico? Poche insomma anche le indicazioni che possono venire da chi conosceva la coppia. Senza contare che ci sono altri pesanti elementi che porterebbero ad escludere l’allontanamento per una vacanza improvvisata. Il frigo è pieno di yogurt, deperibile. Le spese fatte al mattino di sabato 30 luglio sono le solite, non quelle di chi sta per partire. E ancora: perchè l’auto, quella con cui abitualmente marito e moglie andavano al mare, resta in garage, le chiavi nel quadro, il motore spento? Non sarebbe stato più comodo per i due Donegani, se «armati» di bagagli, montare in macchina per allontanarsi? E pure: c’è l’appuntamento per il lunedì al nipote appuntato, che sale appositamente dalle Marche, c’è il turno all’oratorio, c’è l’incontro fissato con l’amico Ferruccio. Ma gli inquirenti - l’ha ribadito il Procuratore Giancarlo Tarquini - non scartano nessuna ipotesi. Non quella della vacanza non preannunciata - cui gli amici della coppia però non credono affatto - nè tantomeno quella della «fuga», per chissà quali motivi. A suffragarle c’è davvero poco: oltre alla presunta assenza delle valigie, quella delle carte d’identità, che però i due avrebbero potuto portare con sè, al solito, nel portafogli o in borsetta, per una passeggiata o due spese. PROBLEMI DI SALUTE? Qualcuno racconta: «Recentemente avevo chiesto alla signora Luisa come stesse Aldo. La risposta mi lasciò perplesso: "Non molto bene". Poi si allontanò». E c’è chi assicura di aver incrociato il signor Aldo all’uscita dal medico. Con un viso tirato, mesto come non mai. Che l’esito di un esame clinico abbia spinto l’uomo e la moglie a scelte improvvise? Un’ipotesi nella miriade. Come tutte da verificare. SEI ORE DI DOMANDE. Intanto come detto, i carabinieri lavorano. L’altra sera hanno sentito per l’ennesima volta il nipote della coppia di via Ugolini. Sei ore di interrogatorio, dalle 18 all’una meno dieci, quando Guglielmo Gatti ha lasciato la caserma di piazza Tebaldo Brusato. Un faccia a faccia con gli inquirenti dettato dalla necessità di verificare alcune informazioni dopo il vertice dell’altroieri tra militari e magistrati. LA VIA SEBINA. Resta da vagliare l’ipotesi «sebina»: quella cioè di una gita al lago d’Iseo finita male. Con un incidente o peggio. Un’escursione in treno (due i convogli per Provaglio e Iseo, alle 14.20 e alle 16.30) e poi una misteriosa sparizione, ma in terra sebina. La pista «iseana» sembra compatibile, ma le ricerche non sarebbero estese al lago. IN BUS. Sarebbe interessante, al riguardo, verificare se i due coniugi abbiano preso un bus della linea 2 di Brescia Trasporti per la Stazione: se i Donegani fossero stati in possesso di abbonamento con tessera «Omnibus» (nominale), il sistema di rilevazione «contactless» dovrebbe aver registrato la loro salita. E una ricerca - secondo gli addetti ai lavori complessa ma possibile - potrebbe consentire di rinvenire loro tracce. TREGUA. Nuova tregua ieri in via Ugolini: nulla si è mosso nel corso della giornata, mentre l’attività è parsa frenetica come ormai da giorni al Comando provinciale dell’Arma. Gli uomini del Reparto operativo hanno fatto il punto. Sospese invece le ricerche di Forestale e volontari: l’area in cui si presumeva potessero trovarsi i Donegani è stata perlustrata senza esito. Ora si attendono elementi più precisi prima di avviarne di nuove. E dopo ormai 15 giorni, alla vigilia di Ferragosto, il giallo resta privo di soluzione. Gianluca Gallinari
• Quiete irreale in via Ugolini. Giornale di Brescia 15/08/2005. In via Ugolini è tornata la quiete. Una quiete che per dieci giorni è sembrata solo un ricordo, tanto l’apprensione e il continuo via vai di carabinieri e media aveva stravolto la normalità. Ormai la strada è sgombra, il Ferragosto ha svuotato le case, e il silenzio nel pomeriggio domenicale sembra avvolgere il mistero che aleggia proprio lì al civico 15. Su porte e finestre della villetta di Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61, restano i sigilli apposti dagli inquirenti. Dalla scomparsa della coppia, tuttora senza spiegazione, sono ormai trascorse più di due settimane. Tra indagini e ricerche, attese e ansie. Ecco le tappe della vicenda, iniziata il 30 luglio. Sabato 30 luglio. I coniugi Donegani la mattina fanno le solite spese, telefonano al nipote delle Marche per gli accordi prima del suo arrivo, il lunedì. Vengono visti l’ultima volta nel primo pomeriggio. Poi più nulla. Domenica 31 luglio. Qualcuno dice di aver visto la coppia - o il solo signor Donegani - a Messa, a S. Antonio. Ma gli inquirenti non ritengono che si tratti di testimonianze attendibili. Una cosa è certa, invece: assieme ad amici i due coniugi dovevano recarsi a Castrezzato per la celebrazione officiata da don Mario Stoppani, l’ex parroco. Ma non si vedono. Idem la sera, quando mancano l’appuntamento a casa di un amico. Lunedì 1 agosto. Scatta l’allarme. Il nipote Luciano De Leo, appuntato dei Cc a Castelfidardo (An) giunge a Brescia e suona il campanello di via Ugolini 15: nessuna risposta. Chiama l’altro nipote, Guglielmo Gatti, 41 anni, che vive al piano superiore della villetta. I due chiamano Vigili del fuoco e carabinieri: pensano ad una disgrazia. Ma quando militari e Vvf entrano, la casa è vuota e in ordine. Il telefonino della coppia è muto. Martedì 2 agosto. La mattina il nipote Guglielmo formalizza la denuncia di scomparsa alla stazione dei carabinieri di S. Faustino. Mercoledì 3 agosto. Si cerca il cellulare: che risulta assente dai ripetitori di tutta Italia. Come inesistente. Giovedì 4 agosto. Il nipote Guglielmo Gatti lancia l’appello in tv, sperando che qualcuno abbia visto gli zii. Venerdì 5 agosto. Partono le ricerche. Dopo alcuni sopralluoghi sui sentieri della zona, in via Ugolini arriva la Scientifica dell’Arma, perquisisce da cima a fondo la villetta, cerca tracce di sangue e elementi organici ma niente. Il nipote Guglielmo, viene sentito per la prima volta dai carabinieri. Per quattro ore. Sabato 6 agosto. Vertice in Procura. Seguono sopralluoghi in via Ugolini, dove giungono anche i magistrati Paola Reggiani e Claudia Moregola e al «Funtanù», un pantano vicino alla Badia che i Vigili del fuoco dragano completamente. Il nipote è sentito di nuovo. Per 11 ore. Domenica 7 agosto. La Scientifica assieme a Guglielmo Gatti sale all’Aprica, dove viene perquisito l’appartamento di via Italia, di proprietà del 41enne. Senza esito. Lunedì 8 agosto. Nuovo vertice tra militari e magistrati in Procura. Poi gli inquirenti - il Procuratore capo Giancarlo Tarquini in testa - effettuano due «blitz»: uno al «Funtanù», in cui i Vvf concludono la capillare attività di ricerca; l’altro alla villetta di via Ugolini: i militari della Scientifica li seguono a breve e riprendono le perquisizioni. Sotto la lente pure i tombini e il cantiere della casa accanto. Martedì 9 agosto. il giorno delle pistole. Ci sarebbero tre revolver spariti da casa Donegani. Dove sono? I Cc varcano ancora la soglia della villetta in forze. I cani che lavorano sui sentieri da giorni trovano dei brandelli di abiti: si scava in Val Bresciana, ma senza esito. Mercoledì 10 agosto. Le battute di ricerca si intensificano, coordinate dalla Forestale. La Scientifica torna in azione. Giovedì 11 agosto. Si chiarisce il giallo delle armi: almeno due sono state vendute. Spunta la «pista sebina»: l’ipotesi di una gita al lago finita male. Venerdì 12 agosto. Piovono segnalazioni di avvistamento da tutta Italia. La più clamorosa, subito cassata, addirittura dall’Ungheria. Ma nessuna appare attendibile. Nuovo giallo: mancano le valigie? In mattinata si tiene un vertice in Procura, a seguito del quale Guglielmo Gatti viene nuovamente sentito per 6 ore. Sabato 13 agosto. Le ipotesi si susseguono, le indagini proseguono. Domenica 14 agosto (ieri). Don Faustino Pari, al termine della celebrazione delle 10, nella Parrocchiale di S. Antonio, invita i fedeli: «Pregate per Aldo e Luisa». Gianluca Gallinari
• Ricerche in Val di Scalve. Giornale di Brescia 17/08/2005. Un giallo «rompicapo», un mistero che, col trascorrere delle ore, si fa sempre più fitto. E il silenzio attanaglia quella scomparsa che vanta tutti gli elementi del giallo con la «gi» maiuscola, quella storia che lascia aperte tutte le ipotesi. Ma si continua a scavare, senza sosta, ad allungare gli occhi un po’ ovunque, in qualsiasi direzione. E oggi si cercano tracce nella Bergamasca, in Val di Scalve dove forse i due coniugi avevano organizzato un’escursione. Al setaccio, da questa mattina, la Protezione civile e gli uomini del Corpo Forestale passeranno la parte alta della Valle di Scalve, dalla Strada statale 294 del Passo del Vivione sino alla Via Mala, sul confine camuno. Ma facciamo un passo indietro. A diciotto giorni dalla scomparsa di Aldo Donegani - 77 anni - e della moglie sessantunenne Luisa De Leo, gli investigatori stanno battendo varie piste. In realtà si scava a 360 gradi per racimolare un qualsiasi indizio che permetta di ingranare la quinta nell’una piuttosto che nell’altra direzione. Le piste? Sulla scorta di quei pochi elementi in mano ai carabinieri del Reparto operativo di Brescia ed alla Procura non si può archiviare alcuna ipotesi, dalla fuga volontaria (che, giorno dopo giorno, pare comunque perdere di credito) all’incidente, dal gesto estremo all’omicidio. Ieri in Procura nuovo - ennesimo - vertice degli investigatori. Evidentemente per fare il punto della situazione e per pianificare ulteriori accertamenti e ricerche che prenderanno avvio già in queste ore, persino nella Bergamasca. Perché occorre trovare almeno una traccia dei coniugi Donegani, passando al setaccio anche quelle località che i due bresciani erano soliti raggiungere durante le vacanze estive o dove più semplicemente avrebbero potuto approdare per una gita «fuori porta». In testa quindi il lago d’Iseo e la Valcamonica, facilmente raggiungibili dalla città anche in treno. Ma nel mirino degli inquirenti è finita anche l’orobica Val di Scalve. La quale sarà passata alla lente d’ingrandimento dall’alba di oggi dalle squadre di soccorso bresciane con la collaborazione della Forestale di Vilminore di Scalve. Si tratta di una vera e propria operazione di «setaccio», un po’ come accaduto nei giorni scorsi nel Bresciano, ossia ai Campiani, al Santellone, al Parco delle Colline e nei boschi e nei campi di Cellatica, Gussago e Ome. Insomma, è buio fitto attorno alla scomparsa dei coniugi Donegani e gli investigatori sono costretti a passare al setaccio ogni piccolissimo indizio, ogni voce che proviene anche da via Ugolini. E mentre si cerca sul territorio, parallelamente si continua a scavare nella vita e nel passato recente dei due bresciani. Partendo da quegli appuntamenti ai quali i Donegani non si sono mai presentati. Nel frattempo il parroco di S. Antonio ha invitato a pregare per la coppia, «perché il nostro pensiero è sempre rivolto a loro, soprattutto in questo momento di grande incertezza».
• Il ritrovamento. Giornale di Brescia 18/08/2005. La scoperta è davvero macabra. Ancor più agghiacciante se si pensa che quel fazzoletto di silenzioso bosco è costellato di resti umani, «piovuti» dal cielo. E ancor più terribile se si pensa ad Aldo Donegani - 77 anni - e alla moglie sessantunenne Luisa... improvvisamente spariti da casa, da Brescia, e ritrovati, quasi tre settimane dopo, in quella scarpata «fuori dal mondo». Lontano, lontanissimo dalla città, dalla vita frenetica, da occhi indiscreti... ritrovati lassù, sotto un sole che fa salire il termometro a 27 gradi e in un silenzio che ha dell’irreale, che ti fa gelare il sangue nelle vene. Ancor più se gli occhi sono puntati dritti su quel bosco che restituisce, minuto dopo minuto, passo dopo passo, due corpi umani. Avvolti in un silenzio di tomba, fra quei monti che chissà quante volte Aldo Donegani e Luisa De Leo avevano lasciato sotto i loro piedi. Ma anche gli investigatori erano già approdati tra la Val Saviore e la Val di Scalve, evidentemente sulla scorta di indizi precisi. «Le ricerche nella zona del passo Vivione - racconta il vice questore aggiunto della Forestale, Gualtiero Stolfini - sono iniziate con un sopralluogo già sabato, su incarico del procuratore generale di Brescia. Con l’ispettore Tomagra, a bordo di un’auto civile e in abiti borghesi - come turisti - abbiamo percorso la zona compresa tra la Val di Scalve e la Valcamonica, individuando le zone in cui, con minor difficoltà, qualcuno avrebbe potuto nascondere i corpi dei coniugi bresciani». Cadaveri? Già, «perché avevamo la certezza che la vicenda non avrebbe avuto un lieto fine - prosegue il funzionario del Corpo forestale dello Stato -. Sabato - vista la conformazione del territorio - non abbiamo potuto compiere controlli approfonditi. Siamo tornati martedì in elicottero e abbiamo provato a compiere dall’alto quello che non ci era riuscito via terra. Ma il forte vento ha impedito la ricognizione, costringendoci a far ritorno alla base. A quel punto abbiamo organizzato - su indicazione del procuratore di Brescia - le ricerche di oggi (di ieri mattina - ndr), con ritrovo dei 60 uomini alle 6.30 a Forno d’Allione». Marco Bonari
• Uccisi e fatti a pezzi la scarpata restituisce l’orrore. Giornale di Brescia 18/08/2005. Orrore. Uccisi, fatti a pezzi, infilati in sacchetti di plastica e scaraventati in un dirupo, a cento chilometri scarsi da Brescia. I resti di Aldo Donegani e Luisa De Leo - i due coniugi di Sant’Anna scomparsi da casa il 30 luglio scorso - «spuntano» tra le pietraie e i boschi di larici del passo del Vivione, in quel lembo di terra - a 1.600 metri - tra la Valcamonica e l’orobica Val di Scalve. Il canalone degli orrori è lassù. E il giallo - di quelli con la gi maiuscola - dei Donegani si «risolve» attorno a quei sacchi neri dell’immondizia che hanno del macabro, dell’agghiacciante. A quei cadaveri barbaramente mutilati, a quei resti umani disseminati in un raggio di 150 metri, in quel triangolo di montagna all’ombra della striscia d’asfalto che, ormai in terra bergamasca, scende a Schilpario. Il cerchio si chiude nella soleggiata mattinata. Perché quel che rimane dei due corpi - all’appello mancano ancora le due teste e il busto della donna - è già sotto gli occhi degli investigatori bresciani, a fronte di quella zona impervia passata alla lente d’ingrandimento, rivoltata come un guanto. E pure la presunta arma del delitto - un paio di cesoie, grosse forbici solitamente utilizzate per il giardinaggio - viene restituita dal bosco, un chilometro più sotto, lungo i tornanti della provinciale 294 che s’infila, come un cuneo, lungo la valle di Paisco per poi attraversare la valletta del torrente Sellero. E c’è pure - scaraventata tra i rododendri - la borsa della spesa, quegli alimenti acquistati dai coniugi Donegani quel famigerato sabato mattina in città, in un supermercato non lontano dalla villetta di via Ugolini. Ma andiamo con ordine. Gli occhi sono puntati tutti su quella montagna, già da qualche giorno. Le ricerche scattano a buon ora: in pista gli uomini del Soccorso alpino, la Forestale, la Protezione civile con le unità cinofile. Sei le squadre che già alle 8 sono in azione nella parte alta della valle, sulla «testa» degli abitati di Paisco e Loveno, sul versante bergamasco. Il bosco, i suoi canaloni e le pareti rocciose sono divise in settori: è assolutamente necessario passarle palmo a palmo, senza tralasciare nulla. Perché la Procura di Brescia - in testa il procuratore capo Giancarlo Tarquini e il pm Paola Reggiani - vogliono vederci chiaro e capire quindi se la pista camuna è quella giusta. Alle 9, minuto più, minuto meno, la svolta. Nella zona «d2» c’è qualcosa di strano, di tremendamente «significativo». Si respira un forte olezzo e involucri neri - da lontano parrebbero grosse pietre adagiate sulla lingua del dirupo - saltano ben presto all’occhio. Lembi di plastica sventolano su alcuni rami, sotto la strada che sta per sparire dietro il passo del Vivione. Gli uomini del Soccorso alpino - coordinati da Valerio Zani - si calano e s’imbattono in un primo sacco da cui sembra spuntare un piede. Ma i sacchetti - per capirci si tratta di quelli comunemente utilizzati per i rifiuti - non si contano nemmeno tutti lungo un fronte di almeno 150 metri. Sono sette, otto. Contengono resti umani. Non c’è alcun dubbio. In realtà altri involucri neri vengono trovati vuoti, strappati... il loro orribile contenuto è finito più a valle. Catapultato laggiù dopo il volo dalla strada; già, perché gli inquirenti ipotizzano che i cadaveri dei coniugi Donegani siano stati gettati, una volta denudati e straziati, nel dirupo direttamente dalla provinciale. Ma poi in una grotta a monte del serpentone d’asfalto vengono addocchiati altri sacchetti di plastica... potrebbero essere «estranei» a quel feroce delitto. I carabinieri del Reparto operativo e della Scientifica sono già in strada... e c’è pure il Ris di Parma. Ma non finisce qui. Perché più a valle, lungo la striscia d’asfalto nei pressi del ponticello sul Sellero, «spuntano» un paio di cesoie, una con il manico blu, l’altra verde. Sono gli uomini del gruppo Soccorso Sebino - coordinati da Remo Bonetti - a recuperare le due lame tra il rigoglioso sottobosco: entrambe nuove, una apparentemente inutilizzata, l’altra invece con tracce scure. Forse sangue. l’arma del delitto? E mentre lassù il Soccorso alpino rastrella e recupera, a gran fatica, quei resti umani (è lo stesso procuratore Tarquini, attorno alle 13, ad autorizzare la rimozione dopo una ricognizione con l’elicottero della Forestale), non lontano la Protezione civile ritrova anche la borsa della spesa. Tutto fa pensare agli acquisti dei Donegani di sabato mattina a Brescia: lo scontrino fiscale parlerebbe chiaro, così come alcune confezioni di verdura con il bollino recante la data del 30 luglio. Per il macabro inventario è solo questione di ore, sotto gli occhi impietriti degli investigatori che si trovano di fronte ad un duplice omicidio in grande stile. Sull’appartenenza di quei resti umani alla coppia bresciana non sembra esserci alcun dubbio. Certo, mancano ancora le due teste, finite chissà dove, magari trascinate lontano dagli animali. Alle 14.40 i carri funebri con quel che rimane dei due corpi in avanzato stato di decomposizione (la morte potrebbe risalire a venti giorni fa) si lasciano alle spalle, frettolosamente, il borgo di Loveno. Destinazione? L’Istituto di medicina legale di Brescia. Dove l’autopsia dovrà fornire molte risposte: a quando il decesso? Come è stata ammazzata la coppia? Forse una pistolettata? E quale il ruolo delle cesoie in questa sequenza di sangue e orrore che fa accapponare la pelle? Marco Bonari
• Tra le valli Camonica e di Scalve il bosco dei misteri. Giornale di Brescia 18/08/2005. Lo scenario è da girone infernale. Facile, anzi quasi scontato etichettare quel lembo di montagna che fa capolino alla nostra provincia come il canalone dell’orrore. Un muro di roccia, a picco sotto i piedi della strada per almeno 400 metri; un terrazzone naturale, baluardo della Val di Scalve, che s’affaccia sul gruppo dell’Adamello (in linea d’aria ad un tiro di schioppo). là, in terra pressoché camuna, il «cimitero del mistero» attorno a cui aleggiano ancora molti, troppi interrogativi da rompicapo. Evidentemente anche la zona ha avuto il suo ruolo, la sua importanza, perché l’assassino ha dimostrato di conoscere piuttosto bene la vecchia statale 294 che sale al passo del Vivione. Quella carrabile tortuosa, piena di curve, stretta... in molti punti non supera affatto i tre metri, come fanno notare gli agenti della Polizia provinciale che di buon ora si lasciano alle spalle il bivio di Forno d’Allione per «arrampicarsi» lungo quei diciassette, diciotto chilometri d’asfalto nel cuore della valle di Paisco che a 1.400 metri incontra la valletta del Sellero, confine naturale tra la nostra provincia e quella bergamasca. Ma ripercorriamo la strada dell’omicida, sempre che l’assassino sia salito fin lassù, quasi al Vivione, percorrendo la Valcamonica e non la Val di Scalve da Bergamo, Clusone e Schilpario. A Forno d’Allione (lungo la statale del Tonale, tra i comuni di Cedegolo e Berzo Demo) inizia la salita, quella che oggi è la provinciale numero 294. Una manciata di tornanti per vincere il dislivello e Paisco (altitudine 850 metri) è già alle porte, ma occorre puntare il muso dell’auto a nord, verso le frazioni di Grumello e Loveno... ora i 1.200 metri sono superati. Ma la strada in mezzo ai boschi prima di castagni, poi di betulle e conifere è ancora lunga, pare infinita. La baita Capriolo è già un ricordo, come la sbarra che d’inverno - a neve caduta - s’abbassa e di fatto chiude il passo. I minuti s’archiviano celermente, ancora si arranca sul serpentone d’asfalto tenendo un occhio sulle insidiose curve e un orecchio sulle acque del Sellero che a 1.600 metri regala una delle più belle cascate della Lombardia. Il confine orobico è ormai «violato», ma per approdare al bosco degli orrori occorre salire ancora, due o tre chilometri prima di arrivare in quota (tra i 1.600 ed i 1.700 metri) e scollinare. E lì l’assassino ha piazzato l’ultima sequenza di quella carneficina. Marco Bonari
• Il nipote fermato per duplice omicidio. Giornale di Brescia 18/08/2005. Duplice omicidio, aggravato dai futili motivi. E da ultimo l’occultamento dei due cadaveri e il vilipendio sugli stessi. Sono queste le ipotesi di reato per le quali è ufficialmente indagato da ieri sera Guglielmo Gatti, 41 anni, il nipote dei coniugi Donegani, quegli zii che proprio lui, nella ricostruzione della Procura, avrebbe prima ucciso e quindi fatto a pezzi. Circostanza che ha spinto gli inquirenti a disporre da un lato il fermo d’indiziato dell’uomo, dall’altro la custodia cautelare in carcere. LA GIORNATA. Il fermo è scattato solo al termine dell’interrogatorio con cui si è chiusa una giornata lunghissima, estenuante. Per gli inquirenti, come per il Gatti. I carabinieri lo hanno infatti prelevato da casa che erano circa le 10 di mattina. In borghese, su un’auto civetta del Reparto operativo, lo hanno condotto alla caserma Masotti di piazza Tebaldo Brusato, sede del Comando provinciale dei Carabinieri. Poi, un’attesa di ore. Un’anticamera giustificata, fino al momento dell’interrogatorio, con la necessaria presenza di un nuovo faccia a faccia con gli inquirenti per quella che era ancora considerata formalmente una «persona informata dei fatti». DAL VIVIONE. Che tutti i sospetti degli investigatori convergessero sulla figura del «nipote del piano di sopra» era chiaro fin dalla mattinata: troppo stretto il nesso tra il rinvenimento dei resti dei coniugi e la improvvisa convocazione dell’uomo in caserma. Il procuratore capo, Giancarlo Tarquini, il sostituto procuratore Paola Reggiani, assieme al comandante provinciale dei Carabinieri, Rosario Calì, e al comandante del Reparto operativo, Mauro Valentini, di ritorno dal sopralluogo al passo del Vivione, del resto, sono andati direttamente in piazza Tebaldo Brusato. RIS IN AZIONE. Assieme a loro è arrivato anche il comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano: al Reparto investigazioni scientifiche era stata già affidata l’analisi di alcuni reperti, e ora è stato dato il compito di effettuare nuove verifiche nell’appartamento del fermato, posto sotto sequestro. Gli uomini del Ris hanno varcato già ieri sera la soglia della casa al piano superiore della villetta, uscendone con un sacco bianco. INTERROGATORIO. L’interrogatorio di Guglielmo Gatti è iniziato attorno alle 17.45. Alle 19.30, quando Luca Broli, il legale nominato d’ufficio, ha lasciato la caserma Masotti, il 41enne era già indagato. E in stato di fermo. L’AVVOCATO. «Il mio assistito si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti, ritenendo di non aver nulla da aggiungere a quanto dichiarato nel corso dei precedenti interrogatori. Ossia - ha precisato Broli - ha confermato la sua completa estraneità alla vicenda, già più volte ribadita». Al legale, che ha potuto vedere il Gatti solo pochi minuti, e al quale è stato imposto anche il divieto di conferire con l’assistito per i prossimi cinque giorni (quando l’udienza di convalida è prevista per venerdì), il 41enne è parso «sereno, tranquillo e disponibile». IN CARCERE. Certo, più provato, appariva il volto del Gatti quando, attorno alle 20.10, è stato trasferito dal Comando di piazza Tebaldo Brusato. Di lì ad una manciata di secondi, infatti, si sarebbero chiuse dietro le sue spalle le porte del carcere di Canton Mombello, dove ora si trova in attesa dell’udienza di convalida. DOVE? COME? QUANDO? PERCH? Domani in Procura, verrà formalmente conferito l’incarico ai medici legali di effettuare tutti gli accertamenti sui cadaveri per stabilire incontrovertibilmente che si tratti di quelli di Aldo e Luisa Donegani. Difficile però che gli esami autoptici consentano di colmare altri «vuoti»: il movente del duplice omicidio (questione di denaro, una banale lite, oppure un rancore maturato nel tempo nei confronti dello zio o della zia?), ma anche il luogo e il momento del duplice delitto. Oltre ovviamente alle modalità esatte dell’assassinio, e all’arma impiegata (le cesoie rinvenute al Vivione?). DUE TESTIMONI. Una cosa è certa: sul conto del Gatti peserebbero alcune contraddizioni nelle dichiarazioni da lui rese nel corso degli interrogatori fiume, ma soprattutto due testimonianze. In particolare quella di un bambino che ha raccontato di aver visto, presumibilmente la domenica 31 luglio, una Fiat Punto blu metallizzato (la descrizione combacia con l’auto del Gatti) nella zona in cui sono stati trovati oggi i corpi. QUELLA MANOVRA. La persona che la guidava corrispondeva al 41enne. Il piccolo, in gita con il papà, ha anche riferito che il conducente della Punto aveva un’espressione molto tesa. Non solo: la versione del bimbo, che si sarebbe ricordato dell’episodio dopo aver visto in tv l’auto e il volto di Gatti, sarebbe confermata dal riconoscimento anche da parte del padre: la vettura dei due (che vivono nel Bresciano), infatti, avrebbe evitato per poco uno scontro frontale con l’auto del Gatti lungo la tortuosa stradina del passo del Vivione, solo grazie ad una complessa manovra. Gianluca Gallinari
• Con l’accompagnamento di Carabinieri in borghese. Giornale di Brescia 18/08/2005. Si è capito subito, ieri mattina in via Ugolini, che c’era qualcosa di diverso nel modo in cui i carabinieri sono andati a prendere Guglielmo Gatti. Qualcosa di diverso dalle altre volte, qualcosa che ha reso evidente fin dai primi minuti che non si trattava solo dell’ennesimo colloquio con un «prezioso testimone». In questi diciotto giorni Guglielmo Gatti è stato sentito cinque volte: in casa il primo giorno (un’ora), poi in caserma (4 ore), la terza volta per 5 ore, quindi per 11 e l’ultima volta, venerdì, per 6 ore. Sempre in veste - ufficialmente - di «testimone prezioso». Ieri, i Cc, sono arrivati, attorno alle dieci, tutti in borghese. Sono saliti al primo piano della villetta, nell’appartamento del nipote dei Donegani. Lo hanno fatto scendere e accompagnato fino al cortiletto dove Gatti ha fatto manovra con la sua Fiat Punto blu, fuori dal garage e su dalla breve rampa fino alla strada. a questo punto che arriva il segnale inequivocabile, una variazione minima nella procedura seguita dai militari ma che segna una netta differenza con le altre volte. Guglielmo scende dalla sua auto, la lascia in mezzo alla strada con il motore acceso, sale sul sedile posteriore dell’auto dei militari che subito gli siedono accanto. un altro carabiniere sale sulla Punto, sembra prenderla in consegna, e la guida fino al cortile della caserma di piazza Tebaldo Brusato, dove la vettura resta a disposizione degli uomini della Scientifica per ogni ulteriore accertamento. Questa volta Guglielmo Gatti è stato letteralmente «portato via » dai militari e la sua auto verosimilmente posta sotto sequestr o. Nei giorni scorsi avevamo assistito a scene completamente diverse. In occasione del primo interrogatorio, nel pomeriggio di venerdì 5 agosto, Guglielmo è stato sentito per un’ora in casa e poi gli è stato chiesto di seguire i militari in caserma. Sotto casa c’è l’auto del Reparto Operativo, il quarantunenne fa per salire dietro ma un carabiniere lo invita, con cortesia, a sedersi accanto all’autista. Il giorno dopo c’è il colloquio più lungo, quello che dura ben undici ore. Il Gatti è accompagnato da un’auto dei carabinieri fino davanti casa, l’auto riparte subito, nessuno sembra sorvegliarlo, nessuno piantona l’abitazione. Nel pomeriggio di domenica 7 agosto, poi, quasi una parata. Due militari in borghese arrivano in via Ugolini, salgono al primo piano per pochi minuti, probabilmente avvisano il nipote di Aldo e Luisa di prepararsi, poi se ne vanno. Dopo una decina di minuti arriva un’auto «in divisa», si ferma in mezzo alla strada davanti al cancello della villetta. Guglielmo sale la rampa con la sua auto e segue gli uomini dell’Arma fino all’appartamento dell’Aprica. A tarda sera rientra. Ancora una volta alla guida della Punto blu, sempre da solo e senza che nessuno lo segua. Ieri niente di tutto ciò. Segnale inconfondibile del radicale cambiamento dei ruoli che, di lì a qualche ora, sarebbe arrivato. Paolo Bertoli
• Ritratto di un uomo enigmatico. Giornale di Brescia 18/08/2005. Chi è Guglielmo Gatti, il nipote del piano di sopra? Una breve esplorazione su di lui, con tanti "se" e tanti "ma", è obbligatoria. indagato dell’omicidio degli zii, è il nipote che ha vissuto più vicino allo zio Aldo Donegani, fratello della mamma Maria Rosa, è dotato di una personalità introversa e gentile, caratteristiche che non hanno nulla a che fare con un reato, anzi. Anche se una introversione curata moltissimo tra le mura domestiche, l’assenza di relazioni sociali, un certo mutismo con il vicinato, hanno da subito puntato l’attenzione di chi gli sta accanto e chi è venuto da fuori. la generale dinamica dei comportamenti di Guglielmo Gatti a incuriosire, quell’aplomb noir, perfino leccato in certi giorni dell’attesa. Un aplomb quasi ostentato. Come dicesse: volete vedere che vinco io, la sfida dei nervi, volete vedere che io non c’entro un bel niente e voi ci cascate dentro e dopo dovrete chiedermi scusa? Oppure volete vedere che io sono l’assassino, ma nessuno riuscirà mai a farmi parlare e alla fine dovrete riconoscere che io sono innocente, per mancanza di prove, anche se io sono colpevole? Insomma, Guglielmo Gatti ha parlato ancora prima di parlare e secondo un po’ tutti, vicini e lontani, la sua parlata è stata questa. Dopodiché, salvo confessioni, qualcuno di noi si piazza a difenderlo, altri ad accusarlo. Qualcuno di noi, direbbe Freud, è più trascinato dal senso di colpa per la morte della coppia e scarica la tensione su Guglielmo Gatti, (ecco gli accusatori, i colpevolisti), altri lo difende per un preventivo senso di colpa in caso di una sua innocenza (ecco gli innocentisti). C’è contorsione, lo capiamo. Ma è la contorsione intorno ad una delle morti più orrende e contorte della storia del crimine bresciano. Di certo si sa che Guglielmo Gatti, a scuola era il primo della classe. Uno shock allo stop della naia. Sua madre avrebbe insistito sugli studi, suo padre avrebbe puntato più sul militare subito. Quando torna dal soldato, Guglielmo non è più lui. Perde, negli ultimi 3 anni, la madre e il padre. Iscritto all’Università, non ha un lavoro. Tonino Zana
• «Impossibile ridurre così delle persone». Giornale di Brescia 18/08/2005. Ferruccio Franceschini da 4 giorni è al mare. Avrà saputo dai telegiornali dell’albergo, la morte che è toccata ai due amici. «Non ce la faceva - dice una vicina -, non riusciva ad accettare che fossero scomparsi ed ha pensato di cambiare aria». Agostino Ghidetti, l’amico intimo di Luisa e Aldo, ha gli occhi lustri. Ci ospita nel suo orto, offre l’acqua del mattino: «Mi hanno chiamato gli albergatori del "Beaurivage" di San Benedetto del Tronto. Aldo e Luisa andavano lì da quasi 20 anni. Non riescono a capire chi abbia potuto odiarli fino al punto di ucciderli. Di ucciderli a tagliarli a pezzi». Pensate a via Ugolini, a questa nostra via bresciana, dove tutto fila liscio come l’olio, una via di paese che si trova a registrare per una ventina di giorni una scomparsa inquietante e quando uno spiraglio di speranza appare all’orizzonte a causa di una confidenza utopistica di Aldo e Luisa ad un vicino di casa, in cui dicevano più o meno «ci piacerebbe sparire, un giorno per vedere la faccia che fanno», il primo giorno dopo la festa, del riposo laicamente sacro di Ferragosto, in cui nulla dovrebbe accadere ancora per una settimana, ecco piombare, al centro del cuore, come un caccia in picchiata, una notiziaccia del genere, con tanto di Landru paracadutato o una specie di mostro di Londra infiltrato in una terra buona. Pesa enormemente la notiziaccia di una morte in un bosco trasformato in macello, di corpi uccisi, spogliati, tagliati. I pensieri sulla tecnica della tragedia aiutano a sopportare la sofferenza, distanziano le emozioni, le congelano in ipotesi. Adesso, il momento della pietà è spostato nei giorni che verranno, ora c’è la responsabilità pesante di scavare alla ricerca del movente e insieme del modo dell’assassinio. Il tentativo maggiore è di acquetarsi, puntando sulla pazzia di una persona, altrimenti ognuno, si dice in via Ugolini, potrebbe nascondere nel ventre, un posto da cui scaturiscono efferatezze animali. Difficile credere ad un raptus di follia, dice un vicino. Un raptus è un rapimento di un istante, di pochi secondi. Aldo e Luisa Donegani hanno subito violenze accanite per un tempo che affoga ogni possibile raptus. A meno di pensare a una mente malata, che cerca di placare un odio illeggibile nella lunghezza del patimento altrui. L’odio fine a se stesso, l’odio ricavato da una mente psicolabile, può essere il principio del movente? Un gruppo di via Ugolini pensa a una somma di moventi, a più persone coinvolte nell’omicidio. L’odio, i danari, magari il sesso. La fantasia lavora di fino per domare l’attacco al display della mente, che annuncia un file con su scritto «il sangue di due amici sparso su una montagna lontana». «Per me - spiega un vicino di casa - qualcuno ha mandato dei killer». Ma appena deve presentare il perchè, il vicino di casa scuote la testa e spiega che in questi tempi non c’è bisogno nemmeno di un perchè. Non basta. Basta appena ad allontanare una scena emozionalmente intollerabile. Anche in tempo di guerra, ragionano la maestra Domenica Tisi e sua figlia, la prof. Federica, un corpo è inviolabile: «Eravamo addolorati alla notizia del ritrovamento. Ma nello stesso tempo sollevati. Almeno, ci siamo detti subito, potremo onorarli con le preghiere, porteremo dei fiori al camposanto. Poi abbiamo sentito dell’oltraggio dei corpi. Non riusciamo a crederci». Anche se la pietà della gente di via Ugolini sorpassa la malignità dell’assassino, questa strada sarà per qualche tempo un sepolcro preannunciato, ricavato a quel primo piano fermato dai sigilli degli inquirenti, dal puntamento delle telecamere, dalle vibrazioni dell’attesa. C’è un’operazione doppia e simultanea da compiere: non scordare la fine martoriata dei Donegani e tornare a vivere normalmente, sapendo che non sono i muri e i nomi delle strade ad avere colpa di morti terrificanti, sono le persone che ci passano vicino. Tonino Zana
• Diciotto giorni al centro dei media. Giornale di Brescia 18/08/2005. Diciotto giorni con il fiato sospeso. Diciotto giorni in un’altalena di attenzioni da parte dei media locali e nazionali, a volte invaso e a volte dimenticato. Diciotto giorni di scambi di impressioni per la strada, di racconti urlati o di frasi sussurrate, di sguardi lanciati da dietro le finestre. la storia recente dell’isolato dove per oltre vent’anni hanno abitato i Donegani, del quadrato di vie stretto tra l’inizio della Sp 10, che in quel tratto si chiama via Torricella di Sopra, e viale Colombo, tra il quartiere Sant’Antonio e il Colle di Sant’Anna, e che ha in via Ugolini e nei suoi abitanti il suo centro naturale. iniziato tutto giovedì 4 agosto. La via Ugolini è ancora solo la seconda traversa di via Scarampella, un uomo contatta la televisione, da diversi giorni non ha notizie degli zii che abitano sotto di lui. Il servizio è trasmesso nel telegiornale della sera, due giornalisti, due fotografi arrivano nella via, parlano con Guglielmo, ma nessuno nei dintorni dà ancora peso alla loro presenza. Venerdì mattina il gruppo non è cresciuto di molto, ma la notizia è apparsa sui giornali locali. Le prime ore del mattino sono tranquille, si cerca di capire chi conoscesse meglio i Donegani, chi li avesse visti l’ultima volta. I vicini, gli amici sono preoccupati ma disponibili, raccontano volentieri dei coniugi. La voce si sparge, in strada si formano i primi capannelli, dalle strade vicine arrivano in bici o a piedi, a cercare informazioni, a dire la loro su Aldo e Luisa e sulla loro inspiegabile sparizione. Ma la macchina mediatica si è messa in moto: nelle prime ore del pomeriggio arrivano i colleghi dei quotidiani e delle televisioni nazionali, nelle aiuole intorno alla villetta si installano le antenne per le trasmissioni in diretta, ormai i cronisti sono diverse decine. Amici e familiari dei Donegani sono a disagio, parlano poco e mal volentieri. Nella via ormai non si circola più, le persone in strada sono centinaia e con l’arrivo della squadra scientifica dei carabinieri lo « spettacolo» entra davvero nel vivo. Inizia il via vai di carabinieri e magistrati, ogni movimento, ogni notizia passata dai telegiornali riaccende i commenti dei moltissimi che stazionano nella via. All’arrivo delle telecamere qualcuno si defila, altri parlano a voce alta. Nei primi giorni le frasi dietro alle ringhiere dei giardini si assomigliano tutte, poi, man mano che le diverse ipotesi investigative diventano di dominio della piazza, i commenti vanno in tutte le direzioni, a volte increduli o diffidenti fino ad alcuni addirittura maliziosi. Poi la bolla si sgonfia, nessuna notizia, nulla che alimenti nuove congetture. Via Ugolini ritrova una parvenza di tranquillità. Fino al pomeriggio di ieri, a quando i telegiornali lanciano in tutte le case l’epilogo più tragico. Ritornano i cronisti, ritorna la gente in strada, sono tutte facce conosciute. Da una finestra qualcuno ci riconosce, ci invita in casa. Davanti ad un bicchiere di vino uno dei primi testimoni, ci dice rassegnato: «Qui in strada vedete gente che parla tanto e sembra conoscere ogni cosa, e non abita neppure nella via....». Paolo Bertoli
• «L’impulso a confessare» degli assassini. Giornale di Brescia 18/08/2005. Al di là delle chiacchiere dei pettegoli, che adesso rientrano e si smentiscono davanti a una morte orribile, Luisa e Aldo Donegani erano inseparabili. Lei estroversa e generosa, lui pronto alla risposta, a discutere se necessario. Gli amici ricordano il loro primo incontro. Luisa si era separata. Aldo era vedovo, si erano incontrati al parco vicino a Sant’Anna. Gli era piaciuto il modo solare e ottimista con cui lei affrontava la vita. Si era consultato con l’amico del cuore, un amico giusto che lo aveva rinviato ad un’analisi dei propri sentimenti: «Se ta ga ólet be, töla», sposala, se ti piace, come per dire, tocca a te, lo sai meglio tu di ognuno di noi. «Lascio tutto a Luisa, mi sembra ovvio», capitava di dire a Aldo Donegani. E Luisa De Leo si compiaceva del bene totale che le voleva il suo compagno. Non erano ricchi, ma la casa era loro e la pensione di Aldo più che buona: 350 euro dalla Francia per i 9 anni passati a lavorare vicino a Parigi e più di mille per gli anni nelle fabbriche bresciane come disegnatore meccanico. «Lui era un risparmiatore - dice un amico -, stava attento a spendere anche 5 euro. Mica un avaro, ma di una generazione che ha sentito l’odore della guerra e la miseria l’ha vista intorno». Il gruzzolo c’era, di sicuro. Lavora e risparmia e il gruzzolo c’è. All’inizio, il movente si riempie di soldi, secondo i giornalisti. Poi, ragionando insieme, si calcolano i danari della coppia. C’è chi scruta ombre lontane, un agguato costruito da forestieri, conosciuti magari da poco. I più puntano vicino. Visto dalla casa dei Donegani, il dirupo dove si sono trovati i resti dei loro corpi è una valle di guerra. Si resiste all’orrendo, trasformando in un fronte nemico il luogo tentato del nascondimento. Ci si chiede, anche da qui, dalla zona pedemontana di via Ugolini per quale motivo, la mente così malefica nella costruzione del doppio delitto, si sia fermata a quell’altezza, abbia perso la sua mole di lucidità lungo una stradina grossa il passaggio di un’automobile. Ognuno di noi, alternativamente, persiste nel credere impossibili morti di questo tenore e quando alla fine riesce a farsene una minima ragione, allora pretende un delitto perfetto. Invece, la psicanalisi dell’assassino spiega che egli causa, ad un certo punto, un buco nella sua trama. Magari un piccolissimo buco. E un millimetro basta per lasciare libera la luce che punta al corpo dell’assassino come un filo di laser rosso. L’assassino viene scoperto per la vendetta che la sua mente si procura, espiando un senso di colpa, denunciando in sostanza se stesso. Non c’è bisogno che l’assassino torni sul luogo del delitto per autodenunciarsi, basta che si scopra prima. Qualcuno sostiene che sia una morte ricavata da certi film dell’orrore. Ormai passano sullo schermo anche a notte bassa e si fissano in cervelli bacati. Intanto che si arrestano gli assassini, si arrestino anche molte pellicole, tanti siti internet, non pochi libri di cattivi maestri. Stiamo costruendo monumenti di abiezione, annichilendo le anime normali di una normale esistenza. toccato ancora a noi, gente di Brescia. Ancora a noi. Tonino Zana
• Il «giallo delle tre province». Giornale di Brescia 18/08/2005. Diciotto giorni di attesa, incredulità, paure e sospetti. Poco meno di tre settimane, fitte di interrogatori, sopralluoghi, verifiche e accertamenti. Un giallo che attraversa tre province: quella di Brescia, dove scompaiono i Donegani, quella di Sondrio, dove si trova la casa dell’Aprica del Gatti a lungo perquisita, e quella di Bergamo, in cui vengono rinvenuti i cadaveri orrendamente devastati dei due anziani coniugi. Una vicenda che ha lasciato col fiato sospeso. Poi quelle segnalazioni, le ricerche che si concentrano sul versante bresciano della Val di Scalve e ieri il tremendo epilogo che porta con sé una serie di certezze nuove e nuovi inquietanti interrogativi. Niente più ipotesi di fuga, o vacanza imprevista. Niente incidenti o disgrazie. Fugate d’un colpo tutte le speranze di veder comparire di nuovo in via Ugolini i due coniugi. Al loro posto, c’è una terribile certezza: le spoglie martoriate di due persone. Un duplice omicidio, un presunto assassino, tante incognite sulle motivazioni di quell’atto tremendo e sulla sequenza che ha fatto sì che i cadaveri disarticolati e fatti a pezzi finissero sul fondo di quel canalone sospeso a 1.600 metri sul vuoto. A poco meno di 100 km da quella villetta in cui tutto ha avuto inizio una manciata di giorni fa. Che paiono un’eternità. L’INIZIO. Il giallo di via Ugolini si apre sabato 30 luglio. I coniugi Donegani la mattina fanno le solite spese, telefonano al nipote delle Marche per gli accordi prima del suo arrivo, previsto per il lunedì successivo. Vengono visti l’ultima volta nel primo pomeriggio. Poi più nulla. Qualche avvistamento, senza conferma di sorta, risale in verità alla domenica 31 luglio: qualcuno infatti afferma di aver visto la coppia a Messa, a S. Antonio. Incredibile, alla luce delle ultime novità: a riprova ci sarebbero i due appuntamenti mancati quel giorno: quello con gli amici con cui i due coniugi dovevano recarsi a Castrezzato per la S. Messa celebrata da don Mario Stoppani, l’ex parroco; e quello serale a casa dell’amico Ferruccio. L’ALLARME. Lunedì 1° agosto giunge a Brescia il nipote Luciano De Leo, appuntato dei Cc a Castelfidardo (An). Suona il campanello di via Ugolini 15, senza risposta. Chiama proprio Guglielmo Gatti, che vive al piano superiore della villetta. I due chiamano Vigili del fuoco e Carabinieri, temendo una disgrazia. Ma la casa è vuota, tutto è in ordine. Irraggiungibile resta invece il telefonino della coppia. La denuncia di scomparsa viene formalizzata il giorno seguente, proprio da Guglielmo Gatti. La ricerca dei carabinieri si concentra inizialmente proprio sul cellulare: che risulta assente dalle «celle» di tutta Italia. L’APPELLO. lo stesso Guglielmo Gatti che il 4 agosto lancia l’appello in tv: si augura che qualcuno abbia visto gli zii, spera di ritrovarli vivi, lamenta anche la rapidità del sopralluogo effettuato dai carabinieri. LE RICERCHE. Le ricerche prendono avvio su grande scala il 5 agosto. Dopo i sopralluoghi sui sentieri della zona, in via Ugolini arriva la Scientifica dell’Arma, perquisisce la villetta, cerca tracce di sangue e elementi organici. Ma niente. Il nipote Guglielmo, viene sentito per la prima volta dai carabinieri. Il giorno seguente, dopo un vertice in Procura, nuovi sopralluoghi in via Ugolini, dove giungono anche i magistrati Paola Reggiani e Claudia Moregola. I Vigili del fuoco dragano il «Funtanù», un pantano vicino alla Badia. Gatti finisce di nuovo sotto torchio: per 11 ore. L’APRICA. Il lavoro non conosce sosta: domenica 7 agosto la Scientifica assieme a Guglielmo Gatti sale all’Aprica, dove viene perquisito l’appartamento di via Italia 60, di proprietà del 41enne. Senza esito. QUALCOSA SI MUOVE. L’8 agosto, nuovo vertice in Procura. Poi gli inquirenti effettuano due sopralluoghi: uno al «Funtanù», in cui i Vvf concludono la capillare attività di ricerca; l’altro alla villetta di via Ugolini, dove la Scientifica riprende le perquisizioni. LE PISTOLE. Il 9 agosto spuntano le pistole mancanti. Tre revolver sarebbero spariti da casa Donegani. Dove sono? Intanto, i cani che lavorano sui sentieri da giorni trovano dei brandelli di abiti: si scava in Val Bresciana, ma senza esito. Le ricerche si intensificano il 10 agosto: scende in campo la Forestale. E la Scientifica torna in azione. LE VALIGIE. Sfuma il giallo delle armi: almeno due sono state vendute. E per la prima volta si punta verso il lago d’Iseo: l’ipotesi è quella di una gita al lago finita male. Ma gira la voce dell’assenza di una o più valigie dalla casa dei coniugi spariti. In mattinata si tiene un vertice in Procura, e in serata Guglielmo Gatti viene nuovamente sentito per altre 6 ore. LE SEGNALAZIONI. Segnalazioni di avvistamento a raffica giungono da tutta Italia. Una fra tutte, subito cassata, li vuole in Ungheria. Poi fino a Ferragosto tutto tace. SPUNTA LA VAL DI SCALVE. Martedì pomeriggio spunta l’ombra della Val di Scalve: ricerche in zona - a cavallo tra Bresciano e Bergamasca - sono previste per l’indomani. Ieri per chi legge. Il resto è cronaca di queste ore. Gianluca Gallinari
• Il profilo dei coniugi uccisi. Giornale di Brescia 18/08/2005. Una coppia unita, sempre mano nella mano. questo il ritratto più frequente dei coniugi Donegani, un immagine che restituisce l’idea di un matrimonio felice. Entrambi in pensione, la loro è una vita serena, senza pretese. Le due classiche persone della porta accanto, che abbiamo imparato a conoscere in questi giorni, stretti nel dubbio di che cosa ci fosse dietro questa scomparsa inspiegabile, almeno fine al tragico epilogo di ieri. Aldo Donegani, 77 anni, ha un passato da disegnatore meccanico modellista, specializzazione per cui dava saltuariamente ancora qualche consulenza. In grado di parlare perfettamente francese, inglese e tedesco, viene descritto come un tipo «sanguigno», capace di accendersi, specie quando si parla di politica. Un uomo impetuoso, ma riservato, che chiacchiera volentieri con tutti anche se è poco propenso a parlare di cose private. Di sicuro è amante del ballo, colleziona pistole (ma non spara) ed è (su questo tutti concordano) inseparabile dalla moglie, con cui trascorre le sue giornate. Circa vent’anni fa Aldo perde la prima moglie, Anita.Poi l’incontro con Luisa, il matrimonio, la ritrovata felicità. Luisa Donegani, casalinga di 61 anni, è dipinta come il volto esuberante della coppia. Sorridente con tutti, gioviale, espansiva, amante dei vestiti dai colori vivaci, risponde proprio al ritratto della vicina di casa ideale: bravissima cuoca, abile con in mano ago e filo, e con la casa sempre in ordine. Originaria di Terlizzi, nel Barese, anche Luisa ha alle spalle un precedente matrimonio, nel suo caso poi terminato con un divorzio, esattamente come il suo Aldo. Parte del suo tempo libero la signora Donegani lo dedica all’Oratorio della chiesa di S. Antonio, dove copre come volontaria il turno del giovedì al bar. L’oratorio e la Messa, a volte quella di don Mario Stoppani, ex parroco del quartiere poi trasferito a Castrezzato. I Donegani non sono una coppia sedentaria anzi, amano fare escursioni nella zona circostante la loro abitazione, tra S. Anna e Cellatica. Non solo. Non disdegnano nemmeno i pic-nic, da consumare sulle rive del lago d’Iseo così come nella pineta della S’ciana a Provaglio, dove hanno amici. Il martedì successivo alla loro scomparsa avevano in programma un’escursione in montagna con Luciano De Leo, il nipote della signora Luisa giunto dalle Marche. I vicini, quelli con le case affacciate su via Ugolini, li ricordano per piccoli episodi di quotidiana convivenza, come quando passavano insieme dalla panetteria del quartiere o di come fosse per loro un piacere recarsi sul lago d’Iseo per sfamare le anatre con bocconi di pane. Aldo, Luisa, e Guglielmo. Quel nipote che abita al piano di sopra, che ha perso i genitori nel giro di due anni. Guglielmo che nel corso dell’ultima vacanza degli zii li sentiva con regolarità al telefono e che proprio durante una di queste telefonate avrebbe rivelato di aver trovato un lavoro. Guglielmo l’uomo mite, calmo nonostante i riflettori, l’uomo su cui ora cade l’accusa più infamante.
• La storia. Giornale di Brescia 18/08/2005. La Val di Scalve è entrata nell’agenda delle forze dell’ordine l’altro ieri mattina, quando sono cominciate le ricerche che hanno portato al ritrovamento dei resti di Aldo e Luisa Donegani. Una lunga strada, quella compiuta dagli inquirenti, che inizialmente avevano concentrato le ricerche nelle vicinanze della casa della coppia, in via Ugolini. La prima pista battuta è individuata nella zona collinare che segna il confine di Nord-Ovest dell’abitato di Brescia, lungo quel reticolo di sentieri dove le vittime erano solite passeggiare. L’attenzione è attirata da una strada che dal dosso della Fantasina porta al Santellone della Badia. Una serpentina che si snoda attraverso il bosco in fondo alla quale si trova il laghetto detto della Fantasina. Sabato 6 agosto il laghetto viene dragato ma dalle sue acque non riaffiora nulla che si possa far risalire a Aldo e Luisa. Esaurite senza successo le ricerche nei dintorni di casa Donegani, le tracce virtuali di Aldo e Luisa portano fino all’Aprica, più precisamente in via Italia, dove Guglielmo Gatti, il nipote della coppia, possiede un appartamento. La speranza degli investigatori, che vi si recano domenica 7 agosto, è quella di trovarvi una traccia del passaggio dei due scomparsi. Nemmeno stavolta il sopralluogo produce risultati concreti: quando i militari della Scientifica vi entrano all’interno della casa tutto appare in ordine. Tramontata l’ipotesi Aprica, le indagini appaiono prive di sbocchi. Il lunedì successivo scatta un doppio sopralluogo e i riflettori tornano ad accendersi sul laghetto della Fantasina. Investigatori e Vigili del fuoco passano alla lente d’ingrandimento il fondale e la boscaglia circostante ma senza risultati. Forse in mancanza di altre certezze, il cerchio si stringe intorno al quartiere dove i Donegani risiedevano. Mercoledì 11 agosto vengono ispezionati i sentieri che dal colle di S. Anna si dipartono attraverso i boschi circostanti. Al controllo non sfugge il Parco delle Colline e l’altro lato dei Campiani, la Val Bresciana e il Pi Castel. Ogni angolo, ogni anfratto viene analizzato. La Protezione civile si sofferma in particolare su una grotta che taglia da parte a parte il colle di Sant’Anna ma l’esito delle operazioni (replicate il giorno seguente quando alcuni volontari si calano persino nei tombini attorno ai campi) rimane costantemente negativo. Tre gironi prima di Ferragosto spunta una «pista sebina». Si valuta l’eventualità che i dispersi possano essersi recati sul lago d’Iseo, dove frequentavano una famiglia di Provaglio. Si ricostruiscono riti, abitudini del tempo trascorso sul lago dai Donegani che amavano passeggiare nella pineta della S’ciana. La ricostruzione ipotizzata risulta farraginosa sia per l’assenza della macchina dei due (rimasta in via Ugolini) sia per la testimonianza di una giovane che li avrebbe incontrati, il venerdì precedente la sparizione, sul treno che da Iseo andava a Brescia. Le acque del lago vengono ispezionate ma non emergono novità di rilievo. Le segnalazioni piovono da ogni dove, persino dall’Ungheria dove una coppia di Scandicci dice di averli visti. Ma tutto si rivela poco attendibile. Nulla fino all’altro ieri, quando si comincia a parlare della Val di Scalve, un luogo a metà tra il Bresciano e la Bergamasca, facilmente raggiungibile anche dalla città, in treno. Un posto isolato, silenzioso, il luogo dove l’enigma è stato finalmente risolto.
• L’«altro nipote» che per primo si allarma. Giornale di Brescia 18/08/2005. La vicenda dei Donegani è fin dall’inizio povera di veri protagonisti. Ci sono Aldo e Luisa, gli scomparsi, e c’è Guglielmo, il nipote. Uno dei nipoti, quello più esposto, subito il sospettato n. 1. L’altro, un personaggio per molti versi marginale nel corso delle indagini, è Luciano De Leo. Figura di contorno, certo, ma con un ruolo ben preciso nell’evoluzione di tutto l’intreccio legato alla scomparsa dei due coniugi bresciani. Fu Luciano De Leo, la mattina di lunedì 1 agosto, a suonare il campanello di casa Donegani. Lui, Luciano, 35enne nipote di Luisa, che vive nelle Marche, di professione appuntato dei carabinieri, di stanza alla stazione di Castelfidardo, in provincia di Ancona. I signori Donegani lo avevano invitato a trascorrere alcuni giorni a Brescia, dandogli appuntamento lunedì mattina. Come detto il giovane si presenta attorno a mezzogiorno, ma quando suona al campanello del civico 15 non gli apre nessuno. Prova a chiedere ai vicini, all’altro nipote, Guglielmo Gatti, che vive da solo al piano superiore, ma non ottiene risposte. Muto anche il cellulare degli zii. Subito uniti nella preoccupazione, i due nipoti allertano i Vigili del fuoco per un sopralluogo nella casa,quindi, nel pomeriggio, fanno scattare la denuncia di scomparsa ai carabinieri. Durante i primi giorni Luciano De Leo partecipa attivamente alle ricerche degli scomparsi, godendo dell’ospitalità di una cugina. Poi la sua licenza finisce, c’è da far ritorno a Castelfidardo. A questo punto su di lui si spengono i riflettori. Se parliamo di attori non protagonisti, coinvolti anche solo per pochi fotogrammi nella ricostruzione di questo giallo, non possiamo dimenticare Franco Tomasini, un caro amico della coppia che, dopo alcuni giorni dalla scomparsa, scatena un interrogativo inquietante e nel contempo fantasioso sulla possibile fine di Aldo e Luisa Donegani. Franco Tomasini ripesca dai meandri della memoria una frase, un pensiero che Aldo Donegani esternò quattro anni fa a San Benedetto del Tronto, rivolgendosi all’amico che era in vacanza con lui. «Adesso al posto di andare a casa - disse - sarebbe bello andare il più lontano possibile, per vedere i giornalisti, le telecamere, i giudici tutti insieme alla nostra ricerca». Di fronte alla perplessità dell’amico, Aldo Donegani aggiunse: «Godrei un mondo a vedere tutto quel caos. Chissà che titoli i giornali». Una frase caduta nel dimenticatoio, valutata come una trovata per farsi quattro risate e, di conseguenza, rimossa. Almeno fino alla scomparsa. Franco Tomasini è incerto: «Ho sempre ritenuto che si trattasse di una burla, ma da quando lui e Luisa non si trovano più...». Una fuga, un sogno d’estate tragicamente naufragato.
• La memoria dell’orrore torna a Marzia Savio. Giornale di Brescia 18/08/2005. Rapita, uccisa, il cadavere fatto a pezzi, rinchiuso in sacchetti di plastica e gettato in una scarpata del cavalcavia della Serenissima. Accadeva 23 anni fa, a Rivoltella. Ieri la tragica fine dei coniugi Aldo e Luisa Donegani, l’epilogo orribile di una vicenda protrattasi per ben 19 giorni, le modalità dell’omicidio con la scoperta dei loro corpi martoriati in una zona impervia della Valcamonica, rinchiusi in sacchetti dell’immondizia e gettati in un dirupo, riportano alla memoria il caso di Marzia Savio. Riapre una ferita mai del tutto rimarginata per quello che fu definito, all’epoca, il più mostruoso dei delitti mai registrati nel Bresciano. Colpiscono in particolare le modalità seguite dall’assassino per disfarsi dei corpi, violandoli una seconda volta dopo l’uccisione con la decisione di ridurli a pezzi, di sezionarli per occultarli dentro sacchetti di plastica. Nel caso di Rivoltella aggiunse orrore ad orrore la circostanza che a compiere tutto ciò fosse stato l’insospettabile vicino di casa, l’amico del nonno al quale voleva carpire il ricavato della cessione della quota di una piccola impresa. Denaro che doveva servire a far fronte ai debiti. Così maturò nella mente dell’assassino, un salumiere di Rivoltella, quel piano diabolico e strampalato, di rapirne la nipote Marzia di 12 anni. L’agguato scattò la mattina del 7 gennaio mentre la bimba andava a scuola in bicicletta. Ma il tentativo di sequestro, il volto coperto dal passamontagna per non farsi riconoscere, andò storto e la bimba morì mentre il suo rapitore-carnefice tentava di ridurla all’impotenza, di zittirla. Quando l’uomo tornò a casa con la sua R5 blu e aprì in cantina lo scatolone dove l’aveva adagiata, la trovò ormai priva di vita. Fu quello che accadde nelle ore e nei mesi successivi, una volta individuato e arrestato il colpevole, a suscitare sedegno, rabbia, orrore. Perché l’uomo corse ad aprire normalmente la bottega, si comportò come niente fosse accaduto, pensando intanto al modo per disfarsi del cadavere. E la sera - con una decisione aberrante - lo squartò a colpi d’accetta nello spiazzo erboso fra la casa ed un vicino capannone, riponendo i poveri resti in 5 sacchetti di plastica. Li scaricò il mattino successivo sotto il cavalcavia dell’autostrada Serenissima. Poi recitò la parte dell’amico. Fino a quando i carabinieri lo smascherarono e lo arrestarono all’ultima telefonata con la quale concordava la consegna del riscatto. Le analogie con il caso dei coniugi Donegani sono davvero numerose. Lo sono per ora, sicuramente, le modalità del dopo delitto, della scelta cioè dell’assassino di smembrare i corpi di due persone per riuscire ad inserirli in sacchetti di plastica e scaricarli in un pendio scosceso a lato della strada provinciale della Valcamonica. Una procedura di occultamento complessa che richiede sangue freddo, determinazione, anche una non comune dose di perverso coraggio. Un’azione violenta e truculenta da eseguirsi evidentemente con un’attrezzo adatto in zona isolata o riparata anche per nasconderne le tracce. Fin qui le sorprendenti analogie fra i due casi «bresciani». Almeno fino a quando non si individuerà l’assassino o gli assassini svelando anche i motivi di questo nuovo duplice efferato delitto, che tanto ha scosso l’intera comunità bresciana.
• Le basi su cui poggia l’accusa della Procura. Giornale di Brescia 19/08/2005. Una banale coincidenza. Un incontro-scontro casuale. E un testimone, appena quattordicenne, con una memoria fotografica evidentemente di ferro. Gli inquirenti, quando uomini e unità cinofile hanno risalito la strada che da Paisco Loveno conduce su, fino al Passo del Vivione, dove la Valcamonica diventa Val di Scalve, avevano in mano «solo» il racconto di un giovanissimo osservatore (giovane sì, ma non un bimbo come si diceva inizialmente), che non ha tralasciato di memorizzare un volto. Dettaglio, rivelatosi fondamentale. Quando ne sono scesi, avevano con loro i resti di due cadaveri, orrendamente straziati. Il racconto dell’adolescente - che alcuni vogliono camuno, altri della città - è divenuto a tutti gli effetti uno dei capisaldi del castello accusatorio della Procura. Già, perchè, il ragazzo, lo scorso 31 luglio - giorno successivo all’ultimo avvistamento di Aldo e Luisa Donegani - si trovava in gita lungo la strada stretta e tortuosa che da Forno Allione conduce fino al Passo del Vivione, assieme al padre. Una gita come tante, un’anteprima di ferie agostane nella verde conca divisa a metà tra Bresciano e Bergamasca. Tutto regolare, fin quando l’auto a bordo della quale viaggiavano il ragazzo e il padre non si è imbattuta in una Punto di colore blu metallizzato che scendeva a tutta velocità da quella stessa lingua d’asfalto. Se l’impatto è stato evitato è stato solo un caso. Il ragazzo, a quel punto, mentre il padre e l’altro conducente facevano manovra per riprendere la marcia, ha osservato il volto del secondo: nella testimonianza l’adolescente sostiene di aver riconosciuto giorni dopo, vedendolo in tv, il volto di Guglielmo Gatti come quello del misterioso automobilista. Che allora gli parve teso, agitato o di fretta. Il ragazzo, accortosi di quella somiglianza, ne avrebbe riferito al padre, il quale avrebbe allora chiamato i carabinieri: il genitore tuttavia sarebbe stato più incerto nel riconoscimento. La Procura poi avrebbe in mano altri elementi: si tratterebbe di alcune contraddizioni del Gatti nei vari interrogatori. Gianluca Gallinari
• Il nipote non parla Oggi si decide se resta in carcere. Giornale di Brescia 19/08/2005. Ore concitate quelle di ieri, il «day-after», il giorno dopo la clamorosa svolta nel giallo di via Ugolini. Già, perchè l’agenda, sotto il profilo investigativo e giudiziario, è stata fitta. VERTICE IN PROCURA. A cominciare dalle prime ore della giornata, quando in Procura si è tenuto un vertice degli inquirenti. Al tavolo del procuratore capo, Giancarlo Tarquini, si sono dati appuntamento attorno alle 10, uno dei sostituti procuratori che hanno in carico il fascicolo, Paola Reggiani, il ten. col. Mauro Valentini, comandante del Reparto operativo dei Carabinieri, assieme al comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano, e Gualtiero Stolfini del Corpo forestale. OGGI L’UDIENZA DI CONVALIDA. Gli inquirenti hanno concertato il piano dei lavori all’indomani del fermo di Guglielmo Gatti e alla vigilia dell’udienza di convalida del provvedimento restrittivo che sarà celebrata stamane, alle 10. Il nipote dei coniugi Donegani sarà interrogato a Canton Mombello dal gip Carlo Bianchetti. IL TESTAMENTO. Al vaglio anche il testamento dei coniugi: tra gli eredi figurerebbe lo stesso Gatti. Gli investigatori escluderebbero perciò che qui possa esservi la chiave del movente. PERIZIE E AUTOPSIA. Il vertice, durato circa un’ora e mezza, ha previsto anche il conferimento degli incarichi ai periti per gli esami autoptici e e del Dna, necessari a dare un’identità certa ai poveri resti dei cadaveri, barbaramente sezionati e rinvenuti nel dirupo del Vivione. Un’attività già avviata ieri e che ha visto impegnati gli esperti dell’Istituto di Medicina legale del Civile, accanto a quelli del Ris di Parma: a loro sono affidati prelievo e confronto del Dna dei resti. Medici e militari sono rimasti attorno ai tavoli metallici del Settorato a lungo, dall’una fin verso le cinque di pomeriggio. Un lavoro complesso ed estenuante quello svolto: non si è trattato di una vera e propria autopsia (che sarà svolta successivamente), ma di un primo esame esterno di quelle 7-8 parti smembrate dei due cadaveri che versavano al momento del rinvenimento in avanzato stato di decomposizione. Ora si attende l’esito delle prove del Dna. Già disposti anche gli esami tossicologici. NUOVO INTERROGATORIO. Ma la giornata di ieri è stata segnata anche da un nuovo interrogatorio di Guglielmo Gatti, il 41enne nipote delle due vittime, formalmente indagato per il duplice omicidio aggravato, l’occultamento dei cadaveri e il vilipendio degli stessi. A richiederlo, i magistrati della Procura. Trasferito dal carcere al Palazzo del Tribunale, il Gatti ha potuto conferire per una decina di minuti con il suo legale prima del faccia a faccia con gli inquirenti. Questo solo in base ad una deroga a quel divieto di conferire con l’assistito per cinque giorni che è stato imposto dal gip su richiesta della Procura all’avv. Luca Broli. Un provvedimento che ha suscitato anche una forte presa di posizione da parte di Ettore Randazzo, presidente delle Camere penali: « la prima volta che viene applicata, nell’ambito di un’inchiesta che ha un solo indagato, la norma che consente di sospendere i colloqui tra indagato e difensore; una norma peraltro finalizzata ad evitare che i mafiosi, tramite i legali, possano organizzare una difesa comune: applicata nel caso di un unico indagato finisce per essere solo punitiva». Al proposito Broli ha annunciato l’intenzione di presentare oggi istanza al gip. «PROVATO E INCREDULO». Frattanto, nel corso dell’interrogatorio di ieri, il nipote si è nuovamente avvalso della facoltà di non rispondere. « una scelta adottata insieme, in base alle reciproche esigenze. Ma implicitamente il Gatti ha ribadito la sua totale estraneità alla vicenda» ha dichiarato Luca Broli dopo l’udienza. «Il mio cliente è apparso provato - ha proseguito il legale - e incredulo di quello che è accaduto agli zii così come di quello che sta avvenendo a lui stesso: mai avrebbe pensato di finire in carcere». Gatti, che al momento si trova in cella di isolamento, «ha manifestato dispiacere, per non dire disperazione per la sorte dei suoi congiunti». All’avvocato non ha avanzato alcuna richiesta. Per fargli avere abiti di ricambio il legale sta cercando qualche parente, forse uno zio vive nel Bresciano. Quanto all’udienza di domani, Broli ha dichiarato che la difesa valuterà se mantenere la linea fin qui adottata e che si opporrà in ogni caso alla convalida. Silenzio assoluto dalla Procura: una conferenza stampa è però annunciata per oggi alle 12. RIS SU DUE FRONTI. Oggi riprendono le ricerche, su due fronti. I Ris, assieme a Corpo forestale e Soccorso alpino, risaliranno alle 7 al passo del Vivione, alla ricerca delle membra mancanti e di nuovi indizi sul luogo del rinvenimento. Ma, la Scientifica tornerà ancora nell’appartamento al «13» di via Ugolini. Quello del Gatti. Gianluca Gallinari
• La chiave del mistero nella valle di Paisco. Giornale di Brescia 19/08/2005. L’inchiesta ruota attorno al bosco degli orrori. Perché tutte le piste portano lassù. E il giallo si catapulta, inevitabilmente, tra la valletta del Sellero e il passo del Vivione. Teatro, quanto meno, dell’ultima macabra sequenza del duplice omicidio; tappa finale dell’allucinante viaggio dell’assassino, a fronte di una mattanza che potrebbe anche affondare radici proprio in quel lembo di montagna. Sono molti, troppi gli interrogativi che aleggiano attorno alla valle di Paisco, alimentati non solo da quei resti umani sparpagliati nel canalone a 1.600 metri di quota ma pure da quelle cesoie e da quelle borsine di plastica con generi alimentari che irrompono, con prepotenza, nelle indagini. Inchiesta ovviamente inghiottita dal silenzio, perché occorre scavare più a fondo, trovare riscontri, offrire risposte a quei mezzi misteri che non fanno quadrare il cerchio. Perché all’appello manca ancora l’arma del delitto: difficile credere che quei forbicioni da giardinaggio siano stati utilizzati per assassinare Aldo Donegani e Luisa De Leo; facile invece pensare al loro utilizzo durante l’orribile sezionamento. Ma forse per depezzare quei cadaveri è «spuntata» anche un’altra lama, più pesante, più micidiale... Sconosciuto poi il luogo dell’omicidio e svaniti nel nulla gli indumenti che i due coniugi bresciani indossavano al momento della scomparsa. Insomma, la «pista camuna» è quella da battere fino in fondo; e c’è pure quella «sebina», tutta da verificare. Ma andiamo con ordine. Quando sono stati ammazzati i Donegani? Tutto lascerebbe pensare tra il sabato pomeriggio e la domenica (quindi tra il 30 e il 31 luglio), da quando cioè si sono definitivamente perse le loro tracce. Venti giorni fa; elemento compatibile con le condizioni dei resti umani, in avanzato stato di decomposizione, in balia degli agenti atmosferici (nelle giornate di sole, lassù, sono stati toccati anche i 28 gradi) e degli animali selvatici. Uccisi come? La rosa d’ipotesi è piuttosto ampia. A colpi di pistola? Magari con quella «sputa fuoco» che mancherebbe dalla collezione del settantasettenne Aldo Donegani. E se fosse così, possibile che nessuno abbia udito gli spari? A questo punto è necessario chiedersi dove siano stati assassinati i due bresciani. Difficile in casa, in via Ugolini, visto che i carabinieri del Ris l’hanno letteralmente passata alla lente d’ingrandimento senza trovare una goccia di sangue, un indizio compromettente, niente di niente... Ma se comunque Luisa e Aldo Donegani fossero stati uccisi in città, significherebbe che l’assassino ha poi denudato e sezionato i due corpi gettandoli in auto e macinando quasi cento chilometri per finire lassù, nel cuore della valletta del Sellero. E se fossero invece stati uccisi nella valle di Paisco? Trascinati là con chissà quale pretesto. Magari una gita in montagna, quattro passi in quota, una piccola deviazione sulla strada per l’Aprica, un pic-nic. A questo punto entrano in gioco, inevitabilmente, quelle due borsine di plastica ritrovate dagli uomini della Protezione civile in una piazzola nel cuore della boscaglia, a circa un chilometro dal dirupo dell’orrore. Sarebbero quei generi alimentari acquistati sabato mattina dai Donegani tra la panetteria, la macelleria ed il piccolo supermercato del quartiere di Sant’Anna. Borsine - inspiegabilmente anche per il loro contenuto - non riposte nel frigorifero o nella credenza di casa Donegani, ma finite tra i monti. «Dimenticate» nello sterrato di una carrabile che abbandona la provinciale 294 del Vivione, nemmeno troppo lontano dalla rigogliosa pineta in cui sono state ritrovate le due cesoie (una verde con lama da quasi ottanta centimetri, l’altra blu lunga non più di mezzo metro) ed altri elementi ritenuti importanti. Ossia un flacone di acqua ossigenata quasi vuoto ed un vecchio giornale, di fine luglio. Attenzione, una delle chiavi del giallo sta proprio dietro quella grossa cesoia con tracce - pare - ematiche sulla lama. E piuttosto recenti, tanto che l’affilato acciaio è ancora lucido, non arrugginito. Ma perché proprio lì? Che cosa è successo in quel bosco? Lame scaraventate dall’omicida subito dopo l’uso per sbarazzarsene, per sempre? Insomma, il cerchio non quadra, ma al centro sta sempre la valle di Paisco - quanto meno teatro di quell’agghiacciante occultamento - che il carnefice ha dimostrato di conoscere piuttosto bene, come le sue tasche. E forse anche i coniugi Donegani conoscevano la strada del Vivione, meta delle loro numerose escursioni. Ma in quella valle, Aldo e Luisa Donegani ci sono arrivati vivi o morti? Rimane poi il mistero delle teste e del busto della donna mancanti. La loro assenza - come per altro confermato da Valerio Zani del Soccorso alpino - potrebbe essere «semplicemente» collegata alla presenza di numerosi predatori su quelle pendici che separano la Valcamonica dall’orobica Val di Scalve. E i vestiti della coppia? Spariti nel nulla, gettati chissà dove. In un cassonetto dei rifiuti? Perché denudare quei cadaveri? Per rendere meno difficoltosa l’operazione da macellaio (che dovrebbe aver richiesto parecchio tempo e sangue freddo) e per rendere ancor più difficoltoso il riconoscimento di quei resti umani, se e una volta ritrovati. Il sezionamento dei corpi potrebbe comunque essere avvenuto in un secondo tempo (anche parecchie ore dopo la morte) e in un luogo diverso da quello dell’assassinio. Infine «spunta» la pista sebina, complessa ma degna di approfondimenti. Parte dalla segnalazione del volontario Remo Bonetti, un’istituzione in seno alla Protezione civile sebina. Ruota attorno ad una coppia che fa pensare ai Donegani; sarebbe stata notata, attorno alle 11 di sabato 30 luglio, camminare - in compagnia di una persona somigliante al nipote ora in carcere - lungo la litoranea Vello-Toline, oggi pista ciclabile. A vederli dal lago è proprio Remo Bonetti, in navigazione e con il binocolo al collo. Ma poi quelle persone sarebbero sparite nel nulla, verso alcuni anfratti o dietro una curva. E mezz’ora dopo sarebbe stato visto solo quell’uomo sulla quarantina in evidente stato confusionale («si sentiva male»). Circostanza che aveva allarmato Remo Bonetti tanto da segnalare la cosa agli investigatori e, con il suo gruppo di volontari «armati» del robot subacqueo «Mercurio», da spingerlo a scandagliare lo specchio d’acqua antistante, fino ad una profondità di 80 metri. Senza però trovare nulla di strano. Marco Bonari
• «Quelle cesoie le conosco». Giornale di Brescia 19/08/2005. «Quand’è che c’è stato quel temporalone che ha scheggiato i pini, ha fatto ballare i tetti e rovinato il giardino dei Donegani?». Il calcolo è a spanne, sulla frequenza dei temporali d’estate. « stato prima, due o tre giorni prima il giorno della partenza al mare con i Donegani, alcuni giorni prima di domenica 3 luglio», spiega adesso Agostino, l’amico del cuore dei coniugi assassinati. Aggiunge:«Mi aveva chiamato al telefono Aldo. Mi aveva chiesto di dargli una mano a sistemare i tetti sollevati dallo stravento, a riordinare il verde dei cespugli e delle piante. In pochi minuti mi sono vestito, ho attraversato i cento metri che mi separano dalla casa dei Donegani e ci siamo divisi il lavoro: io, Aldo e Guglielmo. Siamo saliti sul tetto e abbiamo impugnato le due cesoie. Più io che Guglielmo. Io avevo in mano la cesoia grande e Guglielmo quella piccola. Abbiamo incominciato a sfrondare i rami, la cima dei pini marittimi. Poi sono salito sul tetto della mansarda di Guglielmo e l’ho messo a posto. Quelle due cesoie è parecchio tempo che stanno nella casa dei Donegani». Insistiamo sulle cesoie e l’uomo anziano non si scompone nella sua collaudata serenità. Appartenendo ad un’età saggia, gli risulta facile distinguere il mezzo dal fine, le cesoie dalle carni degli amici. «Quelle cesoie le ho sempre viste in quella casa - aggiunge - e mi pare proprio che le avesse Guglielmo. Mi chiamavano per aiutarli a sistemare il giardino. Quel giorno, con le cesoie abbiamo tagliato alcuni rami e sistemato la cima del pino di mare. Proprio due cesoie, una lunga così e l’altra circa la metà». Lunga così, secondo la misura gestuale dell’amico dei Donegani, porta proprio a un’ottantina di centimetri, alla "cesoia madre" del delitto e del sezionamento. Anche se è lugubremente difficile pensare ad un’operazione chirurgica condotta esclusivamente con delle cesoie. Accade spesso che il normale e il macabro si mescolino nel tempo e allo stesso modo le cesoie hanno sfrondato il pino marittimo dietro la casa dei Donegani e due mesi dopo sono state gestite per mutilare i corpi. E ancora, le cesoie usate per martoriare i corpi della donna e dell’uomo, due mesi prima, sono state oggetto di un’ironia spiritosa in quel mattino dopo il temporale. Sentite cosa ricorda l’amico dei Donegani: «Mi viene in mente di aver quasi scherzato sul lavoro di ripulitura delle piante e dei cespugli, sull’uso delle cesoie. Ad un certo punto, vedendo che Guglielmo se la prendeva comoda ed io sgobbavo come un negro gli ho detto: lavora un po’ tu con la cesoia grande che io porto i rami sulla cassa dell’autocarro...». In dialetto, più o meno, si combina con il commento critico di ieri, senza cattiveria, ma senza lo spirito di quella mattina: «’L lauro mia tàt chèl lé, non è un grande lavoratore quello lì...». Guglielmo Gatti, dunque, secondo il racconto dell’amico dei Donegani, quel mattino, dopo il temporale notturno, batteva la fiacca. «Anche se è un uomo robusto - precisa - uno che ha la sua bella forza. Robusto, non grasso. Però mi sembra difficile che uno da solo riesca a combinare una strage in quel modo. Le cesoie, poi, non bastano, ci deve essere dell’altro». Lui è paziente, alla domanda di altri strumenti da taglio, di armi improprie, presenti nella casa. Gli viene in mente un’accetta «’n pòdèt». Un’accetta è in ogni casa di campagna, in ogni casa singola verso la campagna. Il popolo dei quartieri popolari bresciani fuori dal centro è un popolo di ex contadini, di operai in pensione, di una piccola borghesia dell’officina e della campagna a cui serve sempre un’accetta per sistemare qualcosa della casa, per andar a funghi e a lumache. Il pòdèt è una sorta di simbolo di un’età faticosa e felice. In questi giorni, nel baule dell’auto di un altro amico dei Donegani, ne abbiamo visto un altro di pòdèt, accanto a degli stivali. Qui, in via Ugolini, la campagna è appena di là dalla strada, l’accetta serve subito. Gli chiediamo di una sega elettrica. Risponde di non averla mai vista, nè in casa nè in garage, nè in cantina. Tonino Zana
• Poesie, rose e fiori di campo per Aldo e Luisa. Giornale di Brescia 19/08/2005. In via Ugolini 17, le preghiere di ognuno si ritrovano in una poesia legata al centro del cancello: «Se potessi fermare il tempo lo farei per voi, amici miei... Se potessi prendere un arcobaleno... Ma lasciatemi essere ciò che so essere di più, semplicemente un amico». Ha dissotterrato l’ascia più acuminata dell’amicizia per il momento in cui il dolore raggiunge lo zenith e la compassione non si risolve che nei modi di pregare. Di pregare il Signore, che ora, appena dopo mezzogiorno, consola immaginare che illumini lo spessore di amarezza, sbirciando dalle fessure irregolari dei pini marittimi della casa di Aldo e Luisa. Deprime profondamente misurare la grandezza di una casa, lo spessore dei verdi, l’accuratezza dei piani, ipotizzando che il cemento di decenni non sia riuscito a difendere da un odio latente e montante, a sbriciolare un disegno materializzato in una specie di abisso dantesco sotto il Passo del Vivione, in quei corpi divisi per molte volte dei due coniugi. Il silenzio di via Ugolini è il silenzio delle chiese, non è il silenzio che compone l’omertà. il silenzio del rispetto, pronto a levare il sipario ad ogni domanda. Non emerge un’altra descrizione dopo la conoscenza del ritrovamento. Luisa e Aldo rimangono sempre gli stessi di prima. Guglielmo è lo stesso Guglielmo Gatti descritto prima che fosse indagato per l’omicidio degli zii. Intorno alla poesia, a corona, sono deposti i fiori. Molti sono i fiori dei giardini di via Ugolini. Sono giardini e orti, davanti o dietro l’entrata di casa, prima delle tende a riparo dei davanzali, di terrazze modeste. il verde pendant dei Campiani vicini, è il verde di una civiltà a conoscenza del valore terapeutico del fiore, della sua utilità balsamica contro il torrido della terra e della mente quando diventa torrida e fonde nelle carni degli altri. Sono perlopiù le rose delle madri, i fiori deposti davanti alla casa di Luisa e Aldo Donegani. Le madri di via Ugolini, le madri della nostra terra lombarda sanno crescere rose d’inverno e d’estate. Tre sono avvolte in un cellophane piegato, tre sono gladioli carnosi, quattro sono margherite gialle, giganti, infilate tra un segmento e l’altro del cancello di ferro. Molti sono fiori sfusi, raccolti o comprati. Impressiona l’orfanità di quel casone a due piani, senza più dentro nessuno, il posto da cui è partito il treno della violenza che avrebbe sostato alla stazione dell’abiezione più nera. Impressiona non scorgere l’inizio del male, in che stanza comparve, per la prima volta, il primo scricchiolìo di un’idea malsana, questa bomba atomica di rancore. In questo senso, via Ugolini 17 rimane la nostra immensa Hiroshima intorno alla quale i fiori cercano di spegnere il fuoco della combustione omicida, chiedendo perdono alle anime dei Donegani. «Che Dio ci illumini e ci perdoni e che Aldo e Luisa riposino in pace e abbiano pietà...». Sono parole da scolpire. Si reperiscono nei testi sacri, nei testi dei patriarchi e vengono da una donnina che peserà 40 chili, avanzata dal quartiere vicino di Sant’Anna, vestita di un grembiule nero che la ripara dalle braci di un fuoco acceso in un giorno di 28 gradi, in una tarda estate che non dimenticheremo mai. «Ho acceso il fuoco della cantina - dice -. Mi fa compagnia. Ho freddo, in queste sere e di giorno non sento il caldo del fuoco. Mi fa compagnia», ripete. Via Ugolini, idealmente, è accampata intorno alla poesia e al fuoco della piccola donna con il grembiule nero. Tonino Zana
• La tragedia diventa «il giallo della spiaggia». Giornale di Brescia 19/08/2005. «Guarda che qui, in spiaggia, tutti stanno leggendo la storiaccia». Alle 11 di ieri, il nostro fotografo in ferie, ci raccontava che una spiaggia dell’Elba era diventata il prolungamento di via Ugolini. In verità, sbagliava. Via Ugolini, alla stessa ora, era tutta un silenzio, uno stare raccolti in casa, agghiacciati da due morti del genere. Via Ugolini era un deserto esterno con oasi interne di pietà. La spiaggia, invece, era la conversazione intorno all’efferatezza del crimine, alla personalità dell’indagato, alla meccanica dell’assassinio, al tragitto del calvario dei Donegani. All’attesa per la seconda puntata. Sulla spiaggia dell’Elba, ieri non si conosceva la delicatezza dei bresciani di via Ugolini e si leggevano titoli del tipo, "il massacro di Brescia", "il mostro di Brescia", quasi fosse stata una città, una città e una provincia a macchiarsi del sangue delle due povere persone bresciane. Certo, non è così, ma la sveltezza del "gridato" va arginata, altrimenti il rischio è che Leno diventi il paese della cascina Ermengarda, via Ugolini la via dei coniugi fatti a pezzi e non, su tutto, la via delle cento lavoratrici e dei cento lavoratori cresciuti a pane e fatica per costruirsi un dignitoso spazio vitale. «Mai letto tanto, in spiaggia. Quei cinque o sei, là in fondo, sono un gruppo e discutono su come sia riuscita, una persona sola, a mettere in campo energie nervose e fisiche per un massacro di tipo tribale». Sarà meglio confermare a noi stessi, per evitare potenziali fesserie riguardo a fantomatici rapporti tra città e delitti, che non esiste una geografia del crimine, una mappa dell’amore e dell’odio, dei malfattori e dei benefattori. Oggi l’omologazione al peggio prevale sulla gara al meglio. decadenza generale, ma sarà importante affiancare alle mostruosità umane le santità umane. Mentre qualcuno uccide in quel modo, cento volontari del quartiere in cui si trova via Ugolini salvano vite umane, spengono il fuoco, portano in salvo delle persone. Mentre qualcuno faceva a pezzi due povere aninme, cento uomini della Forestale, della Protezione Civile, passavano centimetro per centimetro i boschi impervi della valle, un uomo dragava il lago d’Iseo, nelle chiese pregavano i bambini e i nonni, spalmando il dolore, dose per dose, consegnando porzioni eque nelle dimore bresciane. Potremmo dire che ci siamo ridotti ad essere migliori nel recuperare i morti piuttosto che a prevenire gli odii. Ma c’è in giro qualcuno, che in buona coscienza, possa pure sommessamente avanzare che si poteva predire e quindi prevenire una morte di tale caratura maligna, di tale strategia sanguinaria? I disastri accadono ovunque, non è indispensabile appellarsi alla globalizzazione per convincerci che i disegni diabolici spuntano dappertutto, a Novi Ligure, a Palermo, a Cogne, a Mosca e a New York. Non c’è occidente e oriente che si possano chiamare fuori, nord o sud. C’è un diffuso calo di amore e un montare di odio e di indifferenza al valore della vita. Perciò la morte violenta fa meno scandalo, passa nei congegni della memoria e si deposita. La morte è più liquida, "potabile", meno solida di un tempo. temuta di meno, la morte dell’altro, e si cresce d’angoscia, la propria morte. Sulle spiagge, il delitto dell’estate si riferisce alla dinamica della tragedia: al movente, all’arma del delitto, alle modalità, ai gesti della soppressione, a quanti tremori e a quanto cinismo. A proposto, perchè non è comparso un collasso, un umanissimo collasso? C’è un antidoto, una droga al mancato collasso dell’assassino? Perchè non è comparso un collasso che fermasse la mano dell’assassino oltre il silenzio dell’ultimo palpito? Ai nostri giorni si sta scoprendo uno stacco troppo veloce dai morti, i Donegani vengono seppelliti troppo presto, anche quando i loro stessi corpi debbono incominciare a parlare, a indicare l’omicida, a mostrare le impronte, a dettare la morale che nessuna la fa franca e il delitto perfetto è una paranoia condannata all’ergastolo. La pietà, tramite i suoi sostenitori, chieda più colonne in pagina, perimetri tutte le domande dell’enigma. Ma l’enigma non soffochi la pietà e i Donegani rimangano "vivi" nelle parole lunghe del commiato. E oltre. Tonino Zana
• «Siamo sconvolti per tanta crudeltà». Giornale di Brescia 19/08/2005. «Siamo tutti sconvolti per quello che è successo, un fatto che ha impressionato molto sia i residenti che i villeggianti, che sono anche preoccupati. Un fatto così raccapricciante e crudele non si era mai verificato». il racconto di un residente di Paisco, di quel borgo che dista pochi chilometri dalla zona dove mercoledì sono stati ritrovati i resti dei coniugi Donegani. Subito dopo Paisco Loveno infatti, a soli sette o otto chilometri, nella zona del passo del Vivione (in territorio di Schilpario) è avvenuto il raccapricciante ritrovamento; la strada è stata bloccata per ore, dal mattino presto fino alle 17.30 circa, dal Passo del Vivione verso Paisco e fino a 3-4 chilometri verso Loveno; decine le persone che, incuriosite, si sono recate sul posto anche se hanno dovuto sostare ad alcuni chilometri di distanza per il blocco stradale. Solo alcuni sono riusciti a salire a piedi, anche se poi sono stati fermati a debita distanza. Fra la gente del posto si respira aria di sgomento, impressione e incredulità per il macabro ritrovamento e per il fatto che sia avvenuto proprio in questa zona, famosa per le incisioni rupestri, per i bei monti, per la tranquillità... e ora anche per un fatto di cronaca così aberrante. «Ero salito per andare a cercare funghi - dice Fausto - ma arrivato là la strada era bloccata e c’erano già diverse persone. Quando mi hanno detto che stavano cercando i due bresciani, ho subito pensato che non li avrebbero trovati lì. Mi sono fermato anch’io spinto dalla semplice curiosità. Ma poi li hanno trovati... è una cosa spaventosa». «Ora ci poniamo tanti interrogativi - spiega Mario, uno dei residenti -. Perché è avvenuto? Perché nella nostra zona? Quale crudeltà umana per arrivare a compiere un atto simile? E poi gettare quei resti all’aperto... l’odore si sentiva in zona. Qui in paese si pensa che non possa essere stata una sola persona ad agire, con tanto sangue freddo, in modo così aberrante. Un fatto comunque che lascia un segno e negativo purtroppo - continua con amarezza il camuno - e non lo meritiamo; due anni fa è passato di qua il Giro d’Italia, perché la strada, anche se stretta, è molto panoramica; allora la pubblicità era stata tutta positiva. Oggi non è più così. Quella del Vivione è una strada frequentata, ci sono diversi turisti che passano, anche stranieri. Una cosa è certa: chi ha fatto questo massacro conosceva bene il posto perché ha scelto il dirupo più profondo». Preoccupazione e paura si mescolano alla curiosità, ma tanti preferiscono evitare il discorso. E s’interrogano: «Una mostruosità; come può una persona, anche se squilibrata, arrivare a questo punto?». Paisco Loveno ha solo 200 abitanti e tante seconde case ristrutturate, un paesino tranquillo di montagna, dove comunque qualche brutta storia si è registrata. « una zona dove ci sono stati dei suicidi - racconta un residente - trent’anni fa un uomo si era dato fuoco; poi un altro uomo, dopo la morte della madre, si era sparato con un fucile. Il più recente risale invece a pochi anni fa quando un bergamasco si è suicidato con i fumi di scarico dell’auto». Quello che si respira nell’alta Valcamonica, unito allo sgomento, è l’amarezza di essere balzati agli onori della cronaca per un fatto così macabro. La strada è aperta dunque e alcuni curiosi si avvicinano alla zona, per allontanarsene comunque in fretta e furia. E tutti sperano che le ricerche nella zona, qualora ce ne siano altro, finiscano al più presto. «Molti sono preoccupati, soprattutto quelli che abitano qui; e poi vorremmo che non si parlasse più della Valle Camonica in questi termini; il ritrovamento in fondo è stato fatto al Vivione, in territorio bergamasco» precisa un altro residente. Serenella Valentini
• Studente modello ma 16 anni fuori corso. Giornale di Brescia 19/08/2005. Una sfilza di esami universitari col massimo dei voti o quasi. Una ventina tra trenta e trenta con lode. Un «buco» di una manciata di esami, meno di dieci, che separano uno studente universitario modello dalla agognata laurea, da quel «pezzo di carta», con intestazione «Politecnico di Milano», che potrebbe fare di lui un dottore in ingegneria nucleare. Il libretto accademico di Guglielmo Gatti sarebbe insomma uno di quelli di tutto rispetto. Da fuoriclasse delle scienze. Eppure, il profilo del «nipote del piano di sopra», dell’uomo che oggi sarà davanti al gip a rispondere di accuse pesantissime, quali il duplice omicidio degli zii, è più articolato del previsto. Poliedrico, eccentrico si sarebbe detto un tempo. Già, perchè accanto alla innata inclinazione per le scienze e per la ricerca, il Gatti vanterebbe anche un’antica passione per la letteratura, per la storia, forse persino per l’archeologia. Come a dire che sugli scaffali del suo studio, convivono volumi sui Fenici accanto a manuali di fisica della materia. Testi di classici latini, accanto a studi avanzatissimi in materia di chimica. Opere dei padri del sapere filosofico greco assieme a cassette e documentari di scienze naturali. O ancora, libri di meccanica impilati ordinatamente accanto ed elementi di elettronica. Guglielmo Gatti ai cronisti che lo incalzavano di domande, nei giorni immediatamente successivi alle segnalazioni, si è sempre definito un ricercatore universitario. Una «discrepanza» dalla realtà che forse cela un’ambizione antica e mai abbandonata, forse ancora coltivata. Del resto, pare che non abbia mai smesso di pagare le tasse universitarie nei suoi sedici anni da fuoricorso, e di rimandare soltanto la laurea, senza mai desistere dal progetto originario. Assecondando magari così anche un sogno dei genitori. O degli stessi zii, che perplessi, anche agli amici avevano più volte detto riferendosi a quell’uomo, ormai non più ragazzo: «Sta sempre lì in casa a far niente». Dietro a tutte quelle ore trascorse al computer, dietro a quel lavoro mai ottenuto - che una telefonata giunta agli zii al mare vorrebbe finalmente trovato - ci sarebbe molto di più. Chi sia veramente Guglielmo Gatti non è dato sapere. Ma certo, non pare essere uno studente fuoricorso qualsiasi. Una mente brillante, eclettica, assetata di cultura. Un lettore appassionato. Un cultore di materie varie. Forse anche un figlio devoto. Che sulla lapide che sigilla le spoglie del padre, al cimitero di Mompiano, firma il suo amore con le parole «Tuo figlio».
• La fiducia degli inquirenti: «Finalmente ci siamo». Giornale di Brescia 20/08/2005. «Finalmente ci siamo». Parole che pesano come una lapide, che fanno intuire la fine di quel giallo che fino ad oggi è stato un autentico rompicapo. A pronunciarle è un investigatore, che fa eco al Procuratore Giancarlo Tarquini, il quale uscendo ieri sera dalla villetta di via Ugolini, dove sono entrati in azione i Ris di Parma, ha parlato di «importanti novità». Elementi definiti «decisivi», per Guglielmo Gatti, il 41enne accusato di aver ucciso e fatto a pezzi i due zii, sarebbero emersi dalle analisi avviate in serata dalla Scientifica nel garage dell’uomo. Certo è presto per trarre conclusioni. Anche perchè la difesa, nel giorno dell’udienza di convalida, è di parere decisamente opposto. Luca Broli, il legale (ora di fiducia) del Gatti, all’uscita dal carcere dopo l’interrogatorio davanti al gip, ha più volte stigmatizzato la fragilità degli elementi in mano alla Procura. E anche mentre il Ris proseguiva il lavoro nella villetta, Broli, presente come difensore, ha dichiarato di non essere al corrente di novità «decisive». Insomma, un vero muro contro muro. L’UDIENZA SOSPESA. La tensione, del resto, è stata alta fin dal mattino. Da quando cioè, alle 10, ha preso avvio l’udienza di convalida del fermo da cui è colpito Guglielmo Gatti. Il 41enne, in carcere, ha dovuto sostenere il faccia a faccia con il gip Carlo Bianchetti, ieri a Canton Mombello assieme all’avvocato Luca Broli, e al sostituto procuratore Paola Reggiani. Ma l’udienza è stata sospesa dopo poco: il legale, infatti, ha chiesto ed ottenuto dal gip di poter conferire con il proprio assistito. Finalmente un colloquio lungo: due ore che hanno permesso all’avvocato e al Gatti di definire la linea di difesa. «ALTRE IPOTESI». Il nipote, che deve rispondere di duplice omicidio, occultamento e vilipendio di cadavere, ha parlato per la prima volta: «Ha tenuto un breve discorso, cinque minuti, davanti al dottor Bianchetti - ha dichiarato il legale, Luca Broli, al termine dell’udienza, ripresa subito dopo il colloquio -. «Il mio assistito ha fornito delle dichiarazioni spontanee, da noi concordate sulla scorta di quanto mi ha riferito in ordine ad alcune circostanze, formalizzate dagli inquirenti in alcuni atti depositati stamattina dalla Procura. Documenti a contenuto strettamente scientifico, relativi all’effettiva identificazione dei coniugi Donegani». Ma c’è di più. Guglielmo Gatti, come riferisce l’avvocato, «ha fornito dichiarazioni di carattere generale e ampio , cinque punti in cui si prospettano altre ipotesi al riguardo dell’omicidio». Insomma, Gatti non avrebbe fatto nomi, ma avrebbe indicato agli inquirenti elementi che, il legale auspica «la Procura voglia seriamente prendere in considerazione». Altre spiegazioni, altre possibili chiavi di lettura e piste da battere, e «indirettamente altri potenziali moventi». Una cosa è certa: «La linea difensiva è dell’assoluta estraneità». Tanto che Broli punta alla scarcerazione del "nipote del piano di sopra". E definisce «risibile e facilmente interpretabile» la testimonianza di padre e figlio che inchioderebbe il Gatti. «Anche se la sua presenza venisse accertata in quel luogo e a quell’ora mi sembra che manchi qualche elemento per poter dire che sia lui l’omicida». «TERRORIZZATO». Quanto alle condizioni del Gatti, il legale non usa mezzi termini: « profondamente traumatizzato, dagli eventi che riguardano lui in prima persona ma anche e soprattutto per quanto è accaduto agli zii. impressionato da questa situazione, impaurito, terrorizzato». In isolamento e senza vestiti di ricambio resta «una persona molto lucida, intelligente, riflessiva, anche se queste pregevoli qualità cominciano ad essere minate da una stanchezza psicofisica». VERTICE. In attesa della decisione del gip, che dovrà essere depositata entro le 14 di oggi, ieri pomeriggio si è svolto un nuovo vertice in Procura: presenti, oltre al procuratore capo Giancarlo Tarquini e al pm Paola Reggiani, anche il comandante del Ris di Parma, ten. col. Luciano Garofano, il comandante del Reparto operativo, ten. col. Mauro Valentini, e il vicequestore aggiunto della Forestale, Gualtiero Stolfini. Contemporaneamente il Ris entrava in azione nella villetta di via Ugolini.
• Due i messaggi scambiati dai due nipoti. Un biglietto. Anzi due. Sono quelli finiti sotto la lente degli investigatori. Due messaggi lasciati dai due nipoti della coppia barbaramente uccisa e sezionata: Luciano De Leo da un lato, Guglielmo Gatti dall’altro. Entrambi risalenti a quel lunedì 1° agosto in cui fu lanciato per la prima volta l’allarme per la scomparsa dei due coniugi. Il primo sarebbe stato scritto dall’appuntato dei carabinieri appena giunto dalle Marche per far visita agli zii. L’uomo arrivato in via Ugolini attorno alle 10, non trovando i Donegani ha suonato al Gatti. All’ora di pranzo, quando il Gatti pare fosse già risalito in casa, il De Leo avrebbe lasciato, appuntato al cancello il primo biglietto: «Vado a mangiare in trattoria assieme a Ferruccio», un amico dei coniugi che il carabiniere aveva probabilmente conosciuto a San Benedetto del Tronto. Al ritorno dal pranzo, il De Leo vede appuntato al cancello, al posto del messaggio da lui lasciato, un altro biglietto: «Sono andato via. Torno alle 17». A scriverlo sarebbe stato il Gatti: in effetti il De Leo lo avrebbe visto tornare in via Ugolini poco dopo le cinque di pomeriggio, in auto. Poco dopo - e pare su insistenza del De Leo - sarebbe scattato l’allarme. Cosa abbia fatto il Gatti nel corso di quelle cinque ore non si sa. «Non si è parlato di bigliettini» sottolinea il legale, Luca Broli, dopo l’udienza di convalida. E di essi nel provvedimento di fermo, non si farebbe menzione. Ma ci sarebbe un ulteriore elemento a pesare sul black-out dell’alibi del Gatti: proprio nelle ore di assenza da casa, il 41enne sarebbe stato visto dal testimone 14enne (alle 15.30) scendere in auto a gran velocità dalla strada del Vivione, in Valcamonica. Dove poi sono stati rinvenuti i cadaveri. Quel biglietto, conservato dal nipote appuntato, è ora in mano ai Ris.
• «Nel garage la chiave del giallo». Giornale di Brescia 20/08/2005. Tracce di ferritina, una proteina contenuta nel sangue - ma presente anche in prodotti sintentici come gli antiruggine - è stata trovata a quanto sembra in quantità significative, disseminata un po’ dappertutto in casa dei coniugi Donegani. Se si tratti di sangue o di altro saranno ulteriori esami - che si annunciano complessi - a stabilirlo, gli stessi che dovranno appurare anche a chi eventualmente appartenga quel sangue. Ma la circostanza potrebbe segnare una svolta. Questo è quanto emerso dagli accertamenti effettuati nelle scorse settimane dai carabinieri della Sezione investigazioni scientifiche di Brescia. Assieme ad alcuni di loro, ieri, nella villetta di via Ugolini, sono entrati anche gli uomini del Ris di Parma. Per ben quattro ore, tra le 17.30 e le 22.10, le «tute bianche» hanno lavorato nel garage di proprietà di Guglielmo Gatti. Crimescope e Luminol sono tornati in azione, ma questa volta alla presenza di Luca Broli, il difensore di Guglielmo Gatti. Lo prevede il Codice, pena la inammissibilità di eventuali riscontri in sede processuale. E proprio dall’attività svolta dai Ris sembra essere giunto il punto di svolta decisivo, che peserebbe sulla situazione del Gatti. «Finalmente ci abbiamo messo una pietra sopra» si apprende da fonte investigativa, secondo cui gli esami del Ris di oggi «acclarano tutto ciò che già ritenevamo». Di diverso avviso il legale, per il quale non sarebbero emersi elementi «decisivi». I militari, guidati dal ten. col. Luciano Garofano, giunto subito dopo il vertice in Procura, hanno concentrato la loro attenzione attorno al garage. Quel garage ora privo della Fiat Punto, color blu metallizzato, al centro della vicenda. L’auto di Gatti, infatti, rimasta fino a ieri nel cortile del Comando provinciale dell’Arma è stata ieri prelevata da un carroattrezzi forse per essere successivamente analizzata a fondo in altra sede. Gli uomini del Ris hanno rovistato a lungo, tra la lavatrice e i pochi mobili presenti, cui si affiancano sui lati del box badili, rastrelli ed altri oggetti. Alcuni di essi, simili a grandi rondelle metalliche, sono stati a lungo fotografati. In serata i carabinieri hanno anche simulato più volte il percorso tra l’appartamento al primo piano e lo scivolo che conduce ai garage della casa, passando per il marciapiede. Si fa strada, tra le altre cose - ma allo stato solo come ipotesi investigativa - la possibilità di una riesumazione della salma del padre di Guglielmo Gatti, Luciano, morto due mesi fa per un tumore. Una ipotesi che dovrebbe essere presa in esame solo qualora dagli accertamenti tossicologici sui corpi dovesse emergere che i coniugi uccisi avevano ingerito veleno o altre sostanze tossiche.
• Quella notte Gatti dormì a Breno. Giornale di Brescia 20/08/2005. Guglielmo Gatti in un albergo di Breno, nella notte tra sabato 30 e domenica 31 luglio. Una presenza che, qualora confermata, complicherebbe - e non poco - la posizione dell’indagato. Proprio nel 41enne di Brescia, infatti, sarebbe stato riconosciuto quel misterioso cliente presentatosi, da solo, alle tre di notte all’hotel «Giardino». L’uomo avrebbe chiesto ospitalità, affittando una camera che già oggi i Ris dovrebbero passare alla lente d’ingrandimento. Ovviamente sul fatto tanto gli inquirenti quanto i gestori della struttura ricettiva tengono le bocche ben cucite. E la «pista camuna» continua a riservare svolte. Il bosco degli orrori viene infatti rivoltato come un guanto. Perché al macabro appello mancano ancora le teste dei coniugi Donegani e il busto di Luisa De Leo. E questo è un vero giallo, di quelli che ti lascia con il fiato sospeso. Ma poi quella valletta potrebbe nascondere altro... l’arma del delitto, strumenti (oltre alle due cesoie già finite nelle mani degli inquirenti) che in qualche modo possono aver avuto un ruolo in quell’occultamento da film dell’horror, tracce di sangue, segni di quel terribile sezionamento da macellaio, orme dell’assassino, indizi ritenuti schiaccianti. Insomma, elementi che consentano di chiudere il cerchio, di rimpolpare il castello accusatorio. E di stabilire se quel lembo di montagna conteso tra la Valcamonica e la Val di Scalve, o meglio quel canalone sia da ritenersi non solo il «cimitero della follia» ma qualcosa di più. Magari il quadrilatero del duplice omicidio e del successivo, agghiacciante depezzamento dei corpi. Otto, nove ore di ricerche - prima dell’arrivo della pioggia - ieri hanno «fruttato» degli elementi. Campioni e tracce sono stati raccolti dai carabinieri del Ris di Parma - coordinati dallo stesso comandante, dal colonnello Luciano Garofano - che hanno passato alla lente d’ingrandimento non solo il burrone degli orrori ma pure lo sterrato in cui sono state recuperate - mercoledì mattina - le borsette di plastica con la spesa dei coniugi Donegani e il bosco dove sono «spuntate» le due cesoie. Nel burrone sono stati raccolti quattro sacchetti di reperti. Pare si tratti di zolle di terra, lattine, bottigliette di plastica, ciuffi d’erba... tutti oggetti da passare al microscopio alla ricerca di tracce di sangue e impronte digitali. Evidentemente una bella fetta della partita investigativa si gioca nella valle di Paisco, perché l’assassino là potrebbe aver seminato tracce, indizi sulla scia di quella allucinante mattanza. E proprio fra quei boschi di betulle, larici e rododendri - fra i 1.400 e i 1.600 metri di quota - potrebbe essere stato consumato l’efferato omicidio. Forse a più riprese, in tempi diversi fra quel sabato 30 luglio e la successiva domenica... in quelle ore in cui l’assassino è salito quanto meno lassù, sul costone già in territorio di Schilpario per sbarazzarsi dei corpi martoriati dei Donegani. Ma torniamo alle ricerche. Gli investigatori - con la preziosa collaborazione degli uomini del Soccorso alpino, della Protezione civile e del Corpo forestale dello Stato - hanno quindi setacciato quelle pendici, nel raggio di un chilometro e più, partendo proprio dai luoghi in cui, nelle scorse ore, sono stati trovati gli otto sacchi neri con i resti umani e le famigerate cesoie. In realtà gli occhi delle squadre di ricerca - entrate in azione alle 6.30, forti di 50 operatori e unità cinofile - si sono allungati anche in altre zone piuttosto impervie sempre lungo la valletta del Sellero e in prossimità della strada che dal fondo valle, da Forno d’Allione, sale al passo del Vivione, «sfondando» in territorio orobico. Non dimenticando il torrente Allione. Ma altri resti umani non sono «spuntati». E a questo punto s’avvolge nel mistero l’assenza delle due teste e del busto di Luisa De Leo. Sostanzialmente due sono le ipotesi credibili che ruotano attorno al mancato ritrovamento, partendo dal presupposto che quel canalone è stato scandagliato da cima a fondo, dalla striscia d’asfalto fino ai piedi, per una profondità di oltre 300 metri. Prima pista: quei resti umani sono stati trascinati lontano da animali selvatici. Seconda: l’assassino li ha scaraventati altrove. Ma dove? Sempre tra quei monti? E soprattutto per-ché? Forse per rendere ancor più complessa l’identificazione, qualora fossero stati trovati quei resti. Pista che troverebbe una mezza conferma nel fatto che anche i vestiti e ogni prezioso (anelli, catenine, orologi...) che i coniugi Donegani indossavano al momento della sparizione sembrano svaniti nel nulla. Scaraventati chissà dove.
• Il Dna conferma: sono i Donegani. Giornale di Brescia 20/08/2005. All’esame del Dna non ci si scappa. Quei resti umani - ora custoditi in due celle frigorifere dell’Istituto di medicina legale di Brescia - appartengono ad Aldo Donegani e Luisa De Leo. Non ci sono dubbi. L’esame del Dna ha quindi confermato quello che in sede di autopsia non è stato possibile appurare. Piuttosto comprensibile, viste le condizioni dei cadaveri. O meglio l’assenza delle due teste e praticamente di gran parte del corpo della donna (in tutto i resti umani recuperati s’aggirano sui 50 chili), l’avanzato stato di decomposizione e la mancanza di indumenti, preziosi o - più semplicemente - cicatrici o particolari segni su quei reperti finiti sul tavolo del medico legale. A nulla - per l’identificazione -, vista l’assenza delle teste, sono servite le cartelle dentistiche dei coniugi Donegani che gli investigatori sono riusciti a recuperare nei giorni scorsi. A colmare l’insufficienza degli elementi di identificazione immediata, sono quindi arrivati - solo ieri pomeriggio - i risultati di laboratorio, come per altro confermato dallo stesso legale di Guglielmo Gatti, l’avvocato Luca Broli. Ma l’esame autoptico pare abbia messo in luce l’efferatezza non solo dell’omicidio ma anche di quell’operazione di sezionamento che ha indubbiamente richiesto parecchio tempo. Tagli netti, decisi per depezzare quei due cadaveri, che lasciano trasparire una mano ferma, «esperta». E poi non si esclude affatto l’ipotesi che quella macabra operazione di chirurgia - giustificata solo da una necessità di facile trasporto dei corpi e di occultamento - sia stata piazzata anche parecchie ore dopo la morte. Ma a questo punto, resta da capire la causa del decesso. L’assenza del tronco della donna e delle due teste non facilitano certo gli accertamenti necroscopici, anche se una svolta potrebbe arrivare dagli esami tossicologici. Non si può infatti escludere a priori nemmeno la pista dell’avvelenamento... Ma quei resti umani potrebbero fornire anche altri indizi utili all’inchiesta. Non a caso, prelievi di campioni sono stati acquisiti dai carabinieri del Ris probabilmente per confrontarli con altri elementi già in loro possesso. E poi su quei cadaveri e sui sacchi di plastica nera - comunemente utilizzati per l’immondizia - l’assassino potrebbe aver lasciato la sua firma. E basta un’impronta digitale, un capello... perché il Dna non tradisce. Anzi, parla chiaro, chiarissimo.
• I parenti. Giornale di Brescia 20/08/2005. I parenti più prossimi di Gugliemo Gatti fanno scudo attorno al quarantunenne in carcere da mercoledì per l’omicidio dei coniugi Donegani. E non riescono proprio a credere che Guglielmo Gatti possa essersi reso colpevole di un così atroce delitto. «Domani dovremmo incontrare l’avvocato Luca Broli» annuncia Giovanni Gatti, cugino di Guglielmo, che parla un po’ a nome di questo ramo della famiglia arrivato alla spicciolata nelle scorse ore a Brescia, in via Ugolini. « incredibile - prosegue il parente con voce sconsolata -, non posso credere che Guglielmo abbia potuto fare una cosa così, non riesco nemmeno a pensarlo». Il cugino esclude poi che Guglielmo Gatti avesse problemi economici: «Non faccio i conti in tasca, ma penso proprio che mio zio non gli abbia mai fatto mancare nulla». E il cugino cita, tra le altre cose, le proprietà di Guglielmo Gatti, le due case: quella cioè di Brescia e l’appartamento in montagna, all’Aprica. I rapporti tra l’uomo ora in carcere e gli zii, le due vittime? «Tra loro non c’erano dissapori» sentenzia il parente. «Certo - aggiunge il cugino - Guglielmo era una persona un po’ chiusa, parlava poco, ma questo che significa? Non è possibile che abbia fatto una cosa del genere, è assurdo». Giovanni Gatti, che incontrava raramente il cugino («quasi esclusivamente ai pranzi di Natale») spiega di averlo incontrato l’ultima volta dieci giorni fa. « stato solo per dieci minuti - ricorda -. Era tranquillo e sereno, e anche per questo mi sembra impossibile che si potesse portare sulle spalle un macigno come quello, così pesante». Di Guglielmo, il cugino Giovanni poi ricorda la passione per lo studio: «Oltre che al Politecnico di Milano, si era iscritto anche a una facoltà umanistica... penso che avesse a che fare con lo studio di civiltà antiche». Anche Romeo Gatti, anziano zio di Guglielmo, si limita a ripetere: «Penso che mio nipote una cosa così non l’abbia fatta».
• «L’eredità? Movente che non regge». Giornale di Brescia 20/08/2005. Non regge il movente dell’eredità. Dietro quel delitto non si cela una questione di soldi. l’avvocato Luca Broli, difensore di Guglielmo Gatti, ad escludere l’ipotesi del movente economico. La situazione patrimoniale del quarantunenne di Brescia - fermato con la pesantissima accusa di aver ammazzato e poi fatto a pezzi i due zii - non sembra affatto calzare su questa storiaccia. Perché Guglielmo Gatti non solo è proprietario di due abitazioni (la villetta al civico 13 di via Ugolini e l’appartamento all’Aprica) ma possiede pure parecchi soldi che gli ha lasciato l’anziano padre morto agli inizi di giugno, poco più di due mesi fa. A confermare le sostanze (e non da poche, tra azioni e liquidi) nella disponibilità di Guglielmo Gatti è anche il cugino Giovanni, che quindi conferma come l’uomo oggi accusato del delitto «non avesse problemi economici». Ma poi c’è anche la questione piuttosto controversa del testamento dei Donegani. «Testamento? una parola che nelle due ore di colloquio non è mai stata pronunciata nè da me, nè da lui (il riferimento è a Guglielmo Gatti) - spiega l’avvocato Luca Broli -. Del testamento ho saputo dalla stampa. Se ne sarebbe parlato se fosse rientrato tra le cose contestate dalla Procura». Ma torniamo al movente economico. Se non sono i soldi ad aver spinto l’assassino ad entrare in azione, qual è stata la causa che ha scatenato tutta quella sequenza di sangue da girone infernale. Magari «semplici» e vecchi dissapori o un litigio furibondo ben presto degenerato. Ma poi, dietro quel duplice assassinio, si cela premeditazione? Insomma, il movente è uno degli aspetti più misteriosi di questa vicenda da brividi; aspetto - non affatto secondario - su cui gli investigatori stanno scavando a fondo . Sempre che in una storia così cruda e sanguinaria esista un perché razionale. Difficile infatti credere ad un movente concreto dietro una follia omicida di quel genere, ancor più per quello spietato occultamento che, solo a pensarci, ti fa gelare il sangue nelle vene.
• Impassibilità che divide. Giornale di Brescia 20/08/2005. «Non abbiamo dormito le notti appena passate - dice la maestra -. La nostra via però è unita nel ricordo degli amici. Ogni giorno che passa ci sentiamo meno soli, anche se è lancinante la mancanza di Aldo e Luisa. Stasera, forse, riposeremo». Alcuni mesi fa, il padre di Guglielmo Gatti era ancora in vita. Il figlio, un giorno, lo aiutava a pulire le siepi, la maestra lo aveva visto e s’era complimentata: «Bravo Guglielmo. Così si fa. Non si deve lavorare solo con il cervello, ma anche con il corpo». La nonna di 93 anni, la vicinissima di casa dei Donegani, non aveva incontrato un uguale umore da parte del nipote. «Un giorno - raccontava ieri - volevo proprio parlargli. Lo vedo da una vita e da una vita non riesco a scambiare due parole. Il mattino avevo ascoltato la radio: "Oggi è San Guglielmo". Bene, mi sono detta, adesso appena esce di casa per fare la spesa, lo chiamo. Un’ora dopo mi è passato davanti: signor Guglielmo, signor Guglielmo - gli ho gridato - ho sentito alla radio che oggi è san Guglielmo. S’è girato, mi ha guardato con serietà e mi ha risposto: "L’ho già sentito anch’io" e si è allontanato senza dire né grazie né prego». Era sabato 25 giugno, san Guglielmo. Per incrociare Guglielmo Gatti è sempre stata una piccola impresa. Alcuni giorni fa carteggiava la ringhiera e nelle stesse ore aveva pronosticato con i vicini un due a dieci sulla probabilità di trovare vivi gli zii. Qui, in via Ugolini - ma non solo in via Ugolini -, calcolando i giorni delle ferie dei Donegani, il ritorno, i giorni della sparizione, del ritrovamento, s’è persa la cognizione del tempo . Ci viene in mente il giorno in cui Guglielmo Gatti, sulla sua Punto blu elettrico ha affiancato l’utilitaria di Ferruccio su cui eravamo seduti, ha abbassato il finestrino e ha riferito all’amico degli zii: «Li stanno cercando sui Campiani, allo stagno... Speriamo bene». E si è allontanato per far le spese. Al di là degli esiti giudiziari, fuori da ogni considerazione colpevolista o innocentista, ciò che non si perde è il suo viso: non denunciava un’emozione, non vibrava un nervo, una ruga. questa impassibilità a dividere il quartiere. L’impassibilità di Guglielmo Gatti non divide tra colpevolisti e innocentisti, ma tra chi si avvicina all’idea che da quel silenzio si sia prodotta una tragedia greca e chi si conferma in quel silenzio sull’impossibilità che un uomo visto crescere da bambino, proprio con quei silenzi quasi dalla nascita abbia potuto esplodere in una violenza primordiale, appena prima del rito cannibalico. L’etnologia, la storia dell’antropologia primitiva ha scritto libri alti sull’assassinio, sulla divisione delle carni, sulla consumazione per introitare la forza delle vittime. L’odio stritola l’amore, quando si agita sul basamento di una mente fissata a un progetto di onnipotente, prometeico esibizionismo di un’eco ancestrale. Chi ha ucciso e ha trattato i corpi di Luisa e Aldo non ha resistito al panico di una colpa emersa, subitaneamente, prima dell’ultimo taglio sacrilego. Anche da qui, forse, il rotolare a valle, andando incontro a testimoni che denunceranno il satanico assalto negli antri boschivi. Ieri sera, la chiesa era colma. Alla veglia per le anime di Aldo e Luisa Donegani non è mancato nessuno. Il passaparola era stato lieve come la compostezza dei parenti, dei conoscenti. Lieve e incisivo. Alle 18 la chiesa era retta su un cemento umano, massiccia come una quercia spirituale. Per un’ora è rimasta fuori dal tempio l’agenda delle ipotesi. In Sant’Antonio si è riportato, al centro, il dolore. E basta. Amen d’acciaio blindavano lo scrigno di pietà contro le interferenze di esagitate curiosità mediatiche, ordinate di venire in via Ugolini a fare man bassa di ogni tic possibile, di sparare sulla notizia non verificata, ridurla a pezzi e distribuirla quanti sono i giorni, probabilmente non pochi, dal funerale. di colpo tornato il tempo in cui sentiva sulla pelle l’aria dell’alleanza umana in questa valle di lacrime. Le amicizie del vicinato si sono rinforzate in modo naturale di fronte all’assalto di una violenza intraducibile. Si è chiuso un altro giorno in attesa dell’addio e si prepara una notte meno inquieta. Tonino Zana
• La tragedia torna negli incubi. Giornale di Brescia 20/08/2005. Almeno il caldo non si aggiunge all’inquietudine e i Campiani mandano sotto, a via Ugolini, bave di ossigeno. «Ho chiesto alla signora di fronte: anche lei non dorme. Mi ha riferito che anche l’altra signora non dorme». All’edicola e dal fruttivendolo, al bar e al ristorantino due strade sopra, parallelamente a via Ugolini, ormai occupato dalla stampa nazionale, all’ombra del cappellone satellitare della Sky, ci si rincuora nello scoprirsi insonni. Ci si racconta la salita della notte per resistere al giorno e sentirsi ugualmente fragili davanti alla violenza. «Non ho dormito. Come è possibile dormire, pensando che lì dentro è scomparso tutto?». Lì dentro è la casa numero 13 e numero 15, di Aldo e Luisa Donegani, di Guglielmo Gatti. Il sonno si trasforma in incubo, dicono soprattutto le donne, indicando le mutilazioni. Ricordando su tutto i sorrisi e gli sguardi di Aldo e Luisa Donegani separati dal corpo e separati dai loro incontri. Una signora racconta un incubo che diventa il simbolo dell’angoscia, il timbro di un tormento. «Eravamo davanti alla bara della povera Luisa Donegani. C’era molta gente nella sua casa. Vicino avevo i miei figli e alcuni dei miei cari già defunti da tempo. Luisa era graziosa, come in vita, rilassata. Era composta in tutto il suo corpo e la mia serenità nel pregarla era ancora maggiore, scoprendo che la testa era stata trovata. Vedete - dicevo ai miei figli - non è vero che il suo corpo e il corpo di Aldo Donegani sono stati fatti a pezzi. Sono morti, ma sono intatti. Sono morti e basta. A quel punto mi sono svegliata in un bagno di sudore, mi mancava il fiato, ero terrorizzata. Il mattino non era lontano. Mi sono alzata ed ho atteso che facesse chiaro». Ciò che si rimuove durante il giorno, le notizie accumulate dai giornali e dai telegiornali, dalle interviste e dagli incontri sequestrati dall’unica idea circolante, si trasformano in insonnia, in incubi, in risvegli agitati. Quanto è domabile nel giorno, si ribella di notte. C’è una disperazione, anzi la rinuncia alla resa della bestialità, che si fonda, principalmente, sull’allucinazione di teste perse nel bosco. lo sfregio allo sfregio in una spirale comparsa nei lager, sui filmati delle esecuzioni del terrore, quando la storia scende in basso, fino al girone dell’oscuramento pesto della coscienza. Non si dormiva nel lager e questa è una notte vicini con la mente e lontani fisicamente dalla baracca del lager. Dev’essere da qualche parte, dicono i bresciani di via Ugolini, dev’essere vicino al posto del ritrovamento dei resti dei Donegani, la baracca del lager in cui l’assassino ha espresso una brutalità che pure la cronaca dice di appartenere all’uomo e che ci rfiutiamo di credere gli appartenga. L’assassino è un nostro vicino, l’assassino che ha fatto a pezzi i corpi di due persone è stato cresciuto da un padre e da una madre, ha letto e scritto sulle pagine di carta e ha frequentato le aule di ognuno di noi. Cosa accade, ad un punto, perchè si scatenano i demoni? In queste ore, la morte normale in un letto di casa, si legge come un dono, quand’essa dovrà venire. E la voglia di silenzio avanzante nella comunità bresciana, al di là della curiosità sulle ultime modalità, sugli ultimi perchè, è la ribellione alle parole inutili. Accade che il silenzio dei fedeli alla vita duelli con il silenzio di chi ha tradito la vita, l’ha colpita alle spalle, l’ha fatta a pezzi. Solo che da adesso, come si è dimostrato ieri sera nelle preghiere del tempio del quartiere, nelle preghiere delle case, nelle preghiere a due santelle viste verso la Cellatica di questi Campiani, il valore del silenzio dei fedeli alla vita produce conforto e il silenzio dei traditori della vita si gonfia nella testa e rischia di esplodere in una metastasi di colpe, in una dichiarazione inginocchiata non lontana. Che si spera non lontana. Tonino Zana
• Veglia funebre in Sant’Antonio per ricordare i Donegani. Giornale di Brescia 20/08/2005. Veglia funebre ieri nella parrocchia di Sant’Antonio che ha voluto onorare così la memoria di Aldo e Luisa Donegani. Ad officiare il rito don Faustino Pari, sacerdote molto vicino alla coppia, specialmente a Luisa che collaborava con l’oratorio. La funzione inizia attorno alle 18, quando in chiesa ci sono circa un centinaio di persone. Tra di loro, nei banchi in prossimità dell’altare, prendono posto Luigi, Giuseppe, Giovanni e Carmine De Leo, i fratelli di Luisa. Mancano solo Domenico e il figlio Luciano, l’appuntato dei carabinieri che fece scattare l’allarme sulla scomparsa degli zii. «Era in servizio - ci dicono - e non è potuto venire». Siedono nelle prime file anche alcuni cugini, residenti a Gussago. Una famiglia riunitasi in un dolore affrontato compostamente, che chiede di vivere questo momento senza i riflettori costantemente accesi. Un richiamo cui non resta insensibile don Faustino quando, nelle fasi iniziali della veglia, invita perentoriamente le telecamere ad uscire dal Tempio. Lo stesso parroco di Sant’Antonio, prima di salire sull’altare, ci confessa come sia stato proprio Luigi, l’unico tra i fratelli di Luisa che risiede in città, a chiedere «aiuto a mantenere tranquille queste ore, evitando l’assalto dei media». Una cortina protettiva che riveste tutta la famiglia De Leo al punto che il parroco stesso non sa «dove siano alloggiati i parenti che vengono dalla Puglia, cui mi piacerebbe portare il conforto della fede». Don Faustino introduce il rito ricordando «le due settimane cariche di apprensione vissute in attesa di avere notizie, la preghiera di poter rivedere vivi Aldo e Luisa poi tramutatasi in preghiera di suffragio». Le parole invitano alla comprensione «a mettere da parte la rabbia in favore della carità cristiana per quella persona misera che si è macchiata di un delitto tanto barbaro». Di fronte all’orrore per «la mano di Caino che si è alzata di nuovo», don Faustino invoca la resurrezione, la forza delle preghiere che si alzano tra le navate. Al termine della veglia, Luigi De Leo scappa via veloce, senza parlare. Il fratello Giovanni, giunto apposta da Terlizzi, in provincia di Bari, si ferma, la voce rotta dall’emozione: «Non vedevo Luisa da due anni ma parlavamo al telefono tutte le settimane. L’ultima volta l’ho sentita dopo il suo ritorno dalle vacanze a San Benedetto (25 luglio, ndr) poi più nulla». Nessun commento su Guglielmo, quel nipote che «non ho mai visto». Quindi, appoggiato al braccio del figlio Michele, Giovanni De Leo lascia la chiesa, dribblando taccuini e telecamere. Le ultime battute le regala proprio Michele: «Quello che so sulla vicenda l’ho letto sui giornali. Guglielmo? Come posso dire se sia lui il colpevole, l’ho visto per la prima volta in televisione».
• «Parla chiaro il sangue: il mattatoio dei coniugi è il garage del nipote». Giornale di Brescia 21/08/2005. Incastrato. Quel sangue scovato nel garage di Guglielmo Gatti appartiene ad Aldo Donegani e Luisa De Leo. La conferma arriva dall’esame del Dna, e pesa come un macigno sulle spalle del nipote. Non a caso, gli inquirenti parlano di «prove schiaccianti» sul conto del quarantunenne, indicando nella sua autorimessa il mattatoio. Lasciando intendere che i coniugi Donegani sono stati ammazzati e poi fatti a pezzi nella villetta di via Ugolini. Sezionati proprio con quelle due cesoie recuperate mercoledì nel bosco degli orrori, nella Valle di Paisco, dove l’assassino se ne era sbarazzato. Nel giorno della verità - per l’accusa - il perimetro del puzzle criminale è pressoché completo, anche se rimane ancora da scavare. Perché, in fin dei conti, all’appello mancano due elementi non affatto secondari: il movente e soprattutto l’arma del delitto. GRANDE CRUDELT Ma andiamo con ordine. La Procura - in testa il procuratore capo Giancarlo Tarquini - ritiene di aver chiuso il cerchio, perché ogni indizio, ogni prova - anche scientifica - porta in quella casa di Sant’Anna e sul nipote delle due vittime, su Guglielmo Gatti. Il quale avrebbe fatto tutto da solo. « da escludere il coinvolgimento di altre persone anche per la natura del reato, caratterizzato da grande crudeltà e indifferenza alla vita» ha affermato il procuratore Tarquini archiviando quindi il capitolo delle complicità. La svolta sul duplice omicidio arriva quindi dal garage al civico 13 di via Ugolini, rivoltato come un guanto, per ore, dai carabinieri del Ris. Tracce ematiche sono «spuntate» in grande abbondanza sul pavimento e sulle pareti del box, ma pure nell’appartamento, pare nella vasca da bagno. Significa che la scena del crimine è quella. «Ne abbiamo la certezza, il garage è stato il mattatoio» conferma il capo della Procura bresciana. Perché là sotto «le tracce di sangue appartengono ai coniugi uccisi». Quale epilogo dell’orribile sezionamento dei cadaveri, probabilmente subito dopo il duplice omicidio. Operazione da macellaio portata a termine con quelle due cesoie ritrovate non lontano dalla strada del Vivione: la conferma, anche in questo caso, arriva dalla scienza. Dall’esame del Dna condotto su quelle macchie individuate sulle affilate lame. Si tratta anzitutto di sangue umano, e ancor più del sangue di Aldo e Luisa Donegani. Non solo, i tagli riscontrati sui resti sono compatibili con quelle «armi bianche», entrate in azione nel garage «incriminato». SOSPETTI FIN DALL’INIZIO Ma a far vacillare ancor più la posizione di Guglielmo Gatti è il ritrovamento - mercoledì mattina, nel dirupo tra la valletta del Sellero e il passo del Vivione, a ridosso della provinciale 294 che dalla Valcamonica porta all’orobica Val di Scalve - dei resti dei Donegani. Già, perché «il ritrovamento dei corpi straziati dei coniugi non è avvenuto in modo casuale, ma seguendo le tracce di Guglielmo Gatti - ha esordito il procuratore Giancarlo Tarquini affiancato da tutti gli investigatori che in questi giorni non hanno chiuso occhio -. L’aver ritrovato quei cadaveri è il frutto di una linea investigativa sulle orme del nipote», lasciando quindi intendere che fin dagli inizi i sospetti si erano concentrati sul quarantunenne. Non a caso, «dove il Gatti è stato visto (il riferimento è lungo la strada del Vivione), là ho disposto una battuta di ricerche e abbiamo trovato i corpi». Insomma, per gli inquirenti - ieri alla conferenza stampa, alla caserma «Masotti» di piazza Tebaldo Brusato, c’erano proprio tutti - il quadro è abbastanza chiaro, almeno nella sostanza. Certo, ci sono ancora interrogativi che potrebbero comunque essere ben presto colmati con i risultati necroscopici e tossicologici sui cadaveri e con quanto emergerà, al microscopio, dall’analisi di tutti quegli oggetti e campioni prelevati tanto nella villetta dei Donegani e dell’indagato quanto nel bosco degli orrori. In pista i carabinieri del Ris di Parma con il colonnello Luciano Garofano che, anche questa volta, hanno fatto la differenza. Perché la svolta - decisiva, secondo l’accusa - arriva proprio da quel sangue trovato nel box. E altre prove potrebbero arrivare anche dalla Fiat Punto di Guglielmo Gatti, spedita - insieme all’utilitaria dei Donegani - al laboratorio di Parma per essere passata alla lente d’ingrandimento. APPARENTE PERFEZIONE Un duplice omicidio tanto efferato quanto complesso. Un omicidio che sembrava perfetto? Il procuratore Giancarlo Tarquini - spalleggiato dal pm Paola Reggiani e dal colonnello Rosario Calì, comandante provinciale dei Carabinieri - parla di «un piano criminale di apparente perfezione». E rincara la dose. «Ha ucciso, ha sezionato i corpi e li ha nascosti in un posto nel quale, senza una felice intuizione investigativa, non sarebbero mai stati trovati, perché quella strada sarebbe stata chiusa tra qualche tempo». Già, il passo del Vivione in inverno si chiude. Marco Bonari
• L’allucinante viaggio da via Ugolini al Vivione. Giornale di Brescia 21/08/2005. Sulla ricostruzione del duplice delitto e soprattutto delle successive fasi criminali (per capirci dal fare a pezzi i cadaveri al gettarli nel bosco, a cento chilometri scarsi da Brescia) gli investigatori non si sbilanciano. Evidentemente per non compromettere il prosieguo dell’inchiesta e perché qualche tassello ancora manca. Ma l’assassino ha disseminato tracce, ha lasciato la sua firma, in Valcamonica, parola di investigatori. E poi c’è tutta una serie di ipotesi che, col trascorrere delle ore, potrebbe trovare conferme (o smentite). SABATO 30 LUGLIO Il cronometro di questa storiaccia scatta sabato 30 luglio, perché è quello l’ultimo giorno in cui sono stati visti i Donegani. Aldo e Luisa vengono inghiottiti dal silenzio attorno all’ora di pranzo; in mattinata c’è infatti chi li incontra in via Ugolini e chi a far compere tra la macelleria, la panetteria e il supermercatino di Sant’Anna. Poi, apparentemente, più nulla, non un segno di vita. Facile quindi credere che la morte risalga quanto meno al pomeriggio, proprio nella loro villetta. L’assassino ha quindi già colpito (ma come? è questo uno dei più grandi misteri) e si accinge ad ingranare la quinta nel suo piano criminale. Ma c’è premeditazione? I cadaveri vengono trascinati nel garage, sempre che nella stessa autorimessa non sia stato consumato l’omicidio vero e proprio. Nel box avviene la mattanza, perché il sangue parla chiaro. Macabra operazione chirurgica - dietro si cela apparentemente una mano fredda, ferma, quasi «esperta» - che richiede senz’altro del tempo. E non poco. Ma tra quell’agghiacciante lavoro e il decesso potrebbero essere trascorse anche poche ore, come confermerebbe non tanto l’autopsia quanto gli accertamenti dei carabinieri del Ris. Quel che è certo è che il carnefice ha utilizzato quelle due cesoie per depezzare i corpi. E solo quelle due lame, null’altro. Già, perché anche secondo i Ris quelle grosse «forbici» sono state sufficiente a compiere quello scempio. DUE VIAGGI IN VALLE Ma poi Guglielmo Gatti si lascia alle spalle la villetta e pure i cadaveri dei due zii. Sale in Valcamonica: gli inquirenti sospettano per effettuare un sopralluogo, per individuare un posto sicuro in cui gettare i resti dei Donegani, nel tentativo di farli sparire per sempre. Il fatto che alle 3 di notte, di quel sabato, Guglielmo Gatti sia a Breno, la dice lunga. Non sembra esserci alcun dubbio sul suo pernottamento all’hotel «Giardino», a poco più di venti chilometri da quello che poi si scoprirà essere il bosco dell’orrore. Il rientro in città risale a domenica. Perché la stessa sera pare che una vicina di casa adocchi Guglielmo Gatti nella villetta di via Ugolini, o meglio nel suo garage... la luce rimane accesa per ore. Il secondo viaggio in Valle? Il lunedì, in quelle cinque o sei ore in cui Guglielmo Gatti non ha un alibi. Ed è il giorno in cui, con certezza per l’accusa, l’uomo sale nella Valle di Paisco. Non lontano dal dirupo che quindici giorni dopo restituirà i resti umani dei suoi anziani zii, viene notato da un ragazzino e da suo padre. Viene riconosciuto, così come la sua Fiat Punto - di colore blu, a quattro porte - che, scendendo celermente dal Vivione, rischia di cozzare contro l’auto della famigliola. Ma poi sembra spuntare anche un altro testimone... circostanza questa su cui gli inquirenti mantengono le bocche ben cucite. La presenza in Valcamonica in quelle ore del sospettato numero uno viene certificata anche dai tabulati telefonici. O meglio dal sistema di ricezione dei cellulari. IL RITORNO IN CITT Il ritorno a Brescia, in via Ugolini, di Guglielmo Gatti risale alle 17, o meglio pochi minuti dopo. Quando incrocia Luciano De Leo, nipote di Luisa, arrivato dalla Marche in mattinata. L’uomo - un appuntato dei carabinieri - da ore sta cercando gli zii. E forse proprio l’arrivo di Luciano De Leo o meglio la notizia - appresa dal Gatti poche ore prima - che avrebbe dovuto trascorrere una vacanza con i coniugi Donegani, manda in tilt il piano dell’assassino. Il quale, in fretta e furia, fa sparire i corpi martoriati commettendo una serie di errori, lasciando dietro di sé una scia di tracce che poi, secondo gli investigatori, si sono rivelate fondamentali. Ma questa è solo un’ipotesi, nulla di più, su cui comunque i carabinieri del Reparto operativo e della Compagnia di Brescia stanno lavorando. Ipotesi che tuttavia non incidono sull’impianto accusatorio. TRACCE CANCELLATE Nella cronologia del duplice omicidio occorre poi individuare il momento dell’occultamento delle tracce. Perché l’assassino ha lavato per bene il pavimento del garage (ne sono convinti i Ris), ma non è bastato. Lavaggi pare ripetuti nel tempo, evidentemente nella speranza di riuscire a cancellare, per sempre, qualsiasi macchia di sangue. Ma poi l’omicida ha fatto sparire anche i vestiti e i preziosi che i Donegani indossavano quel giorno. E chissà dove sono finiti. Ma a quando risale questa operazione di occultamento? Sembra abbastanza chiaro che la mano criminale abbia denudato i corpi subito dopo la morte, o comunque prima di afferrare quelle cesoie. Gli indumenti avrebbero reso più difficoltosa la macabra operazione e qualora gettati con i resti umani avrebbero potuto facilitarne l’identificazione, oltre al fatto che vestiti o loro brandelli intrisi di sangue avrebbero potuto disseminare ulteriori tracce compromettenti nel garage o in casa. Sono svaniti nel nulla, e la speranza di ritrovarli sembra affievolirsi sempre più. Marco Bonari
• Guglielmo Gatti resta in carcere. Giornale di Brescia 21/08/2005. Guglielmo Gatti resta in carcere. Lo ha disposto il giudice per le indagini preliminari, Carlo Bianchetti, che ha depositato l’ordinanza con la sua decisione nella tarda mattinata di ieri. L’ORDINANZA. Nove pagine in tutto, di quelle che pesano, però. Con esse il gip ha prolungato a oltranza la permanenza a Canton Mombello del nipote dei due coniugi assassinati, ravvisando da un lato i gravi indizi di colpevolezza e dall’altro il rischio di reiterazione del reato. Su che basi? Sulla scorta degli elementi prodotti dalla Procura in sede di udienza di convalida: «Non si fa riferimento se non alle testimonianze di padre e figlio che avrebbero visto il Gatti sulla strada del Vivione» assicura l’avvocato Luca Broli, che assiste il 41enne. Insomma, niente sangue nel garage, niente soggiorno all’albergo di Breno, niente ipotesi di movente o esplicite considerazione in merito agli spostamenti del Gatti nei giorni della scomparsa, niente vicini-supertestimoni: «Tutti elementi dei quali la Procura non ha fornito documentazione» conferma ai cronisti il legale. Che non perde tempo e assicura: «Lunedì farò visita al signor Gatti, probabilmente già martedì presenterò istanza di scarcerazione al Tribunale del riesame», che sarà quindi chiamato a valutare se sussistano sufficienti argomentazioni a suffragio del provvedimento restrittivo. In ogni caso l’avvocato ha tempo dieci giorni. LA DIFESA. E non è questo il solo passo che il legale ha già pianificato. La difesa procederà ora ad un’analisi dell’ordinanza, quindi richiederà che tutti i reperti individuati e i referti degli esami effettuati dal Ris di Parma vengano sottoposti all’attenzione di un consulente di parte, che è già stato nominato. I DUBBI. E se non vi sono nuove contestazioni - confermate anche le aggravanti, tra cui la premeditazione - restano pure, secondo la difesa anche tutti i dubbi già sollevati nei giorni scorsi. «Non mi sono ancora stati forniti gli elementi di natura tecnica e scientifica che peserebbero a carico del mio assistito. E in ogni caso essi per divenire prove devono essere vagliati dai periti della difesa. Del resto, bisognerà vedere anche il contenuto delle testimonianze rese dai presunti testimoni». Quanto poi all’esatta dinamica dei fatti, Broli non manca di stigmatizzare: «Nessuno mi ha ancora spiegato come siano stati uccisi i coniugi Donegani, né, soprattutto, quale sia stato il movente: non certo quello economico, né tantomeno ho ragione di credere che il Gatti avesse di che voler male agli zii». ALTRE IPOTESI. Un movente e una gamma di ipotesi alternative ad esso collegate, invece, il Gatti e il suo legale li avrebbero indicati agli inquirenti, «sulla base di elementi che sono stati acquisiti dagli investigatori fin dall’inizio, ma poi abbandonati frettolosamente ancora alle prime battute delle indagini» ha spiegato l’avvocato. «Io un movente l’ho individuato, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal signor Gatti. Non mi risulta che la Procura abbia fatto altrettanto». Quanto a quale sia la natura della pista suggerita dal suo assistito, Broli non si dilunga: «Non è possibile parlarne per il momento». «IO NON C’ENTRO». La linea difensiva di fondo del resto non cambia: piena estraneità ai fatti. Il Gatti insomma resta fermo sulle sue posizioni. «Io non c’entro» avrebbe assicurato all’avvocato, che anche ieri ha ribadito come, contariamente a quanto indicano le testimonianze raccolte dalla Procura, il nipote dei coniugi garantisca di non essere mai stato in quei luoghi della Valcamonica in cui sarebbe stato avvistato. «PER LA PROCURA SENTENZA GI SCRITTA». Stupore da ultimo ha manifestato Luca Broli dopo la conferenza stampa degli inquirenti per l’atteggiamento assunto dalla Procura. «Conosco il modo di operare consueto e puntuale della Procura, e proprio per questo mi sorprendo del fatto che si asserisca che il caso è chiuso. Ho serie riserve al riguardo. Per la Procura la sentenza sembra essere già scritta: trovo assolutamente inopportuno avanzare delle conclusioni prima che il processo sia stato incardinato». La perplessità della difesa investe insomma la certezza granitica manifestata dagli investigatori. E ribatte punto su punto. «Le tracce di sangue? Le cesoie? Nessun atto al riguardo mi è stato ancora fornito. E in ogni caso, quanto emerso non ha ancora l’ufficialità della prova nei termini previsti dalla legge. La prova si forma nel contradditorio e tutti gli elementi, specie di natura scientifica, devono essere vagliati anche dalla difesa». Insomma, la partita a giudizio del legale, è ancora tutta da giocare. E le prime mosse potrebbero venire già nelle prossime giornate. Nel corso delle quali, il legale potrà ora avere liberamente colloqui con il proprio assistito. Mentre la difesa sembra intenzionata a presentare istanza al Tribunale del riesame, si prospetta sullo sfondo una vicenda giudiziaria davvero intensa. Gianluca Gallinari
• Visita medica per accertare i segni di colluttazione: esito negativo. Giornale di Brescia 21/08/2005. Erano le ore nove di ieri mattina quando l’avvocato Luca Broli e il dottor Mario Restori, il medico legale nominato come perito dalla Procura - lo stesso che ha seguito i primi esami sui resti dei coniugi - hanno varcato la soglia del carcere di Canton Mombello. Nell’infermeria del carcere di via Spalto S. Marco li attendeva Guglielmo Gatti, l’uomo formalmente indagato per il duplice omicidio degli zii. La Procura infatti aveva disposto una visita medica, che accertasse l’eventuale presenza di segni di colluttazione sul corpo del Gatti. Come previsto, un simile accertamento medico deve avvenire esclusivamente alla presenza del legale della difesa. «Al mio assistito - ha spiegato Luca Broli - ho spiegato che il medico era stato autorizzato dalla Procura ad effettuare le verifiche su di lui, e ho dato delucidazioni in merito alle modalità e alle ragioni di tali esami. Dopodichè ho fatto presente al Gatti che poteva anche rifiutarsi, ma lui ha immediatamente accettato di sottoporsi alla visita, senza esitazione». L’esito, a quanto riferisce l’avvocato, è stato assolutamente negativo: nessun taglio sulle mani o su altra parte del corpo, nessun segno o graffio che possa far pensare a una collutazione o ad uno scontro violento i cui postumi siano ancora evidenti. Certo la visita medica, svoltasi negli ambienti dell’infermeria del carcere cittadino non ha consentito a Guglielmo Gatti e al suo difensore di conferire se non limitatamente al merito degli accertamenti previsti per ieri. Si è trattato infatti - per usare le parole di Broli - di una «visita medica sorvegliatissima», che tuttavia non ha impedito al legale di constatare lo stato di prostrazione del suo assistito. L’avvocato lo definisce ancora una volta «provato e stanco». «Indosso la stessa camicia da quattro giorni» ha riferito al legale il Gatti, che non ha ancora ricevuto dai parenti abiti di ricambio. Quella che indossa, insomma, è la stessa camicia a sottili righe azzurre, con cui è apparso per l’ultima volta davanti agli obiettivi di telecamere e fotografi, mentre l’auto dei carabinieri lo trasferiva dal Comando di piazza Tebaldo Brusato a Canton Mombello, dove tuttora, appunto, si trova. Niente libri, niente giornali, non conosce nulla di quanto avvenuto negli ultimi giorni al di fuori di quella cella in cui resta - secondo le nuove disposizioni dell’ordinanza di custodia cautelare depositata dal gip Carlo Bianchetti - in stretto isolamento. Non solo. Infatti, dietro quella porta blindata, dietro quei muri che tengono segregato in una manciata di metri quadrati il Gatti, la luce non si spegne mai. Neppure la notte. Lo ha confermato al legale lo stesso nipote dei Donegani: «La cosa gli impedisce di prendere sonno, resta con gli occhi sbarrati per l’intera nottata». La luce elettrica che invade la stanza è imposta dal timore che il Gatti possa commettere un atto estremo. Eventualità che il legale esclude recisamente. Luca Broli, del resto, non ravvisa per il momento neppure la necessità di ricorrere ad una perizia psichiatrica del Gatti: «Troppo presto per parlarne». Categoriche sotto questo profilo anche le parole usate dal Procuratore Giancarlo Tarquini nel corso della conferenza stampa di ieri, che, ha escluso «nella maniera più assoluta la perizia psichiatrica». Il Gatti attende. Ora, che il gip ha disposto la prosecuzione della sua permanenza in carcere, non può che sperare nel pronunciamento favorevole alla scarcerazione del Tribunale del riesame. Gianluca Gallinari
• Fermo non convalidato. Giornale di Brescia 21/08/2005. «Concretamente cambia poco, ma la differenza sotto il profilo tecnico non è trascurabile». L’avvocato Luca Broli precisa con una certa soddisfazione che quell’ordinanza emessa ieri dal gip Carlo Bianchetti e annunciata ufficialmente alla stampa dal Procuratore Giancarlo Tarquini, pur disponendo la custodia cautelare in carcere non convalida il fermo d’indiziato emesso dalla Procura a carico del Gatti il 17 agosto. Un aspetto che solo gli addetti ai lavori colgono. Ma su cui vale la pena di soffermarsi. Il provvedimento restrittivo disposto inizialmente dai magistrati della Procura di Brescia a carico dell’indagato Guglielmo Gatti si basava sulla presunzione di un concreto pericolo di fuga dello stesso. In buona sostanza, secondo gli inquirenti, sussisteva la possibilità che il Gatti, accusato del duplice omicidio degli zii, dell’occultamento dei cadaveri e del vilipendio dei medesimi, si rendesse irreperibile, sottraendosi così alla giustizia. Non di tale avviso è invece stato il gip, Carlo Bianchetti. Il quale non ha ravvisato il pericolo di fuga. L’ordinanza da lui firmata, infatti, dispone sì la custodia cautelare in carcere - prolungando in sostanza la permanenza a Canton Mombello del 41enne - ma solo sulla base dei gravi indizi di colpevolezza e, al contempo, del pericolo di reiterazione del reato. Il giudice per le indagini preliminari, in sostanza, teme che il Gatti, se in libertà, possa tornare ad uccidere. «Si tratta di una differenza tecnica - ammette il legale - ma io lo dicevo dall’inizio che il provvedimento di fermo così com’era non sarebbe stato confermato». Gianluca Gallinari
• Ieri pomeriggio. Giornale di Brescia 21/08/2005. La Scientifica dell’Arma pare ormai essere divenuta tristemente di casa in via Ugolini, dove gli uomini della Sezione investigazioni scientifiche di Brescia sono tornati ieri pomeriggio che erano passate da poco le 14. Ancora una volta i militari, armati di guanti in lattice e «calzini» di carta che impediscono alle suole delle scarpe di «inquinare» eventuali tracce nei luoghi analizzati, hanno varcato i cancelli della villetta dell’orrore. Dopo aver svuotato la cassetta delle lettere del civico 13, sono entrati dapprima nell’abitazione delle due vittime, i coniugi Donegani, e quindi al primo piano, là dov’è, l’appartamento di proprietà di Guglielmo Gatti. I lavori della Sis si sono protratti per circa tre ore. Sotto la lente, in particolare, è stato passato proprio l’appartamento del Gatti. La Scientifica, nel corso delle operazioni, ha prelevato un paio di scatoloni. Tra gli oggetti in esame anche tre sacchetti dell’aspirapolvere nei quali si potrebbero trovare altri elementi utili alle indagini. Verso la fine del sopralluogo è intervenuto anche il legale di Guglielmo Gatti, motivando la sua presenza con la «richiesta di verificare alcune circostanze ambientali». L’avvocato ha inoltre aggiunto di non essere al corrente del tipo di esami condotti nell’appartamento di Gatti. I militari, intervenuti con il furgone, il cui stazionamento in via Ugolini quasi non stupisce più i residenti della zona, hanno proseguito i minuziosi lavori fino a poco dopo le 17, quando sono usciti dall’abitazione, nella quale tuttavia non è escluso che debbano fare ritorno per ulteriori verifiche. Il loro lavoro prosegue ora nei laboratori in cui saranno analizzati tutti i reperti. Gianluca Gallinari
• All’Hotel di Breno. Giornale di Brescia 21/08/2005. «Sì. Guglielmo Gatti ha dormito qui, nel nostro albergo». A dare la conferma della presenza del nipote di Aldo e Luisa Donegani nell’hotel Giardino di Breno è Cristina Cominelli, proprietaria dell’albergo. La donna ha raccontato che Gatti è giunto a Breno attorno alle 3 della notte fra il 30 e il 31 luglio. «Quando l’abbiamo accolto c’è sembrato davvero molto stanco, ma assolutamente non sconvolto». Alla domanda dei cronisti, che chiedevano a Cristina Cominelli se si fosse insospettita per l’orario o per le condizioni dell’uomo, la donna ha risposto: «Mi è sembrato una persona normalissima. Anche se era molto tardi ci siamo comportati come il nostro lavoro impone e l’abbiamo accolto». Queste le uniche parole dette dalla donna, che su richiesta degli inquirenti non ha voluto rivelare nè il numero della camera dove ha dormito Guglielmo Gatti, nè le condizioni in cui ha lasciato la stanza. Dall’albergo non è stata data alcuna conferma della registrazione o meno dei dati dell’uomo. Proprio sulla stanza si concentrerà l’attenzione del Ris di Parma che a Breno sono attesi a breve. L’appuntamento, però, non è tra i più urgenti: «Anche se è importante visionare e analizzare la stanza dove Gatti, a questo punto ne siamo certi, ha dormito - ha commentato un investigatore - la camera a questo punto, essendo stata inquinata dal passaggio di altre persone risulta essere il luogo meno importante. Naturalmente andremo anche là e non lasceremo nulla di intentato».
• «Latitanti» il movente e l’arma del delitto. Giornale di Brescia 21/08/2005. Caso sostanzialmente chiuso? Tre sono ancora i misteri che aleggiano attorno a questa storiaccia. E misteri non certo secondari, perché stiamo parlando del movente, dell’arma del delitto e di parti dei cadaveri che non si trovano. Sul perché di un omicidio tanto feroce quanto diabolico si stende un velo di silenzio. «Sul movente abbiamo delle idee molto precise. Non posso parlarne in questo momento perché abbiamo l’esigenza di quella riservatezza che è fondamentale per lo sviluppo delle indagini». Il procuratore capo Giancarlo Tarquini è lapidario, lasciando intendere di aver già imboccato la pista giusta. Ma forse il movente dell’eredità, dei soldi, sembra un po’ allontanarsi, proprio per il fatto che Guglielmo Gatti non avrebbe affatto problemi economici. Essendo egli proprietario di due case (la villetta di via Ugolini e l’appartamento all’Aprica) e titolare di un conto corrente di tutto rispetto. E s’affaccia invece la pista di un astio ventennale, di una vecchia ruggine maturata tra Guglielmo Gatti e gli zii, amplificata dopo la morte del padre del Gatti. Ma se il movente sembra rompere la testa degli inquirenti, ancor più difficile è stabilire come i coniugi Donegani siano stati ammazzati. Le condizioni dei resti umani recuperati nel dirupo al Vivione e la mancanza delle due teste e del busto della donna non permettono di fornire risposte certe. Nessun foro di proiettile (anche perché una pistola non sarebbe mai entrata in azione in quella casa nel cuore di Sant’Anna) e nemmeno evidenti coltellate sarebbero emerse dall’autopsia su quei pochi resti, in avanzato stato di decomposizione e già preda di animali selvatici. Una svolta potrebbe invece arrivare dagli accertamenti tossicologici, perché i Donegani potrebbero essere stati sterminati con un veleno. Escludendo quindi una vera e propria azione violenta, una colluttazione che avrebbe potuto facilmente essere udita o vista dai vicini. E poi l’assassino aveva di fronte a sé due persone adulte che in qualche modo avrebbero potuto reagire, anche solo nel tentativo di mettersi in salvo, di fuggire da quella villetta. E poi c’è il terzo grande mistero: il mancato ritrovamento delle due teste e del busto di Luisa De Leo. Sono state preda di animali selvatici (lassù di cinghiali e volpi ne circolano, parola di esperti) o l’assassino le ha scaraventate altrove? Magari per depistare o per rendere più difficoltoso il riconoscimento (anche se oggi il Dna non lascia scampo). Certamente nel bosco degli orrori quelle parti anatomiche non ci sono, perché gli uomini del Soccorso alpino, della Protezione civile e del Corpo forestale dello Stato hanno passato alla lente d’ingrandimento la zona. E, per ora, non si parla di una ripresa delle ricerche. Adesso è infatti arrivata l’ora di analizzare approfonditamente tutto quello che è stato rastrellato. Ed incrociare i risultati emersi. Perché il cerchio deve quadrare. Marco Bonari
• In via Ugolini, un compagno di classe di Guglielmo. Giornale di Brescia 21/08/2005. Il pensiero che quello scempio, quel macabro sezionamento dei cadaveri, se non già il duplice omicidio, possa essere avvenuto all’interno della villetta di via Ugolini, fa rabbrividire chi lì, in quella strada pacifica e sconosciuta ai più fino al mese scorso, ci vive. « una cosa da non credere. Due persone così amabili, e una sequenza così crudele. Tanto peggio poi se è stato il nipote, un parente ad ucciderli». Le parole di incredulità e di sgomento si ripetono, si rincorrono gli sguardi pieni di stupore e di orrore per quella tragedia che si è consumata, secondo le indicazioni degli inquirenti, proprio lì. Nelle auto che sfilano davanti all’abitazione, davanti a quei fiori appesi alla cancellata, cifra di un dolore condiviso, non manca mai un commento. C’è chi dietro il parabrezza congiunge le mani e le porta al volto in segno di sgomento. E chi si segna, invocando la pietà divina su quel luogo segnato dalla tragedia. Ma in quella via c’è pure chi fa ritorno, anni dopo aver lasciato quella strada in cui ha abitato per l’intera giovinezza, e ricorda, con altrettanta incredulità quel tempo in cui fu compagno di classe di Guglielmo Gatti. «Era una persona tranquillissima, abbiamo fatto le medie insieme, si giocava, si rideva. Ho giocato per sei-sette anni con lui senza problemi e non ha mai dato segni di squilibrio». «Era estroverso, ma anche generoso. Andava d’accordo con i genitori e gli zii». il ritratto di Guglielmo Gatti da bambino tratteggiato da Roberto Cigolini, amico d’infanzia del nipote dei Donegani che da anni vive a Sergnano, nei pressi di Crema. Ieri, di passaggio in via Ugolini per trovare dei parenti, ha detto di non sapere «cosa dire di questa atroce scoperta». «Erano vent’anni che non vedevo Guglielmo - ha precisato -. Ma lo ricordo come uno dei più intelligenti della classe, anzi: ricordo che concluse le scuole medie in soli due anni anziché tre. Gianluca Gallinari
• Le chiavi del giallo Donegani. Giornale di Brescia 22/08/2005. «Anche altri avevano le chiavi di quell’appartamento»: l’avvocato Luca Broli, difensore di Guglielmo Gatti, in carcere perchè accusato dell’omicidio degli zii Aldo e Luisa Donegani, non vuole entrare nel merito delle «ipotesi alternative» sul delitto fornite dal suo assistito agli inquirenti nei giorni scorsi. Ma le rilancia e promette battaglia. LE CHIAVI. Lo fa segnalando la circostanza che altri avrebbero avuto a disposizione le chiavi dell’appartamento al piano terra della villetta di via Ugolini. Vale a dire l’abitazione dei coniugi Donegani, quella tra le cui mura, probabilmente, i due sono stati uccisi prima di essere fatti a pezzi nel garage del Gatti. Alle parole del legale è giunta immediata la replica degli inquirenti: «A noi non risulta nulla di tutto questo. L’unico mazzo di chiavi trovato in casa Donegani è quello che gli zii avevano dato a Guglielmo perchè gli annaffiasse i fiori quando erano via. stato il nipote carabiniere a trovare le chiavi quando ha fatto entrare i Vigili del fuoco dalla finestra». Anzi, per gli inquirenti proprio «il fatto che Aldo e Luisa avevano dato le chiavi al nipote col quale avevano rapporti scarsi, dimostrerebbe che non avevano nessun’altro cui darle». OGGI LA VISITA. In ogni caso con la settimana che si apre oggi, il legale intende muovere i primi passi pianificati dalla difesa. Se al carcere ieri si è fatto vivo un cugino di Gugliemo Gatti per fargli avere una camicia azzura pulita, Luca Broli farà visita al suo assistito oggi. Quindi, già domani, presenterà l’istanza di scarcerazione al Tribunale del Riesame. Nessun passo hanno mosso ieri gli inquirenti, segnando una pausa d’arresto delle indagini, dopo venti giorni frenetici di lavoro senza sosta. IL MOVENTE. Uno dei primi vuoti da colmare nella ricostruzione ancora parziale della sequenza criminosa avanzata dalla Procura è certo quello del movente. In merito, Tarquini, ha detto di «avere le idee chiare», senza proferire una parola in più. Ma le indiscrezioni trapelate parlano di «un odio ventennale», di un rancore maturato nel corso degli anni ed esploso alla fine del luglio scorso. Quel che è certo, è che le famiglie Gatti e Donegani erano agli antipodi. Solari, esuberanti, disinvolti, amanti della bella vita, i Donegani, chiusi e riservati i Gatti. Quelli che a molti vicini sembravano «rapporti cordiali» erano più probabilmente un reciproco sopportarsi. Secondo don Stoppani le due famiglie «si sono avvicinate durante la malattia di Maria Rosa», la madre di Guglielmo. In particolare sembra che Gatti mal sopportasse Luisa, così giovanile e disinvolta, ex donna delle pulizie dei Donegani e sposa di Aldo in seconde nozze. Dopo la morte di Giuliano, padre di Guglielmo, i rapporti si sono ulteriormente fatti più fitti. I vicini li ricordano «tutti e tre sul balcone al primo piano. Parlavano tranquillamente». In quei dialoghi, forse, si cela la scena principale, quella però che manca, in questo film dell’orrore. LE CESOIE. Quanto all’arma del delitto pare escluso che siano le cesoie insanguinate rinvenute al Vivione. Quelle secondo gli inquirenti sono gli strumenti usati solo per il macabro depezzamento dei due cadaveri. A confermarlo è lo stesso ten. col. Luciano Garofano, presente all’Istituto di Medicina Legale del Civile, dove, assieme al dott. Mario Restori, ha effettuato i primi accertamenti esterni sui resti recuperati - una cinquantina di chilogrammi di materiale umano in tutto, segnato da morsi di animali e devastato dall’azione del tempo e del caldo. «L’assenza di lacerazioni provocate da lame seghettate fa pensare che proprio quelle cesoie da fabbro, rinvenute poco lontano dalla spesa abbandonata dai due coniugi, siano state sufficienti a sezionare i corpi senza vita dei due coniugi». Cesoie che sarebbero state acquistate due settimane prima del delitto in un centro commerciale della periferia cittadina, e su almeno una delle quali sarebbero state rinvenute tracce di sangue appartenente a entrambi i morti. NUOVI ESAMI. Ora riprenderanno gli accertamenti tecnico-scientifici: oltre alle verifiche previste dai Ris nella stanza dell’albergo di Breno in cui il Gatti avrebbe soggiornato la notte tra il 30 e 31 luglio, sono già stati disposti gli esami tossicologici sui resti dei cadaveri: gli esiti si avranno in capo ad una settimana. Gli inquirenti vogliono verificare l’ipotesi di un avvelenamento come causa del decesso. RIESUMAZIONE. Se così fosse stato, non è escluso che possa rendersi necessaria anche la riesumazione delle spoglie di Giuliano Gatti, il padre 82enne di Guglielmo, deceduto lo scorso 1° giugno. Questo per accertare che anche l’anziano, malato da tempo, non sia stato a sua volta avvelenato. I tempi per l’operazione erano stati definiti prematuri dal Procuratore Giancarlo Tarquini sabato nel corso dell’incontro con la stampa. E lo stesso Procuratore ha smentito categoricamente l’imminenza di questo provvedimento, di cui era circolata voce ieri. Gianluca Gallinari
• Ris: «Soluzione solo col lavoro di squadra». Giornale di Brescia 22/08/2005. Quando con le tute bianche di carta si sono infilati nel garage di Guglielmo Gatti, bardati con mascherine e guanti, gli uomini del Ris di Parma si aspettavano forse di trovare proprio quelle tracce apparse loro di lì a poco. Tracce di sangue, che - come macchie luminescenti - sarebbero balzate agli occhi dei militari in modo evidentissimo, quando hanno «bombardato» le superfici con la speciale luce blu cui reagisce il Luminol. Il test effettuato nel garage di via Ugolini, infatti, prevede che vaporizzando, su tessuti e superfici porose, una soluzione contenente il derivato del luminolo, in presenza di carbonato di sodio, esso reagisca con il gruppo «eme» dell’emoglobina presente nel sangue emettendo energia sotto forma di luminescenza bianco-blu visibile al buio. Il test, svolto alla presenza del legale della difesa, Luca Broli, venerdì sera, non poteva essere disposto durante le prime battute delle indagini, non essendo il Gatti indagato. «Quando abbiamo acceso le lampade tutto il garage è diventato blu, sia per terra che sulle pareti, fino all’altezza di un metro» avrebbero dichiarato gli investigatori subito dopo le ricerche. stato grazie a quel ritrovato che l’evidenza delle tracce è emersa. Ma pare che a complicare l’opera degli investigatori sia stata la scrupolosa opera di lavaggio, con potenti reagenti chimici, messa in atto da chi voleva cancellare ogni traccia di quel sangue. I Ris, infatti, pare abbiano dovuto operare su alcuni punti in cui la luminescenza appariva più fievole, segno della presenza certa del sangue ma, al contempo, dell’assenza di altri elementi chimici, che potevano risultare inquinanti. Precauzione questa dettata dal fatto che non è raro che il test dia esiti «falso-positivi» o «falso-negativi» se svolto in modo non corretto. Poi, il lavoro è proseguito notte tempo per risalire al profilo genetico dei campioni di sangue prelevati. Con esiti noti. «A risultati simili si arriva solo con una piena collaborazione tra investigatori scientifici e tradizionali: solo, cioè attraverso un pieno lavoro di squadra». A dirlo è il col. Luciano Garofano, che guida il Ris di Parma. A Brescia ha lavorato coi suoi uomini «senza sosta per tre giorni e tre notti», calandosi anche nel dirupo dell’orrore, al fine di verificare la presenza di ulteriori elementi laddove sono stati rinvenuti i resti. «Il lavoro prosegue - ha concluso - pur con minor urgenza: all’inizio è sempre decisivo acquisire la prova ancora "calda"». Gianluca Gallinari
• Don Faustino Pari: l’assassino persona misera e non lucida di mente. Giornale di Brescia 22/08/2005. Dopo l’orrore la preghiera. Dopo l’attesa una tremenda certezza, quella della sorte orribile toccata ai due coniugi, Aldo e Luisa, che ieri, nel corso delle celebrazioni domenicali, sono stati ricordati dal parroco di S. Antonio, don Faustino Pari. Poche ma significative le parole che il sacerdote della parrocchia del quartiere Sant’Anna, ha dedicato oggi alla vicenda. «Dimostriamo di essere una comunità cristiana - ha detto sul finire dell’omelia della principale Messa domenicale -, cioè una comunità che segue Cristo». Il parroco ha invitato a usare «parole che non lascino trasparire odio, perché se no si crea un circolo vizioso per cui all’odio si aggiunge odio. Cerchiamo di vivere questi giorni così difficili per la nostra comunità con parole di riflessione e di preghiera». Alla Messa ha partecipato con la moglie anche Luigi De Leo, uno dei cinque fratelli di Luisa. Al termine della funzione l’uomo si è allontanato senza fare dichiarazioni. In una chiesa gremita - tra i banchi molti di coloro, amici, e vicini, che conoscevano bene i due coniugi - la comunità si è raccolta così come già le altre domeniche successive alla scomparsa dei Donegani: ma la speranza, che seppur flebile, aveva retto e confortato i fedeli nelle scorse settimane, ieri non c’era più. «La tragedia - ha dichiarato don Faustino ai cronisti - anche emotivamente porta a ricordare Aldo e Luisa, che non erano certo due sconosciuti, due estranei di passaggio, ma membri della nostra comunità, che frequentavano la parrocchia e che collaboravano con l’oratorio. Quanto all’assassino dei coniugi Donegani, don Faustino Pari non si dilunga troppo, ma commenta, sulla scorta non già della competenza dello psichiatra, ma della sensibilità dell’uomo di fede: «Non è una persona lucida di mente». Il parroco non ha fatto riferimento esplicito a Guglielmo Gatti, il nipote della coppia uccisa, accusato dalla Procura di essere l’assassino. Ci tiene a precisare: «Le indagini sono ancora in corso, non dobbiamo sostituirci ai magistrati». Ciò nonostante, è chiaro che l’intera vicenda fa della comunità del quartiere ferito una comunità «scossa», dice il sacerdote, che ha invitato comunque i fedeli a pregare non solo per i coniugi uccisi, ma anche per l’assassino della coppia che continua a definire una persona «misera». «Una persona che compie un atto simile degrada se stessa» ha concluso il parroco. «Ma le parole di commiserazione devono divenare parole di compassione cristiana. Le uniche parole possibili in queste ore sono quelle della fede».
• I corpi fatti a pezzi dopo la morte: agghiacciante lucidità. Il Giornale di Brescia 23/08/2005. Sulle cesoie, ormai al centro del caso Donegani, gli inquirenti hanno rinvenuto le tracce di due sole persone: i coniugi Aldo e Luisa. Su questo gli investigatori sono categorici e smentiscono recisamente le voci circolate nelle scorse ore e pubblicate da alcune testate secondo cui il Dna di una terza persona sarebbe stato individuato sulle lame. Così come del resto, i Ris negano nella maniera più assoluta che Luisa De Leo sia stata sezionata quando era ancora in vita. Se nell’ordinanza emessa dal gip si fa riferimento agli schizzi di sangue giunti ad un’altezza di un metro e venti centimetri sui muri, come appartenenti solo alla donna, è infatti probabile che essi non siano da attribuire a getti di sostanza ematica prodotti dalla pressione arteriosa di un corpo ancora in vita (che avrebbero con buona probabilità raggiunto anche il soffitto, che risulta al contrario immacolato), bensì ai movimenti dell’omicida. O agli spostamenti degli arnesi impiegati all’interno di quello che è stato definito il «garage-mattatoio». Sarebbero oltre 40 le macchie di sangue individuate dal Ris di Parma nella rimessa del Gatti: mescolate o appartenenti ai due singoli coniugi. Tutte concentrate attorno alla vaschetta del lavabo. Quella su cui gli inquirenti ipotizzano che l’assassino abbia avviato la macabra ma lucidissima opera di sezionamento. E non a caso: secondo una delle ipotesi al vaglio, infatti, l’omicida avrebbe potuto limitare lo spargimento di sangue provvedendo ad una metodica decollazione: dai due corpi decapitati sarebbe stato fatto defluire il sangue nella vasca del lavabo, con il rubinetto aperto e l’acqua corrente, utile a disperdere il sangue diluendolo e ad evitare così la massiccia formazione di macchie. In molti, poi, in queste ore, manifestano perplessità al riguardo degli strumenti adottati per il depezzamento: sono sufficienti delle cesoie per frantumare ossa e cartilagini di due esseri umani? Ma la risposta potrebbe non essere congruente con l’effettiva dinamica del sezionamento. In altri termini, l’omicida potrebbe essersi limitato a tagliare le parti molli dei corpi (ed è certo che il depezzamento è avvenuto poco dopo il decesso). Muscoli, nervi, tendini. Carne, insomma, che lame progettate per aver ragione di cavi d’acciaio o robusti rami, avrebbero potuto affrontare senza ostacoli. Le ossa, invece, potrebbero essere state lasciate integre, ma disarticolate le une dalle altre. Sulle giunture insomma potrebbe essere stata esercitata pressione tale da staccare ad esempio un femore dal bacino o un braccio dall’omero. Macabri dettagli che potrebbero però rientrare in una logica spietata ma ferrea e rigorosa. Più chiarezza in merito - così come riguardo le modalità dell’uccisione, su cui tuttora permane totale incertezza - potrebbero venire dagli esami tossicologici e dalle analisi già disposti dalla Procura. Gianluca Gallinari
• In quelle cesoie. Giornale di Brescia 23/08/2005. La storia di quelle cesoie insanguinate, rinvenute al Vivione, a pochi metri dalla spesa dei coniugi Donegani, sembra essere ricostruita, almeno in parte. E gettare nuove ombre sul conto di Guglielmo Gatti. L’ACQUISTO. Già, perchè ieri gli uomini della Guardia di finanza avrebbero individuato nel punto vendita di Roncadelle della catena «Obi» - specializzata in materiale per giardinaggio e bricolage - il luogo in cui il nipote dei coniugi barbaramente sezionati, avrebbe acquistato gli arnesi che gli inquirenti ritengono poi impiegati per fare a pezzi i corpi. GLI SCONTRINI. Non solo. L’attenzione delle Fiamme gialle sarebbe riservata in particolare a due scontrini, due documenti che attesterebbero altrettanti «acquisti» effettuati nel negozio, che si affaccia sulla Padana Superiore, alla Mandolossa. In particolare sotto la lente dei militari sarebbe finito uno dei due tagliandi, che risalirebbe al 30 luglio, attorno alle 11,30: solo una manciata di ore prima di quello che si ritiene l’ultimo avvistamento di Aldo e Luisa Donengani. Se su quest’ultimo non vi fosse certezza, lo scarto di pochi minuti potrebbe confermare o invece rendere meno probabile la premeditazione. Che l’acquisto sia stato effettuato dal Gatti sarebbe provato inoltre dall’avvenuto pagamento per mezzo di carta di credito: circostanza che gli inquirenti - trincerati dietro il più stretto riserbo - non hanno confermato, ma che se verificata complicherebbe di molto la posizione del 41enne. Il Gatti - pare cliente abituale del centro - avrebbe in particolare acquistato in quell’occasione due differenti tipi di cesoie, corrispondenti a quelle poi trovate al Vivione: una più grossa, con i manici di colore verde e lame brunite, con un’apertura di circa 12 centimetri, concepita per tagliare i rami; l’altra più piccola, con impugnature azzurre, da lattoniere. Entrambe sono di una marca tedesca («Lux») di cui solo la catena Obi è distributrice per l’Italia. Inoltre, tra gli acquisti figurerebbe anche un grosso taglierino rosso. Circa 50 euro di spesa in tutto. Cui va aggiunto il costo di alcuni detergenti, forse quelli impiegati per pulire le tracce di sangue. I militari stanno effettuando anche altre verifiche nei negozi della zona, ma gli elementi emersi ieri, se confermati, potrebbero segnare un’ulteriore svolta nell’attività investigativa. A BRENO. Così come novità emergerebbero dalla Valcamonica, dove, gli inquirenti avrebbero rintracciato più di un segno del passaggio del Gatti. Tra essi il soggiorno all’albergo Giardino di Breno, che, secondo una prima testimonianza resa dalla titolare, Cristina Cominelli, risalirebbe alla notte tra il 30 e il 31 luglio. Eppure, l’assenza della registrazione lascia un’ombra di incertezza sulla data esatta: si tratterebbe di un ennesimo giallo, e non è escluso che quel passaggio sia stato successivo, da posticipare nella ricostruzione degli eventi tra il 2 e il 4 agosto. Forse un sopralluogo. Il Gatti, inoltre, avrebbe richiesto non una ma due stanze, altro elemento su cui si concentra l’attenzione degli investigatori, che pare già oggi - o nei prossimi giorni se il tempo non dovesse consentirlo - torneranno in Valcamonica per effettuare nuove ricerche. E proprio da Breno potrebbero ripartire i tentativi di recuperare le due teste e le altre parti mancanti dei due cadaveri. Gli inquirenti forse ritengono che lì si debba concentrare l’attenzione. Se così fosse, non è da escludere che quel presunto arrivo nel cuore della notte all’hotel camuno - un passo falso nell’ottica di chi avesse avuto tutto l’interesse a non lasciar traccia di sé - faccia sorgere nuovi sospetti negli investigatori. L’AUTO A PARMA. Intanto le ricerche proseguono anche sotto il profilo scientifico. I carabinieri del Ris di Parma, infatti, contano di approfondire questa settimana nei loro laboratori gli esami avviati tra Brescia e il Passo del Vivione. In particolare, già ieri, i militari del Ris avrebbero smontato e passato alla lente la Punto Blu di Guglielmo Gatti. Battistrada, ma anche sedili e interni sono di certo al vaglio della Scientifica. Ma più di tutto preme sapere quali tracce custodisca - o meno - il bagagliaio dell’auto. RICOSTRUZIONE. Anche perché nella ricostruzione fornita dagli inquirenti proprio l’auto ha un ruolo centrale. Dal garage in cui il Gatti riponeva con scrupolo la vettura sarebbero giunti quei rumori uditi attorno alle 2.30 della notte tra il 30 e il 31 luglio da una vicina di casa. Sempre l’auto sarebbe stata riconosciuta assieme al suo conducente dal 14enne che viaggiava col padre sulla Panda che il 1° agosto, alle 15, si sarebbe quasi scontrata con essa sulla strada del Vivione. E ancora: proprio con la Punto il Gatti è visto tornare a casa due ore e mezzo più tardi dall’appuntato Luciano De Leo, nipote di Luisa: giusto il tempo per il viaggio tra la Valcamonica e la città, per il prelievo Bancomat dallo sportello dell’Auchan di Concesio - che risulta agli atti alle 16.58 - e la pulizia della vettura, probabilmente al vicino autolavaggio. Gianluca Gallinari
• Gatti dal carcere: «Sono innocente, ho un alibi». Giornale di Brescia 23/08/2005. «Sono innocente, mi vogliono incastrare». Guglielmo Gatti, il «nipote del piano di sopra», in carcere dallo scorso mercoledì con l’accusa di aver ammazzato gli zii Aldo e Luisa Donegani, di averli sezionati con delle cesoie e di aver occultato i resti dei loro cadaveri nei dirupi della strada che conduce al passo del Vivione, reagisce «battagliero». Nonostante le prove lo mettano con le spalle al muro. L’uomo legge e rilegge l’ordinanza di custodia cautelare, ripete più volte la sua estraneità ai fatti che la Procura gli addebita senza tentennamenti. «HO UN ALIBI» A colloquio con il suo legale, il 41enne in isolamento da cinque giorni a Canton Mombello, fornisce circostanze e dettagli che costituirebbero il suo alibi. «Respinge con fermezza le accuse che gli sono mosse - dice l’avvocato dopo essersi lasciato alle spalle il carcere cittadino - e fornisce elementi che vanno verificati. Elementi che andrebbero valutati direttamente dalla Procura e che, così non dovesse essere, saranno oggetto delle investigazioni della difesa». «MAI DORMITO A BRENO» Nella fattispecie l’indiziato numero uno ha riferito al suo difensore i reali spostamenti negando due circostanze chiave: di aver pernottato nell’albergo a Breno la notte del 31 luglio (quella successiva alla scomparsa dei Donegani) e nemmeno di aver avuto sulla strada del passo del Vivione un incontro ravvicinato con il ragazzino che poi lo riconoscerà. GARAGE E DINTORNI La prova che più di tutte pesa sul suo conto - quelle macchie di sangue evidenziate dal Luminol nel suo garage - è anche quella che lo sorprende di più. «Sono risultati di perizie tecnico scientifiche - ha detto l’avvocato Broli - e andranno verificati anche dalla difesa e dai suoi consulenti. Senza attendere il verdetto delle perizie una cosa si chiede il mio assistito e me lo chiedo anch’io: com’è possibile che quelle macchie siano saltate fuori così tardi. Quel garage è stato aperto per venti giorni, c’è stata la polizia scientifica ed è stato visitato più volte dagli investigatori che si sono occupati del caso». Altre incongruenze vengono in mente al legale: a partire dalle testimonianze rese da una vicina di casa dei Donegani. «Domenica sera - ha spiegato Luca Broli - sono stato a fare un sopralluogo in via Ugolini: ho guardato la disposizione delle case e...». Il dubbio si materializza sul volto dell’avvocato, che sul punto non va oltre. Lascia puntini di sospensione che spiegano più di qualsiasi altra parola. «LAVOREREMO SUI TESTIMONI» Nel corso delle due ore del colloquio, il primo dal giorno della sua carcerazione, Gatti ha riferito al suo avvocato altri elementi che potrebbero alleggerire la sua posizione. A cominciare dalle testimonianze. «Il mio assistito riferisce di essere stato visto da alcune persone, testimoni sui quali dovremo lavorare». L’uomo non ha detto chi siano i suoi ipotetici «salvatori», ma per il suo legale «sono facilmente rintracciabili». CHI HA LE CHIAVI? Rintracciabili come le persone che sarebbero in possesso delle chiavi della palazzina di via Ugolini. «Gatti mi ha detto - ha proseguito Broli - che sono una pluralità. Non ha aggiunto altro, ma anche in questo non sarà difficile scoprire le loro identità». Ricerche e valutazioni che l’avvocato effettuerà nei prossimi sette giorni, gli ultimi utili per preparare l’istanza di scarcerazione del suo assistito e sottoporla alla valutazione del tribunale del riesame. I PARENTI Attorno alle 15 nello studio dell’avvocato Broli si presentano i parenti di Guglielmo Gatti: zii e cugini, in tutto cinque persone. «Lo conosco da vent’anni - dice il cugino Pietro - ma l’ho visto in tre sole occasioni: a tre funerali per la precisione. A lui stava bene così...». Per conoscerlo meglio è servita una tragedia. «Ho avuto più notizie di lui dai giornali in questi venti giorni - prosegue il cugino dell’accusato - che in tutto in resto della mia vita». Due ore dopo essere entrati nello studio i cinque escono «scortati» dallo stesso avvocato. La parola torna proprio a lui. «Mi sembrava doveroso incontrarli - spiega Broli - per poter parlare di questioni importanti sia per me che per loro. Abbiamo discusso del carattere e della personalità del mio assistito, non siamo entrati nel dettaglio dei fatti che gli sono addebitati». Accuse alle quali i parenti di Guglielmo Gatti non credono. «Sono convinti della sua estraneità», taglia corto l’avvocato Broli. A contare però, e l’avvocato lo sa bene, sono ben altre convinzioni. Pierpaolo Prati
• Un altro scontrino pesa sul conto di Guglielmo Gatti. Giornale di Brescia 24/08/2005. Una traccia al giorno. Un tassello che si incastona perfettamente nel mosaico che gli inquirenti stanno cercando di concludere nel minor tempo possibile e che, più passano le ore, più sembra destinato a raffigurare proprio il volto più noto: quello di Guglielmo Gatti. Sul conto del «nipote del piano di sopra», l’indiziato numero uno, il colpevole, almeno per la Procura, dell’uccione, del sezionamento e dell’occultamento dei cadaveri degli zii, Aldo Donegani e Luisa De Leo, si fa pesantissimo un altro scontrino. Dopo quello che certifica l’acquisto delle cesoie, ma che non attribuisce la compera direttamente a Gatti, la nuova pezza giustificativa, trovata nell’appartamento dell’uomo, metterebbe in collegamento il 41enne in isolamento a Canton Mombello con il sacchetto di sedano scovato nello stesso punto in cui furono ritrovate le cesoie e i resti dei coniugi. Sarebbe proprio quella consegnata dalla cassiera di un supermercato della città a Gatti all’atto dell’acquisto dell’ortaggio. A collegare lo scontrino al sedano è il codice a barre sulla confezione di quest’ultimo: una coincidenza che sembra dire che l’uomo sia stato sul luogo del ritrovamento e confermare che ora abbia le spalle... sempre più a ridosso del muro. Oltre a questa sostanziosa novità, ieri è emersa una voce che deve essere ancora confermata. Nell’appartamento di Gatti i Ris avrebbero rinvenuto tracce di sangue. A chi apparterrebbero non è però, allo stato delle cose, dato sapere. Certo nel caso fossero compatibili con quelle evidenziate dal luminol nel garage di via Ugolini, e quindi appartenessero ad uno o ad entrambi i coniugi, alla chiusura del cerchio mancherebbe davvero poco. Quanto allo scontrino del quale già si sapeva, quello ovvero che testimonierebbe l’acquisto all’Obi di cesoie identiche a quelle ritrovate nel dirupo dell’orrore, non ha trovato conferma l’ipotesi che queste siano state comprate attraverso l’utilizzo di carte elettroniche. Ciò che è emerso di nuovo è che lo stesso acquirente dell’utensile abbia prelevato dal grande negozio della Mandolossa anche un non modesto quantitativo di segatura. Prodotto che potrebbe essere stato utilizzato nel garage che secondo l’accusa è stato trasformato in mattatoio. Resta ancora da scoprire il movente, che pare essere sempre meno di natura economica. Restano anche da trovare i resti dei cadaveri che ancora mancano: le due teste ed il busto di lei. Coordinati dal dott. Lendvai, gli uomini del Corpo Forestale del distaccamento di Breno ieri hanno perlustrato una buona fetta della Valcamonica alla ricerca di ulteriori indizi, con un compito preciso: circoscrivere ulteriormente l’ambito delle indagini. I venti uomini impiegati lungo la strada statale, sotto i ponti, sull’argine dell’Oglio e nelle zone limitrofe ai centri più vicini a questa direttrice non hanno rinvenuto nulla di significativo. Oggi, coordinati da Gualtiero Stolfini, vice questore aggiunto della Forestale, riprenderanno il loro lavoro passando al setaccio altre aree non ancora perlustrate. Responsi sono attesi intanto da più parti: innanzitutto dall’Istituto di medicina legale di Brescia che si sta occupando degli esami tossicologici sui resti dei Donegani. Il lavoro prosegue serratamente e potrebbe arriva al traguardo entro la fine della settimana. Dall’esito delle analisi si potranno conoscere le cause che hanno condotto alla morte di Aldo Donegani e di Luisa De Leo e quindi fare ulteriore luce sulle responsabilità. Negli stessi giorni, al più tardi entro lunedì prossimo, notizie si potranno avere anche da Parma. Nel quartier generale dei Ris, gli uomini di Luciano Garofano stanno studiando millimetro per millimetro l’automobile di Guglielmo Gatti. La Punto blu che l’uomo avrebbe utilizzato per sbarazzarsi dei corpi degli zii e a bordo della quale il 41enne fu avvistato sulla strada che conduce al Vivione. Anche dalla Germania sono attesi responsi. Si aspetta che riapra l’unica azienda in grado di decodificare il contenuto dell’hard disk sul quale un distributore di carburante di Dezzo di Colere, località posta tra Angolo Terme e il passo del Vivione, avrebbe potuto registrare il passaggio di Gatti. A proposito di registrazione è confermato manchi quella dell’albergo di Breno nel quale il «nipote» avrebbe soggiornato una notte. Nonostante questo dettaglio, che non è certo da poco, la titolare conferma con estrema fermezza di averlo avuto come ospite e di essersi segnata (evidentemente per avere almeno un pro memoria) il suo nome e i suoi estremi. La donna sa anche quando il Gatti ha suonato al suo campanello, ma non conferma, e nemmeno smentisce, si tratti delle 3 di domenica 31 luglio. Il che ripropone un dubbio legittimo: quando è stato il nipote a Breno? Subito dopo la scomparsa degli zii o successivamente? Magari per un sopralluogo? Pierpaolo Prati
• Il legale: « sempre più battagliero, non cede». Giornale di Brescia 24/08/2005. « ancora più battagliero di ieri, non si sta rassegnando». Gli indizi a suo carico sono pesantissimi. Gugliemo Gatti, da sei giorni in carcere con l’accusa di aver ucciso Aldo Donegani e Luisa De Leo, di averli fatti a pezzi e gettati nei dirupi dominati dal passo del Vivione, però non cede. Anzi ribadisce al suo avvocato, nel corso della seconda giornata di colloquio a Canton Mombello la sua «assoluta estraneità» al duplice e terribile omicidio. Nega e rilancia fornendo ancora una volta «le stesse indicazioni fornite agli inquirenti nelle ore successive al suo fermo - spiega l’avvocato Luca Broli poco dopo aver salutato il suo assistito - e respinge tutte le ipotesi accusatorie che gli vengono addebitate». Anche ieri Guglielmo Gatti non si è limitato a dire: «Io non c’entro», ma è andato oltre, come avesse le sue carte da giocare. Ha un alibi? «Nel momento in cui respinge ogni accusa direi di sì, assolutamente di sì». Quello che l’avvocato Broli non dice è su cosa l’alibi si fondi. «Gatti ha delineato quadri - ha detto Luca Broli - che potrebbero essere particolarmente interessanti». Logico pensare alle chiavi di casa Donegani, uno dei punti più dibattuti di questi giorni, ma anche agli stessi sospetti che l’accusato numero uno può avere. «Quanto al primo punto tengo a precisare che il mio assistito - dice il legale - non ha fatto nomi, ma solo detto che ad averle erano più persone». Quanto ai secondi? «Gatti ha captato segnali che lo portano a fare particolari considerazioni - spiega il difensore - segnali che ha avuto in un lasso temporale decisamente ampio, che affondano le radici in un periodo decisamente antecedente alla scomparsa dei coniugi». Sul contenuto del dialogo tra l’avvocato e il suo assistito non trapela altro. «Secretato» ripete spesso il primo. Quello che è dato sapere è che Gatti non ha ancora discusso delle prove che lo hanno messo con le spalle al muro. Ha ricostruito i suoi movimenti, i suoi rapporti con gli zii, ha affrontato le questioni prodromiche, le prime che emergono dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice che ha disposto il suo isolamento a Canton Mombello. Oggi il confronto tra l’accusa e l’accusato, attraverso la mediazione dell’avvocato Broli, entrerà nel vivo. Il legale sottoporrà all’analisi del 41enne la testimonianza del ragazzino che lo avrebbe riconosciuto proprio nelle vicinanze dei luoghi dove sono stati trovati i resti dei coniugi Donegani. Quanto alle altre prove, a partire dalle tracce di sangue in garage, la testimonianza della proprietaria dell’albergo di Breno dove avrebbe dormito, le cesoie e la pezza giustificativa del loro acquisto Luca Broli taglia corto: «Di questi elementi di prova ci occuperemo quando mi verranno formalizzati. Per ora non ne ho traccia nelle carte che ho a disposizione e quindi è meglio occuparsi d’altro. C’è un’istanza di scarcerazione da presentare, dobbiamo puntare su questa». Si torna comunque sulle macchie di sangue trovate nel suo garage, sullo stupore espresso dall’inquisito sul fatto siano occorsi venti giorni per scoprirle. C’è chi fa notare all’avvocato che prima dell’iscrizione di Gatti nel registro degli indagati i Ris non potevano entrare in azione. «Ipotesi plausibile, io resto di un altro avviso». L’intento dell’avvocato, almeno per ora è un altro, e decisamente chiaro: cercare di far uscire Gatti dall’isolamento di Canton Mombello. Convincere il Tribunale del riesame che siano venute meno le esigenze di custodia cautelare. Per tutto il resto, per quello che già si conosce e per quello che si conoscerà nelle prossime ore, ci sarà tempo. Pierpaolo Prati
• Macchie, testimonianze e scontrini. Il Giornale di Brescia 25/08/2005. Con le tracce biologiche rinvenute nella Punto blu di Guglielmo Gatti dal Ris di Parma gli inquirenti hanno «pescato» una carta che potrebbe permettere loro di avvicinarsi presto alla chiusura del caso. Gli indizi sino ad ora raccolti, e confermati dagli investigatori, tracciano infatti un quadro che sembra lasciare poco margine di manovra alla difesa. Si parte dalla testimonianza del ragazzino. Di quel 14enne che riconobbe in Guglielmo Gatti la persona al volante della Punto blu contro la quale, a fianco del padre, rischiò di scontrarsi proprio sulla strada che conduce al passo del Vivione. In un punto poco distante da quello nel quale mercoledì 17 agosto vennero ritrovati i resti di Aldo Donegani e Luisa De Leo. In mano agli investigatori poi finì la prova delle prove, la prova che la procura non esitò a definire «schiacciante»: il sangue nel garage di Gatti, il sangue dei due zii. Proprio nel «mattatoio», così come lo chiamò Giancarlo Tarquini, emerse insomma l’elemento che pare dare forza agli altri. Successivamente a questa altri indizi. Alcuni validi, altri solo potenzialmente. Tra questi ultimi la testimonianza dell’albergatrice di Breno, che ha dichiarato di aver dato a Gatti una camera alle 3 della notte tra il 30 e il 31 luglio, dimenticandosi però di registrare la sua presenza e di produrre così una prova. Dello stesso tenore lo scontrino dell’Obi che testimonia l’acquisto di cesoie identiche a quelle utilizzate per sezionare i cadaveri, ma non consente di condurre la spesa al nipote. Gli investigatori tengono in maggiore considerazione la testimonianza della vicina di casa dei Donegani, che disse di aver udito nella notte tra il 30 e il 31 luglio rumori provenire dal garage di Guglielmo Gatti e anche lo scontrino della verdura ritrovato all’interno dell’appartamento del nipote di Aldo e Luisa. Questa pezza giustificativa troverebbe riscontri nel codice a barre appiccicato sulla confezione di sedano rinvenuta nel dirupo poco distante dai resti dei coniugi e dalle cesoie insanguinate.
• Tracce della zia nel bagagliaio dell’auto. Giornale di Brescia 25/08/2005. Altre tracce. Questa volta non cartacee, ma biologiche. Arrivano da Parma. Dai laboratori del Ris. Dal bagagliaio della vettura che, secondo l’accusa, Guglielmo Gatti avrebbe utilizzato per portare i resti dei corpi dilaniati di Luisa De Leo e dello zio Aldo Donegani in cima al Passo del Vivione. Tracce «individualizzanti», come riferisce la procura. Conducono infatti alla donna. Appesantiscono ulteriormente il fardello di indizi che gli investigatori stanno inserendo nel fascicolo a carico del 41enne in carcere con l’accusa di aver ucciso, fatto a pezzi e cercato di far sparire i corpi dei due parenti. Qual è la sostanza rilevata? Sangue probabilmente anche se i Ris che hanno da lunedì le mani sull’utilitaria del 41enne, non l’hanno confermato. Agli inquirenti basta per ora dire che appartiene a Luisa De Leo per definire il suo rinvenimento «importantissimo». NELL’APPARTAMENTO. Non ancora attribuibile, invece, è la macchia trovata nel corridoio di casa Gatti. Questa si è di sangue, quello che non si sa è a chi appartenga. Potrebbe essere ricollegata a chiunque, almeno sino alle prossime analisi che dovranno effettuare i Ris. VERTICE IN PROCURA. Che il nuovo tassello fosse di un certo spessore lo si è capito sin da metà mattinata di ieri. La giornata inizia in modo apparentemente tranquillo, ma prosegue subito con una svolta. Gatti, che ha appuntamento a Canton Mombello con il suo avvocato, Luca Broli, è convocato dapprima in procura poi alla caserma dei carabinieri di Piazza Tebaldo Brusato per un interrogatorio. La conferma che non sarà una giornata come tutte le altre si materializza attorno a mezzogiorno in via Moretto. Nell’ufficio del Procuratore della Repubblica, Giancarlo Tarquini, si trovano tutti coloro che stanno investigando sull’uccisione dei coniugi Donegani. Invitati al vertice ci sono i pm Paola Reggiani e Claudia Moregola, il colonnello Valentini, i rappresentanti del pool di medici legali che stanno effettuando le analisi tossicologiche, gli agenti della Guardia di Finanza e il colonnello Luciano Garofano. Il capo del Reparto investigativo speciale si è scomodato dalla sua Parma per lasciare sul tavolo attorno al quale sono tutti seduti il «carico» che pesa di più: le tracce biologiche della donna. L’INTERROGATORIO. Quello portato dal capo del Ris di Parma è un elemento da far fruttare per vedere di far crollare il grande accusato. Avranno pensato in Procura. Da qui la convocazione di Gatti per quel «faccia a faccia» con tutto gli inquirenti. Che si trasferiscono in blocco nella caserma dei carabinieri di piazza Tebaldo Brusato dove, a bordo di un cellulare della Polizia Penitenziaria arriva, attorno alle 16,45, anche il grande accusato. A stretto giro di lancette si presenta anche il suo legale e poco dopo il confronto inizia. Non senza qualche intoppo. La pm Paola Reggiani deve tornare in procura a recuperare parti del fascicolo. Così l’interrogatorio parte con una mezz’oretta di ritardo. FACOLTA’ DI NON RISPONDERE. Parte e finisce ben presto. Guglielmo Gatti, infatti, dichiara di non voler rispondere alle domande degli inquirenti. Si «avvale» e il motivo è spiegato poco più tardi dal suo legale. «Prima di rispondere vogliamo valutare tutte le contestazioni che gli vengono addebitate». RICERCHE E INDAGINI. I resti dei Donegani che mancano, le due teste e il busto di lei, non sono stati trovati nemmeno ieri. La Forestale continua le sue perlustrazioni, ma la fatica degli uomini coordinati da Gualtiero Stolfini non è stata ripagata. Le battute non si fermano, anzi si allargano a macchia d’olio. La Valcamonica sarà perlustrata anche oggi a partire dalle prime ore della mattinata. Anche le indagini non si fermano. In via Ugolini, sempre nella giornata di oggi, dovrebbero farsi vivi gli uomini del Ris per effettuare rilievi nell’appartamento del Gatti. Evidentemente gli inquirenti stanno cercando ulteriori tasselli del mosaico per inchiodare definitivamente il «nipote del piano di sopra», inducendolo a confessare quell’orrendo delitto che loro gli attribuiscono fermamente. COLLOQUI. Anche l’attività difensiva proseguirà a ritmo incessante. L’avvocato Broli riprenderà oggi il confronto con il suo assistito. Dopo una notte ed una mattinata passata a studiare la metà del fascicolo che gli manca, il legale sarà nuovamente a Canton Mombello. Con Guglielmo Gatti parlerà delle contestazioni più puntuali che muove la procura. L’incontro potrebbe essere decisivo per raccogliere tutti gli elementi utili alla formulazione dell’istanza di scarcerazione che l’avvocato sembra voler chiudere qualche giorno prima della scadenza del 30 agosto. Pierpaolo Prati
• «Sono innocente»: alibi legato agli spostamenti. Giornale di Brescia 25/08/2005. Le prove diventano sempre più pesanti. Lui, in isolamento da una settimana, diventa sempre più combattivo. E nega. Guglielmo Gatti, a quanto racconta il suo avvocato, non fa il benché minimo passo indietro, non ritratta, non mette il piede in fallo, e tanto meno confessa. Con «lucidità» risponde a tutte le domande che il suo legale gli pone senza cadere nella benché minima contraddizione. Ripete quanto disse agli inquirenti in sede di sommarie informazioni «passo dopo passo - sostiene Luca Broli - con precisione sorprendente». L’uomo che non si scomponeva quando gli investigatori entravano e uscivano da casa sua, che dialogava con tutti i cronisti, che esibiva senza tentennamenti le fotografie degli zii scomparsi, ribadisce giorno dopo giorno anche al suo difensore la stessa versione di sempre: «Sono innocente». Lo stesso ha fatto anche ieri nel corso del colloquio con il suo legale, terminato in anticipo per la convocazione e l’interrogatorio degli inquirenti. «Anche oggi mi ha fornito una versione credibile dei fatti - ha spiegato Luca Broli - e ha ribadito di avere un alibi». Il fondamento del quale resta «per ragioni di convenienza difensiva secretato». Il suo fondamento, tra una domanda e l’altra, pare di capire che riguardi i suoi spostamenti. Ci sarebbe, in poche parole, chi l’ha visto e potrebbe mettere in discussione la versione della Procura. Dare credito a quel «io non c’entro» che il 41enne «del piano di sopra» continua a ripetere. Se la fiducia non crolla, sono le forze a venire meno. «L’ho visto fisicamente sciupato - spiega Broli - del resto l’accusa e la condizione carceraria in cui versa non sono certo cose da poco». In isolamento, ma non più controllato a vista, Guglielmo Gatti non può proprio fare nulla. Solo dormire e mangiare. Gli è proibito ricevere visite, leggere i quotidiani, ma nemmeno libri. Ha quindici minuti d’aria al giorno e ovviamente li passa in cortile da solo. L’unico contatto umano che ha è con il suo difensore. «Compatibilmente con la condizione nella quale vive - ci ha detto Broli - è estremamente preciso quando risponde alle mie domande. Lo fa senza dover riflettere a lungo. Non ha esitazioni particolari. Sino ad ora mi ha sempre risposto nella stessa maniera in cui ha risposto agli inquirenti in sede di sommarie informazioni. Dice esattamente le stesse cose». Per la Procura, evidentemente bluffa ora, come bluffava allora. Che sia così non è dato sapere, quel che è certo è che la resistenza di quest’uomo è davvero sorprendente. «Si arrabbia quando trova punti nell’ordinanza di custodia che non corrispondono alla sua versione dei fatti - dice Broli - e trova nelle sue convizioni la forza di andare avanti». Convinzioni che Gatti, anche se ha deciso di non rispondere, ha fatto capire ai suoi accusatori. Chiuso nella sua camicia viola, ieri, ha scosso più volte la testa come a non credere, come a non dare credito a quanto gli stavano sottoponendo gli inquirenti. Questo però non significa che il nipote del «piano di sopra» sia tutto di un pezzo. «Gatti ha più volte trattenuto a stento le lacrime per quanto è successo ai suoi zii - racconta Broli - e fatto ricorso a tutto il suo orgoglio per celare la sua commozione al sottoscritto». Pierpaolo Prati
• I Ris tornano in via Ugolini a caccia di altre tracce. Giornale di Brescia 26/08/2005. Torna sotto la lente d’ingrandimento la villetta di via Ugolini. Ieri, infatti, gli inquirenti sono tornati nelle abitazioni dei coniugi Donegani e del nipote Guglielmo Gatti, rimanendoci per oltre cinque ore. Dopo la serie di «tracce» emerse nei giorni scorsi la casa dei Donegani è tornata al centro del giallo. La via al centro di Torricella e dell’attenzione mediatica di tutta Italia ha cominciato a movimentarsi attorno alle nove, quando una pattuglia dei carabinieri si ferma all’angolo tra via Ugolini e via Scarampella: segnale inequivocabile di un’attività che sarebbe iniziata di lì a poco. Verso le dieci è arrivato il furgone del Sis (Sezione investigazioni scientifiche) di Brescia, ma nulla si è mosso fino ad un ora più tardi quando sono arrivati l’avvocato di Guglielmo Gatti, Luca Broli, e gli uomini del Ris di Parma. Sono bastate poche mosse nel cortile per capire che in questa occasione la villetta sarebbe stata passata al microscopio, e le ricerche in una direzione precisa. Dal baule del fuoristrada del Ris infatti sono uscite almeno tre grosse valigie di attrezzatura ed altrettante dal furgone del Sis. Poi la via è stata transennata, giornalisti ed operatori allontanati di una trentina di metri, secondo decisivo segnale che gli inquirenti puntavano molto su questo ennesimo sopralluogo. I primi passi dei militari sono stati nel giardino sul retro della casa e dopo pochi minuti sono stati portati via i primi reperti: due scatole che verosimilmente contenevano dei campioni del terriccio del giardino, probabilmente da confrontare con campioni raccolti altrove. In mattinata si è lavorato nell ’appartamento di Gatti, quasi sicuramente per sottoporre ad ulteriori esami gli «aloni» biologici apparsi dalle precedenti verifiche scientifiche. Qui oltre al Luminol ed al Crime-Scope infatti gli esperti di Parma hanno utilizzato macchine fotografiche e speciali telecamere. Nel pomeriggio poi l’attenzione si è concentrata sull’appartamento dei Donegani al pianterreno, fino verso le diciotto quando i militari sono ripartiti alla volta di Parma.
• L’alibi del nipote: «Ero in Internet, non in Valcamonica». Giornale di Brescia 26/08/2005. «Avvocato, non molli!». La porta di Canton Mombello si è appena chiusa alle spalle di Luca Broli. Nella mente del difensore di Guglielmo Gatti resta impressa l’esortazione a continuare la caccia ad indizi validi per la difesa rimbalza di continuo. Una preghiera che si traduce in un obiettivo: trovare conferme all’alibi dell’uomo accusato di aver ucciso (magari avvelenandoli o soffocandoli) i coniugi Donegani, di aver fatto a pezzi i loro corpi e di averli gettati in fondo ad un dirupo ai piedi della strada del Passo del Vivione. A poca distanza dal punto nel quale il nipote sarebbe stato avvistato dal ragazzino di 14 anni divenuto, qualche giorno dopo il riconoscimento, il «superteste» di tutta questa vicenda. E proprio a smontare questa testimonianza pare indirizzata l’opera della difesa. Dal carcere, infatti, Guglielmo Gatti continua a ripetere di non essere mai stato su quella strada. Nelle ricostruzioni fatte davanti al suo legale dice di avere elementi che lo escluderebbero. Il primo di questi è lo scontrino del prelievo fatto al bancomat alle 16,58 di quel lunedì primo agosto, meno di due ore dopo essere stato avvistato sulla strada del Vivione. Gli altri? Ce ne sarebbero e la difesa li sta verificando e... suggerendo. L’invito è quello di verificare il computer di Gatti. «Da qui potrebbero emergere indicazioni su un lasso di tempo delicato per l’inchiesta». Il pc potrebbe contenere chiavi circa gli spostamenti dell’uomo e quindi fornire spiegazioni. Ora è nelle mani degli inquirenti che dovrebbero «interrogarlo» per valutare il suo contenuto, le eventuali tracce lasciate nella sua memoria e la loro genuinità. Ieri intanto l’avvocato e il suo assistito hanno analizzato la parte del fascicolo che mancava. «Gatti - ha precisato Broli - gli elementi contestati sino al 19 agosto. Di quelli che sarebbero stati raccolti successivamente non ho notizia formale e quindi, per me, è come non esistessero. Quando me le produrranno, ne prenderò atto e le valuterò insieme al mio assistito». In attesa di quel momento i colloqui vanno avanti. «Quello di oggi è stato un colloquio utile, costruttivo: il mio assistito ha ristretto il campo, mi ha fornito indicazioni che prima non avevo e che mi permettono di proseguire sulla stessa strada con assoluta fermezza e decisione». L’accusato numero uno continua a non... accusare nessun altro. Quanto meno non fa nomi. «Si riferisce ad ambiti - precisa Broli - a scenari, alle piste che mi aveva già indicato». La sfida a distanza tra accusa e difesa, insomma, prosegue colpo su colpo. La prima produce elementi nuovi con frequenza quasi giornaliera, la seconda smentisce puntualmente e rilancia. «Ho appreso delle nuove tracce di sangue nell’automobile dai giornali: ho riferito la cosa al mio assistito - dice l’avvocato - lui ha replicato sdegnato». Allo sdegno si alterna la sorpresa. « il sentimento che ha provato - ha spiegato Broli - quando ha saputo che elementi facilmente riscontrabili (evidentemente a suo favore, ndr) non sono fino ad ora emersi. La cosa però non lo demoralizza. Continua ad essere deciso, continua a volere andare sino in fondo». Vuole compiere tutti i passi necessari. Il prossimo sarà la formulazione dell’istanza di scarcerazione che deve essere presentata entro il 30 agosto al tribunale del riesame. Un’incombenza che ha un valore strategico di non poco conto: è la mossa che obbligherebbe l’accusa a depositare le sue carte e a farle conoscere anche al legale di Gatti. Che a quel punto potrebbe valutare la reale consistenza del castello accusatorio e decidere la strategia difensiva da adottare nelle prossime fasi dell’inchiesta. La mossa potrebbe essere realtà già oggi. L’avvocato Broli incontrerà il suo assistito per la quinta volta in cinque giorni («dobbiamo valutare ancora qualcosa») e poi potrebbe depositare la richiesta di riesame. Non riuscisse a far tutto in tempo, potrebbe decidere di far slittare l’appuntamento a domani. Difficile vada oltre. Per presentarsi all’appuntamento con ulteriori indizi, anche gli inquirenti continuano a lavorare. Come non bastasse quello che hanno. Come non fossero sufficienti la testimonianza del ragazzino che ha visto il 41enne al Passo del Vivione, le macchie di sangue nel suo garage, lo scontrino della spesa trovata nel dirupo dell’orrore, la testimonianza della vicina di casa e le tracce «biologiche» della zia trovate nel suo bagagliaio. Per «appesantire» ulteriormente il faldone degli indizi lavoreranno anche oggi su ogni fronte. La speranza della Procura è che i medici legali, il Ris e gli uomini che stanno rastrellando la Valcamonica chiudano un caso che, per ora, chiuso non è. Anche se lo sembra. Pierpaolo Prati
• Clamore mediatico. Giornale di Brescia 26/08/2005. Il clamore mediatico suscitato dal giallo dell’estate non accenna a venir meno. La città è ancora presa d’assalto dalle troupe di mezza Italia e la cosa attira sui luoghi delle dirette, delle registrazioni, delle interviste, delle ispezioni e dei sopralluoghi sempre un nutrito numero di curiosi. C’è chi sosta fuori dal carcere e esprime il suo parere sulla vicenda Donegani. Chi urla l’innocenza di Gatti passando in motorino e chi invece chiede la sua condanna. C’è anche, e non sono pochi, chi cerca di buttarla sul ridere sperando di poter approfittare all’urlo «Itaaaliaaaaa Unoooo!» per conquistarsi il passaggio sulla rete del biscione. Tutti rallentano davanti a Canton Mombello, sembra che attendano l’uscita dal carcere del l’indiziato numero uno. Lo fanno invano. C’è ancora, e questo sorprende, chi si avvicina al luogo in cui si intervista, trasmette e si attendono notizie per chiedere «cosa ci fanno qui tutti questi giornalisti?», ma anche chi passa davanti al carcere chiedendo se «non è ancora uscito l’avvocato» e infine, invece, chi rinuncerebbe volentieri ad un’ora di lavoro per prestare aiuto ai reporter in caccia di notizie. Il caso del ragazzo che fa la staffetta in scooter per tenere sott’occhio i movimenti sospetti che al giornalista possono sfuggire. C’è di tutto.
• Il mistero delle teste, al setaccio l’alta Valle. Giornale di Brescia 26/08/2005. Forte la sensazione che i resti dei coniugi Donegani non siano stati scaraventati solo in quel dirupo del Vivione. Perché il mistero delle teste e del busto di Luisa De Leo - che ancora mancano all’appello - lascia pensare ad un secondo «bosco dell’orrore». Non a caso, ieri sono riprese le ricerche... questa volta in alta Valcamonica, a trenta chilometri dalla Valle di Paisco letteralmente passata alla lente d’ingrandimento dagli uomini del Soccorso alpino, della Protezione civile e del Corpo forestale dello Stato. Risultato? Lassù altri pezzi di cadavere non sono «spuntati». Ed è anche difficile credere che gli animali selvatici possano aver fatto sparire completamente due teste e addirittura un busto. Senza lasciare una traccia, seppur minima. Più facile quindi ipotizzare che l’assassino abbia gettato quei resti altrove, a fronte di un piano criminale - almeno sul fronte dell’occultamento - che appare sempre più complesso e che affonda radici in Valcamonica. A fronte delle ricerche infruttuose lungo la strada Provinciale 294 del Vivione e nella valletta del Sellero che presta il fianco del dirupo degli orrori, la Procura di Brescia - in testa il procuratore capo Giancarlo Tarquini - ha disposto nuove ricerche in alta Valcamonica. Evidentemente gli inquirenti hanno in mano degli indizi - o semplici congetture - che li spingono nelle zone sopra Edolo. Fra quei monti che Guglielmo Gatti dovrebbe conoscere piuttosto bene per il semplice fatto di vantare un appartamento all’Aprica. E forse è proprio quell’abitazione a sette chilometri da Corteno Golgi che giustifica le ricerche piazzate nuovamente ieri, a partire dalle 7. Al setaccio la zona che dal Mortirolo scende a Trivigno, lungo le pendici valtellinesi ma anche i boschi attorno a Corteno, lungo la strada che sale a San Pietro e poi all’Aprica. In azione, ancora una volta, il Soccorso Alpino, la Protezione civile e la Forestale. In tutto 61 uomini - in rappresentanza di 13 associazioni di volontariato - suddivisi in quattro squadre - con tanto di unità cinofile - coordinate dal corpo forestale dello Stato. Risultato? Di resti umani nemmeno l’ombra. E nulla di utile all’inchiesta, anche se le ricerche potrebbero riprendere nei prossimi giorni, alla luce di eventuali indizi. Tutto comunque lascia pensare a ricerche mirate, dettate da elementi investigativi non affatto occasionali ma che anzi ruotano attorno a Guglielmo Gatti, alle sue abitudini, alle sue gite in montagna, ai suoi spostamenti su e giù per la Valcamonica (non solo nei giorni «incriminati») e soprattutto a quella casa all’Aprica. Ma quelle teste e quel busto potrebbero anche essere stati abbandonati altrove. Gettati in un cassonetto dei rifiuti? Scaraventati nel lago? Interrogativi da rompicapo che alimentano il giallo. Un vero e proprio mistero che potrebbe anche essere collegato con quella valigia dei Donegani che manca dal loro appartamento. Sempre che manchi davvero una valigia. Potrebbe anche essere stata utilizzata per occultare quelle parti mancanti. Ma perché proprio una valigia? E poi, dov’è finita? Punti interrogativi che fanno rabbrividire. E lasciano intendere quanto quella storiaccia non sia ancora finita. Ma quei poveri resti potrebbero anche rimanere nel buio e nel silenzio per sempre. Rendendo ancor più agghiacciante quell’atroce sequenza di sangue e violenza. E soprattutto senza che la parola fine - almeno sul fronte dell’occultamento - possa essere sentenziata. Marco Bonari
• Sotto la lente la casa degli indizi. Il Giornale di Brescia 27/08/2005. Il riscontro allo scontrino. Un gioco di parole, che suona male, ma che rende l’idea circa l’attività degli investigatori. Quelli in camice bianco anche ieri sono stati all’opera in casa Donegani e in tutti i luoghi di ricerca per questo motivo. Per trovare la conferma, che ancora manca, che ad acquistare le cesoie al centro del bricolage della Mandolossa sia stato Guglielmo Gatti. Ma come possono gli inquirenti arrivare a questa conclusione? La pista da seguire è fornita dalla copia della ricevuta che data l’acquisto delle lame utilizzate per sezionare i coniugi a sabato 30 luglio e che è rimasta nel registratore di cassa dell’Obi. Questa «dice» che insieme ai due utensili dell’orrore sono stati acquistati anche altri prodotti. Per la precisione della segatura, in quantità abbondante, due cutter (peraltro non da carta), due flaconi di detergente universale, un numero non precisato di catini di plastica e, soprattutto due pesanti mazzette da muratore. Tutti «colli» che hanno una carta d’identità: quel codice a barre che li mette in diretto collegamento con lo scontrino sequestrato dagli investigatori. Tutti prodotti che possono essere stati funzionali alla «logica» criminale, almeno secondo gli inquirenti. Così se solo uno di questi venisse rinvenuto tra le cose, o nei luoghi di Guglielmo Gatti, l’accusa potrebbe segnare un ulteriore punto a suo favore. Il perchè è abbastanza evidente. Tra i nuovi elementi o «non elementi» è emerso dell’altro in questi giorni. I carabinieri hanno sequestrato tranquillanti tra i medicinali del Gatti. Ieri i Ris sono tornati in via Ugolini e sono rimasti nella palazzina dell’orrore sino alle 23.30. Nell’attività di repertazione svolta nel garage dei Donegani sotto gli occhi del fratello di Luisa De Leo, hanno messo al centro del set un’altra auto. Dopo la Punto blu di Gatti, nel bagagliaio della quale sono già state trovate «tracce biologiche» della donna, è stata analizzata la Clio nera dei coniugi, trovata dopo la loro scomparsa con le chiavi nel cruscotto. I Ris poi hanno prelevato libri, carte, oggetti apparentemente dimenticati e un piccone da giardino che passerà nelle prossime ore sotto la lente d’ingrandimento. Lasciando via Ugolini gli inquirenti si sono detti soddisfatti del materiale raccolto, parlando apertamente di rilievi molto importanti e giudicando la serata davvero proficua. Da ieri tutti gli elementi raccolti saranno valutati anche dai consulenti di parte nominati dai pm. Una decina di esperti, tra medici legali, tossicologi e investigatori (tra i quali figura anche il comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano) ai quali oggi il legale dell’unico indagato per l’omicidio dei Donegani potrebbe affiancare i suoi. L’avvocato stava ultimando la «squadra» che già oggi potrebbe scendere in campo e seguirlo nei prossimi sopralluoghi. L’incombenza è significativa non solo sotto il profilo delle indagini, ma anche perchè segna un termine importante: ora, infatti, dovranno passare 40 giorni prima che possano essere celebrati i funerali di Luisa De Leo e Aldo Donegani, le vittime di una tragedia che non ha ancora un come e un perchè. Pierpaolo Prati
• In cento nei boschi dell’alta valle. Il Giornale di Brescia 27/08/2005.Il cerchio si sta stringendo tra l’Aprica e il Vivione. Primo perché nella Valle di Paisco è «spuntato» il «bosco degli orrori»; secondo perché Guglielmo Gatti nella parte vecchia dell’Aprica, a 1200 metri di quota, vanta un appartamento in seno ad una palazzina turistica (in foto); terzo perché gli investigatori sospettano che proprio in quei boschi dell’alta Valcamonica l’assassino possa aver gettato le teste di Aldo Donegani e Luisa De Leo oltre al busto della donna. Si cerca quindi in Alta Valle, quasi per esclusione, partendo dal presupposto che tutti resti dei due cadaveri siano stati disseminati in quelle aree montane. Alla lente d’ingrandimento, quindi, da oggi nuovamente i boschi ed i canaloni che accompagnano la provinciale 294 che da fondo valle, da Cedegolo sale al passo del Vivione e quindi approda nella terra orobica di Schilpario. Ma anche la zona che da Corteno Golgi sale all’Aprica e poi su ancora verso il Mortirolo e il versante valtellinese fino a Trivigno. Le ricerche - dopo una prima battuta nelle scorse ore - riprendono oggi, in gran forze. Perché sono un centinaio gli uomini del Soccorso alpino, della Protezione civile e del Corpo forestale dello Stato che entreranno in azione da questa mattina, dalle 7. Saranno divisi in squadre a cui verrà affidata un’area da battere palmo a palmo, da setacciare da nord a sud senza tralasciare un metro. Gli uomini della Protezione civile rastrelleranno i boschi mentre i rocciatori del Soccorso alpino allungheranno gli occhi nelle zone più impervie, nei canaloni e lungo i dirupi a ridosso di torrenti e strade in alta quota. A coordinare le ricerche sarà, ancora una volta, la Forestale che vanta una certa conoscenza del territorio. Obiettivo è cercare gli eventuali resti dei coniugi Donegani e qualsiasi indizio che possa risultare utile all’inchiesta... qualsiasi traccia che, quanto meno, sia riconducibile a questa storiaccia. Evidentemente gli inquirenti non vogliono tralasciare alcuna pista. E per la ricerca delle teste e del busto di Luisa De Leo partono proprio da quei luoghi che Guglielmo Gatti potrebbe conoscere piuttosto bene, aver frequentato anche in passato e raggiunto facilmente in quei giorni «incriminati». Sull’Alta Valcamonica, o meglio sull’area del Vivione e dell’Aprica gli occhi degli investigatori bresciani sono già puntati da giorni. E una prima battuta di ricerca - con una sessantina di uomini impegnati - è già stata messa a segno passando alla lente d’ingrandimento la zona che dal Mortirolo scende verso il paesino di Trivigno e Pian di Gembro, la valletta di Corteno Golgi e i torrenti Aprica e Ogliolo: il primo scende verso Stazzona, in Valtellina, mentre il secondo attraversa San Pietro per approdare a Edolo. Marco Bonari
• I tre misteri dell’atroce sequenza. Il Giornale di Brescia 27/08/2005. I tre nodi sono al pettine. E non si sciolgono. Perché per i tre grandi misteri che ancora aleggiano attorno a questa storiaccia non si vede la luce in fondo al tunnel. Certo, le ipotesi nemmeno si contano tutte... ma la certezza è tutt’altra cosa. Ed i tre grossi punti interrogativi alimentano un vero e proprio giallo con la «gi» maiuscola. Perché nell’inchiesta sul duplice omicidio Donegani mancano il movente, le modalità dell’assassinio (come sono stati uccisi Aldo Donegani e Luisa De Leo?) e, ancor più atroce, parti dei due cadaveri. E non «pezzi secondari» poiché si tratta delle due teste e del busto della donna. Procediamo con ordine, anche perché i tre «buchi» nelle complesse indagini potrebbero essere collegati fra loro. E solo il ritrovamento delle teste e del tronco di Luisa De Leo potrebbe far capire come sono stati ammazzati, così come il movente potrebbe offrire spunti interessanti sul perché di un accanimento sui due cadaveri e di un occultamento tanto articolato quanto agghiacciante. IL MOVENTE. Sul perché Gugliemo Gatti - in carcere con la pesantissima accusa di aver assassinato i due zii - abbia commesso quel delitto aleggiano molte ipotesi. Gli inquirenti - in testa il procuratore capo Giancarlo Tarquini - hanno - a sentir loro - delle idee molto chiare, ma ovviamente non si sbottonano. La pista dell’eredità? Questioni di soldi? Sembra reggere poco per il semplice fatto che il nipote non vanta alcun problema pecuniario. Anzi, il quarantunenne vanta un sostanzioso conto corrente ed una sfilza di azioni ereditate dopo la morte del padre, ai primi di giugno. E poi ci sono le due case: la villetta di via Ugolini (a fianco vivevano i due zii Donegani) e l’appartamento delle vacanze, all’Aprica. Il perché di un simile delitto potrebbe invece affondare radici in rancori datati, in una vecchia ruggine, in una difficile convivenza (o meglio vicinanza) con i due zii... un astio ventennale che potrebbe essersi amplificato con la morte di Giuliano Gatti, padre di Guglielmo. L’ARMA DEL DELITTO. Manca all’appello. Perché ad oggi non si è ancora capito come i due coniugi siano stati ammazzati. Si sa che sono stati fatti a pezzi nel garage con quelle due cesoie, una volta deceduti. Ma come sono morti? Avvelenati o strangolati? Colpiti in testa o soffocati? Accoltellati? Sui resti recuperati nel bosco dell’orrore e passati alla lente d’ingrandimento durante gli esami necroscopici pare non sia emerso alcun elemento di violenza... non una coltellata, non un foro di proiettile. Difficile comunque pensare che Aldo e Luisa Donegani siano stati freddati a colpi di pistola perché qualcuno avrebbe potuto udire, con facilità, gli spari. Ma torniamo ai corpi martoriati. L’avanzato stato di decomposizione e segni di animali selvatici che si sono catapultati su quei poveri resti umani non rendono certo facile il lavoro dei patologi. E poi l’assenza delle due teste e del busto della donna fa la differenza. Già, perché quei resti potrebbero chiaramente offrire risposte. LE DUE TESTE. Infine il terzo grande giallo - piuttosto macabro - ruota attorno a quei resti che non «spuntano». Anzi, sembrano svaniti nel nulla, a dimostrazione di come la sequenza dell’occultamento dei due cadaveri depezzati possa essere avvenuta in più fasi ed in luoghi diversi. Facile, a questo punto (sulla scorta delle certosine ricerche tra il Vivione e la valle di Paisco) pensare che le due teste e il busto femminile possano essere stati scaraventati in qualche altro dirupo, in un torrente, nel lago o più semplicemente in un cassonetto dei rifiuti, magari in città o in Valcamonica. Tutto è possibile... sta di fatto che quei resti rappresentano una bella chiave dell’inchiesta che non si trova. Nonostante gli sforzi degli investigatori che stanno rivoltando l’alta Valcamonica come un guanto. Marco Bonari
• La ricostruzione. Il Giornale di Brescia 27/08/2005. Speranza, orrore, dubbio. Tre fasi per un un giallo a tinte fosche che da quasi un mese cattura l’attenzione dei media e della gente comune, e il cui primo capitolo è datato sabato 30 luglio. Quel giorno Aldo e Luisa Donegani trascorrono una mattinata come tante altre, tra la casa di via Ugolini e qualche commissione. Telefonano anche al nipote Luciano De Leo (residente nelle Marche) per accordarsi sul suo arrivo a Brescia, previsto per il lunedì. I Donegani vengono visti l’ultima volta nel primo pomeriggio poi, più nulla. L’allarme scatta due giorni dopo, quando Luciano De Leo non trova gli zii ad attenderlo. Il 2 agosto ne viene denunciata la scomparsa dando il via a 18 giorni di attesa. Mentre gli inquirenti mettono subito sotto torchio Guglielmo Gatti, nipote ed inquilino del piano di sopra, vengono ispezionate le zone circostanti l’abitazione della coppia, cominciando dal lago della Fantasina. In un tourbillon di segnalazioni si setacciano l’Aprica, il lago d’Iseo ma degli scomparsi nessuna traccia. La svolta si concretizza dopo Ferragosto, quando spunta l’indizio che porta in Val di Scalve, al passo del Vivione. lì, in un bosco subito definito degli orrori, che i corpi straziati di Aldo e Luisa vengono ritrovati, chiusi in sacchetti di plastica. A questo punto della storia i riflettori vengono puntati su Guglielmo Gatti, posto in stato di fermo dopo il ritrovamento dei corpi degli zii. L’uomo si dice stravolto per la notizia professandosi innocente ma gli indizi a suo carico sembrano non avere fine. Alcuni testimoni sostengono infatti di averlo visto lungo la strada che portano al Vivione e sembra proprio che Gatti abbia soggiornato, la notte tra il 30 ed il 31 luglio, nell’hotel Giardino di Breno. Ad inchiodarlo poi ci sarebbero il sangue degli zii nel suo garage e nella sua auto, lo scontrino di un supermercato, le cesoie trovate vicino alla scena del delitto e che Gatti avrebbe acquistato. Davanti agli inquirenti, l’uomo rimane in silenzio, ma la sua posizione è sempre più grave.
•  caccia serrata a ogni traccia. Il Giornale di Brescia 28/08/2005. Per le ricerche nel «bosco degli orrori» è stato calato l’asso dalla manica. E si cela dietro il fiuto speciale di alcuni cani della Protezione civile di Milano. Addestrati a cercare tracce, anche minime, di materiale organico in decomposizione... per capirci parti umane in putrefazione. Quadrupedi, tra l’altro, abituati a muoversi su pareti rocciose e impervi pendii. Sono entrati in azione ieri, nella Valle di Paisco, in quel lembo di terra che dalla valletta del Sellero sale sino al passo del Vivione. Ed hanno cercato anche nel dirupo in cui il 17 agosto scorso sono stati recuperati alcuni resti dei coniugi Donegani. Il risultato di ieri? Niente di niente. Non un brandello umano, non un oggetto che possa essere in qualche modo collegato al duplice omicidio... Non è stato trovato nulla di utile all’inchiesta, come per altro confermato dal vicequestore del Corpo forestale dello Stato, Gualtiero Stolfini, a fronte dell’ennesima battuta di ricerca in grande stile. Già, perché ieri sono entrati in azione una ottantina di uomini tra Forestali, volontari della Protezione civile e del Soccorso alpino. Dalle 7 alle 15 di ieri le squadre di ricerca hanno nuovamente passato al setaccio i boschi attraversati dalla provinciale 294 del Vivione, a Nord del borgo di Loveno e fino alla valletta del Sellero per poi proseguire, a 1600 metri di quota, sino al territorio orobico di Schilpario. Epicentro delle ricerche il «dirupo degli orrori» dove anche ieri si sono nuovamente calati gli uomini del Soccorso alpino - coordinati dal bresciano Valerio Zani - mentre la Protezione civile - guidata dal responsabile Giovan Maria Tognazzi - ha passato alla lente d’ingrandimento i rigogliosi boschi alla ricerca non solo delle teste dei coniugi Donegani e del busto della donna (ossia le parti anatomiche che ancora mancano all’appello) ma anche di eventuali attrezzi che potrebbero essere collegati al fattaccio. Non a caso fu proprio la Protezione civile, il 17 agosto scorso, a recuperare, non lontano dal «bosco degli orrori», le due cesoie risultate più tardi essere quelle utilizzate per depezzare i cadaveri di Aldo e Luisa Donegani. In quel bosco l’assassino potrebbe infatti aver gettato anche l’arma del delitto, magari quelle due mazzette da muratore che risulterebbero essere state acquistate da Guglielmo Gatti insieme alle cesoie, a due grossi taglierini e ad altro materiale che potrebbe essere stato utilizzato nelle terribili sequenze del depezzamento e dell’occultamento dei due corpi. Invece da quei boschi e da quei canaloni - setacciati anche con il prezioso ausilio delle unità cinofile - non è «spuntato» nulla. Risultato che quindi alimenta l’ipotesi che le teste e il busto di Luisa De Leo siano state scaraventate altrove. Ma dove? Forse nella zona dell’Aprica, per altro già passata alla lente d’ingrandimento nei giorni scorsi. Ma ciò non esclude che i ricercatori possano approdare nuovamente in quell’area che dal Mortirolo scende verso l’Aprica passando per Trivigno e più giù ancora nella valletta di Corteno Golgi. E nelle prossime ore in Procura si svolgerà un summit tra investigatori e vertici della Forestale per fare il punto della situazione sulle ricerche. Ed eventualmente pianificare altre battute, verosimilmente in Valle. Marco Bonari
• Nuova visita in carcere dell’avv. Luca Broli. Il Giornale di Brescia 28/08/2005. «Guglielmo Gatti resta fermo sulle sue posizioni ed è certo della sua assoluta estraneità e ribadisce il suo stupore e disappunto in ordine a quegli elementi che ogni giorno sembra gli piovano addosso». l’avvocato Luca Broli - difensore del quarantunenne in carcere con la pesantissima accusa di aver ucciso e fatto a pezzi i due zii - a riassumere le tre ore di colloquio (è il quarto consecutivo) con il suo assistito a Canton Mombello. «Un incontro utile - ha spiegato il legale - in cui abbiamo affrontato alcune tematiche già discusse ma approfondendole». Il colloquio - uno dei tanti tasselli per costruire la linea difensiva - ha fatto perno attorno ai tre giorni «incriminati», dal 30 luglio al 1° agosto, «perché questi elementi temporali rappresenterebbero quelli su cui, secondo il gip, si fonda l’ordinanza» ha spiegato Luca Broli. I successivi passi della difesa? La presentazione in Procura della rosa dei periti, che dovrebbe avvenire lunedì mattina. Potrebbero essere cinque o sei esperti in tossicologia, medicina legale, chimica e pure informatica. E poi c’è l’istanza di scarcerazione da presentare al Tribunale del riesame, entro martedì 30 agosto. E lunedì l’avvocato Broli incontrerà, ancora una volta, Guglielmo Gatti in carcere per esaminare un’ulteriore parte del fascicolo d’accusa, mentre martedì i carabinieri del Ris potrebbero effettuare un nuovo sopralluogo nella villetta di via Ugolini. Là dove ci sono tornati anche venerdì sera, trattenendosi sino a notte inoltrata, riuscendo ad individuare tracce ematiche anche nel garage dei coniugi Donegani ed a racimolare altri elementi utili all’inchiesta. In particolare i carabinieri hanno sequestrato un piccone che potrebbe anche esser stato utilizzato nelle macabre sequenze. Hanno prelevato poi altri oggetti che ora dovranno essere passati alla lente di ingrandimento per capire se siano stati utilizzati per ammazzare i Donegani o per la successiva fase dell’occultamento. La difesa sta costruendo il suo «castello», passo dopo passo, elemento dopo elemento, in un continuo braccio di ferro con la Procura che, quasi ogni giorni, racimola indizi ritenuti importanti. E nel frattempo Guglielmo Gatti rimane in isolamento. Ieri gli sono stati consegnati un paio di libri... «l’ho trovato un po’ depresso, ma convinto a sostenere le proprie ragioni» ha ribadito il suo legale, smentendo l’ipotesi di una deposizione di Guglielmo Gatti. Anzi, tutti i tasselli della linea difensiva - una volta completati - dovrebbero confluire nel ricorso al Tribunale del riesame, a fronte di un’ordinanza di custodia cautelare che «si fonda sul pericolo di reiterazione del reato» come ha concluso l’avvocato Gatti, lasciando intendere che anche su questo presupposto la difesa giocherà le sue mosse. Marco Bonari
• In uno scontrino le chiavi della mattanza. Il Giornale di Brescia 29/08/2005. Braccio di ferro tra accusa e difesa. Con la prima che rimpolpa, quasi quotidianamente, il fascicolo d’indagine con elementi - racimolati nella villetta di via Ugolini - ritenuti importanti e con la seconda che sta per scoprire le carte in tavola. Primo passo? L’istanza di scarcerazione di Guglielmo Gatti - ora accusato del duplice omicidio degli zii - che il suo legale, l’avvocato Luca Broli, depositerà - deve farlo entro domani - al Tribunale del riesame. Ma poi c’è pure la nomina dei periti della difesa, la cui rosa di nomi sarà presentata oggi in Procura. In realtà accusa e difesa devono fare i conti tanto con una serie di prove che incastrerebbero l’unico indagato, il nipote dei coniugi Donegani, ossia Guglielmo Gatti, quanto con una raffica di interrogativi che ancora aleggiano attorno a questa storiaccia. E frenetica pare l’attività su entrambi i fronti. La Procura - attraverso la mano esperta dei carabinieri del Ris di Parma - sta ancora passando al setaccio quella che è ritenuta la scena del crimine, ossia la villetta di via Ugolini alla ricerca evidentemente di prove che consentano di far quadrare, definitivamente, il cerchio. Contemporaneamente si cerca l’arma del delitto e i resti di Aldo e Luisa Donegani che ancora mancano all’appello, battendo palmo a palmo non solo il «bosco degli orrori» ma pure mezza Alta Valcamonica. La difesa sta studiando il caso passo dopo passo, in una sorta di contro indagine, o meglio di ricostruzione su quei tre giorni «incriminati» che vanno dal 30 luglio al 1° agosto. E l’avvocato Luca Broli - che ieri mattina è salito in Valcamonica per un sopralluogo alla ricerca di riscontri e poi in via Ugolini, riservandosi il pomeriggio per ripassare alla lente d’ingrandimento il fascicolo d’accusa - continua a macinare ore e ore di colloqui con il suo assistito, a Canton Mombello. Evidentemente la linea difensiva, nella sua complessità, è già stata tracciata, mentre il quarantunenne Guglielmo Gatti - ancora in isolamento - continua, per voce del suo legale, a pronunciarsi innocente, «estraneo alla vicenda». Ma torniamo all’accusa, o meglio alle complesse indagini che ruotano ormai attorno a microscopi, provette, tamponi... insomma la partita è in mano alle tute bianche dell’Arma e ora pure agli esperti nominati dai pm titolari dell’inchiesta, ossia dai sostituti procuratori Paola Reggiani e Claudia Moregola. Ma una svolta potrebbe arrivare da un «semplice» scontrino fiscale. Già, perché una delle chiavi dell’omicidio e della successiva mattanza sta nella ricevuta che sentenzia come quelle cesoie «incriminate» siano state acquistate quel famigerato sabato 30 luglio insieme ad altri attrezzi. Gli stessi che potrebbero aver avuto un ruolo nella sequenza criminale, utensili ritenuti compatibili con l’atroce delitto ma che ancora mancano all’appello. altresì vero che non esiste, per ora, un collegamento tra quell’acquisto effettuato in un centro di bricolage della Mandolossa e Guglielmo Gatti. Ma si sa che chi ha acquistato quelle cesoie (ritrovate non lontano dalla provinciale 295 del Vivione e utilizzate per fare a pezzi i corpi dei Donegani, perché il sangue, o meglio il Dna parla chiaro) si è portato a casa pure due grossi taglierini, due mazzette da muratore, dei flaconi di detergente universale, della segatura in grande quantità e alcuni catini in plastica. In questa lista della spesa potrebbe celarsi anche l’arma del delitto o quanto meno tutto il necessario per depezzare dei corpi e poi per ripulire la scena del delitto; essenziale infatti la segatura ed il detergente universale. Marco Bonari
• Sopralluogo dell’avvocato nella villetta di via Ugolini: «Sto cercando chiarimenti su alcuni riscontri». Il Giornale di Brescia 30/08/2005. Indagini in casa di Guglielmo Gatti. Indagini parallele. Mentre infatti gli investigatori sono alla ricerca di ulteriori indizi da inserire nel «mastodontico» fascicolo dell’accusa, la difesa è alla caccia di riscontri che possano avvalorare la versione del nipote. Dell’unico accusato del duplice omicidio di Aldo e Luisa Donegani scomparsi da casa esattamente un mese fa e ritrovati a brandelli in sacchi spuntati il 17 agosto ai piedi del passo del Vivione. In via Ugolini, per esigenze contrapposte, così si ritrovano i Ris da una parte e l’avvocato Luca Broli dall’altra. «Sono qui - ha spiegato il difensore di Guglielmo Gatti - su suggerimento dei miei consulenti che mi hanno riferito della necessità di verificare alcuni loro convincimenti». Una visita che ha tutti i crismi del sopralluogo: «Cercavo dei chiarimenti su riscontri oggettivi». Taglia corto Broli, senza entrare nel dettaglio. Altri riscontri, la difesa, li attende per i prossimi giorni. L’avvocato vuole tornare dal suo assistito con qualcosa che confermi quanto questi va dicendo dal 22 agosto scorso, da quando cioè ha avuto facoltà di confrontarsi con lui e di raccontargli la sua verità. «Ci stiamo muovendo per trovare conferme ad alcune importanti dichiarazioni del mio assistito». Affermazioni che spaziano su più fronti e che riguardano senza dubbio la ricostruzione dei suoi movimenti nei giorni del 30 e del 31 luglio e del primo agosto: giornata cruciale per la soluzione del caso. Risale infatti a quel lunedì, sulla strada del Vivione, l’avvistamento che avrebbe permesso agli inquirenti di trovare i corpi di Luisa De Leo e Aldo Donegani e di individuare il presunto colpevole. In via Ugolini, intanto, la curiosità continua a far rima con traffico. Solo i fiori appesi al cancello del civico 15 appassiscono. Il via vai è incessante: si fermano signore per un pensiero da «spedire» alle due vittime. Si fermano giovani e giovanissime per vedere in volto e in... azione l’avvocato, che arriva solo dopo aver definito i contatti con i cinque consulenti (due medici legali, due tossicologi ed un esperto informatico) che «investirà» ufficialmente nella mattinata di oggi. La visita di Broli è veloce: un’oretta per controllare l’appartamento del suo assistito e per lasciare il campo ai Ris che si toglieranno il camice bianco solo attorno alle 20, con un’ora e mezza di ritardo rispetto al pool degli investigatori convocati in procura da Giancarlo Tarquini, per la seconda volta in meno di dodici ore, per fare il punto della situazione e per decidere la scaletta delle operazioni. Nel corso del summit, iniziato attorno alle 16, oltre alle valutazioni sullo stato di avanzamento delle indagini, due le decisioni prese: sospendere le ricerche in Valcamonica. e provare un’altra volta ad interrogare Guglielmo Gatti. L’accusato numero uno sarà sentito dai magistrati (ammesso e non concesso decida di parlare e non di avvalersi, come ha già fatto, della facoltà di non rispondere) nel pomeriggio. L’interrogatorio arriverà giusto al termine di una giornata particolarmente fitta di impegni per il difensore del nipote dei Donegani che oggi compirà due atti di un certo significato: la presentazione del ricorso al tribunale del riesame, per il quale proprio oggi scadono i termini, e la formalizzazione della lista dei suoi consulenti. Attraverso la prima, almeno formalmente, il legale chiederà la scarcerazione del suo assistito. Anche se ben difficilmente gli verrà accordata, il passaggio sarà comunque utile alla difesa per andare a vedere le carte in mano all’accusa e agire di conseguenza. Il ricorso, una volta presentato, verrà discusso in udienza ed il tribunale del riesame avrà fino a dieci giorni per decidere se accoglierlo o rigettarlo. In questo periodo intanto le indagini proseguiranno tanto per l’accusa che per la difesa che proprio da oggi potrà avvalersi di un team di cinque tecnici professionisti chiamati a trovare riscontri all’innocenza che Guglielmo Gatti continua a urlare dall’isolamento di Canton Mombello. Pierpaolo Prati
• Gatti ripete: «Sono innocente». Il Giornale di Brescia 31/08/2005. Sempre più deperito, sempre più allibito, sempre più convinto della sua innocenza. A Guglielmo Gatti interessa poco che fuori da Canton Mombello si dica, ma senza conferme ufficiali, che altre tracce di sangue (oltre a quella sospetta di un piede scalzo tra i due garage) sarebbero state rinvenute e messe in cima alla pila di quelle che, già da sole, hanno il peso per schiacciarlo. A lui, in carcere dal 17 agosto con l’accusa di aver ucciso e brutalmente sezionato Aldo Donegani e Luisa De Leo, interessano solo la sua certezza: quella versione che, a quanto riferisce il suo legale, trova credibilità nelle «discordanze e anomalie - ha detto ieri l’avvocato Broli uscendo dal carcere - che emergerebbero sottoponendo ad ulteriori approfondimenti gli atti d’indagini sin qui compiuti. Spetterà poi al Tribunale del riesame valutarle». Ad alimentare la speranza di Gatti di vedere accreditate le sue dichiarazioni anche «riscontri - prosegue Luca Broli - che abbiamo trovato e che paiono sovrapponibili con la sua ricostruzione». Il 41enne, insomma, oltre ad avere una versione dei fatti diversa da quella degli inquirenti, avrebbe anche le chiavi per attribuirle credibilità. Per ora però le dà in mano solo al suo legale. Non certo alla Procura che, ieri, l’ha convocato per il quarto interrogatorio in due settimane e che, per la quarta volta consecutiva, l’ha dovuto congedare senza aver ottenuto da lui la benchè minima dichiarazione. Da quando Gatti entra alla caserma Masotti di piazza Tebaldo Brusato a quando da lì esce passa giusto il tempo per formalizzare il suo silenzio. «Il mio assistito si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ci sarà tempo e modo per farlo. Abbiamo presentato ricorso al Tribunale della libertà, quella sarà l’occasione giusta». Fino al 7 settembre, giorno ipotizzato per l’udienza del riesame, l’accusato, il suo legale e i consulenti che lo assistono si dedicheranno solo al fascicolo. Un faldone dal quale, intanto, l’avvocato Broli ha «tratto convincimenti ed interpretazioni differenti da quelli degli investigatori». Convincimenti che nella testa dell’unico accusato si trasformano in meraviglia. «Il mio assistito - ha riferito Luca Broli -, si meraviglia del fatto che alcune operazioni siano state fatte in ritardo rispetto al momento in cui potevano essere eseguite». Identico stupore e dubbio Gatti prova circa le nuove tracce che ogni giorno emergerebbero a suo carico. Al proposito l’avvocato frena: «Bisognerà vedere se gli accertamenti corrisponderanno a verità». Il faccia a faccia tra difesa e accusa, insomma, prosegue. Mentre Luca Broli continua nei suoi colloqui e nei suoi sopralluoghi (l’ultimo è stato effettuato lunedì a casa Gatti, il penultimo domenica sulle strade della Valcamonica), gli investigatori non stanno certo con le mani in mano. Al centro della loro attenzione, messe almeno per il momento in stand-by le ricerche in montagna, è sempre la villetta dei Donegani in via Ugolini. Dopo il vertice in Procura di lunedì e la decisione, presa nel corso di quest’incontro, di interrogare nuovamente Gatti, tutti si attendevano sarebbero emerse nuove tracce. E queste, anche se sprovviste della conferma ufficiale, sono puntualmente comparse. Eccezion fatta per quelle degli investigatori, consegnati al più stretto riserbo, dalla mattina fino al tardo pomeriggio si sono alternate diverse voci. A cominciare dal presunto rinvenimento di nuove macchie di sangue nell’appartamento di Gatti (cucina?) per arrivare all’impronta di un piede scalzo (insanguinata?) tra i due garage. In mezzo anche una «smentita»: la macchia rinvenuta dalla Scientifica nell’appartamento del nipote qualche giorno fa non era sangue, ma vernice. Pierpaolo Prati
• Accusa e difesa a confronto forse già tra una settimana. Il Giornale di Brescia 31/08/2005. Ieri scadevano i termini e ieri, come annunciato, l’avvocato Luca Broli ha depositato il suo ricorso al Tribunale del riesame. Un atto, in parole povere, con il quale la difesa chiede la scarcerazione del suo assistito e che dà luogo ad una sorta di anticipazione del processo. Nel corso dell’udienza in cui le parti si confronteranno, infatti, verranno discusse le motivazioni per le quali è stata disposta la custodia cautelare in carcere (che ha come presupposto i gravi indizi di colpevolezza e come ragione uno tra: pericolo di fuga, di inquinamento delle prove, di compimento di reati) e quelle per le quali, non ancora esplicitate da Broli, viene chiesta la revisione dell’ordinanza che la dispose. Quando il Tribunale del riesame si riunirà, insomma, accusa e difesa si ritroveranno di fronte con tutte le loro carte, con tutte quelle sino ad ora raccolte. Il che permetterà alla seconda di conoscere la reale consistenza del faldone di accuse raccolte contro il suo assistito e quindi di «consolarsi», in caso di mancata scarcerazione, con una panoramica pù completa sullo stato di avanzamento delle indagini. L’appuntamento potrebbe essere in calendario per il prossimo 7 settembre. A decidere, se le voci di corridoio dovessero essere confermate, potrebbe essere il giudice Enrico Fischetti. Prima di quell’appuntamento gli inquirenti dovrebbero tornare tanto a casa Donegani, quanto in Valcamonica. Le ricerche dei resti che ancora mancano, sospese tra ieri e oggi (eccezion fatta per qualche sopralluogo aereo in alta valle), dovrebbero riprendere a spron battuto nei prossimi giorni. Al lavoro ininterrottamente da quando sono stati rintracciati i resti dei cadaveri, sono rimasti e rimarranno anche gli esperti del Dipartimento di medicina legale. Agli inquirenti, infatti, resta ancora da capire, oltre al movente, le modalità con le quali i coniugi Donegani sono stati uccisi. Un dettaglio di non poco conto che potrebbe fornire quei tasselli che ancora mancano.
• Gatti dalla solitudine all’isolamento. Il Giornale di Brescia 01/09/2005. Bravo a scuola, bravissimo soprattutto nelle materie scientifiche. Un po’ meno in quelle umanistiche e in educazione fisica. Una bravura, quella di Guglielmo Gatti, per chi ha un suo ricordo dalle medie, imposta dalle aspettative in famiglia. Come imposta sarebbe stata la decisione di lasciare la facoltà di ingegneria per il servizio militare, nonostante l’imminenza della laurea e un libretto zeppo di 30 e lode. Disoccupato dopo la naja, Gatti esce dalla caserma libero da impegni di lavoro, ma anche da passatempi socializzanti. Ha tutto il tempo di coltivare le sue passioni solitarie: la lettura e il computer. Strumenti che, solo virtualmente, colmano il vuoto lasciato da un telefono che non squilla (si contanto sulle dita di una mano le chiamate transitate sul suo telefono in otto mesi) e da rapporti che non esistono. Morto il padre Giuliano, accade in giugno, a Gugliemo, che ha già perso la madre due anni prima, non restano che gli zii. Lo zio, fratello della madre, e la sua seconda moglie. La sua ex governante. Con loro un rapporto non particolarmente assiduo. Così come con i parenti da parte di padre. Il cugino Pietro Gatti di lui dice: «L’ho visto tre volte in vent’anni e in occasione di tre funerali. Non avevamo rapporti, era lui che voleva così e a me stava bene». Ma di Gatti, giocoforza, si viene a sapere altro nel corso della sua permanenza in isolamento. Buona parte delle notizie attorno all’uomo ritenuto dagli inquirenti il responsabile dell’atroce duplice delitto, vengono necessariamente a galla dalle parole del suo avvocato e da quelle delle persone che hanno la possibilità di vederlo. Il primo, Luca Broli, continua a definirlo persona lucida, dotata di grande capacità dialettica («se conoscesse la legge, potrebbe fare tranquillamente l’avvocato» aveva detto), e di notevole tranquillità. Un uomo ordinato: pranzo e cena praticamente sempre alla stessa ora. Un amante del cibo («Il suo appartamento sembra un supermercato», riferisce) che va spesso a fare la spesa. Più confezioni dello stesso prodotto, come fosse un cultore, nonostante sia single, del 3X2 e amasse avere la dispensa sempre fornitissima: dalla marmellata, alla verdura. Dal 17 agosto le sue abitudini cambiano. Alle restrizioni del carcere, però, la sua personalità, la sua indole, il suo carattere non si piegano. Guglielmo Gatti resta l’uomo tranquillo e flemmatico di sempre e con le abitudini di sempre. A partire dalla lettura. Il cappellano gli porta praticamente un libro al giorno. L’unico ponte con l’esterno. E su quella ipotetica linea di collegamento con la vita, Gatti «cammina» per 13, 14 ore al dì. Leggendo e rileggendo. Il nipote del «piano di sopra» lascia le sue righe di realtà solo per la visita quotidiana con il medico dell’infermeria. In quell’occasione il carcere viene blindato, tutti gli «ospiti» rientrano nelle loro stanze: al suo passaggio il 41enne non può avere il benchè minimo contatto umano. Quando torna in cella per i pasti (che consuma, ma non finisce) e per soddisfare la sua grande fame di lettura, alla fine ci rimane. In due settimane, infatti, non ha mai voluto usufruire della possibilità che gli è concessa per legge: il quarto d’ora d’aria. Invece di «godersi» tutto solo il cortile del carcere, Gatti se ne rimane sempre in cella. Posto nel quale rimpiange il suo computer, il suo pettine, le sue comodità e dal quale con tutta la sua flemma e tutta la sua forza dimessa riesce a resistere senza lamentarsi. Riesce a ripetere a tutti coloro che hanno conquistato la sua fiducia, di essere estraneo alle accuse: di non aver ucciso Aldo Donegani e Luisa De Leo. I suoi zii. Pierpaolo Prati
• Spunta una testimonianza a favore del nipote. Il Giornale di Brescia 01/09/2005. Sono trascorsi un mese e un giorno dalla scomparsa dei coniugi Donegani. Due settimane e un giorno dall’incarcerazione di Guglielmo Gatti. In questo lasso di tempo accusa e difesa hanno giocato le loro carte: la partita, in attesa del Riesame, è per ora in mano alla procura. Gli inquirenti hanno alcuni indizi che pesano. Dopo il ritrovamento dei resti dei coniugi, agevolato dalla testimonianza del ragazzino che dice di aver riconosciuto in Guglielmo Gatti la persona che rischiò di sbattere contro l’auto del padre sulle strade del Vivione, l’accusa ha racimolato altro. A partire dalle tracce nel garage del nipote del «piano di sopra»: sangue di Aldo Donegani e di Luisa De Leo. Qualche giorno dopo altre tracce si affacciano sulla scena: indizi «biologici» della donna nel bagagliaio della Punto blu di Guglielmo Gatti. Subito dopo, in casa Gatti, lo scontrino riconducibile al sedano trovato nel dirupo assieme alle cesoie. Riscontri scientifici e testimonianze di valore, ma anche racconti che godono di minor considerazione. A partire da quello dell’albergatrice di Breno, che dice di essersi segnata nome e cognome del nipote, ma non lo registrò, per arrivare sino ai diversi riconoscimenti fatti in più parti della provincia. La difesa, che può trovare un varco nell’assenza del movente, dell’arma del delitto e di quelle parti dei cadaveri che ancora mancano, ma che se trovati potrebbero avvicinare alla soluzione del caso, dice di aver trovato i riscontri sovrapponibili alla versione del suo assistito (che dice di non essere stato al Vivione) e avanza ipotesi che confuterebbero alcune testimonianze. Broli in particolare valuta lo scenario di via Ugolini, ritenendo improbabile che la dirimpettaia possa aver sentito e visto Gatti in garage (se non altro per la scarsa illuminazione dello scenario). A favore di Guglielmo Gatti, ci sarebbe poi una testimonianza di operai impegnati proprio sulla strada del Vivione. A loro detta nessuna macchina sarebbe passata di lì nelle ore sotto indagine. Per trovare ulteriori riscontri Forestale, Soccorso alpino e Protezione civile, partiranno da Boario per battere la via Mala che da Angolo Terme sale a Schilpario. Ai piedi dunque della salita, sul versante bergamasco, che conduce sino al dirupo dell’orrore.
• «Gatti non c’entra, è un delitto a più mani». Il Giornale di Brescia 02/09/2005. Finalmente soli. "Privatamente" davanti all’avv. Luca Broli, difensore di Guglielmo Gatti, ti viene da dire così, finalmente soli. Dall’assassinio di Aldo e Luisa Donegani, appena si scopre in città una parabola televisiva, una volta su tre ci sta sotto lui, 33 anni, faccia d’angelo, un eloquio bresciano su un tratto anni Sessanta, tipo James Dean. Reclamiamo lo status biografico, chiedendodgli se mai quella benedetta madre Carla Broli, centenaria madre canossiana, madre di un sacco di bene, sia sua parente. « mia zia. Mi ha sempre tenuto una mano sulla testa...». Anche nell’affaire Gatti? «Quando una madre ti tiene la mano sulla testa, te la tiene sempre». Lei da dove viene? «Sono un bresciano di Brescia, 33 anni, amore per la professione, studiando a Parma e facendo la maschera al Grande». Per soldi? «No. Era bello studiare, ascoltare musica, teatro e sentire pure qualche battuta dell’on. Marti- nazzoli . Mia madre è stata insegnante, ma con 3 maschi, 2 più giovani di me. Mio padre, assicuratore. Mio nonno è stato direttore della San Paolo, consigliere delle Ancelle della Carità». Dunque, un bor- ghese? «Un bresciano». Maledice le circostanze che le sono venute addosso? «Non sono un ipocrita. Farei ridere mezza città se non dicessi di aver incrociato una importante opportunità. Sarei temerario se non aggiungessi la preoccupazione di essere all’altezza della mia responsabilità professionale». Chissà che feste, i colleghi?! «I giovani colleghi mi mandano e-mail, mi telefonano, mi incitano a tener duro. I colleghi meno giovani non hanno espresso niente. Mi aspettavo una mano sulla spalla...». La gente di ogni giorno, cosa le dice? «Sono un single, esco presto a far la spesa. Proprio questa mattina ho trovato un gruppo di anziani che mi hanno riconosciuto, incitandomi a far la mia parte. I primi giorni ne ho sentite di tutti i colori. Adesso i pareri si mischiano. Ho ricevuto delle minacce. Mitomani. Comunque farò regolare denuncia». Il tempo sta cambiando? «Non è il tempo, il clima che deve cambiare, sono i fatti, le carte, i riscontri, le testimonianze che contano...». Avv. Broli, perchè Guglielmo Gatti è innocente? «Perchè niente è stato verificato di quello che ha detto, perchè non si è avuta la diligenza di verificare elementi che stavano davanti al naso». Scusi, e i testimoni del Vivione? «Gatti non è mai stato al Vivione». E le cesoie? «Ma lei sa che per fare quello che è stato fatto a quei corpi ci vogliono molte mani, ci vogliono strumenti particolari, altro che cesoie. Le cesoie incriminate hanno il diametro di questo togli punti, il diametro di qualche centimetro». Scusi, avv. Broli, e il pernottamento di Gatti all’albergo di Breno? «Non è mai stato all’albergo di Breno. Mi dica quando è uscita questa testimonianza dell’al- bergo? Diversi giorni dopo. «Come mai l’albergatrice esce fuori 15 giorni dopo che Gatti è su tutti i giornali e i telegiornali d’Italia? Non è una testimonianza, come dire, ...genuina». Lei che idea si è fatto dell’assassino dei Donegani? «Credo sia più probabile dire, degli assassini. Un’azione del genere non può essere fatta da una sola persona». Il movente? «Noi qualche idea l’abbiamo su coloro che avrebbero potuto commettere l’assassinio. E abbiamo qualche idea su chi avrebbe potuto averne l’interesse». Chi? «Chi trae qualche beneficio, mettendo fuori gioco due persone come i Donegani e mettendone in frigorifero un terzo, come, appunto, Guglielmo Gatti». Siamo alle teste, avv. Broli, all’insopportabile assenza delle teste... «Le teste non verranno mai fuori perchè potrebbero rivelare gli assassini. Sono la chiave dell’omicidio. Le teste dicono come sono stati uccisi i Donegani». Il luogo dell’omicidio? «Per me tutto è accaduto all’aperto. Serve spazio per compiere una storia così orribile». Dove? «Non sono un conoscitore profondo della provincia. Ho una casa a Caino. Basterebbero le montagne lì dietro. Faccio per dire...». Avv. Broli, qualcuno sostiene che Gatti sarebbe il gigantesco stratega di una enorme premeditazione. Alla base della quale ci starebbe il delitto degli zii. Ma l’omicidio sarebbe quasi il pretesto di una sua insana sfida alla società. Come dire: adesso vi metto tutti nel sacco... «Ho calcolato anche questa ipotesi. Non ci sta. Gatti non è l’uomo delle caverne descritto da molti; Gatti ha le sue amicizie, si contano sulle dita di una mano, ma ci sono. Gatti ha avuto la sua storia sentimentale...». Qualcuno dice che Gatti la "intorterebbe" e lei finirebbe per essere inconsapevolmente più suo portavoce che suo avvocato. «Non è così. Scarto questi pregiudizi sulla base degli elementi raccolti fino ad oggi. Aspetto con ansia la risposta all’istanza di scarcerazione e sono ottimista». Gatti uscirà dal carcere? «Caspita che uscirà. fuori anche la Franzoni! Non c’è alcun motivo perchè ci rimanga. Ho una gran voglia che passino questi giorni per avere in mano l’altra parte del fascicolo dell’accusa. Si domina un processo se si domina l’intera materia processuale. Oggi per me Gatti è innocente al cento per cento». Avv. Broli, se scoprisse che è colpevole, lo difenderebbe ancora? «Sì. Lo difenderei perchè gli possa essere riconosciuta la giusta pena». I suoi rapporti con la Procura come sono? «Inevitabilmente, un po’ tesi». Tonino Zana
• Piange gli zii e non molla. Il Giornale di Brescia 02/09/2005. Tre ore e mezza a Canton Mombello. Per fare il punto della situazione. «Per uscire con maggiori convinzioni». Tre ore e mezza che caricano sia l’avvocato che il suo assistito, insieme di nuovo ieri, dopo la pausa forzata di mercoledì. «Abbiamo avuto un lungo colloquio per chiarire - dice Luca Broli all’uscita da Canton Mombello - alcuni aspetti del fascicolo. Un confronto davvero utile che mi ha permesso di registrare una volta di più la certezza del mio assistito circa la sua estraneità ai fatti». Certezze che affondano tanto in riscontri oggettivi che in valutazioni soggettive. Queste ultime riguardano l’approccio metodologico che hanno avuto gli investigatori nei confronti del caso dell’estate. «Oltre alle numerose incongruenze - ha detto Broli - degli appunti vanno mossi anche nei confronti delle scelte compiute. Si è indagato a senso unico e, nonostante questo, sono stati commessi degli errori». L’avvocato specifica. «Ci sono elementi nel fascicolo che possono essere interpretati in senso non colpevolista». A questi andrebbero aggiunti quei riscontri che la difesa ha già raccolto, sta raccogliendo e cercherà di raccogliere anche in futuro. «Ci sono elementi che rafforzano la nostra linea difensiva». Si parla di alibi, senza pronunciare la fatidica parola, ma dandogli dei contorni, attribuendogli una sostanza. A dire che Gatti non sia stato in Vacamonica nei giorni sotto inchiesta «ci sono occhi umani, occhi meccanici che hanno potuto registrare il suo passaggio - prosegue l’avvocato - e scontrini che hanno potuto documentare i suoi spostamenti. Quello che continuiamo a chiederci è come mai queste cose non siano mai state considerate». La domanda arrovella la mente di Guglielmo Gatti che intanto compie il suo sedicesimo giorno di isolamento e che sta sempre peggio, «ma solo dal punto di vista fisico. Sotto il profilo psicologico è sempre più combattivo e mi chiede in continuazione di non lasciare nulla di intentato. Reagisce con una forza notevole a tutto lo stress al quale è sottoposto: qualche giorno fa gli ho dovuto far vedere le fotografie dei resti dei suoi zii: ha avuto una reazione straziante, un pianto disperato». Pierpaolo Prati
• Dalla val di Scalve nessuna traccia dei resti dei Donegani. Il Giornale di Brescia 02/09/2005. Carcasse di animali, cani soprattutto. Tanti sacchi della spazzatura. Nessun indizio significativo. Si è chiuso così anche l’ennesimo giorno di ricerche nell’alta Valcamonica. Come accaduto in precedenza lungo la strada provinciale che sale verso Breno, anche la via Mala è stata battuta senza particolare fortuna. I novanta uomini impiegati da Forestale, Soccorso alpino e Protezione civile hanno passato palmo a palmo la via che risale da Boario, attraverso Dezzo di Colere sino a Schilpario. Sono arrivati praticamente all’attacco della salita che conduce verso il passo del Vivione e che potrebbe aver percorso, proprio in salita, l’uomo che ha scaricato i resti di Aldo Donegani e Luisa De Leo in fondo al dirupo dove sono stati ritrovati il 17 agosto scorso. Quel terribile mercoledì. Partita un’ora dopo l’alba la battuta, che ha sconfinato anche in terra bergamasca, ha avuto come oggetto non solo la via Mala e i suoi dintorni, ma anche l’alveo del torrente Dezzo. Nulla di significativo anche qui. Né le teste dei due coniugi, né il busto della donna, ma nemmeno alcuni di quegli indizi che il colpevole potrebbe aver lasciato alle sue spalle, magari nella fretta di far scomparire i corpi e di darsi alla macchia. Le ricerche proseguiranno anche oggi. Come colti da un’intuizione buona, venuta al termine della battuta di ieri, gli uomini della Guardia forestale torneranno in val di Scalve. Sotto la lente d’ingrandimento una zona che ieri non è stata controllata e nella quale... Sull’esito delle ricerche incide senza dubbio il trascorrere del tempo. I resti che mancano, infatti, molto probabilmente sono in avanzato stato di decomposizione, sempre meno facilmente riconoscibili. Più passa il tempo, più insomma diventa difficile trovare qualcosa, ma le ricerche restano comunque utili. Il dna, infatti, non si decompone e la posizione dei resti può essere determinante nel ricostruire passaggi e tempistica dell’occultamento dei cadaveri. Trovare le parti che mancano, inoltre, potrebbe essere determinante per risalire ad un dettaglio non da poco. Chi può escludere infatti che solo i resti mancanti possano indicare come sono stati uccisi Aldo e Luisa Donegani? Al momento nessuno. O forse solo gli esperti dell’Istituto di medicina legale che stanno effettuando le analisi tossicologiche su quel che resta dei cadaveri dei coniugi. Gli esiti di questi esami ancora non si conoscono: solitamente richiedono circa un mese. Stando così le cose potrebbero mancare poco meno di due settimane. Di analisi in analisi, da Brescia a Parma il passo è breve. Anche nel quartier generale del Ris, infatti, il lavoro non conosce soste. Tutto il materiale repertato nella villetta di via Ugolini deve essere ancora completamente analizzato. Altro potrebbe essere raccolto nelle prossime ore. Per conoscere lo spessore degli indizi a carico di Guglielmo Gatti, l’unico accusato del terribile delitto, ma anche i riscontri che la difesa dice di aver trovato a sostegno della versione che ripete da quando, testimone, veniva interrogato per interminabili ore, occorrerà attendere il riesame. L’udienza non è ancora stata fissata, ma dovrebbe cadere ancora nel calendario estivo, sicuramente di mercoledì. Quindi o mercoledì 7 settembre, o quello successivo: il 14. Pierpaolo Prati  
• Omicidio Donegani: passo dopo passo. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. Paura. Fa paura. E non c’entra, almeno mentre si sale, il fatto che lì sotto siano stati trovati i pezzi dei coniugi di via Ugolini. La via Mala, antica strada dei contrabbandieri, fa paura da molto prima. Da quando il muso della macchina comincia ad infilare i tornanti che da Schilpario conducono al passo del Vivione. Ad ogni giro di volante il primo pensiero è rivolto alle proprie gomme: dove andranno ad appog- giare? Sull’asfalto? Sul terriccio? Nel vuoto? Il secondo invece va all’autore di tutto questo: chi mai, portandosi sulla coscienza e nel baule tranci di cadavere, potrebbe aver affrontato questa via? Non ce n’erano altre? Non esistevano nascondigli altrettanto efficaci? Se non di più? Il pensiero diventa una spirale che segue l’andamento delle curve: « stato lui? Non è stato lui?». Mentre la paura cresce a passo d’auto. Diventa orrore a non più di 20 km/h e cammina insieme alla sensazione che chi ha voluto sbarazzarsi dei Donegani conoscesse bene la via Mala. La conosceva a menadito. Viene da dire: «Uno che non l’ha mai fatta... non sarebbe mai salito di qui». Una sensazione che diventa certezza umana, e fallibile, quando si arriva attorno al 15° chilometro della strada del Vivione. Sopra il punto in cui il 17 agosto vennero fuori i resti dei coniugi. Sopra l’unico punto, percorrendo e ripercorrendo la rotta dell’orrore, utile per sbarazzarsi di Aldo e Luisa. «Così ripido, così inaccessibile, tanto rivestito di sottobosco non ce n’è un altro. Chi è arrivato sino lì ci è andato a botta sicura». Ci diconono. E in effetti è difficile ipotizzare che si sia fermato a ripetizione per cercare il punto buono. Soprattutto di notte. Chi lo ha fatto sapeva che lì avrebbe potuto contare su un dislivello notevole e su una pendenza oltre il 70%. Che non avrebbe avuto una strada sotto e nemmeno le acque del Sellero. Aveva studiato tutto bene, quasi tutto. «La strada qui chiude a fine ottobre - ci hanno detto - e qui non viene nessuno, nè a caccia, nè a funghi. Non li avrebbero trovati mai»... se non fosse che ogni delitto si porta appresso un errore e lascia delle tracce. Le più evidenti sono state trovate dagli stessi volontari che, quindici giorni dopo il ritrovamento, sono ancora lì, alla ricerca di quello che manca. Uno di loro sbuca in cima a quel canyon. Sudato, ferito ad un braccio. Col fiatone e la testa a quel ritrovamento macabro, fatto di prima persona. Prende un sasso in mano e ci fa vedere che lancio è servito per scaraventare i Donegani dove li hanno trovati. Almeno cinque metri in là, prima della picchiata. «Abbiamo trovato i resti proprio qua sotto - dice -. C’erano pezzi un po’ ovunque. Anche sugli alberi. I sacchi nei quali erano i resti probabilmente sono scoppiati nell’impatto al suolo o si sono strappati tra i rovi». Hanno perso il loro contenuto, svelato l’orrore. «E la precisione chirurgica, anzi microchirurgica - prosegue il volontario - di chi ha agito. I resti presentavano tagli netti. Chi ha fatto questa operazione sapeva come si doveva agire. Non c’è traccia di ossa rotte o spezzate. I cadaveri sono stati disarticolati». Poi gettati, ritrovati come le cesoie e il sacchetto della spesa. Elementi indiziari ripescati decisamente più sotto, qualche tornante più lontano da lì. Tra la casa cantoniera dell’Enel e uno spuntone di roccia che sbuca dalla boscaglia. Ciò che ancora non si è trovato, e che forse a questo punto non si troverà mai, sono i resti che mancano. «Con questa zona (che è quella che sale da Angolo Terme sino al punto della tragedia) abbiamo passato al setaccio proprio tutto». Come a dire: o le troviamo oggi o, qui, non le troviamo più. Delle due, al tramonto, è realtà la seconda. In val di Scalve, nella valle di Paisco e sotto il passo del Vivione, non c’è altra traccia. Tanto meno quella delle teste. Ma che fine hanno fatto? Gli esperti della zona parlano di bestie: volpi e tassi. «Ce ne sono tantissime, non mi sento di escludere siano state loro a portarsi via quello che manca. Di sicuro in questa zona sarà difficile trovare ancora qualcosa. La speranza c’è sempre, quella deve essere l’ultima a morire»... di sicuro però, ora, nella valle di Paisco e in val di Scalve è quanto meno in stato comatoso. Difficile, inoltre, sarà anche trovare qualcuno che si ricordi qualcosa: qualche particolare, qualche volto. Che possa aggiungere qualche dettaglio alla storia che nasce alle nove di quella mattina di mercoledì 17 agosto. Nessuno, infatti, ricorda niente di particolare. Nessuno dice di conoscere i protagonisti certi e quelli supposti. In tutti emerge la voglia che la curiosità, più o meno morbosa, che le indagini, che tutta la vicenda, venga lavata via dal prossimo acquazzone che si abbatterà sulla Concarena. Che sul verde non resti più traccia di nulla, nemmeno del ricordo. Pierpaolo Prati
• L’accusa fa il punto della situazione. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. Sono tornati gli uomini del Ris di Parma, ieri un’altra volta, l’ennesima, nella villetta di via Ugolini, ed hanno messo sotto la lente d’ingrandimento l’appartamento e la mansarda di Guglielmo Gatti, il nipote di Aldo e Luisa Donegani, per ora ancora l’unico indiziato del duplice omicidio. Ma oggi non si è lavorato solo in campo scientifico, infatti mentre proseguivano gli accertamenti dei periti dei carabinieri, in procura si è tenuto un vertice a cui hanno partecipato tutti i responsabili del pool investigativo. Ad oltre un mese dalla scomparsa dei due coniugi, via Ugolini ha ritrovato una certa tranquillità e ieri mattina l’arrivo dei militari non ha attirato particolarmente l’attenzione. Alle dieci del mattino due auto dei militari sono entrate nel cortiletto del civico 15 e sono state parcheggiate proprio davanti al garage che il procuratore capo Tarquini aveva definito «mattatoio» . Dopo avere scaricato dai mezzi diverse grosse valige di attrezzature i quattro tecnici hanno indossato le tute bianche e gli appositi calzari e sono saliti al primo piano. Qui probabilmente sono riprese le ricerche di eventuali tracce ematiche invisibili ad occhio nudo, ma rilevabili con l’ausilio di strumenti specifici come il Luminol ed il Crime-Scope. Questi apparecchi però danno risposte attendibili solo in condizioni di oscurità totale ed ecco perché le tapparelle dell’appartamento sono rimaste abbassate per tutta la giornata. Nel pomeriggio poi l’attenzione degli esperti del Ris si è concentrata sulla mansarda. Quello spazio recentemente ristrutturato nel sottotetto che era parte integrante dell’appartamento di Gatti e che sembra sia stato al centro di accese discussioni tra gli zii e il nipote. A quanto si è potuto apprendere secondo i Donegani infatti la mansarda avrebbe dovuto essere comune alle due abitazioni mentre secondo Guglielmo Gatti i suoi genitori avrebbero comprato molti anni fa anche la metà di Aldo. I carabinieri del Ris sono rimasti nella mansarda per tutto il pomeriggio, fino alle 19, quando sono ripartiti alla volta di Parma, portando via oggetti ingombranti, lunghi e stretti, avvolti in teli neri. Accanto ai nuovi reperti i militari del Ris hanno portato via un paio di grossi sacchi di «rifiuti speciali», probabilmente reagenti chimici e presidi sterili ormai utilizzati, segno inequivocabile dell’intenso lavoro che si è tenuto nella villetta. Intenso e lungo è stato anche l’incontro in Procura. Dal procuratore capo Giancarlo Tarquini si è presentato tutto il pool investigativo che in queste settimane non ha abbandonato un secondo le tracce che potrebbero ricostruire il tremendo delitto. stato fatto nuovamente il punto della situazione e, pare, si sia discusso a lungo dello stato di avanzamento delle perizie scientifiche alle quali sono stati sottoposti i resti dei Donegani. Paolo Bertoli
• Ore misteriose. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. Scusi signora, ma Guglielmo Gatti, ha dormito o non ha dormito qui da voi? La signora Silvana, proprietaria dell’Hotel Giardino di Breno, ci guarda stralunata: «Sono stufa, non ne posso più. Ripeto quanto ha già detto mia figlia Cristina. Lei adesso è al mare, ma ha già dichiarato a più riprese, in modo chiaro, ai carabinieri, ai giornalisti, ai curiosi che Guglielmo Gatti ha dormito qui da noi. Quella sera, il signor Gatti ha suonato al videocitofono. Capita con il nostro mestiere che ci siano avventori notturni. Lo ha visto nel video e gli ha aperto. Hanno conversato, non hanno parlato soltanto del prezzo della stanza. Lui ha mostrato la carta d’identità, quindi è salito nella stanza doppia, la 305. La mattina, non mi ricordo bene a che ora, è sceso, ha pagato in contanti e ha salutato». Tariffa per stanza doppia sono 55 euro. L’Hotel Giardino è nel centro di Breno, un complesso ordinato, famigliare. Alle pareti sono appesi quadri di buona fattura. Sono i dipinti di Lorenzo Cominelli, il povero marito della signora Silvana, rimpianto per bonomia e bravura. «Pensi il caso - dice la signora Silvana -. Il padre dell’avv. Luca Broli, il difensore di Guglielmo Gatti, era direttore dalla banca di Valle Camonica, un nostro cliente affezionato». In verità, rileggendo l’intervista rilasciata dal difensore di Gatti, si dovrebbe trattare del nonno. Questioncina più letteraria che di cronaca secca, comunque aria di fresco in questa caverna di sangue e di orribili pensieri. Tonino Zana
• Il viaggio dell’assassino. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. La partita giudiziaria, inevitabilmente, si disputerà anche sul calcolo del tempo, su quante ore abbia impiegato l’assassino ad arrivare lassù, davanti allo strapiombo d’eccellenza di tutto il Vivione, in che modo si sia o non sia liberato da incontri letali per lui e ferali per le vittime. Siamo partiti da Brescia, siamo entrati nella Bassa valle dalla Franciacorta, dopo aver penetrato le gallerie del Sebino. A Boario abbiamo scelto la risalita di Angolo, entrando diritti nella Bergamasca, toccando gli orridi fino a Dezzo. Qui ci siamo specchiati nell’unica telecamera della val di Scalve, al distributore della Tamoil. Le registrazioni sono state ritirate dai carabinieri, sconosciuto l’esito dell’analisi. Dopo Schilpario, per un assassino (o per più assassini) che viaggiavano verso un «burrone speciale», scelto proprio per la sua «specialità» costituita dalla somma dell’altezza e della ripidità, il viaggio si complica, gli incontri e i possibli scontri con le automobili provenienti dall’altra direzione sono più che probabili. Scontati gli incontri ravvicinati, probabili gli scontri, i tocchi delle lamiere. L’assassino o gli assassini sono stati incrociati da più di una persona. Il problema è di capire se esiste la forza, ancora, di osservare chi si incrocia e se si ritrova la concentrazione per fare mente locale. Il passo del Vivione è un’oasi di quiete potente, in mezzo c’è il rifugio 6 stanze, un’accoglienza gentile, la chiusura alla prima neve da metà ottobre. Riflettere sul tempo della chiusura del passo: chi ha gettato parti dei corpi dei Donegani nell’area del Vivione, conosceva il vantaggio che gli avrebbero dato l’inaccessibilità del più vertiginoso burrone e la chiusura del passo. La primavera avrebbe portato un’altra terra, l’inverno avrebbe seppellito tutto il nostro anno. Il resto della sparizione nella gola degli animali. L’andatura è turistica a causa della strada stretta: da Brescia allo strapiombo del ritrovamento impieghiamo un’ora e 55 minuti. Quindi la discesa. Non ci sono tratti su cui guadagnare. Una Ferrari stacca una Topolino di qualche minuto. Il traffico, le gallerie, l’interland che arriva quasi ai mutandoni del lago e, la barriera di Brescia: un’ora e 45 minuti. L’accusa e la difesa faranno i loro conti. Tonino Zana
• Ricerche dalla mattina all’ultima luce. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. Hanno appena trovato due valigie grosse. Cosa saranno? Ogni cosa recuperata viene portata sulla strada, a quasi 2mila metri di altezza, su una stradina larga una porta di calcetto. Un colpo di radio e arriva la station wagon della Protezione civile. Dietro, in una specie di bocca si getta ogni oggetto trovato. Verrà analizzato più tardi, con meticolosità. Intanto la ricerca continua fino a quando c’è luce. Che donne, che uomini questi volontari e dipendenti della varie Protezioni civili, in piedi all’alba, nei boschi a cercare le colpe degli altri, i resti di corpi sezionati da una violenza vista, raramente, anche nei più efferati capitoli dell’orrore. Li abbiamo incontrati per l’intera giornata di ieri, su tutta la dorsale bergamasca e quindi su quella bresciana, lungo i torrenti, il Dezzo, il Povo, il Sellero, sugli strapiombi abilitati a superare i canyon nella sfida della vertigine, nei boschi fitti dove non passa il vento. Li abbiamo visti da soli, con i loro cani addestrati, a strappare plastiche, rovi, ad analizzare zaini, erba, liquidi. Si muovono con coraggio, in silenzio. Ogni tanto una voce, un gracchiare delle ricetrasmittenti e poi avanti fino a quando ci sarà luce. Provate a perdervi, a perdere un vostro caro, ad avere bisogno di aiuto, di qualcuno che scende nell’inferno verde delle valli a rischiare la vita per un prossimo di cui non conosce che il nome e il cognome, quando lo conosce, e vedrete se è retorica quella che maciniamo, appena al minimo, ad onore dei volontari, delle varie sigle volontaristiche e istituzionali del Soccorso. Uno è di Sacca di Esine, ha 20 anni, di un biondino tenero da tirargli via altri 5 anni. Un altro è di Angolo, uno è di Schilpario, un altro di Darfo. Aiutano, non insegnano, e pedalano a tirar fuori dai guai chi di noi batte, in un modo o nell’altro, sugli spigoli della vita e finisce là in fondo. La strada verso il Vivione, risalendo da Schilpario o da Paisco è larga mediamente due metri. Sotto, ai piedi del torrente, quando ormai si è vinta una discesa pericolosa, i soccorritori sbucano da ogni parte. Ieri è stata dissotterrata una scatola di pallottole. «Sono dei bracconieri. Non le possono tenere in casa e le sotterrano nel bosco». Pallottole lunghe così, spiega un soccorritore, molte e funzionanti. «Io ho trovato persone morte, anche dopo anni racconta un altro -. Non si immagina cosa viene buttato nei burroni del Vivione...». L’animo sarebbe meno confuso, se un colpo dello spirito riunisse gli sguardi e i visi di Aldo e Luisa, deponendoli alla vista di uno di questi angeli custodi del soccorso. Tonino Zana
• La villetta al microscopio del Ris. Il Giornale di Brescia 04/09/2005. Hanno rivoltato come un guanto quei due appartamenti. Passando alla lente d’ingrandimento e pure al «luminol» ogni centimetro quadrato. Perché i carabinieri del Ris in via Ugolini ci hanno messo radici, piazzando - ad oggi - una decina di sopralluoghi. Evidentemente necessari per racimolare tracce e prelevare oggetti da «spogliare» poi nei laboratori di Parma. E proprio nelle mani degli investigatori in tuta bianca si concentrano le chiavi - non tutte - del giallo. Da quindici giorni, o meglio dal 18 agosto (il giorno dopo il ritrovamento dei resti dei coniugi Donegani nel «bosco dell’orrore» al Vivione) i Ris sono approdati nella villetta di via Ugolini. E l’hanno setacciata praticamente tutta, dall’appartamento di Guglielmo Gatti a quello degli zii, dai garage alla mansarda. E sono stati proprio loro, il 18, a trovare tracce di ferritina (una proteina contenuta anche nel sangue) nella casa ed a raccogliere tre sacchi di oggetti in quel dirupo «incriminato» della Valle di Paisco. E sempre i Ris hanno individuato e isolato poco meno di 50 macchie di sangue nell’autorimessa del Gatti. Sangue umano, di Aldo e Luisa Donegani... lo ha sentenziato il Dna, dimostrando che quel garage è stato il mattatoio. Sono i giorni in cui la Fiat Punto blu dell’indiziato numero uno viene passata alla lente d’ingrandimento a Parma. E il 23 arriva la notizia di un reperto organico isolato nel baule dell’utilitaria. Dovrebbe trattarsi di sangue, appartenuto a Luisa De Leo, perché ancora una volta il Dna parla chiaro. Dal 24 agosto praticamente ogni giorno i Ris raggiungono via Ugolini e trascorrono ore e ore nella villetta, portandosi poi via, a notte fonda, scatoloni e sacchi pieni di oggetti rastrellati all’interno. Materiale evidentemente utile all’inchiesta, o meglio alle ricerche scientifiche che rappresentano il punto-forza (o più semplicemente offrono riscontri) del fascicolo d’accusa. L’ultima visita dei carabinieri emiliani - sempre accompagnati dalla Scientifica dell’Arma di Brescia - risale allo scorso venerdì pomeriggio, quando sono stati allungati gli occhi in mansarda. In realtà gli inquirenti non hanno tralasciato nemmeno il giardinetto e addirittura quel tratto di via Ugolini di fronte agli accessi della villetta. Marco Bonari
• Riflettori spenti, via Ugolini cerca di tornare alla normalità. Il Giornale di Brescia 04/09/2005. Via Ugolini è un’anonima traversa di via Scarampella, la seconda da Sud, villette ordinate costruite agli inizi degli anni Sessanta. Per quarant’anni una vita da paese, con la gente che si conosce tutta, che sa tutto di tutti. Poi, all’inizio del mese di agosto, viene denunciata la scomparsa di due pensionati, di una coppia che in via Ugolini e di via Ugolini viveva da sempre. Bastano poche ore per capire che proprio lì, nella tranquilla stradina che qualcuno ha definito «una delle ultime strade da sabato del villaggio», si sia davanti ad un autentico mistero. Nel breve volgere di una giornata sulla via sono scesi a decine i giornalisti, con fotografi e operatori delle televisioni. La strada si è presto riempita, di vicini, di gente del quartiere, ma anche da fuori, tantissimi curiosi, spettatori della caccia alla notizia. Passati i frenetici momenti delle corse dei carabinieri, degli amici e dei pochi testimoni tra le caserme e la villetta, via Ugolini ha conosciuto i giorni dell’attesa e la tensione, soprattutto mediatica. Poi la macabra scoperta al Vivione e i riflettori puntati ancora per una decina di giorni. La tempesta ora si è placata, le visite, sempre frequenti, delle tute bianche del Ris non attirano più l’attenzione; qualche timido sussulto solo se si vede lo scooter dell’avvocato Luca Broli. Via Ugolini ha ritrovato una parvenza di tranquillità. In questo sabato pomeriggio di fine estate per la strada non c’è nessuno. Un vento fresco ha fatto volare qualcuno dei biglietti che erano appesi al cancellino di Aldo e Luisa, ha scompigliato i mazzetti di fiori di campo. Nelle giornate di assalto mediatico qualcuno ha voluto mettersi in mostra, raccontando, spesso arricchendo di particolari fantasiosi la vita dei due pensionati, con commenti dapprima sempre lusinghieri e fattisi via via più maliziosi man mano che la «normalità» dei Donegani perdeva di interesse. Solo ora, ad oltre un mese dalla scomparsa dei coniugi , i giardini e gli orti che confinano con la villetta sono tornati ad animarsi. «Sembra tranquillo, ma qui i curiosi continuano a girare» racconta una signora. «In oltre 40 anni che abito qui, non ho mai visto tanta gente passeggiare . Fanno finta di niente, ma si fermano davanti alla casa di Aldo; alcuni per diversi giorni, tanto che ormai li riconosco» . Alla sera poi, quando i curiosi se ne sono andati, chi abita qui scende in strada per chiacchierare. a quest’ora che v ia Ugolini ritorna a parlare davvero di sè, nei racconti di chi ci vive da sempre, da quando la bella palazzina ristrutturata di fronte alla villetta era macelleria per una metà e forneria per l’altra. Del delitto si parla sempre meno e tra i racconti delle vacanze e qualche bicchiere di vino si avverte la voglia di tornare al tranquillo anonimato. Chi conosce davvero questa strada ha idee chiare sulla vicenda e sui protagonisti. «Mi ricordo come fosse ieri quel bel bambino che ci veniva a trovare, lo chiamavamo Guglielmino» racconta un’anziana. «Ma dalla fine delle Elementari suo padre non lo ha più fatto scendere, era gelosissimo anche della moglie. In trent’anni non abbiamo visto salire amici nè parenti. Ora leggiamo che qualcuno crede che gli assassini siano più di uno, che nella casa siano entrate più persone. Ma da qui si vede tutto e noi altra gente non ne abbiamo mai vista». Paolo Bertoli
• Donegani: non c’è traccia di veleno. Il Giornale di Brescia 06/09/2005. Avvelenamento? Da escludere. Dai resti dei coniugi Donegani, sotto la lente d’ingrandimento degli esperti da quasi tre settimane, di veleno, almeno sino a questo momento, infatti, non è emersa traccia. Se la loro non è stata una morte chimica, come sono morti allora Aldo e Luisa? Il rischio che non si riesca a dare una risposta a questa domanda, una delle tante che caratterizzano il caso, è inversamente proporzionale alla probabilità che le teste vengano ritrovate: alto il primo, bassa la seconda. Proprio nelle teste, infatti, a questo punto potrebbe essere custodita la risposta. Se gli altri resti non hanno dato responsi significativi, è possibile che la causa della morte dei due sia in una lesione della scatola cranica (magari sfondata da un pesantissimo colpo), oppure in una microfrattura delle ossa del collo, magari strette da una forza letale. Più difficile, invece, ipotizzare sia rintracciabile in un foro da arma da fuoco, non foss’altro per il fatto che una pistola, o peggio ancora un fucile, avrebbero provocato un rumore che senza dubbio in via Ugolini, sempre sia stato questo il teatro della tragedia, avrebbe avvertito chiunque. Se il dubbio permane sull’arma del delitto, non è che sul luogo ci siano, almeno per ora certezze. A fornirle potrebbero essere i risultati delle indagini compiute nei giorni scorsi dagli uomini del Ris che hanno passato palmo a palmo la villetta dei Donegani e l’appartamento di Guglielmo Gatti. L’accusa ritiene che i due coniugi siano stati sezionati nel garage, definito «mattatoio» del procuratore capo della Repubblica, ma non sa ancora se sono stati uccisi in casa, all’aperto o se, come ipotizza qualcuno, addirittura nel box stesso, magari attirati con un pretesto dal loro aguzzino. Oltre al «come» e al «dove», manca ancora la risposta al «perché». Il movente di questo duplice omicidio è ancora nella testa di chi l’ha compiuto. Quello supposto, in assenza di una confessione, è nelle ipotesi investigative degli inquirenti. Ciò che si conosce, da ieri, è la data del riesame. Accusa e difesa si troveranno di fronte al giudice Francesco Maddalo, venerdì prossimo. Alle 9 del 9 inizierà un’udienza al termine della quale si saprà se per Guglielmo Gatti si riapriranno le porte di Canton Mombello o se, invece, l’unico accusato dovrà rimanere nel carcere cittadino. Nel corso di questa sorta di anticipazione del processo verrà valutato il pericolo che l’indagato possa commettere altri reati dello stesso tenore di quello per il quale è accusato: se ovvero c’è il rischio di «reiterazione». Nel corso dell’udienza l’accusa argomenterà le sue ragioni sulla base di un fascicolo indiziario piuttosto corposo. Le indagini sin qui svolte hanno portato negli uffici dei magistrati due faldoni: un migliaio di pagine in tutto. A queste, da ieri nelle mani anche della difesa, l’avvocato Luca Broli dovrà contrapporre quei riscontri che dice «sovrapponibili» con la versione di Gatti e che dimostrerebbero la sua estraneità ai fatti che gli sono attribuiti. Nel contraddittorio, quindi, emergeranno gli elementi che tanto gli inquirenti, quanto il legale, hanno celato sino ad ora per opportunità investigative e processuali. Tanti o pochi che siano i riscontri portati davanti a Maddalo il sospetto è che il riesame non si chiuderà con un verdetto nella giornata dello stesso venerdì. Molto probabilmente la decisione del Tribunale slitterà: i giudici, una volta tolta l’udienza e dopo essersi riuniti in camera di consiglio, avranno tempo dieci giorni, a partire da sabato scorso, prima di comunicare a Guglielmo Gatti il suo destino. La situazione di stand by potrebbe dunque protrarsi sino al prossimo martedì. Pierpaolo Prati
• Tarquini: al processo, senza incertezze. Il Giornale di Brescia 06/09/2005. «Parlerà il processo». Giancarlo Tarquini non aggiunge tante altre parole. A più di quindici giorni da quando irruppe ufficialmente sulla scena del caso Donegani portando all’opinione pubblica il nome del presunto colpevole, le tracce di sangue nel suo garage e sulle cesoie utilizzate per fare a pezzi i cadaveri di Aldo Donegani e Luisa De Leo, il procuratore capo della Repubblica si limita a confermare «solo» quanto disse nell’occasione della conferenza stampa del 20 agosto. «Rimane tutto in pieno». Il procuratore è convinto. A rinforzare le sue certezze «tanta attività e tantissime acquisizioni». Si riferisce ai nuovi indizi. A tutta una serie di elementi che si aggiungono a quelli che, diciassette giorni fa, aveva dichiarato «sufficienti a delineare il quadro e per affrontare il processo». Una conferma tra le conferme, dalle parole di Giancarlo Tarquini, riguarda il numero dei presunti colpevoli. Il numero uno della Procura della Repubblica esclude che il delitto possa essere compiuto a più mani. E anche in questo resta dello stesso identico avviso. Il suo ufficio, intanto, anche ieri è stato sede di un incontro allargato a tutto il pool degli investigatori. In Procura, si sono presentati oltre al tenente colonnello Luciano Garofano, comandante del Ris, al maggiore Marco Riscaldati, al pm Claudia Moregola anche i dirigenti della Protezione civile con tanto di mappe dei luoghi dove si sono concentrate le perlustrazioni. Nella stanza del procuratore, si è presentato anche l’avvocato Luca Broli. Una presenza dettata dalla necessità di formalizzare la nomina di uno dei cinque consulenti di parte che lo coadiuveranno nelle indagini difensive. Al termine dell’appuntamento l’avvocato si è nuovamente dichiarato fiducioso. «Sto facendo i miei riscontri - ha detto - la legge me ne dà facoltà e cercherò di farla fruttare». L’avvocato cerca conferme alla versione del suo assistito, anzitutto al fatto che a commettere il delitto sarebbero state persone con l’interesse di sbarazzarsi dei coniugi e mettere il suo assistito fuori causa. «Gatti non mi ha fatto nomi - ha detto Broli - ma si è fatto un’idea circa lo scenario in cui sarebbe maturato questo progetto». Pierpaolo Prati
• Donegani: la difesa scopre le carte dell’accusa. Il Giornale di Brescia 07/09/2005. ------------------------------------------------------------------------   «Ho letto il fascicolo. Sono oltremodo rincuorato». Lui è Luca Broli, l’avvocato di Guglielmo Gatti. A dargli fiducia sono i documenti che la sua borsa, che si gonfia ogni giorno sempre più, contiene a stento. I documenti depositati dall’accusa. Il legale dell’unico accusato per l’omicidio di Aldo e Luisa Donegani dice di non aver trovato «nulla di eclatante» tra gli atti che la Procura ha depositato in vista del riesame. In quelle mille pagine, lette tutte prima di varcare il cancello di Canton Mombello e di sottoporle al suo assistito, «c’è la testimonianza del ragazzino», quella che colloca Gatti al passo del Vivione lunedì 1° agosto tra le 15 e le 15,30, e «le tracce di sangue nel garage», quelle che permisero al procuratore Giancarlo Tarquini di chiudere il cerchio attorno al «nipote del piano di sopra» e gli consentirono di definire il box di via Ugolini il «mattatoio». Manca, di tutto quello che è saltato fuori nei giorni successivi all’arresto di Guglielmo Gatti, ancora qualcosa di sostanzioso. Almeno secondo l’avvocato. «Non c’è niente» inizia a dire Broli, circa le tracce biologiche rinvenute nel baule, quelle che le analisi direbbero della presenza della donna nel bagagliaio della Punto. A questa «lacuna» il difensore di Gatti ne aggiunge altre. «Nel fascicolo c’è lo scontrino del sedano (quello trovato a casa di Gatti che testimonierebbe l’acquisto dell’ortaggio trovato in fondo al dirupo, non lontano dal punto dove furono ritrovati i resti dei cadaveri) ma su questo ho riscontrato alcune anomalie». Altre, par di capire, l’avvocato le ha riscontrate nelle parole dell’albergatrice di Breno, quella che sostenne di aver avuto Gatti ospite. «Nel fascicolo ci sono tutte le sue testimonianze» prosegue il legale lasciando intendere che siano più d’una e non necessariamente concordanti. Procedendo nell’elencazione, che sembra un test a risposta secca, l’avvocato Broli continua ad avanzare una lunga serie di dubbi. «All’interno del fascicolo c’è tutta una serie di accertamenti di varia natura. Alcuni di questi sono davvero strani. Ci sono degli avvistamenti di Gatti, ma presumibilmente da parte di alcuni mitomani: c’è chi l’ha visto contemporaneamente in più parti». Testimonianze che hanno fatto sobbalzare il suo assistito, in isolamento ormai da tre settimane. «Cosa volete che dica Gatti - sottolinea Broli - davanti a certe cose? L’ho visto sorridere». Davanti a certe altre l’uomo, accusato di essersi sbarazzato dei suoi zii, tace. E non perchè non abbia niente da dire, ma solo perchè non ha materiale da commentare. Nella fattispecie gli esami del Ris più resenti e tutte le analisi tossicologiche. «Ho letto tutto il fascicolo. Circa i primi posso dire che ci siano i rilievi dei primissimi giorni del mese di agosto, non i successivi. Circa i secondi non posso dire niente perchè negli atti depositati dall’accusa in mio possesso non ve n’è traccia». Ricordato che la Procura potrebbe riservarsi di depositare elementi già acquisiti in tempi successivi, quel che ancora non si conosce sono i riscontri in mano alla difesa. «Non ve li dico per ragioni di opportunità difensiva» ripete da giorni Luca Broli. Questi elementi però si possono ipotizzare a partire dallo «speriamo arrivino in tempo» pronunciato dal legale. L’oggetto dei suoi desiderata, par di capire, sono riscontri di carattere tecnologico. Filmati e immagini. A conferma di quanto si sta dicendo il fatto che l’avvocato si stia avvalendo della consulenza di periti informatici chiamati a trovare prove del passaggio di Gatti lontano... dalla vicenda. Pierpaolo Prati