Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Ieri, verso le 11 americane (le cinque del pomeriggio nostre), Trump è andato a trovare Obama, portandosi dietro la moglie Melania, a cui Michelle ha fatto visitare anche le stanze dove i due andranno a vivere tra poco, in Pennsylvania Avenue 1900, l’indirizzo della Casa Bianca

Ieri, verso le 11 americane (le cinque del pomeriggio nostre), Trump è andato a trovare Obama, portandosi dietro la moglie Melania, a cui Michelle ha fatto visitare anche le stanze dove i due andranno a vivere tra poco, in Pennsylvania Avenue 1900, l’indirizzo della Casa Bianca. Nell’appartamento privato c’è anche una camera da cui si può vedere il Presidente al lavoro.

Che cosa si sono detti?
Il neo-eletto è arrivato a Washington, a bordo del suo aereo privato, direttamente dalla sua casa di New York. È entrato dal South Lawn, cioè il prato meridionale, e in questo modo ha evitato i giornalisti. Ai quali comunque non è stato poi permesso di far domande. Il presidente uscente e quello entrante dovevano chiacchierare per una mezz’ora, sono rimasti insieme a scambiarsi idee, invece, per una buona ora e mezza. Obama alla fine ha detto: «È stata un’eccellente conversazione. Vogliamo e faremo di tutto perché lui e la moglie si sentano benvenuti e perché riescano al meglio nel loro compito. Sono stati discussi temi importanti». Trump, a sua volta, ha detto: «Sono impaziente di fare altri incontri con Obama. Non c’eravamo mai incontrati, lo rispetto moltissimo. Abbiamo affrontato temi difficili, ma abbiamo anche parlato degli importanti risultati raggiunti durante la sua amministrazione. È stato un grande onore».  

Non ci capisco niente. I due non si sono presi a parolacce fino a poche ore fa? Trump non capeggiava un’associazione secondo la quale Obama non era americano, ma africano e musulmano e amico dei terroristi? E Obama non ha platealmente preso in giro il suo successore in una famosa cena del 2011? Per non dire di quello che si sono detti in campagna elettorale.
Tutto questo è finito, anche perché siamo entrati nella fondamentale fase del rito, durante la quale ciò che devono fare questi e quelli è stabilito da regole fissate dal tempo dei tempi e da una consuetudine all’apparenza immodificabile. Per esempio appena il ministro della Difesa, Ash Carter, ha informato i vertici militari della vittoria di Trump, subito il bollettino quotidiano che i servizi segreti stilano per il presidente è stato girato anche al neo-eletto. Il quale quindi, già adesso, è addentro a parecchie delle segrete cose su cui si regge il mondo. Mentre accadeva questo, i servizi hanno chiuso la 56esima strada Est di New York, quella dove ha abitato e dove abiterà ancora fino al 20 gennaio il nuovo capo dello Stato. Sappia che si occupano del Presidente cinquemila uomini e donne, e almeno la metà di queste ha a che fare con la sicurezza. Trump dovrà nominare a sua volta più di quattromila persone, da piazzare nelle posizioni più varie (dal segretario di stato in giù) e per alcune di queste avrà bisogno del via libera del Senato e/o dei servizi. Il momento chiave di questo periodo di transizione sarà il 19 dicembre, quando i delegati eletti l’8 novembre voteranno davvero per il nuovo presidente della Repubblica. Le urne chiuse (due casse di mogano) saranno ospitate al Senato e aperte da deputati e senatori in seduta comune il 6 gennaio. Il 20, infine, ci sarà il giuramento e la conseguente presa di possesso.  

Che idea dobbiamo farci sulle manifestazioni che ieri si sono svolte in tutto il paese, con un centinaio di arresti (ne riferiamo a parte)?
L’elezione di Trump è un fatto enorme, che ha disintegrato il partito democratico, i cui aficionados parlano adesso di candidare Michelle Obama nel 2020. La linea al partito democratico - allo sbando non solo per aver perso la Casa Bianca, ma per non avere neanche il controllo delle due camere - la dà per ora Michael Moore, cineasta, scrittore, intellettuale e show-man, lo stesso che aveva previsto all’inizio dell’estate l’inevitabile vittoria «di questo miserabile, ignorante, pericoloso pagliaccio sociopatico». Dice Michael Moore, scandendo la linea in cinque cose da fare «non nei prossimi mesi, ma entro mezzogiorno»: restituire il partito democratico al popolo (suppongo significhi: uscire dalle belle case di Manhattan e tornare a studiare la gente vera), annientare giornalisti e sondaggisti che hanno sbagliato ogni previsione, dare battaglia in Parlamento senza tregua e dare il benservito agli eletti con poca voglia, finirla di disperarsi, cambiare la legge elettorale, dato che Hillary ha avuto più voti del suo avversario e non ce l’ha fatta per via del sistema con cui si assegna la Casa Bianca.  

L’unico suggerimento davvero concreto mi pare quello di lottare in Parlamento.
Sì, forse è vero, tanto più che anche il partito repubblicano esce a pezzi da questa prova. Non ha vinto il suo uomo, anzi ha vinto un candidato da cui il partito e i suoi rappresentanti più autorevoli hanno preso di continuo le distanze, e verso il quale non hanno crediti, dato che Trump la campagna elettorale se l’è pagata da sé. Trump dovrà cambiarlo o potrebbe trovarsi in qualche difficoltà alla Camera e al Senato, perché i repubblicani non volevano lui, ma Jeb Bush o Rubio o Cruz. Uno dei suoi critici più feroci è John McCain che perse contro Obama nel 2008. La conclusione è che l’ingresso alla Casa Bianca del presidente più vecchio e più ricco della storia americana terremoterà - e forse ha già terremotato - prima di tutto il panorama politico interno.  

Intanto nominerà un ultraconservatore alla corte suprema e si sbarazzerà della Yellen.
No, il presidente della repubblica non è un dittatore, ed esiste un sistema di pesi e contrappesi che gli impedirà di fare proprio tutto quello che vuole: i democratici, con l’ostruzionismo, potrebbero impedirgli di nominare un giudice di estrema destra alla Corte suprema, là dove sedeva il defunto ultraconservatore Antonin Scalia. Idem per la Yellen, oggi del tutto indipendente dal potere politico che l’ha nominata (Obama): per mandarla a casa, Trump dovrà varare una legge, altrimenti il capo della banca centrale (Federal Reserve) ha il posto garantito fino al 2024.