Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 10 Giovedì calendario

Imprenditori, fedelissimi e familiari. Ecco il suo «dream team»

Politici, businessmen, familiari e uomini di legge: sono questi i bacini di utenza dai quali Donald Trump attingerà nei prossimi giorni per mettere a punto la sua squadra di governo. Il «dream team» Trump lo aveva in mente già da tempo, ma le ultime fasi della sua campagna elettorale sono state chiarificatrici per individuare la persona giusta al posto giusto. «Andremo a negoziare i più importanti accordi che esistano e dobbiamo avere i migliori negoziatori», aveva detto il tycoon qualche tempo fa a chi gli chiedeva lumi sulla sua futura amministrazione. 

Famiglia in prima linea

«Turn around the country», ovvero rivoltare la nazione, rifondarla, ristrutturarla, è questo l’obiettivo di The Donald, almeno a dar retta alla sua campagna. E per far questo occorre un rapporto di assoluta fedeltà tra il «commander in chief» e il suo vice Mike Pence, e i suoi emissari. Ecco allora il primo elemento che emerge, ovvero la squadra si basa sullo stesso principio dei suoi business, «family first», perché la fedeltà è merce rara per il miliardario. Ne consegue un accentramento della Casa Bianca nelle mani del clan Trump, Don Jr, Eric e il genero Jared Kushner ma soprattutto Ivanka, la punta di diamante del cerchio magico del 1600 di Pennsylvania Avenue. 

La squadra

Tra i consiglieri più ristretti trova una collocazione Newt Gingrich, al quale il tycoon affiderebbe la supervisione della pubblica amministrazione. La mappa dei dicasteri invece vede in pole position per il Tesoro Steve Mnuchin, già responsabile finanziario della campagna di Donald Trump e – attenzione – un ex di Goldman Sachs. Oltre alla questione della indiscussa fedeltà, il fatto di avere avuto un passato tra gli alti ranghi della banca permetterebbe al 45esimo presidente di poter avere un «insider» a Wall Street utile nella guerra agli abusi di certe istituzioni finanziarie che il tycoon vuole combattere. Mnuchin farebbe sponda con Jeb Hensarling, deputato repubblicano del Texas e presidente della commissione servizi finanziari, il quale andrebbe a ricoprire un ruolo nella vigilanza del settore. Il senatore Gop della Georgia, David Perdue, forte di esperienze come Ceo di Reebok e Dollar General, è destinato al dipartimento del Commercio. Lo zar per l’energia, dicastero sul quale il neopresidente vuole modulare la rinascita Usa, è Harold Hamm, tycoon del settore, il re del fracking e titolare della società che gestisce il controverso Dakota Access. Mentre un altro senatore, Bob Corker, già presidente della commissione Esteri, potrebbe assumere il delicato incarico di «Trade represantitive», ovvero colui che dovrebbe scardinare i grandi trattati a cui Trump ha dichiarato guerra e rinegoziarli su base bilaterale. Ben Carson diventerebbe titolare del dipartimento per la Salute, una carica maturata per vocazione visto che l’attivista afro-americano è stato un neurochirurgo. Un ruolo che The Donald gli riconosce di diritto anche per il fatto di essere stato, subito dopo il ritiro dalle primarie, un suo sostenitore. 

Lo «sceriffo» e la figlia

A proposito di fedelissimi, chi avrebbe un ruolo di primo piano è Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York architetto della tolleranza zero e colui che ha accompagnato Trump in tutti i suoi comizi, sino alla fine. Per l’amico Rudy, ringraziato dal palco nel discorso dopo il trionfo elettorale, il tycoon ha pensato al dipartimento dell’Homeland Security, uno dei dicasteri strategici e intorno al quale sarà modulata la dottrina «law & order» di Trump. E coadiuvato da un ministero della Giustizia che vede Jeff Sessions alla sua guida. In realtà la scelta era tra il senatore dell’Alabama e l’altro fedelissimo trumpiano, Chris Christie, il primo tuttavia è una scelta che piace di più all’ala conservatrice del Partito. Mentre per il governatore del New Jersey potrebbe essere realizzato un ministero ad hoc, quello sull’immigrazione, competenza ora dell’agenzia della Homeland Security. Il quale potrebbe a sua volta conferire la delega della gestione della polizia di frontiera allo sceriffo Joe Arpaio, in lizza anche per gli Interni. 


Nel valzer dei dicasteri il Pentagono potrebbe finire nelle mani del generale Michael Flynn, anche se alcuni lo vedono meglio alla direzione della National Intelligence. In quel caso alla Difesa farebbe il suo ingresso Tom Cotton, veterano di guerra 39enne, avvocato e politico che a Cleveland è salito sul palco per la nomination di Trump. Il dipartimento di Stato potrebbe essere così appannaggio di John Bolton, il falco neoconservatore e già ambasciatore Usa alle Nazioni Unite. The Donald infine, un posto lo riserva a Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza, che all’inizio delle primarie era salita sul palco per perorare la causa con gli amici dei Tea Party. Un gesto di fiducia che il tycoon non ha dimenticato tanto da riservarle un dicastero a cui ha promesso molto, quello dei Veterani, «gli eroi che hanno fatto grande quell’America che lui tornerà a far grande di nuovo».