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 2016  novembre 08 Martedì calendario

Quella caotica città incubatrice di geni

Il genio del luogo e i luoghi del genio. Esiste una mappa, un mappamondo della fioritura di geni proprio in alcuni periodi e alcune città. A scoprirne i segreti Eric Weiner, geografo di formazione e studioso di storia, come lui stesso si definisce, che ne La geografia del genio (Bompiani) affila un curioso reportage dall’Atene di Pericle alla Silicon Valley, nei centri di massima concentrazione di fenomeni. Perché il genio? Perché proprio lì? Perché proprio allora? 
LE SCOPERTE
La Grecia classica dura 186 anni, ma l’apice della civiltà ne dura solo 24. Nell’economia della storia umana, lo sprazzo di un tweet. Perché, si chiede Weiner, il genio fiorisce ad Atene e non a Sparta, più potente, o a Corinto, più ricca? Perché in quella città «piccola e sporca, in una regione spietata, circondata da vicini ostili e popolata da gente che non si lavava i denti, non usava i fazzoletti, si puliva le dita tra i capelli e sputava dappertutto?» Weiner affronta il genius loci e scopre che ad Atene è legato al camminare e al conversare, che sono un po’ la stesa cosa. 
Di là si origina il pensiero divergente, che scova soluzioni multiple ai problemi: nasce dal vivere all’aperto, nell’agorà, la piazza. L’Accademia di Platone era un centro di atletica, oltre che di filosofia. Una palestra. Altro segreto le chiacchiere, l’amore per l’alcol, e il disordine. Il Partenone non ha una sola linea retta ma tante impercettibili curve. Ogni colonna è inclinata. A sentire Aristofane, la magra dieta degli ateniesi favoriva corpo e mente sottili. L’alcol aiuta, se in dosi contenute. I sobri sarebbero più lenti degli alticci nell’escogitare soluzioni creative. Weiner estrapola dal suo taccuino di viaggio suggestioni molto soggettive. 
GLI ELEMENTI
Per esempio, nel salto dall’Atene di Pericle del 500 avanti Cristo alla Cina della dinastia Song fra il 969 e il 1276 dopo Cristo, la ricca e popolosa Hangzhou esalta la creatività per via di un lago, Xi Hu, Lago Occidentale, perché il genio è essenzialmente, sì, un fenomeno urbano, ma non scollegato dalla sintonia e dimestichezza con la natura. In Cina come a New York, che respira attorno al Central Park, o nella Vienna del Wienerwald. O nei giardini imperiali di Tokyo. Sarà un caso che i grandi fisici del Novecento si sono abbeverati al cielo stellato e alle creste dei monti, più che al neon dei laboratori? Altro elemento chiave, il gioco. Le società ludiche e ironiche sono le più innovative. 
Diversa la storia della Firenze medicea. Qui sono i soldi ad alimentare il genio per il mecenatismo di banchieri toscani come i Medici, ansiosi di redimersi dai peccati e conquistarsi il Purgatorio. Una magnanimità che scatena feconde competizioni (la rivalità come gene del genio, per così dire), per esempio tra Leonardo e Michelangelo.
Ogni epoca d’oro ha i suoi moltiplicatori. Le botteghe fiorentine sono una bella fucina. I maestri figliano geni. Come il Verrocchio, il Lou Reed del Rinascimento (il suo album d’esordio fu venduto in 30mila copie, per Brian Eno ognuno di quei 30mila acquirenti ha messo su una band). Così Verrocchio, ai suoi tempi. O Cézanne a Parigi. Ma che cosa differenzia Firenze da ogni altra città di genio? Forse la sprezzatura, suggerisce Weiner, ovvero la disinvoltura nell’affrontare le difficoltà. La semplicità del genio dà l’impressione di non faticare mai. 
I CONTRASTI
L’apoteosi del genio pratico, invece, l’abbiamo a Edimburgo (Vecchia Puzzona, la canta il poeta Robert Ferguson), cui si devono frigorifero, bicicletta e Enciclopedia Britannica. La capitale della Scozia ha guidato l’intelletto occidentale per cinquant’anni. Qui il segreto qual è. Lo stesso di Atene. Edimburgo era una città di chiacchiere, e lì si annida il genio. Altri quattro luoghi: a Calcutta non esistono linee rette e tutto è circolare, compresa la conversazione. La magia dei bengalesi si chiama adda, un chiacchierare senza scopo ma non senza senso. Capannello permanente di cicaleccio da strada. A Vienna il genio musicale non fiorisce al massimo dell’eccitazione (che si ha quando si verifica il proprio conto in banca o si fugge da una tigre), ma nella attenzione sfocata o distrazione creativa. Stile Mozart. Altra molla: la lingua. Tedesca, in particolare, a Vienna e Berlino con filosofi e scienziati. Perché il tedesco è articolato e insieme disarticolato. Si auto-compone. Quindi stimola il pensiero. Ancora. 
Gli immigrati sarebbero statisticamente più geniali degli autoctoni, avendo a disposizione ingredienti più numerosi. Pensiamo a Freud, Victor Hugo e Chopin. Chiude il reportage la Silicon Valley, valle di geni (e immigrati) per antonomasia, con la sua forza dei legami deboli. Che cos’altro è Facebook se non un supermercato di legami deboli? La genialità di Mark Zuckerberg non è stata quella di averli inventati, ma di averli resi molto meno costosi. La ricetta della Silicon Valley è però un’altra ancora, che al termine del viaggio rischia di smontare tutte le precedenti teorie del genio: quella dei colpi di fortuna. Si può diventar geni anche grazie al fattore C.