Corriere della Sera, 8 novembre 2016
Il debutto del robot made in Italy. «R1» si presenta: così aiuterò gli umani in banca e in ospedale
«Robot, telefono, casa». Arriverà forse un giorno in cui i robot inizieranno a comportarsi come l’indimenticabile E.T. (che, peraltro, era un robot italiano, di Carlo Rambaldi). Inizieranno, forse, ad affezionarsi, a soffrire e a sentire la nostra mancanza. «Ma per ora siamo noi che ci affezioniamo all’iPhone o all’automobile da rottamare». Roberto Cingolani, il direttore scientifico dell’Iit, riporta il dibattito sulla robotica verso un maggiore equilibrio quotidiano. Le attese dell’uomo sono tante. Le paure anche: Elon Musk non ha voluto operai nella sua fabbrica Tesla perché, ha detto, «gli esseri umani sono di intralcio». Ma non c’è solo il robot che popola i nostri incubi da disoccupati potenziali 2.0. R1, il prototipo dell’Iit pensato per interagire ed essere vicino all’uomo, negli ospedali, nelle banche, negli aeroporti, è la versione amica. E ieri ha fatto il suo debutto assoluto sul palco di Italia Digitale. L’interesse che ha suscitato nel pubblico è stato paragonabile a quello di una star. D’altra parte lo è. È il robot made in Italy, in versione utilitaria. «L’iCub, il robot bambino – hanno spiegato Cingolani con Giorgio Metta, il padre di R1 – era una Ferrari». Costoso, sofisticato e inarrivabile. «R1 è un’utilitaria pensata e progettata per entrare nelle case delle persone». Con un paragone storico possiamo dire che R1 potrebbe essere la «500» del boom economico, quella che diede le quattro ruote alle famiglie. Anche se qui di ruote ce ne sono solo due. «Sono progettato per fare quello che gli uomini mi dicono» ha detto ieri il robot interagendo in un dialogo (immaginario) con Metta. Per ora, inutile negarlo, non fa molto. Ma solo perché i robot funzioneranno come degli smartphone, sulla base delle app sviluppate per dargli un compito. In questi giorni è in corso una trattativa con alcuni investitori istituzionali che farebbero da venture capitalist per il progetto di Metta. A Genova potrebbe nascere presto una vera Robot Valley, con una catena di montaggio per passare dal prototipo Robot1 ai suoi «figli» commerciali R2, R3, R4... Il Robot sarà presente anche questa mattina all’Unicredit Pavilion di Milano per un incontro con le scuole. Un momento culturale non banale: robot e intelligenza artificiale saranno per le nuove generazioni ciò che i pc e Internet sono stati per chi è cresciuto negli anni 80 e 90. Come il Commodore 64 è stato un educatore sentimentale per l’informatica così questi umanoidi ci anticipano con cosa dovremo fare i conti. Saranno chiavi di lettura del mondo del lavoro. Magari anche fonte di ansia, ma per questo motivo è facile immaginare che saranno sempre più centrali nel dibattito pubblico. «Noi stiamo indagando da scienziati su quali sono i limiti tecnologici di questa frontiera». Ma con la fine della distanza fisica che ci separa da loro ci sarà sempre più bisogno di nuove leggi, norme, aggiornamenti. Sta già accadendo: per permettere la circolazione della Google Car (non è forse un robot a forma di auto?) la California ha aggiornato il codice stradale. Cosa succede di fronte a un incidente? Di chi è la responsabilità civile e penale? Senza andare oltre verso scenari che la tecnologia sta già facendo intravedere: un’auto che si guida da sola percepisce un bambino e una persona anziana. Deve decidere cosa fare, chi salvare. Non è una scelta etica anche questa?Massimo Sideri
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«Serve un new deal per gli investimenti La vera svolta? Il lavoro diventerà 4.0»
L’innovazione tecnologica è un «fenomeno polarizzante» e per evitarlo «bisogna investire», «la modernità va gestita» altrimenti si lascia il campo al populismo. Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda non si ferma ai numeri del suo piano Industria 4.0 e a «Italia digitale», la due giorni del Corriere della Sera dedicata all’innovazione, annuncia che il prossimo anno lavorerà con il ministro del Welfare Giuliano Poletti al nuovo piano Lavoro 4.0: «La discriminante di tenuta è come evolve il lavoro».
Perché se è vero che la digitalizzazione delle case è molto importante, centrale è la «profonda digitalizzazione delle imprese manifatturiere che rappresentano l’eccellenza del made in Italy». Calenda, intervistato dal vicedirettore del Corriere Daniele Manca, spiega che si riferisce alla meccanica: «Dovevamo decidere come investire sull’industria 4.0 – prosegue —. Ho cancellato gli incentivi a bando che non erano stati ancora assegnati e ho deciso di optare per incentivi automatici di natura fiscale. In questo modo abbiamo messo a disposizione 13 miliardi attraverso crediti d’imposta e super ammortamento. Ma soprattutto abbiamo cambiato l’approccio, dimostrando grande fiducia nelle imprese. Non è più il governo a identificare i settori su cui puntare, ma sono le aziende a scegliere la tecnologia giusta o i mercati su cui puntare». Oltre tre quarti delle imprese italiane individuano nella trasformazione digitale una delle principali priorità per continuare a essere competitive. Ma sono necessari investimenti, il nodo che deve sciogliere il nostro Paese. Però non è un problema solo nazionale, come ha spiegato il ministro. «Se non riusciamo a portare l’idea che ci vuole un new deal per gli investimenti, che la flessibilità va fatta soprattutto su questo, non su tutto, la scommessa non è che la perde l’Italia, ma l’Europa e la vincono i populismi e la paura della modernità». Calenda non bacchetta Bruxelles, ne riconosce meriti e limiti: «L’Europa è tante cose – spiega – noi rischiamo di vederne sempre l’aspetto matrigno. Io sono meno pessimista su queste cose. In questi anni aver avuto ad esempio una disciplina sugli aiuti di Stato e sui conti pubblici ci ha aiutato ad andare verso un’economia più moderna. Oggi però – ha concluso – casca l’asino perché non abbiamo costruito l’Europa per affrontare un periodo di crisi così intensa».
La crescita passa anche dalla banda larga. E sulla sua diffusione il Paese sta cercando di recuperare. La penetrazione di Internet è pari al 63% in Italia, contro il 94% della Finlandia, l’88% della Germania e l’84% della Francia. Tuttavia «è partita una domanda di connessione che prima non c’era», osserva il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, sul palco insieme al numero uno di Poste Italiane, Francesco Caio. Recchi ricorda che «ogni giorno Telecom Italia posa 7 mila chilometri di fibra, ogni mese l’equivalente di una città come Torino» e riconosce al governo di avere fatto «un piano molto intelligente, che divide il Paese in settori in base alla domanda». Ma è nelle cosiddette «zone grigie», le aree in cui non si sa quando arriverà la banda larga perché lì lo Stato non può intervenire in modo diretto, che si concentra il 69% delle imprese manifatturiere. Ma, osserva Calenda, ora le imprese hanno a disposizione il super ammortamento che potrà essere usato anche per la fibra. L’Italia deve lavorare molto anche sul fronte dei servizi. «I clienti hanno fame di semplificazione e di problem solving», spiega il ceo di Poste, Caio.
Francesca Basso