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 2016  novembre 07 Lunedì calendario

Grandi magazzini Liberty, i manager italiani salvano la storia inglese

Grazie ai capitali, al management e allo spirito imprenditoriale italiano, risorgono dagli abissi i magazzini Liberty di Londra, che ora, forti di risultati in crescita, puntano ad approdare in Borsa nel giro di un paio d’anni. Fondata da un imprenditore inglese ai gloriosi tempi delle Colonie, l’azienda che ha rischiato di fallire alla fine degli anni 2000, ora rinasce grazie agli investimenti di una ramo della famiglia Agnelli – già socia della Rinascente – e dei Girondi di Mantova, ma anche grazie a Marco Capello, ex banchiere, promotore del fondo di private equity BlueGem e presidente esecutivo di uno dei pochi marchi storici della gran Bretagna insieme a Burberry. 
La storia del negozio a forma di nave risale al 1875 e nasce da un’idea di Arthur Lasenby Liberty, che sceglieva nei maggiori porti del nuovo mondo gli oggetti più belli per rivenderli ai clienti di Regent Street a Londra. E proprio durante uno dei suoi viaggi in India, Sir Liberty trovò un nuovo tessuto, il tana lawn, un cotone pregiato e finissimo su cui le sue famose stampe avevano un risultato uguale alla seta, con il pregio di essere più resistenti e facili da lavare. E così Liberty, oltre che un rivenditore di oggetti fabbricati da altri, diventa una delle più note aziende di tessuti per l’abbigliamento e per la casa, con oltre 43mila disegni prodotti. Tanto più che se i brevetti fanno capo all’azienda, le stampe originali – che peraltro negli anni sono state disegnate da artisti, stilisti e designer famosi – in realtà sono parte del patrimonio nazionale inglese. 
Dopo il grande sucesso iniziale, che porta il negozio a ingrandirsi su un intero isolato, con il susseguirsi delle generazioni l’eredità del marchio si perde. Finché dopo 20 anni di conti in rosso, gli eredi sono costretti a cedere prima la sede e poi l’attività al fondo BlueJem, guidato da Capello, che grazie anche ai capitali italiani, tra cui quelli di Andrea e Anna Agnelli (attraverso la loro holding Lamse) e di Giorgio Girondi (imprenditore mantovano padrone della Usi), rilevano e risanano il gruppo. «Capello e i suoi soci decisero di investire quando tutti davano l’azienda per spacciata – ricorda Gina Ritchie, responsabile negozio e direttrice acquisti del gruppo – perché osservando i clienti che continuavano a entrare ma uscivano a mani vuote, credettero che il problema di Liberty era il prodotto e il suo posizionamento, non la forza o l’eredità del brand». E così in solo sei mesi di gestione BlueGem Liberty nel 2010 – grazie al taglio costi – torna a generare utili a livello operativo, per poter investire sul marchio di tessuti, oggetti per la casa e per il tempo libero. 
La prima parte della ricetta del rilancio consisteva infatti nel ridisegnare lo spazio all’interno del negozio londinese, in modo da dare più forza ai prodotti propri e a quelle categorie merceologiche che vanno per la maggiore. E così i ricavi iniziano a crescere e la redditività sale più che proporzionalmente anche perché aumenta l’incidenza della vendita dei tessuti e dei prodotti a marchio Liberty. 
A questo proposito, per assicurarsi un buon approvvigionamento di stampe di alta qualità, Liberty rileva il 65% di una delle più note stamperie del varesotto, Stamperia Olonia, che al momento ralizza con la capogruppo solo il 20% dei ricavi, ma a cui progressivamente verrà trasferita buona parte della stampa dei tessuti per il mercato europeo. «Stamperia Olonia è stata acquisita dal gruppo Liberty nel 2014 con l’obiettivo di realizzare un’integrazione verticale a monte della filiera produttiva, ovvero dalla fase di creazione dei modelli fino alla stampa dei tessuti», spiega Francesco Roncaglio, ad di Lampse (la holding di Andrea e Anna Agnelli) e presidente di Stamperia Olonia. «Grazie all’acquisizione, nel corso degli ultimi due anni abbiamo raddoppiato la capacità produttiva concentrando gli investimenti nella stampa digitale e nei processi di finissaggio complementari». Morale: in 4 anni di gestione BlueGem, Liberty passa dagli 80 milioni di sterline di ricavi e 3 di perdita operativa dell’esercizio 2009 ai 139 milioni di streline di ricavi e 26 di margine operativo del 2014 (che però è un’anno eccezionale di 13 mesi per un cambio di accounting). Ma il fondo volge al termine, e così decide di cedere il controllo al nuovo fondo BlueGem2 e a parte dei vecchi azionisti del fondo1 che preferiscono restare “a bordo della Liberty”. 
Comprata nel 2010 per 36 milioni, l’azienda viene riacquistata dagli stessi soci in proporzioni diverse nel 2015 per 170 milioni (di cui 70 di debiti). Gli Agnelli, soci al 4,5%, reinvestono anche in BlueJem2 (azionista con il 35%, ma che detiene il 100% dei diritti di voto). Stesso discorso per Girondi (6,5% diretto in Liberty) e circa un 10% delle quote di BlueGem2, pertanto tra quote dirette e indirette i due ceppi di imprenditori italiani hanno circa un quinto del gruppo inglese. Finita la ristrutturazione si apre la fase di espansione, che parteconl’introduzionedelsistevillaggio ma operativo Sap, che creando discontinuità tra gestione, rimanenze e magazzino, penalizza i risultati del 2015, che è peraltro l’anno della transizione dal vecchio al nuovo fondo. «Paradossalmente passare dagli ordini per telefono a quelli via pc è stato il processo più difficile degli ultimi cinque anni – spiega Sarah Halsall, managing director di Liberty – perché mettere ordine nel magazzino non per scaffali ma per file è stato un cambio di cultura, che ci renderà la vita più facile a tutto vantaggio dei risultati futuri, ma anche un sforzo come quando dopo aver imparato a scrivere a mano, ci siamo tutti convertiti alle tastiere». 
Grazie all’introduzione del sistema Sap, Liberty quest’anno ha siglato 2016 un accordo in esclusiva per distribuire i suoi prodotti in Usa attraverso la catena di grandi magazzini Neiman Marcus e uno per il 2017 con la catena giapponese Isetan, che prevede anche delle capsule dedicate a uno dei mercati storicamente più importanti per il marchio. 
Ma l’avvio del canale ingrosso è solo la prima fase in vista dell’apertura di nuovi negozi Liberty, oltre la sede storica di Londra, magari iniziando da corner in mercati selettivi. Intanto il sito online, partito in sordina insieme al nuovo software, sarà già un modo per capire quali sono i mercati e i prodotti su cui puntare per la crescita futura.