Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 07 Lunedì calendario

Viaggio a braccia conserte. L’auto che guida da sola è già parte della nostra vita

Anno 2000. Lui, il signor Rossi, sblocca gli sportelli della sua auto di lusso premendo il tasto del telecomando: lei, l’auto, risponde al richiamo lampeggiando di complicità con le frecce. La chiave fa il suo mezzo giro nel blocchetto dello sterzo e risveglia il motore. L’uscita dal parcheggio è accompagnata dal bip-bip del sensore posteriore, che consente manovre millimetriche. Rimane da controllare che la strada sia libera. È libera. Il cambio automatico sgrana le marce con tocchi felpati: il signor Rossi ha girato il mondo e se la ride degli sprovveduti rimasti a remare con la leva. Destinazione? Già impostata sul navigatore: optional prestigioso e utile. Autostrada sgombra: con il savoir-faire degno di 007, il signor Rossi inserisce il cruise control, setta la velocità e stacca il piede dall’acceleratore, pronto a riprendere il controllo in caso di necessità. Con il telefonino a portata di mano: un evoluto «banana-phone» che permette, udite udite, di accedere a Internet in mobilità. Anno 2016. Il figlio del signor Rossi si avvicina alla sua auto, un modello di categoria «media», e questa lo riconosce, sbloccandosi. Ma ha le mani occupate e non potrebbe aprire il bagagliaio. Nessun problema: basta infilare un piede sotto il paraurti e lo sportello si solleva da solo, richiudendosi poi con la stessa docilità. La rete di telecamere proietta sul display della plancia la vista dall’alto della vettura: la visuale è a 360 gradi. Si parte. I gesti sono misurati, i pulsanti quasi inesistenti. Si fa tutto a voce: sintonizzarsi sulla radio preferita; cercare un numero telefonico nell’agenda del telefonino, collegato via Bluetooth, e allo stesso modo entrare nella propria libreria di Spotify per ascoltare la playlist giusta; impostare il navigatore; settare il profilo di guida (più sportivo o più confortevole). I limiti di velocità? 
Li «legge» l’auto, con i sensori. Un ostacolo? L’auto rallenta da sola, fino a fermarsi, se occorre. Una distrazione? L’auto se ne accorge, prende il controllo del volante e sterza fino a rimettersi sulla traiettoria giusta. Il cruise control? C’è, ed è «attivo»: frena e accelera da solo fino alla velocità impostata, adattando l’andatura alle condizioni del traffico. Un lungo viaggio? L’auto rileva i segni di stanchezza e dà l’allerta: amico, fermati e fatti un caffè (la scritta appare sul cruscotto). Il parcheggio? A braccia conserte: i sensori misurano lo spazio, manovrano il volante, dosano gas e freno. Dall’auto carrozza, che si fa guidare, all’auto digitale, che guida da sola. Il processo è in piena accelerazione, ma è già dalla fine degli anni Trenta che si immaginano reticoli di strade automatizzate. C’è voluto qualche decennio di ricerca e sviluppo, ed eccoci arrivati. Nel 2014 la Sae (Society of Automotive Engineers, club internazionale che riunisce 100mila ingegneri) ha fissato in una tabella le tappe dell’ultimo miglio della marcia di liberazione della mobilità dal contributo diretto dell’uomo: dal livello zero («zero automazione») all’utopia – per ora – del livello 5 («totale automazione»). Oggi siamo al livello 2 («parziale automazione»): il guidatore controlla l’ambiente di guida e il sistema si limita ad assisterlo. Ma c’è già chi (il brand californiano Tesla) è salito al livello 3 della «automazione condizionata», nella quale l’auto autogestisce tutta la dinamica di guida, lasciando il volante al guidatore soltanto per un intervento in extremis (una mera funzione di backup quando il sistema si trova di fronte a una complessità imprevista). L’accesso al livello 4 («alta automazione») dovrebbe avvenire nel 2025. Il processo marcia a tutta velocità. L’anno scorso (sono dati Accenture) il 35% delle auto era connesso alla rete: nel mondo, su 88 milioni di veicoli 16 erano collegati direttamente, sei indirettamente e nove lo erano tramite una app dello smartphone. Gli altri 57 milioni di veicoli erano «isolati». Di questo passo, nel 2020 le auto connesse saranno il 98% e nel 2025 il 100%. A spingere è l’industria, ma è anche la mano pubblica. Sulle auto-robot Obama ha pianificato investimenti per quattro miliardi di dollari in dieci anni. Non è un’infatuazione per la fantascienza, è pura politica di salvaguardia sociale. Con la guida autonoma si salvano vite umane: 30mila vittime di incidenti in meno – secondo il Research Institute di Toyota di Palo Alto – se già oggi tutte le auto in circolazione fossero dotate dei dispositivi di assistenza disponibili. Perché, con buona pace dei cultori del «piacere della guida», il 94% degli incidenti è dovuto all’errore umano. A fermare il futuro non bastano neppure i crudeli «intoppi» della cronaca, come lo scontro mortale che nel giugno scorso ha coinvolto un tester americano di Testa (in viaggio a velocità folle e con l’Autopilot inserito, ma concentrato su un film di Harry Potter...). I costruttori – da Anno 2000. Lui, il signor Rossi, sblocca gli sportelli della sua auto di lusso premendo il tasto del telecomando: lei, l’auto, risponde al richiamo lampeggiando di complicità con le frecce. La chiave fa il suo mezzo giro nel blocchetto dello sterzo e risveglia il motore. L’uscita dal parcheggio è accompagnata dal bip-bip del sensore posteriore, che consente manovre millimetriche. Rimane da controllare che la strada sia libera. È libera. Il cambio automatico sgrana le marce con tocchi felpati: il signor Rossi ha girato il mondo e se la ride degli sprovveduti rimasti a remare con la leva. Destinazione? Già impostata sul navigatore: optional prestigioso e utile. Autostrada sgombra: con il savoir-faire degno di 007, il signor Rossi inserisce il cruise control, setta la velocità e stacca il piede dall’acceleratore, pronto a riprendere il controllo in caso di necessità. Con il telefonino a portata di mano: un evoluto «banana-phone» che permette, udite udite, di accedere a Internet in mobilità. Anno 2016. Il figlio del signor Rossi si avvicina alla sua auto, un modello di categoria «media», e questa lo riconosce, sbloccandosi. Ma ha le mani occupate e non potrebbe aprire il bagagliaio. Nessun problema: basta infilare un piede sotto il paraurti e lo sportello si solleva da solo, richiudendosi poi con la stessa docilità. La rete di telecamere proietta sul display della plancia la vista dall’alto della vettura: la visuale è a 360 gradi. Si parte. I gesti sono misurati, i pulsanti quasi inesistenti. Si fa tutto a voce: sintonizzarsi sulla radio preferita; cercare un numero telefonico nell’agenda del telefonino, collegato via Bluetooth, e allo stesso modo entrare nella propria libreria di Spotify per ascoltare la playlist giusta; impostare il navigatore; settare il profilo di guida (più sportivo o più confortevole). I limiti di velocità? Li «legge» l’auto, con i sensori. Un ostacolo? L’auto rallenta da sola, fino a fermarsi, se occorre. Una distrazione? L’auto se ne accorge, prende il controllo del volante e sterza fino a rimettersi sulla traiettoria giusta. Il cruise control? C’è, ed è «attivo»: frena e accelera da solo fino alla velocità impostata, adattando l’andatura alle condizioni del traffico. Un lungo viaggio? L’auto rileva i segni di stanchezza e dà l’allerta: amico, fermati e fatti un caffè (la scritta appare sul cruscotto). Il parcheggio? A braccia conserte: i sensori misurano lo spazio, manovrano il volante, dosano gas e freno. 
Dall’auto carrozza, che si fa guidare, all’auto digitale, che guida da sola. Il processo è in piena accelerazione, ma è già dalla fine degli anni Trenta che si immaginano reticoli di strade automatizzate. C’è voluto qualche decennio di ricerca e sviluppo, ed eccoci arrivati. Nel 2014 la Sae (Society of Automotive Engineers, club internazionale che riunisce 100mila ingegneri) ha fissato in una tabella le tappe dell’ultimo miglio della marcia di liberazione della mobilità dal contributo diretto dell’uomo: dal livello zero («zero automazione») all’utopia – per ora – del livello 5 («totale automazione»). Oggi siamo al livello 2 («parziale automazione»): il guidatore controlla l’ambiente di guida e il sistema si limita ad assisterlo. 
Ma c’è già chi (il brand californiano Tesla) è salito al livello 3 della «automazione condizionata», nella quale l’auto autogestisce tutta la dinamica di guida, lasciando il volante al guidatore soltanto per un intervento in extremis (una mera funzione di backup quando il sistema si trova di fronte a una complessità imprevista). L’accesso al livello 4 («alta automazione») dovrebbe avvenire nel 2025. 
Il processo marcia a tutta velocità. L’anno scorso (sono dati Accenture) il 35% delle auto era connesso alla rete: nel mondo, su 88 milioni di veicoli 16 erano collegati direttamente, sei indirettamente e nove lo erano tramite una app dello smartphone. Gli altri 57 milioni di veicoli erano «isolati». Di questo passo, nel 2020 le auto connesse saranno il 98% e nel 2025 il 100%. 
A spingere è l’industria, ma è anche la mano pubblica. Sulle auto-robot Obama ha pianificato investimenti per quattro miliardi di dollari in dieci anni. Non è un’infatuazione per la fantascienza, è pura politica di salvaguardia sociale. Con la guida autonoma si salvano vite umane: 30mila vittime di incidenti in meno – secondo il Research Institute di Toyota di Palo Alto – se già oggi tutte le auto in circolazione fossero dotate dei dispositivi di assistenza disponibili. Perché, con buona pace dei cultori del «piacere della guida», il 94% degli incidenti è dovuto all’errore umano. 
A fermare il futuro non bastano neppure i crudeli «intoppi» della cronaca, come lo scontro mortale che nel giugno scorso ha coinvolto un tester americano di Testa (in viaggio a velocità folle e con l’Autopilot inserito, ma concentrato su un film di Harry Potter...). I costruttori – da Nissan a Bmw, da Ford a Mercedes, da Toyota a Volvo – si muovono con cautela, ma si muovono. E se il progetto della Google car sembra segnare il passo, l’accordo fra la società di Mountain View e Fca porterà in strada, negli Usa, una flotta di Chrysler Pacifica autonome. Mentre a Pittsburgh l’auto-robot è già operativa con i taxi di Uber: il cliente chiama la vettura con l’apposita app del cellulare, si accomoda, imposta l’indirizzo su un tablet e va sereno a destinazione. Il taxi guida da solo. L’addetto di Uber (sarebbe eccessivo chiamarlo «guidatore») c’è, perché la legge lo impone, pronto a intervenire se qualcosa va storto, ma tiene le mani sulle ginocchia. E forse si annoia un po’. Nissan a Bmw, da Ford a Mercedes, da Toyota a Volvo – si muovono con cautela, ma si muovono. E se il progetto della Google car sembra segnare il passo, l’accordo fra la società di Mountain View e Fca porterà in strada, negli Usa, una flotta di Chrysler Pacifica autonome. Mentre a Pittsburgh l’auto-robot è già operativa con i taxi di Uber: il cliente chiama la vettura con l’apposita app del cellulare, si accomoda, imposta l’indirizzo su un tablet e va sereno a destinazione. Il taxi guida da solo. L’addetto di Uber (sarebbe eccessivo chiamarlo «guidatore») c’è, perché la legge lo impone, pronto a intervenire se qualcosa va storto, ma tiene le mani sulle ginocchia. E forse si annoia un po’.