ItaliaOggi, 5 novembre 2016
L’Oréal, task force sui social
All’ultimo piano del grattacielo L’Oréal nel quartiere di Hudson Yard, nel cuore di Manhattan, tre schermi giganteschi con il profilo dei 50 stati americani inviano in continuazione dati e informazioni mentre un gruppo silenzioso e assorto di giovanissimi marketing manager del colosso cosmetico francese, 25 miliardi di fatturato, continua a digitare sui pc e sugli iPad.
Che sta succedendo nella «Community Management Room», così si chiama, come una War Room da film di guerra, che il responsabile della filiale americana di L’Oréal, Frédéric Rozé, ha fatto installare a pochi metri dal suo ufficio? «Monitoriamo costantemente il mercato delle Loraliens», risponde con un sorriso di soddisfazione mentre uno dei giovanotti lascia la postazione e gli consegna un report sugli ultimi tag e hastag registrati nello Utah.
Perché sono le Loraliens, le ragazzine che si accalcano, è il caso di dire, sui social (da Instagram a Snapchat, da Pinterest a Periscope, da Facebook a Twitter) per seguire le ultime novità in fatto di rossetti e maquillage le vere protagoniste di una rivoluzione di mercato che ha fatto della vecchia azienda francese (quest’anno celebra i suoi 110 anni) il numero uno negli Stati Uniti, superando perfino la storica Procter&Gamble, che nel frattempo ha ceduto la linea trucchi e maquillage per concentrarsi sui prodotti per capelli (Head&Shoulder e Pantène) e sulle creme (Olay).
«In 38 anni di lavoro», confessa qui a Parigi il grande capo mondiale della L’Oréal, Jean-Paul Agon, «non ho mai visto nulla di simile.
Centinaia di migliaia di ragazzine che si affollano sui social e quindi sui nostri siti sponsorizzati per truccarsi specchiandosi sugli schermi dei telefonini, per fotografarsi, fare un selfie con l’ultimo rossetto L’Oréal e spedire la foto, via Instagram o WhatsApp, all’amica o al fidanzato.
Ecco come si spiega il nostro successo americano, il sorpasso di P&G, un tasso di crescita (oltre il 7%) che supera anche i paesi emergenti, quelli di nuova ricchezza e di nuovi consumi anche in questa fase di raffreddamento dei mercati del lusso».
La ragione vera è che L’Oréal ha avuto, un paio di anni fa, l’intuizione di concentrarsi negli Stati Uniti sul segmento giovani e giovanissime e di seguire queste «beauty junkies», che si potrebbe tradurre in «assatanate di bellezza» sul loro terreno, cioè sui social, sfruttando la moda dei selfie, il desiderio di apparire e di farsi vedere (naturalmente truccatissime).
L’ha fatto rilevando una serie di start-up come Nyx, Maybelline e IT Cosmetics (quest’ultima per un miliardo di dollari, una cifra mai vista per l’acquisizione di una small cup, di una piccola azienda cosmetica fondata da una presentatrice televisiva: vedere ItaliaOggi del 14 giugno e del 26 luglio) che hanno letteralmente proiettato una vecchia elegante signora come L’Oréal nell’universo sconfinato dei consumi cosmetici delle Millennials.
«Le start-up americane, comprate magari a prezzi alti rispetto ai paradigmi industriali», confessa oggi monsieur Agon «ha sconvolto il nostro modello di business. Ci hanno fatto capire che quello era il futuro, cosmetica e internet insieme. Per fare una battuta, possiamo dire che non abbiamo lorealizzato Nyx ma nyxizzato la vecchia L’Oréal».
Con risultati sorprendenti. La Urban Dacay, un’altra start-up californiana appena entrata nella scuderia francese, anch’essa con un modello di business tutto internettiano, fatto di social e di e-commerce, è diventata la seconda marca di maquillage americana dopo il colosso Estée Lauder, mentre la Nyx Professional Makeup, nata pochi anni fa in California, è destinata al primo posto al mondo con un fatturato di 400 milioni di euro (oggi è a quota 200) secondo le previsioni dello stesso Rozé, il country manager di L’Oréal Usa.
La smania dei social ha avuto, ovviamente, una ricaduta sulle vendite tradizionali nei grandi magazzini e nei negozi monomarca (la profumeria tradizionale è, invece, destinata a sparire). Per esempio, un flagship store a marchio Nyx, aperto nei giorni di Halloween nella centralissima Union Square di New York, è stato preso letteralmente d’assalto da migliaia di «beauty junkies» che hanno fatto anche cinque ore di coda per farsi truccare o per imparare, in uno stage veloce, come si usa il rimmel o come si fa un contorno occhi.
«Il caso Nyx», spiega ancora Rozè, «è una delle storie di successo più strabilianti nella storia dell’industria cosmetica. Sono sicuro che prima o poi sarà studiata nelle business school. Come dice il signor Agon, ha cambiato il Dna della L’Orèal».
La lezione americana, in effetti, è servita anche in Europa. E per rendersene conto, basta andare nel negozio monomarca, il primo che L’Oréal ha aperto a Parigi, nel mall commerciale Le Havre, alle spalle dell’Opéra. Tutti i giorni una coda unica di ragazzine che vogliono farsi belle e farsi vedere (sui social).